Il conto economico per ASA dello studio notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Per avere una lettura immediata dell’andamento economico dello studio, lo strumento più adatto per lo studio notarile è rappresentato dal Conto Economico per ASA (Area Strategica di Attività).

Abbiamo già avuto modo di introdurre il concetto di ASA in un precedente intervento.

Il prospetto sarà utilmente costruito con la logica del direct costing evoluto, che mette in evidenza il margine di contribuzione per ciascuna ASA. Il margine di contribuzione è una misura di reddito lordo ottenuto contrapponendo ai ricavi i soli costi diretti (fissi e variabili). I costi diretti sono quelli direttamente attribuibili a ciascuna area di attività. All’area di attività immobiliare dello studio notarile afferiranno ad esempio certamente gli stipendi del personale dedicato e i compensi ai visuristi. I costi comuni di studio quali ad esempio le spese condominiali o il canone di locazione della sede non verranno invece assegnati alle Aree Strategiche, e compariranno nella loro globalità in calce al conto economico. Si avrà così l’evidenza del margine lordo complessivamente generato da ciascuna delle ASA e della sua attitudine a coprire i costi comuni di Studio, consentendo di pervenire ad un risultato finale di gestione positivo.

Schema di Conto Economico per Area Strategica di Attività

Questo strumento conoscitivo permette al Notaio di individuare le Aree Strategiche che apportano il maggior contributo alla generazione di reddito dello Studio piuttosto che, eventualmente, le Aree Strategiche che risultano in perdita (rectius con un margine di contribuzione negativo), così come di apprezzare l’incidenza dei costi comuni, relativi ad attività di supporto, piuttosto che alla gestione finanziaria. Tali evidenze sono funzionali all’assunzione di decisioni, che possono impattare anche nel medio-lungo termine. In particolare, i dati consentono di supportare scelte attinenti alle Aree Strategiche su cui è opportuno concentrarsi, o quali segmenti eventualmente ridurre o abbandonare (tenendo naturalmente conto di eventuali interrelazioni tra Aree Strategiche), con i conseguenti impatti sull’impiego delle risorse disponibili. I dati consentono inoltre di valutare l’opportunità di acquisire nuove persone e/o di riqualificare quelle esistenti.

Naturalmente le scelte di orientamento tra ASA dello studio devono tener conto della particolare funzione notarile, per la quale lo studio non può declinare arbitrariamente il ricevimento di un atto, ma può certamente orientare la clientela applicando ad esempio un prezzo di scrematura o ponendo vincoli organizzativi o temporali alle prestazioni erogate.

Nelle scelte che impattano nel medio-lungo termine, qual’é certamente il trascurare o eliminare un’ASA, le informazioni di carattere economico fornite anche dal Conto Economico per ASA non dovranno considerarsi esaustive degli aspetti da considerare. Il margine di contribuzione generato (o distrutto) da ciascuna ASA, rappresenta un importante elemento di valutazione, ma non certamente l’unico in base al quale decidere. Così, ad esempio, uno Studio può ritenere opportuno continuare ad operare in Aree Strategiche che presentano una ridotta redditività ma che risultano qualificanti in termini professionali (aspetto questo rilevante sul piano del posizionamento competitivo dello Studio). In questo senso, è opportuno affiancare al margine per ASA anche parametri atti a catturare variabili strategiche di medio/lungo termine, quali ad esempio lo sviluppo di competenze specialistiche in una certa ASA ritenuta ad alta potenzialità, e così via.

Questo tipo di prospetto può e dovrebbe essere utilizzato non solo ex-post, a fini di consuntivazione di quanto accaduto, possibilmente con cadenza almeno trimestrale, ma anche in chiave di programmazione, con dati prospettici, costituendo così uno dei prospetti di sintesi del budget dello Studio (conto economico previsionale).

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

Rinuncia abdicativa al diritto di comproprietà – a cura Notaio Chiara Mistretta

Inquadramento

1.1 Nel nostro ordinamento giuridico vi sono due tensioni sistematiche che talvolta si contrappongono: da una parte l’inviolabilità della proprietà e dall’altra la libera circolazione della ricchezza. Francesco Galgano aveva già individuato l’origine della prima nel diritto romano e l’origine della seconda nell’esito della rivoluzione illuministica codificata nel codice civile napoleonico. La prima propende alla conservazione della proprietà, la seconda, che aspira alla certezza dei traffici giuridici, favorisce gli scambi in funzione della produzione di ricchezza.

Tale contrapposizione si evidenzia nella tematica della rinuncia al diritto di comproprietà.

1.2 E’ assente, nel nostro sistema giuridico, una disciplina generale ed organica dell’istituto della rinuncia, pur tuttavia la dottrina ha tentato di ricostruire alcune caratteristiche comuni.

La rinuncia viene così definita come atto essenzialmente unilaterale con cui il titolare di una posizione giuridica di potere se ne spoglia volontariamente. I molteplici effetti che tale rinuncia comporta sulla posizione giuridica soggettiva rinunciata o sui terzi sono mediati e secondari rispetto alla rinuncia stessa. La signoria che il proprietario esercita sul bene si enuncia anche con la dismissione di esso; è pertanto prodromico ricordare che la rinuncia può avere ad oggetto esclusivamente situazioni giuridiche soggettive che possono essere disposte dal titolare.

Il diritto reale, e la proprietà in particolare, è un diritto di natura disponibile e pertanto suscettibile di rinuncia. Ciò si evince dai molteplici esempi nel nostro codice civile, ad esempio dall’art 882 cc in tema di riparazione del muro comune, dall’art. 1104 cc relativo alle spese della cosa comune, dall’art 2643 n 5 c.c. secondo cui l’atto di rinuncia di diritti di proprietà è soggetto a trascrizione.

1.3 Occorre precisare che nel nostro ordinamento giuridico la rinuncia al diritto di proprietà può aspirare alla realizzazione di diversi effetti che ne mutano causa e fondamento. Nella “rinuncia traslativa” l’effetto di accrescimento del comproprietario è diretto e si assurge a causa del contratto, il negozio rinunziativo è inserito in un contratto sinallagmatico quale espressione di una controprestazione.

La “rinuncia liberatoria” ha come effetto principale l’estinzione dell’obbligo di contribuire alle spese del mantenimento della cosa comune non solo pro futuro (come conseguenza ovvia non essendo più proprietario del bene), ma anche per il passato ai sensi dell’art. 1104 cc.

Nella “rinuncia abdicativa” della comproprietà, invece, il comproprietario ha come unico interesse la dismissione del proprio diritto.

2 Qualificazione giuridica ed effetti

2.1 In questa visione prospettica la “rinuncia abdicativa” al diritto di comproprietà è un negozio unilaterale, attraverso il quale il comproprietario di un bene rinuncia alla propria quota di proprietà e ad ogni diritto su di essa. La finalità di tale manifestazione di volontà è meramente dismissiva: esercitando il proprio potere sulla cosa si influisce indirettamente sul diritto degli altri comproprietari, accrescendolo, in forza del principio di elasticità e della vis espansiva della proprietà. La rinuncia abdicativa non incrementa direttamente l’altrui sfera giuridica, ma depaupera il patrimonio del rinunciante e l’effetto acquisitivo dei comproprietari è effetto indiretto, non ergendosi come causa nel negozio giuridico stesso. Il diritto del condividente è un diritto sulla cosa nella sua interezza e non su una porzione materiale della stessa e, pertanto, l’effetto espansivo della proprietà comporta l’accrescimento delle quote degli altri comproprietari.

A differenza della “rinuncia abdicativa”, quale dismissione di un diritto, che è atto negoziale unilaterale, la “rinuncia traslativa”, ovvero rinuncia dietro corrispettivo, è certamente atto unilaterale, ma costituisce elemento di una fattispecie più complessa: prestazione negativa e primo segmento del sinallagma contrattuale.

2.2 Più complesso è comprendere se la rinuncia quale negozio giuridico unilaterale abbia o meno la natura di atto recettizio. Nel caso di rinuncia all’eredità ex art 519 c.c. la dottrina propende per una ricostruzione negativa, ma ben più complesso è accettare questa ricostruzione in caso di rinuncia “liberatoria” o “abdicativa” della comproprietà.

La dottrina che aderisce alla tesi di atto non recettizio ribadisce l’irrilevanza degli effetti che scaturiscono dalla rinuncia rispetto alla struttura della stessa. L’automatismo degli effetti ex nunc renderebbe ininfluente la conoscenza da parte degli altri comproprietari dell’atto rinunziativo.

Invece, la dottrina che propende per la tesi di atto recettizio, sostiene che l’efficacia liberatoria o accrescitiva automatica non richieda una manifestazione di volontà, bensì una mera notifica ai restanti comproprietari la cui sfera giuridica viene modificata dell’atto di rinuncia abdicativa.

2.3 La “rinuncia liberatoria” ex art 1104 cc – producendo l’effetto, per il rinunciante, di sottrarsi dalla responsabilità per gli obblighi futuri derivanti dalla titolarità del diritto – viene qualificata come recettizia, comportando questa rinuncia un accollo da parte degli altri comunisti, che salvo il loro rifiuto, acquistando la proprietà della quota rinunciata per accrescimento e subentrando nelle spese del soggetto rinunziante.

E’ principio generale dell’ordinamento giuridico che un soggetto di diritto non possa subire direttamente un mutamento della propria sfera giuridica senza una manifestazione di volontà positiva o negativa, anche indiretta o implicita. A tal fine, è la necessità di recettizietà o la possibilità di rifiutare l’effetto espansivo indiretto della rinuncia. Al soggetto terzo rispetto al negozio giuridico è riconosciuto il potere di rifiutare gli effetti derivanti in suo favore dal negozio stesso, anche se meramente favorevoli, a tutela dell’autonomina della sua sfera giuridica (come avviene nel contratto a favore di terzi e nel legato). E’ importante sottolineare che tale potere compete al soggetto estraneo del rapporto giuridico quando gli effetti sono diretta conseguenza del negozio stesso.

La rinuncia, quale atto abdicativo, produce l’effetto dell’allontanamento del diritto dalla sfera giuridica patrimoniale del rinunciante, dismettendolo, senza curarsi della sorte della situazione giuridica dismessa e degli effetti ad essa connessi.

2.4 La dottrina più recente ritiene che al comproprietario – soggetto terzo rispetto al negozio giuridico unilaterale, quale è la “rinuncia abdicativa” del diritto di comproprietà – che subisca indirettamente una modifica alla propria sfera giuridica di interessi, da un negozio giuridico a causa dismissiva, non spetti alcun rimedio al fine di impedire l’accrescimento della sua quota di comproprietà.

In generale, la sfera giuridica altrui viene tutelata dall’intrusione diretta e causalmente connessa all’atto di autonomia privata che produce effetti nell’altrui sfera giuridica, mediante il meccanismo del rifiuto o della rinuncia; tuttavia nel caso di “rinuncia abdicativa” del diritto di comproprietà gli altri condividenti – a differenza di quanto accade per il soggetto terzo nel contratto a favore di terzo di cui all’art 1411 cc – non sono titolari di un diritto di accrescimento alle proprie quote di comproprietà suscettibili di rifiuto o rinunzia. La quota di comproprietà si espande automaticamente al venir meno del diritto dei contitolari. L’accrescimento della quota di comproprietà è effetto riflesso indiretto e conseguente alla natura del diritto in comunione e come tale, non essendo un diritto bensì un mero effetto ex lege, non suscettibile di rinuncia e nemmeno di rifiuto. 

3 Profili pratici: pubblicità e fiscalità

3.1 Ai sensi dell’art 2643 n 5 c.c. è atto soggetto a trascrizione anche l’atto di rinuncia di diritti di proprietà, diritti reali di godimento, diritti di comunione quando abbiano ad oggetto beni immobili.

La rinuncia abdicativa del diritto di comproprietà che comporta la perdita del diritto ex nunc è soggetta a trascrizione e non ad annotazione, a differenza del rifiuto che travolge il diritto con effetti ex tunc.

Per parte della dottrina la trascrizione della rinuncia abdicativa del diritto di comproprietà avviene contro il rinunziante ed a favore degli altri comproprietari espandendo proporzionalmente le reciproche quote, indicandone il regime patrimoniale della famiglia e con voltura catastale automatica.

Per altra parte della dottrina, che a parere di chi scrive si ritiene preferibile, la trascrizione della rinuncia abdicativa del diritto di comproprietà avviene solo contro il rinunziante, con l’indicazione del proprio regime patrimoniale della famiglia e con voltura catastale manuale.

3.2 La rinuncia abdicativa al diritto di comproprietà, che indirettamente comporta un’acquisizione del diritto del rinunciato da parte degli altri comunisti in proporzione alla loro quota, stante la mancanza di onerosità, rientra nell’alveo applicativo dell’imposta di donazione ai sensi dell’art 1 comma 2 TUS e alle imposte ipotecarie del 2% ai sensi dell’art 1 Tariffa TUIC e catastali dell’1% art 10 comma 1 TUIC .

In senso contrario, Santarcangelo che sostiene che la rinuncia abdicativa al diritto di comproprietà dovrebbe essere tassata con imposta di registro fissa in quanto atto non avente contenuto patrimoniale art 11 Tariffa parte I TUR e ad imposta ipotecaria e catastale fissa.

Bibliografia:

Perlingieri, appunti sulla rinunzia, in Riv Not. 1968

Piras, La rinunzia nel diritto privato, Napoli , 1940

Bigliazzi Geri, Oneri reali e obbligazioni propter rem, in Trattato Cicu Messineo , XI, tomo 3, Milano , 1984

Santarcangelo, Tassazione degli atti notarili, IV edizione, UTET, 2018

Circolare Agenzia delle Entrate n 44/E del 2011

Circolare Agenzia delle Entrate n 128/T del 1995

Cass Civ, V Sez, ordinanza n 10666 del 22 aprile 2021 la rinunzia alla quota di comproprietà che avvantaggia tutti gli altri comproprietari costituisce donazione indiretta in quanto l’acquisto del vantaggio accrescitivo da parte degli altri comunisti si verifica solo indirettamente.

Cass II Sez, sentenza n 3819 del 25 febbraio 2015, la rinuncia abdicativa alla quota di comproprietà di un bene al fine di indirettamente di avvantaggiare tutti gli altri comunisti costituisce donazione indiretta, senza che ci sia necessità di forma dell’atto pubblico.

Cass II Sez, sentenza n 23691 del 9 novembre 2009 la rinuncia abdicativa del diritto di comproprietà comporta indirettamente ed automaticamente una rideterminazione pro quota dell’entità delle partecipazioni degli altri comunisti i quali vedranno ipso iure accrescere in proporzione la loro quota in forza del principio di elasticità del diritto.

Commissione tributaria regionale Veneto Sez I n 407 del 9 aprile 2018 la rinuncia abdicativa al diritto di comproprietà, comportando un’espansione del diritto degli altri comproprietari indirettamente in forza del principio del vis espansiva della proprietà, non è trasferimento e non dà luogo ad alcuna tassazione proporzionale.

Chiara Mistretta,  Notaio in Brescia.

I testamenti «reciproci» di due coniugi – Cassazione, seconda sez., n. 18.197 del 2 settembre 2020 – a cura Notaio Federico De Stefano

Il caso nasce da un contenzioso ereditario tra fratelli: Tizio ha chiamato in giudizio il fratello Caio per far valere la nullità dei testamenti olografi dei comuni genitori, i quali avevano regolato le loro successioni con testamenti olografi in pari data e del contenuto medesimo.

Il tribunale accoglie la domanda, ravvisando che le modalità di redazione delle due schede testamentarie configurino un patto successorio istitutivo.

La decisione viene poi confermata dalla corte d’appello.

La Corte di Cassazione nel delineare la distinzione fra testamenti simultanei validi e il patto successorio istitutivo, ha chiarito che “si ha patto successorio, vietato, ai sensi dell’art. 458 c.c., quando le disposizioni testamentarie redatte da più persone, pur essendo contenute in schede formalmente distinte, danno luogo a un accordo con il quale ciascuno dei testatori provvede alla sua successione in un determinato modo, in determinante correlazione con la concordata disposizione dei propri beni da parte degli altri (Cass. n.2623/1982. Nella specie si è ravvisato un patto successorio vietato, avendo, ciascuno dei due coniugi, lasciato i propri beni a uno dei due figli, perché l’altro coniuge aveva disposto delle sue sostanze a favore dell’altro figlio)”.

La Suprema Corte prosegue nella motivazione osservando che “il giudice di merito, in particolare, esaminando i due testamenti ne ha evidenziato l’assoluta identità. Ricavando da ciò la conclusione che essi sono manifestazione di specifico e obiettivo accordo fra i testatori. Accordo che inferisce da tre elementi obiettivi: la contemporaneità della redazione, l’identità del contenuto e l’identità della forma”.

Prosegue la sentenza rilevando che con il secondo motivo d’appello l’attuale parte ricorrente aveva censurato la sentenza del tribunale perché l’esistenza del patto successorio istitutivo, riconosciuta dal primo giudice, non trovava riscontro nella prova del “vincolo con cui i coniugi testatori avrebbero inteso regolare pattiziamente le rispettive successioni”.

La Corte di Cassazione su questo profilo (fondamentale per il tema in oggetto: l’inesistenza della vincolatività dell’accordo) dichiara inammissibile il ricorso per cassazione, con motivazione puramente processualistica: «non è veicolata una censura che investa l’error in procedendo che avrebbe in ipotesi compiuto la corte d’appello nel dichiarare inammissibile il motivo di gravame per difetto di specificità, ma si deduce un error in judicando».

La Cassazione, con questa pronuncia, non entra nel merito della validità di testamenti autonomi, formalmente distinti, di contenuto analogo, in quanto non prende posizione sull’esistenza di un accordo vincolante, e quindi sull’esistenza di testamenti esecutivi di un patto successorio.

Non c’è patto successorio quando ciascun testatore esprime, nel rispetto dei requisiti formali previsti nel libro secondo del codice civile, una volontà autonoma.

Si potrebbe dunque affermare che o si raggiunge, nel primo grado di giudizio, la piena prova della “concordata disposizione”, e cioè dell’esistenza di un accordo, o non c’è patto successorio e non c’è causa di nullità.

Alla luce di tutto ciò le conseguenze pratiche che possono derivare da questa pronuncia portano a consigliare alle parti il ricorso a due testamenti, con disposizioni anche simili in alcuni punti, ma con tratti differenziatori; l’ideale poi che non avvengano in pari data e che abbiano delle disposizioni a favore di soggetti diversi o in ogni caso che non si richiamino vicendevolmente. La manifestazione deve quindi essere autonoma e separata. Ed è questo che deve emergere dalla lettura dei due testamenti.

Federico de Stefano, Notaio in Milano.

ALD NOTAI – www.aldnotai.it

Il primo assistente dello studio notarile è il cliente – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Oggigiorno nessuno si sognerebbe di andare dal medico senza portare le radiografie, le prove del sangue, i referti di precedenti consulti. Mi sembra quasi di vederli questi pazienti in sala attesa mentre tengono tra le mani le informazioni utili, tutte ben ordinate all’interno di una cartellina. E quando il medico chiederà le informazioni necessarie all’anamnesi queste verranno descritte in modo chiaro e preciso. E invece spesso i clienti arrivano allo studio notarile in tutto o in parte sguarnite dei documenti necessari ad avviare o a completare il complesso iter di predisposizione dell’atto notarile. Altre volte strada facendo i clienti si avvedono di alcune cose e cambiano atteggiamenti ed esigenze, costringendo lo studio a rifare tutto quanto predisposto in precedenza.

Nei contratti, se già il cliente parte acquirente fa fatica a collaborare ma sembra avere tendenzialmente maggiore interesse, sembra ancora più difficile coinvolgere la parte venditrice.

La mancanza di collaborazione da parte dei clienti è oggi una delle principali cause di inefficienza all’interno dello studio notarile. Il processo di predisposizione degli atti soggiace infatti a continui stop e ripartenze nell’elaborazione e a slittamenti nelle stipule dovuti alla mancanza di documenti o a cambi di rotta indotti dalla clientela.

Molto spesso il cliente si rivela più solerte nel sollecitare la fissazione dell’atto che nel portare i documenti necessari. E non è detto che abbia compreso fino in fondo il nesso tra i due concetti.

Occorre innanzitutto comprendere come mai i clienti non collaborano attivamente con lo studio. In prima battuta perché non sanno o non capiscono. Non hanno ben chiaro il ruolo di garanzia del Notaio e come si svolge l’attività notarile perché generalmente, loro malgrado, sono degli assoluti dilettanti. La maggior parte delle persone infatti va dal Notaio una sola volta nella vita per mutuo e compravendita della prima (e unica) casa. Tuttalpiù questo accesso raddoppia quando la persona fa il testamento. Non va poi sottaciuto che nel Paese che si ritiene la culla del diritto una seria preparazione giuridica è ancora appannaggio di pochi fortunati. Quindi è del tutto naturale che il cliente non sappia nulla di ciò che accadrà. Il cliente medio ha tutto il diritto di continuare a credere che l’Ape sia un insetto. In questa situazione di non conoscenza gli stereotipi e i pregiudizi da bar sport possono facilmente prendere il sopravvento. Perché lo studio notarile mi fa correre in giro a cercare documenti quando queste cose le potrebbe fare lui? Se faccio tutto io perché devo pagare lo studio così tanto?

L’assistente notarile e il Notaio non sono sempre pienamente consapevoli di questo autentico gap culturale e quindi spesso danno per scontato che il cliente sappia, capisca e ricordi.

Questa situazione apre la strada a quegli studi che vogliano investire nell’educazione al cliente.

Si viene a creare uno spazio molto interessante per la riduzione degli sprechi ma anche per la fidelizzazione del cliente: lo studio proattivo si attiverà per insegnare la funzione notarile e i vantaggi che essa comporta sulla certezza degli scambi e per spiegare il ruolo del cliente nell’ambito del processo.  

Lo studio proattivo seguirà inoltre il cliente aiutandolo a fare la sua parte in modo tempestivo e completo. Gli studi che hanno fortemente investito nell’educazione del cliente hanno processi lavorativi più lineari e veloci e clienti più soddisfatti perché più consapevoli dell’assistenza che hanno ricevuto.

L’educazione del cliente richiede una adeguata preparazione degli addetti e l’utilizzo strategico e sinergico di molti strumenti di comunicazione. Le semplici checklist che alcuni studi mettono a disposizione del cliente durante i colloqui o sui siti web non sono sufficienti e spesso vengono ignorate o interpretate in modo alquanto creativo. Le sale d’aspetto degli studi notarili sono piene di brochure che nessuno guarda perché troppo tecniche e troppo lunghe.

Siamo fortunati perché nel creare questa piccola scuola di istituzioni di diritto le spiegazioni non devono necessariamente avvenire dal vivo impegnando tempo e risorse preziose ma possono essere coadiuvate da strumenti moderni quali video, giochi, strumenti interattivi, comunicazione social e web.

Così come IKEA o Eataly hanno trasformato i propri negozi in un catalogo immersivo, si può approfittare di tutte le presenze in studio del cliente per parlare della funzione notarile e appalesare cosa accade dietro le quinte, in special modo sfruttando i tempi morti quali le attese.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

Commento a Cassazione su ammissione ad azione di restituzione – a cura Notaio Roberto Santarpia

Commento alla Sentenza di Cassazione del 11 febb. 2022 su azione di restituzione a seguito di donazione indiretta.

Il giorno 11 febbraio 2022 è stata pubblicata la sentenza di Corte di Cassazione num. 4523 la quale ha, fra l’altro, dichiarato, a mio avviso in modo non netto e univoco, che avverso le donazioni indirette sia possibile esperire l’azione di restituzione di cui all’art. 563, 1° comma, cod. civ. (nel caso in cui la stessa abbia leso le ragione di un legittimario).

A mio avviso, come detto, in modo non definitivo, poiché le parole esatte della stessa sono le seguenti: “nel caso in cui il donante fornisca il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile che, in tale evenienza, costituisce esso stesso l’oggetto della donazione in funzione dello stretto collegamento esistente tra l’elargizione del denaro ed acquisto del cespite……, si potrebbe ipotizzare un margine di esperibilità del rimedio di cui all’art. 563, primo comma, c.c.” e non vi è chi non veda, se un po’ aduso alla materia giuridica, che la frase in grassetto ha il senso di potersi pensare eventualmente possibile detta azione in anti tesi con la fattispecie trattata nella sentenza ove era decisamente esclusa.

In ogni caso il presente scritto vorrebbe mettere “ordine” (se mi passate l’ardire) nel disposto della detta sentenza poiché non troppo chiara in qualche punto.

Si parte dai fatti di causa in cui si invoca dall’istante l’accertamento della natura simulata di due atti di trasferimento immobiliari con i quali i sigg. Tizione e Tizia, tra loro coniugati (si arguisce in separazione dei beni), avevano acquistato in parti uguali nel 1972 e nel 1973 diversi immobili con denaro esclusivamente di proprietà di Tizione e di conseguenza l’acquisto dissimulava (??) in realtà una donazione di immobili da parte di Tizione nei confronti del la moglie Tizia, azione tesa al fine di poter esperire il rimedio di cui all’art. 563 1° c. cod. civ..

La Suprema Corte respinge la censura dell’istante: ammette si l’esperibilità dell’azione di simulazione di un negozio giuridico dissimulante una donazione anche prima dell’apertura della successione del donante, allo scopo di poter esercitare il rimedio di cui all’art. 563 c.c. -citando una Cassazione num. 11012 del 9 maggio 2013- ma non dopo i venti anni dalla stipula dell’atto che si vuole impugnare; in realtà però la detta Cassazione del 2013 citata ammetteva la azione tendente ad accertare la simulazione in ordine ad una fattispecie do ve la vendita (negozio oneroso) era stato effettuato dal disponente con il beneficiato e il corrispettivo non era stato incassato; là si che sussistono i presupposti per dirsi che il negozio è simulato in quanto negozio non voluto e per tale carattere opposto alla nostra fatti specie che si configura invece come negozio indiretto e cioè un negozio effettivamente vo luto tra le parti (reale ed efficacie) che peraltro, nella fattispecie, è stato concluso da terzi che vende vano ai nostri coniugi, terzi che hanno quindi effettivamente percepito il denaro quale corrispettivo che Tizione ha realmente pagato; detto negozio ha raggiunto l’ulteriore scopo di arricchire la moglie Tizia che non ha sborsato denaro, mentre nella simulazione relativa le parti vogliono porre in essere un atto reale nascondendolo sotto le diverse e fittizie apparenze di un atto diverso, palese ma meramente illusorio e la simulazione peraltro deve es sere voluta da entrambi i contraenti l’atto, cosa che nella nostra fattispecie era in radice esclusa per come la fattispecie concreta si era atteggiata.

Quando poi la sentenza in oggetto (11 febb. 2022) prende in considerazione il negozio indiretto, al fine di valutare se poter esperire o meno il rimedio dell’art. 563 1° comma, dice (addirittura) quanto segue: “…. Per poter esercitare l’azione di accertamento della natura simulata di un negozio dispositivo avente ad oggetto un immobile, in funzione dell’esperimento del rimedio di cui all’art. 563 4° comma c.c., a sua volta finalizzato al successivo avvio della domanda di restituzione ex art. 563 1° comma c.c. l’attore è tenuto a dimostrare che la liberalità indi retta abbia avuto ad oggetto direttamente il bene e non il denaro….”.

Qui innanzitutto bisogna precisare ancora che il negozio indiretto non è un negozio simulato per cui forse la Cassazione si è espressa in tal senso sulla scorta di uno “strascico” del ragionamento appena precedentemente da lei svolto sulla simulazione cadendo in una, non voluta, imprecisione giuridica; però purtroppo prosegue nel ragionamento dicendo che l’attore non poteva esperire l’azione di simulazione per l’avvenuto trascorso termine di 20 anni dalla stipula dei due atti di compravendita e non perché ne mancano i presupposti.

Sarebbe stato più consono che la Cassazione dicesse che si deve provare l’arricchimento e l’animus donandi di chi compie il negozio (comunque voluto e non simulato) che raggiunge anche l’ulteriore fine di arricchire altra parte.

Ora peraltro passando al profilo operativo del notaio -stante il taglio anche pratico della rubrica che debba confezionare un atto di vendita, occorre ricordare che, dal 2006, bisogna citare i mezzi di paga mento e quindi da quale conto corrente (di chi) sono tratte le somme, da ciò potendosi concretizzare quindi tutte le eventuali ipotesi simili a quella trattata dalla Cassazione in oggetto.

Ma va precisato che il notaio non deve “spaventarsi” nel caso in cui si evidenzi che le somme appartengano ad un terzo soggetto diverso dall’acquirente per il possibile pericolo, oggi avanzato dalla sentenza di Cassazione del 2022, dell’esperibilità di una “azione di simulazione” tendente a poter poi esperire la azione di restituzione (con evidenti successive difficoltà di circolazione del bene) perché non è detto che detta azione possa essere esperita “de plano”, dovendosi prima provare l’animus donandi di colui che ha posto in essere l’intero paga mento anche -o solo- a beneficio dell’ acquirente, come recita la Cassazione 21 maggio 2020 num. 9379: “La donazione indiretta si identifica con ogni negozio che, pur non avendo la forma della donazione, sia mosso da un fine di liberalità e abbia l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario, sicché l’intenzione di donare emerge solo in via indiretta dal rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso, nei limiti in cui siano tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio” e altresì la Cassazione Civile, Sez. II, 28 febbraio 2018, n. 4682: ” L’atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito che risulti essere appartenuta a uno solo dei contestatari, può essere qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificata l’esistenza dell’ “animus donandi”, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della detta cointestazione, altro scopo che quello della liberalità.”

E’ quindi possibile che si configuri detto pagamento, effettuato dal terzo, sia solvendi causa che donandi causa e peraltro non si è tenuti in atto ad evidenziare la causa sottostante che sorregge il pagamento del terzo cosa che può essere evidenziata anche in un secondo tempo.

Peraltro ad adiuvandum l’operatività notarile al fine di tutelare la detta circolabilità, si può tranquillamente asserire che seppure il donante volesse evidenziare (per fini di equità successoria) il detto animus donandi, potrà successivamente all’acquisto rimettere il debito che configurerà una donazione del credito (e quindi del denaro) per la evidente diversità di oggetto con anche dissociazione temporale della volontà espressa rispetto all’acquisto, come anche evidenziato dalla sentenza 11 febb. 2022, quando asserisce che se la regalia si sostanzia nel denaro (poi) servito all’acquisto non si ha donazione del l’immobile.

Roberto Santarpia,  Notaio in Orzinuovi.

Società tra professionisti – a cura Notaio Vincenzo Spadola

Anche i soggetti che svolgono una professione intellettuale protetta possono costituire una società, cosiddetta “società tra professionisti” – “STP”, ad eccezione di quei professionisti che svolgono pubbliche funzioni (per esempio notai o avvocati).

La STP ha la sua disciplina nell’articolo 10 Legge 183/2011 e nel relativo regolamento di attuazione emanato dai Ministeri della Giustizia e dello Sviluppo Economico l’8 febbraio 2013 n. 34.

La STP può essere costituita da chi esercita una professione intellettuale protetta, iscritto a ordini, albi o collegi oppure possiede un titolo di studio conseguito in altro stato dell’Unione europea che abilita all’esercizio della professione, a condizione che il numero dei soci professionisti e la loro partecipazione al capitale siano tali da determinare la maggioranza di due terzi nelle decisioni dei soci. Prevale la tesi che le due condizioni non debbano considerarsi cumulativamente. Il venire meno di tale condizione comporta lo scioglimento della società.

I soci professionisti non possono partecipare contemporaneamente a più di una STP.

La cancellazione del professionista dall’ordine, albo o collegio comporta l’esclusione dalla società e, se essa è avvenuta per ragioni disciplinari, comporta altresì l’impossibilità di divenire socio investitore.

E’ espressamente consentita la società multidisciplinare per l’esercizio di più attività professionali anche se non strettamente connesse.

Nella STP possono esservi anche soci non professionisti, definiti soci investitori, precisamente persone fisiche o società che partecipano a scopo d’investimento o in quanto incaricati di svolgere prestazioni tecniche. Detti soci, se persone fisiche, devono avere i requisiti di onorabilità previsti per l’iscrizione allo specifico albo professionale della STP, non devono avere riportato condanne definitive alla reclusione per due o più anni per reati non colposi e non devono essere stati cancellati dall’albo per ragioni disciplinari. In caso di società i requisiti appena menzionati per le persone fisiche devono ricorrere in capo agli amministratori e rappresentanti. Anche il socio investitore non può partecipare contemporaneamente a più STP. Si tende a escludere che possano divenire soci investitori un’altra STP o un trust.

La STP non costituisce un tipo societario autonomo ma può assumere la forma di qualunque società di capitali e di persone (compresa la società semplice) e quella di cooperativa; non può costituirsi in società a responsabilità limitata semplificata poiché, come vedremo, lo statuto deve contenere delle specifiche espresse previsioni che non si conciliano con il testo standard e immodificabile dell’atto costitutivo delle società semplificate; né – si ritiene – può consistere in una startup innovativa. Può costituirsi anche con unico socio professionista iscritto all’albo.

Nella prassi sembrano prevalere le società a responsabilità limitata e le società in accomandita semplice, soprattutto per la limitazione della responsabilità del socio ove si acceda alla tesi secondo cui la società è responsabile per le prestazioni professionali erogate dalla società seppure eseguite dal singolo professionista. Nel caso di società multiprofessionale non è necessaria l’enunciazione nella denominazione delle singole attività professionali svolte ma nulla vieta l’indicazione “STP multiprofessionale”.

L’atto costitutivo deve prevedere:

  1. a) l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale;
  2. b) l’ammissione in qualità di soci dei soli professionisti ovvero soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche o per finalità di investimento, con il limite sopra visto in ordine alla maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci;
  3. c) i criteri e le modalità riguardanti l’esecuzione dell’incarico professionale;
  4. d) la stipula di polizza di assicurazione per la copertura dei rischi derivanti dalla responsabilità civile per i danni causati ai clienti;
  5. e) le modalità di esclusione dalla società del socio che sia stato cancellato dal rispettivo albo con provvedimento definitivo.

Nelle STP il conferimento dei soci professionisti è per definizione la propria opera professionale; ciò non toglie che si possa conferire denaro o altri beni che risultino funzionali al perseguimento degli interessi sociali. In questo caso, il professionista che non abbia assunto l’obbligo dell’opera professionale è libero di prestare o meno tale opera nei confronti della società, che sarà tenuta a negoziare con lui l’assunzione di ogni incarico professionale. Nel caso il professionista assuma l’obbligo di prestare la propria opera egli diviene socio d’opera (ammissibile nelle società di persone e nelle s.r.l.; nelle spa la prestazione dell’opera professionale può formare oggetto o di prestazione accessoria o di apporto eseguito a fronte dell’emissione di strumenti finanziari).

Si ammette il conferimento dello studio professionale, comprensivo dell’avviamento e della clientela.

La STP deve essere iscritta in una sezione speciale dell’albo o registro tenuto presso l’ordine o collegio a cui appartengono i soci professionisti o di quello dell’attività indicata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo nel caso di società multidisciplinare.

Nel caso di società multidisciplinare, qualora non sia stata individuata l’attività prevalente, la società deve essere iscritta in tutti gli albi o registri ai quali appartengono i soci professionisti.

L’iscrizione è condizione per l’esercizio dell’attività, a tal fine il competente ordine professionale rilascia una certificazione a seguito del procedimento di verifica dei presupposti.

L’organo amministrativo può essere liberamente formato, pertanto potrebbe essere composto interamente da non professionisti o da società, salvo che lo statuto non preveda diversamente.

In assemblea o nelle decisioni dei soci il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi. Tale previsione va coordinata con le regole proprie del tipo societario adottato, ove possono rinvenirsi regole particolari con riguardo a diverse categorie di azioni oppure a partecipazioni cui siano collegati particolari diritti. Per esempio, nella srl potrebbe non essere indispensabile che vi siano partecipazioni societarie in capo ai professionisti per i due terzi del capitale sociale se ai soci professionisti, in ipotesi in numero e con partecipazioni inferiori a tale limite, siano riconosciuti particolari diritti nell’esercizio di voto che garantiscano la maggioranza di almeno i due terzi.

Con riguardo al conferimento dell’incarico e all’esecuzione della prestazione, la STP fin dal primo contatto deve informare il cliente circa la possibilità che l’incarico sia eseguito da ciascun socio professionista e il suo diritto di chiedere che l’esecuzione dell’incarico sia affidata a uno o più professionisti da lui scelti e circa l’esistenza di eventuali conflitti di interesse tra cliente e società. La società deve consegnare al cliente l’elenco dei soci professionisti con l’indicazione dei titoli e delle qualifiche professionali, unitamente all’elenco dei soci investitori.

L’incarico può essere svolto solo dal socio professionista iscritto all’ordine albo o collegio, il quale durante l’esecuzione può avvalersi della collaborazione di ausiliari e può farsi sostituire ma solo in relazione a particolari attività; in tal caso la società deve comunicare al cliente i nominativi degli ausiliari sostituti osservando le regole previste per la comunicazione del socio professionista; il cliente, entro tre giorni, può esprimere il proprio dissenso.

Secondo la tesi prevalente, la società risponde nei confronti del cliente dei danni arrecati dal professionista nell’esercizio dell’incarico.

I soci professionisti sono responsabili per le violazioni del codice deontologico del proprio ordine; la società risponde per le violazioni del codice deontologico dell’ordine o collegio cui risulti iscritta o, in caso di società multidisciplinare, dei diversi rispettivi ordini o collegi.

La società si scioglie nei casi stabiliti dalla legge per il tipo di società adottato, nei casi previsti dall’atto costitutivo e si scioglie anche se viene superato il limite alla partecipazione dei soci non professionisti salvo che l’STP entro il termine perentorio di sei mesi ristabilisca la prevalenza dei soci professionisti.

La società non è soggetta a fallimento e sembrerebbe nemmeno a concordato preventivo; si ritiene possa accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Vincenzo Spadola,  Notaio in Parma.

Il Budget dello studio notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Dal punto di vista organizzativo è sempre più evidente la necessità di una gestione non passiva ma proattiva dello studio notarile, ossia di una gestione capace di anticipare per quanto possibile gli avvenimenti, governarli e non subirli.

Soprattutto la progressiva riduzione delle marginalità sugli atti e la sempre maggiore incostanza dei flussi di lavoro rendono indispensabile monitorare e, per quanto possibile, prevedere l’andamento economico e finanziario dello studio.

A tal fine, è quanto mai opportuno che alla fase del monitoraggio ex post delle performance di studio effettuata attraverso bilanci infrannuali, venga anteposta una fase di programmazione di budget in modo tale da assicurare che le informazioni del reporting non costituiscano misurazioni isolate ma rendano conto di scostamenti, positivi o negativi, rispetto a obiettivi predefiniti o a informazioni previsionali.

Fissare degli obiettivi economici e di performance ex ante consente al Notaio di verificare il loro raggiungimento e di correggere facilmente e tempestivamente il tiro allorquando si verifichino degli scostamenti. In altre parole il confronto tra quanto pianificato e quanto realizzato sarà in grado di supportare il processo di feed back, volto alla individuazione di eventuali azioni correttive. Le azioni correttive potranno così essere pianificate e realizzate riportando i numeri dello studio in linea con gli obiettivi prefissati.

Lo strumento che consente di soddisfare tutte le precedenti esigenze è il Budget d’esercizio, costituito dai suoi documenti di sintesi:

  • conto economico
  • stato patrimoniale
  • rendiconto finanziario.

Normalmente negli studi notarili è sufficiente concentrarsi sul conto economico, tenendo presenti gli adattamenti dovuti alla pressoché universale adozione del criterio di cassa anziché di quello di competenza nella gestione della contabilità.

Il Notaio andrà a definire a inizio anno una serie di obiettivi economici-finanziari per l’anno successivo, in coerenza con gli obbiettivi di pianificazione strategica. Ad esempio lo studio si potrebbe prefiggere di raggiungere un certo numero di atti e/o un certo fatturato in una determinata area strategica di attività. In pratica un obiettivo per il 2022 potrebbe essere la realizzazione di 300 atti immobiliari con un fatturato/incasso di 400.000 euro. Se correttamente strutturato e applicato, il budget consente di tracciare in anticipo sentieri di comportamento organizzativo nel corso della gestione del futuro esercizio.

Il processo di elaborazione del budget parte dalla stima dei ricavi, si sofferma sulla quantificazione dei costi e si deve concludere con la redazione dei principali documenti di sintesi. Durante l’anno, a scadenze predeterminate, si procederà quindi con il calcolo degli scostamenti, determinati dal confronto tra i dati programmati (obiettivi) accolti nel budget di esercizio ed i risultati di bilancio via via raggiunti.

Tradizionalmente, la definizione dei costi o degli esborsi previsti risulta più attendibile rispetto a quella dei ricavi o incassi. Questo perché lo studio notarile ha una struttura caratterizzata dalla rilevante presenza di costi fissi quali il costo del personale e dei collaboratori, la locazione dell’ufficio, le utenze, i leasing delle attrezzature e le licenze software.

La stima dei ricavi potrà tenere conto anche dei risultati attesi dalle azioni di comunicazione esterna che lo studio intende svolgere, nel rispetto delle prescrizioni deontologiche.

Dal punto di vista della strumentazione tecnico-contabile, il modello da seguire sarà quello che consente un confronto tra preventivo e consuntivo. Preferibilmente si utilizza il conto economico per Aree strategiche di attività.

Come si è detto, la stesura di un budget di studio comporta notevoli vantaggi nella gestione economica e finanziaria dello studio notarile, in quanto consente il governo anticipato delle variabili critiche e permette che ogni singola decisione sulle variabili di governo, sia coordinata e ottimizzata con riferimento al risultato globale. Motiva le persone, perché le risorse non essendo più chiamate a un miglioramento generico, ma al raggiungimento di uno specifico obiettivo, risultano maggiormente coinvolte e più soddisfatte nel caso di conseguimento dell’obiettivo stesso. In condizioni di forti instabilità e turbolenza ambientali, le previsioni del budget possono risultare meno attendibili e richiedere di conseguenza aggiornamenti anche durante l’esercizio per tener conto delle mutate situazioni economiche.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

TASSAZIONE DIVISIONE CON COLLAZIONE – a cura Notaio Federica Croce

Art. 34 D.P.R. 131/1986, primo comma, seconda parte:

Base imponibile

La massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore, riferito alla data della divisione, dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione, e nelle altre comunioni, dai beni risultanti da precedente atto che abbia scontato l’imposta propria dei trasferimenti.

  • Rinvio all’ART 8 TUS

Il valore globale netto dell’asse ereditario è costituito dalla differenza tra il valore complessivo, alla data dell’apertura della successione, dei beni e dei diritti che compongono l’attivo ereditario, determinato secondo le disposizioni degli articoli da 14 a 19, e l’ammontare complessivo delle passività deducibili e degli oneri diversi da quelli indicati nell’art. 46, comma 3.

La base imponibile del tributo viene stabilita con una norma di rinvio e si identifica col valore netto dell’asse ereditario e delle singole quote, e quindi col valore complessivo dei beni e diritti costituenti l’attivo ereditario, diminuito delle passività.

I beni donati non rientrano pertanto nella massa ereditaria e non possono considerarsi “esistenti” alla data di apertura della successione.

Delle donazioni fatte a ciascun erede si tiene conto infatti, ai sensi del 4 comma dell’art. 34, AI SOLI FINI DELLA DETERMINAZIONE DELLE ALIQUOTE APPLICABILI (oggi coacervo)

(( 4. Il valore globale netto dell’asse ereditario è maggiorato, ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 7, di un importo pari al valore attuale complessivo di tutte le donazioni fatte dal defunto agli eredi e ai legatari, comprese quelle presunte di cui all’art. 1, comma 3, ed escluse quelle indicate all’art. 1, comma 4, e quelle registrate gratuitamente o con pagamento dell’imposta in misura fissa a norma degli articoli 55 e 59; il valore delle singole quote ereditarie o dei singoli legati è maggiorato, agli stessi fini, di un importo pari al valore attuale delle donazioni fatte a ciascun erede o legatario. Per valore attuale delle donazioni anteriori si intende il valore dei beni e dei diritti donati alla data dell’apertura della successione, riferito alla piena proprietà anche per i beni donati con riserva di usufrutto o altro diritto reale di godimento.))

  • Non può mai tenersi conto nella base imponibile della divisione delle donazioni intercorse precedentemente
  • Le quote di diritto verranno calcolate solo sulla base del valore dell’asse ereditario netto à la sproporzione con le quote di fatto assegnate, quand’anche fosse derivante dalla collazione per imputazione di precedenti donazioni, darà luogo ad imposta di trasferimento come un conguaglio

Risoluzione del 12/05/1987 n. 250249 – Min. Finanze

In conclusione, si deve ritenere, a parere della scrivente, che, in base alla normativa vigente (art. 34 del D.P.R. 1986, n. 131, nelle comunioni ereditarie la massa comune da dividere va determinata secondo gli stessi criteri seguiti per l’individuazione del valore imponibile dell’asse ereditario ai fini dell’imposta sulle successioni, astraendo cioè dalla collazione disciplinata dal codice civile. Nell’esempio riportato in premessa quindi, le quote di diritto verranno calcolate solo sulla base del valore dell’asse ereditario netto, talché la rilevante sproporzione con le quote di fatto assegnate darà luogo, ai sensi dell’art. 34, ad imposta proporzionale di trasferimento.

Cass.

Sez. 5, Sentenza n. 8335 del 10/04/2006

In tema d’imposta di registro dovuta sugli atti di divisione ereditaria, l’art. 34 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, prevedendo che la massa comune è costituita dal valore dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione, richiama le disposizioni relative a quest’ultima imposta (nella specie, l’art. 7 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637), le quali identificano la base imponibile con il valore netto dell’asse ereditario e delle singole quote, prevedendo che del valore delle donazioni soggette a collazione si tenga conto soltanto ai fini della determinazione delle aliquote, da applicarsi al solo valore dei beni caduti in successione. L’istituto della collazione non trova pertanto applicazione nella determinazione della base imponibile, la quale è costituita esclusivamente dall’incremento patrimoniale verificatosi in favore dei successori, senza che assuma alcun rilievo il valore dei beni già appartenenti a questi ultimi, il cui assoggettamento a tassazione si tradurrebbe d’altronde in una duplicazione d’imposta, trattandosi di beni sui quali, nella normalità dei casi, è stata già pagata l’imposta sulle donazioni.

Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25929 del 16/10/2018 (conforme a precedente).

Risoluzione del 12/05/1987 n. 250249 – Min. Finanze – Tasse e Imposte Indirette sugli

Affari

Successioni. Istituto della collazione e determinazione della massa comune per procedere alla divisione ereditaria.

Sintesi:

L’istituto della collazione non rileva in alcun modo nella determinazione del valore imponibile dell’asse ereditario e nel calcolo delle quote su cui verranno applicate le aliquote d’imposta. I beni donati non rientrano pertanto nelle masse ereditarie e non possono considerarsi “esistenti” in data di apertura della successione. Le quote di diritto verranno calcolate sulla base del valore dell’asse ereditario netto.

Testo:

Con la nota in riferimento, diretta per conoscenza a questa Direzione generale, codesto Ispettorato ha risolto un questio formulato dall’Ispettore in verifica presso l’Ufficio del registro di C., in merito al criterio impositivo da adottare nell’applicazione dell’imposta di registro sulle divisioni di masse ereditarie, convenute tra coeredi destinatari di precedenti donazioni effettuate in vita dal de cuius.

Codesto Organo ispettivo ha manifestato in particolare il convincimento che, nel caso di divisioni relative a successioni legittime di discendenti in linea retta, ai fini della determinazione della massa comune da dividere, occorresse tener conto, in base all’istituto della collazione, di tutte le donazioni effettuate dall’ascendente a favore dei figli. Le predette conclusioni troverebbero il proprio supporto, secondo codesto

Ispettorato, in una corretta interpretazione dell’art. 32 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (trasfuso, secondo codesto Ispettivo Ufficio, nell’art.34 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) il cui testo fa riferimento, secondo la modifica apportata dall’art. 3 della legge 23 dicembre 1977, n. 953, al valore “dei beni esistenti alla data di apertura della successione”. Tale inciso dovrebbe infatti essere interpretato – a parere di codesto

Ispettorato – “alla luce della disciplina civilistica in materia di divisioni ereditarie con donazioni soggette a collazione”.

Nell’esempio riportato nella nota si configura l’ipotesi di un atto di divisione stipulato da due successori in linea retta i quali, dopo aver premesso di essere entrambi a conoscenza di precedenti donazioni effettuate in vita dall’ascendente a favore del figlio maggiore per un valore di L. 10.000.000, procedono di comune accordo alla divisione dei beni relitti compresi nell’asse ereditario del valore complessivo di L. 20.000.000, mediante formazione di due quote del valore rispettivamente di L. 5.000.000 e L. 15.000.000. In tale evenienza, al fine di ricostruire la massa dividenda sulla quale vanno calcolate le quote di diritto, occorrerebbe sommare, ad avviso di codesto Ispettorato, il valore dell’asse ereditario con quello delle donazioni precedenti (nell’esempio L. 20.000.000 + L.10.000.000 = L. 30.000.000). Il valore delle quote di diritto risulterebbe così di L. 15.000.000 ciascuna e corrisponderebbe a quello delle quote di fatto (il condividente A avrebbe per successione, mentre il condividente B avrebbe ugualmente ricevuto L. 10.000.000 con donazione e L. 5.000.000 per successione, mentre il condividente B avrebbe ugualmente ricevuto L. 15.000.000 solo per successione). Nella predetta ipotesi, non si legittimerebbe in alcun modo, secondo codesto Ispettorato, l’applicazione dell’imposta proporzionale di trasferimento, riscontrandosi piena corrispondenza tra quote di fatto e quote di diritto. Esaminata la questione, la scrivente non ritiene di poter condividere la prospettata soluzione ed esprime l’opinione che la citata normativa debba essere diversamente interpretata. Al riguardo, occorre preliminarmente rilevare che la soggetta materia rimane regolata, a seguito dell’entrata in vigore del T.U. approvato con D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, dall’art. 34 di detto decreto, il quale ha modificato, per la parte che interessa, la formulazione letterale del corrispondente art. 32 del previgente D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, così come modificato dall’art. 3 della legge 23 dicembre 1977, n. 953. Ed invero, il predetto art. 34 prescrive espressamente che la massa comune deve essere costituita nelle comunioni ereditarie “dal valore dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione”. Il criterio impositivo viene pertanto stabilito attraverso una norma di rinvio, richiamando ciò una nozione derivante dalla normativa che regola l’imposta di successione. È a quest’ultima che occorre pertanto fare riferimento per ricavare il vero significato dell’espressione usata dal legislatore.

Ebbene, in base al sistema normativo di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n.637, l’imposta di successione è applicabile solo in quanto l’asse ereditario relitto abbia un valore economico positivo e sia idoneo a determinare un effettivo incremento patrimoniale a favore dei successori. La base imponibile del tributo si identifica perciò col valore netto dell’asse ereditario e delle singole quote e quindi col valore complessivo dei beni e diritti costituenti l’attivo ereditario, diminuito delle passività (art. 7, primo comma). Il valore delle donazioni soggette a collazione viene invece aggiunto al valore dell’asse ereditario globale netto nonché a quello delle singole quote, secondo la formula usata dal legislatore all’art. 7, quarto comma, ai soli fini della determinazione della aliquota, fermo restando che le aliquote così determinate si applicano al solo valore dei beni caduti in successione. In altri termini l’istituto della collazione non rileva in alcun modo nella determinazione del valore imponibile dell’asse ereditario e nel calcolo delle quote su cui verranno applicate le aliquote d’imposta. Gli stessi principi debbono essere applicati, in base al rinvio operato dall’art. 34, anche per la individuazione della massa comune ereditaria sulla quale verranno calcolate le quote di diritto, mentre ogni diversa interpretazione, dato il chiaro tenore letterale della norma, si rivelerebbe contra legem.

Va peraltro rilevato che la diversa formulazione testuale assunta dall’art.34 citato, rispetto a quella del previgente art. 32 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, induce a ritenere che il legislatore abbia inteso affermare più esplicitamente un principio che era in realtà già contenuto nell’espressione letterale usata nella precedente disposizione. Infatti, la formula che identificava il valore della massa comune con quello dei “beni esistenti alla data di apertura della successione” indicava, con sufficiente chiarezza, che il criterio impositivo prescritto fosse imperniato esclusivamente, anche sotto l’abrogata normativa, sul dato relativo ai beni relitti dal de cuius, senza tener conto dell’istituto della collazione. Tale convincimento è determinato da un duplice ordine di considerazioni.

Sotto un primo profilo si osserva che la dizione “beni esistenti alla data di apertura della successione” faceva riferimento evidentemente al patrimonio del de cuius ed escludeva a fortiori l’istituto della collazione, dato che quest’ultima opera anche nei confronti dei beni alienati a terzi prima dell’apertura della successione, naturalmente nella forma dell’imputazione (art. 746, secondo comma, del Codice civile).

In secondo luogo, la possibilità di ricorrere alla collazione sembrava già in base al ricordato art. 32 – negata “in radice” anche per un concorrente rilievo in una delle due forme della collazione, quella cioè per l’imputazione, il bene rimane sempre in proprietà del coerede donatario, che lo trattiene in virtu’ della donazione ricevuta e deve versare alla massa solo l’equivalente pecuniario.

I beni donati non rientrano pertanto nelle masse ereditarie e non possono considerarsi “esistenti” alla data di apertura della successione.

In conclusione, si deve ritenere, a parere della scrivente, che, in base alla normativa vigente (art. 34 del D.P.R. 1986, n. 131, nelle comunioni ereditarie la massa comune da dividere va determinata secondo gli stessi criteri seguiti per l’individuazione del valore imponibile dell’asse ereditario ai fini dell’imposta sulle successioni, astraendo cioè dalla collazione disciplinata dal codice civile. Nell’esempio riportato in premessa quindi, le quote di diritto verranno calcolate solo sulla base del valore dell’asse ereditario netto, talché la rilevante sproporzione con le quote di fatto assegnate darà luogo, ai sensi dell’art. 34, ad imposta proporzionale di trasferimento.

Federica Croce, Notaio in Lecco

Le aree strategiche di attività dello studio notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Inizia con questo articolo la nostra disamina dei principali strumenti di controllo gestionale utili allo studio notarile.

In questo contributo vedremo come la classificazione dei costi e dei ricavi in base alle aree strategiche di attività permette di acquisire una maggiore consapevolezza rispetto al contributo alla redditività complessiva dello studio notarile dalle singole attività esercitate.

Tutti gli studi notarili infatti, anche se dimensionalmente ridotti, gestiscono un portafoglio con una rosa di molteplici servizi differenziati.

Per Area strategica di attività (ASA), si intende un sottoinsieme dello studio coincidente con un settore specifico in grado, se scorporato dallo studio, di sopravvivere autonomamente. Il concetto di area strategica di attività è stato sviluppato dagli studiosi di organizzazione d’impresa e di marketing ed oggi è stato esteso agli studi professionali.

Un singolo studio notarile che operi in aree strategiche di attività diverse potrà rivolgersi a mercati e clienti diversi per ciascuna delle ASA. Le ASA possono rispondere strategicamente ad una logica di diversificazione. Le aree strategiche di attività possono talvolta assumere all’interno dello studio un’autonomia giuridica (è il caso delle associazioni notarili limitate ad alcune attività come quelle per la levata dei protesti o per la gestione delle aste), mentre di regola hanno una certa autonomia organizzativa.

Un’ASA è quindi costituita da una o più combinazioni prestazione/mercato/tecnologia configuratesi come un’unità di sintesi e responsabilità reddituale, con una struttura economica propria e con esigenze di conduzione strategica differenziata derivanti dalle caratteristiche della sua arena competitiva.

I passi logici necessari all’individuazione delle Aree Strategiche di attività (ASA) sono:

  • l’individuazione dei criteri di classificazione;
  • la selezione dei criteri di classificazione;
  • la costruzione della matrice prodotti/mercati;
  • il raggruppamento delle combinazioni prodotti/mercati e individuazione delle ASA.

 Alcuni possibili criteri di classificazione delle attività di uno studio notarile sono:

  • i gruppi di clienti
  • i settori serviti
  • i servizi offerti
  • le tecnologie utilizzate.

Ad esempio le modalità operative del settore successioni e atti mortis causa di uno studio notarile saranno profondamente diverse da quelle del diritto societario.

Inoltre sempre più spesso gli studi notarili hanno dei recapiti destinati ad avvicinare la prestazione del notaio ad un determinato territorio, ognuno dei quali ha una sua autonomia gestionale più o meno marcata.

Per gestire uno studio notarile è necessario governare contemporaneamente diverse dimensioni.

Se si intende impostare l’attività di governo in termini razionali (e non solo basandosi sull’intuito e l’esperienza personale) diventa necessario il supporto delle informazioni.

Le dimensioni di governo delle organizzazioni sono identificabili nelle attività, negli incarichi, nei prodotti, nei clienti, nelle aree strategiche.

Le attività rappresentano le unità elementari di cui sono formati i processi.

La definizione stessa di processo viene spesso indicata come una serie di attività coordinate, le quali partendo da un determinato input conducono all’ottenimento di uno specifico output.

Una volta definito il concetto di attività, tutte le altre dimensioni di governo delle organizzazioni professionali possono essere rappresentate come contenitori di attività, in quanto sia destinatari che consumatori delle diverse attività (lo studio di una pratica è parte del processo di produzione di un determinato atto, appartenente ad un ASA specifica, che viene fornito ad un cliente specifico, ecc.).

Una tradizionale classificazione in aree strategiche di attività per uno studio notarile probabilmente terrà conto delle varie tipologie di atti che vengono stipulati. Tradizionalmente si dividono le aree immobiliare, societaria, mortis causa e degli atti minori.

Potrà essere utile ulteriormente distinguere in campo immobiliare tra gli atti di mutuo e gli atti di trasferimento della proprietà.

Una classificazione degli incassi dello studio per attività deve essere obbligatoriamente preparata per la dichiarazione dei redditi del Notaio e si trovava prima nei dati degli studi di settore, oggi negli ISA, indici sintetici di affidabilità fiscale.

Come vedremo in successivi contributi attraverso l’analisi dei ricavi, dei costi e della redditività dello studio per ASA, il Notaio potrà valutare la diversa incidenza dei settori dello studio sui risultati economici e valutare se e come correggere gli andamenti ad esempio promuovendo nelle forme deontologicamente consentite lo sviluppo dell’una o dell’altra area.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

L’utilizzo delle checklist nello studio notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

L’attività degli studi notarili è caratterizzata da grande complessità e da una elevata esposizione al rischio. Un errore anche molto piccolo come un semplice refuso può causare problemi giganteschi, del tutto sproporzionati rispetto alla carenza iniziale che si è manifestata. Il Notaio e gli assistenti notarili prestano grande attenzione, si preparano e costantemente si aggiornano per prevenire i rischi sia in fase di raccolta dei dati, che in fase di elaborazione degli stessi. Non di rado la grande complessità tecnica si accompagna a ritmi di lavoro importanti e alla necessità di coordinare un team di lavoro, e quindi la possibilità di fare errori aumenta ulteriormente.
E’ qui che entra in scena la checklist. Una piccola grande idea che consente di tenere sotto controllo i rischi efficacemente e a basso costo.
Le checklist nascono storicamente durante il secondo conflitto mondiale nel mondo aeronautico, e vengono poi estese alle imprese nucleari, chimiche, e simili. Tutte le volte in cui, insomma, un errore può essere fatale.
La lista di controllo nasce quindi proprio in quelle situazioni dove il rischio da gestire è elevatissimo.
Sono soprattutto gli errori di memoria, quelli in cui si sa perfettamente una cosa ma poi ci si dimentica di farla, quelli che vengono sistematicamente sconfitti dalla checklist. Ma lo strumento risulta efficace anche per le non conformità che sono causate da una concatenazione con effetto domino di distrazioni e fraintendimenti di più persone. Lo dimostra il grande successo ottenuto dalla checklist dopo il suo debutto, qualche anno fa, nelle sale operatorie di tutto il mondo. Un medico statunitense di origini indiane, Atul Gawande, ha curato per l’Organizzazione Mondiale della Sanità un programma che oggi costringe medici, anestesisti, infermieri e altro personale di sala a interrogarsi e confrontarsi prima di un intervento, sulle misure già pianificate. Avete mai notato che un attimo prima di intervenire i sanitari verificano il vostro nome e cognome e vi chiedono nuovamente per che cosa dovete essere curati?
Questi protocolli che sono stati adattati alle realtà di tutto il mondo da apposite commissioni stabilite presso i ministeri della sanità dei vari paesi hanno permesso di ridurre di svariati punti percentuali le morti, gli errori di cura e le infezioni in sala operatoria. Perché allora non provare ad adottarle anche negli studi notarili? Dopotutto, oggigiorno, chi svolge un attività più rischiosa di un professionista giuridico economico in un paese come l’Italia?
Cerchiamo allora di conoscere meglio lo strumento. Esistono basilarmente due tipi di checklist, quelle “di processo” e quelle “di prodotto”. La check “di processo” consente la verifica l’esecuzione di una serie di attività nel tempo, per esempio si possono verificare lo stato di avanzamento di una o più pratiche.
La checklist di processo è di fatto la sintesi, il riassunto per punti elenco di una procedura. Negli studi notarili ancora non completamente digitalizzati la copertina del fascicolo molto spesso raccoglie informazioni sullo stato di avanzamento della pratica.
La check “di prodotto” invece verifica le caratteristiche di una prestazione ad un certo stadio di lavorazione, per esempio si può verificare la completezza formale dell’atto prima di inviarlo all’Ispezione biennale.
Le checklist peraltro possono essere anche miste, in quanto anche la check di prodotto comporta delle attività che si svolgono nel tempo.
Preparare delle buone checklist, anche per chi non salva vite umane, è davvero un’arte. Le liste di controllo devono infatti essere disegnate in modo ergonomico, per seguire passo a passo le attività che sono destinate a tenere sotto controllo, devono essere univoche, semplici e rapide da compilare e devono avere il giusto grado di sintesi per essere utili. Devono consentire di stabilire le responsabilità delle persone coinvolte, cioè permetterci di risalire a chi ha fatto che cosa. Le checklist vanno sperimentate e rettificate più volte per trovare l’optimum.
In particolare occorrerà scegliere soprattutto quelle variabili che realmente ha senso tenere sotto controllo perché presentano il rischio più alto.
Mettere nero su bianco l’elenco delle cose da controllare ci permetterà anche di fare verifiche più proporzionate ai rischi reali che incorriamo professionalmente e meno orientate ai rischi. apparenti. Ci accorgeremo di quanto a volte siamo stati miopi di fronte a problemi giganteschi e contemporaneamente di quanti dettagli insignificanti abbiamo pignolamente e inutilmente riscontrato.
Come ci insegnano i medici, le checklist, oltre a consuntivare una attività di controllo successiva, possono essere in molti casi utilizzate come strumenti di discussione e di prevenzione, cioè stimolare chi lavora a ritrovare la concentrazione e la memoria prima di svolgere un’attività.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network