Il problema
Il passaggio generazionale è un momento delicato della pianificazione successoria dell’imprenditore, non solo dal punto di vista patrimoniale e giuridico ma anche a causa delle differenze di vedute tra imprenditore e suoi successori. L’impresa è un bene costituzionalmente tutelato ( art.41 cost.) ed in Italia i “Family Business Group”, imprese controllate almeno per il 51% da una o più persone legate da parentela e le imprese familiari, rappresentano il 90% del tessuto imprenditoriale.
Il problema non quindi esclusivamente tecnico bensì di condivisione di valori e scelte che garantiscano il futuro dei beni produttivi, pertanto va affrontato come un processo da gestire insieme, non come un evento da subire. Per questo motivo tale fase richiede una pianificazione accurata che garantisca continuità ed efficienza a lungo termine.
In questo contesto, a distanza di 18 anni dall’entrata in vigore della Legge n.55 del 14 febbraio 2006 che ha introdotto sette nuove disposizioni artt.768bis e ss. relative al “patto di famiglia” ci si chiede se effettivamente tale strumento ha offerto soluzioni efficienti; in particolare occorre valutare se il patto di famiglia, nei suoi profili applicativi ha consentito una effettiva pianificazione a tutela del patrimonio produttivo e dei rapporti famigliari nel passaggio generazionale delle imprese ed in quale rapporto si pone con altre fattispecie, come la “scissione con scorporo” di cui all’art. 2506.1 cc. e l’aumento di capitale gratuito con offerta a terzi nella gestione della transizione in modo giuridicamente e fiscalmente sostenibile.
Soluzioni e spunti critici
Il patto di famiglia è un contratto che ha come causa la trasmissione dell’azienda o delle partecipazioni “di controllo” di una società, vivente il “titolare/imprenditore”, a favore di uno o più discendenti: detto contratto va sottoscritto da tutti coloro che alla data del patto siano qualificabili ai sensi dell’art.536 cc. come legittimari (è escluso dai partecipanti il coniuge separato con addebito, il coniuge divorziato e si ritiene ammissibile la clausola che preveda che in caso di divorzio le attribuzioni vadano restituite, nonché il convivente more uxorio).
È una forma di devoluzione patrimoniale che si aggiunge al testamento e consente di ovviare non solo al problema della valutazione dell’avviamento “soggettivo”/”oggettivo” al momento della morte, ma anche a quello di stabilizzare le scelte a livello successorio poichè disinnesca le “armi” della collazione (art.737 cc.) e della possibile azione di riduzione (art.554 cc.) nei confronti degli assegnatari; di fatto il patto di famiglia è un atto inter vivos che dispiega i suoi effetti anche sulla successione cristallizzando il diritti dei legittimari. Il patto di famiglia ha però requisiti specifici e pertanto produce gli effetti previsti dall’art.768 quater comma 3 solo ove siano rispettate le condizioni dettate dai commi 1 e 2 del medesimo articolo.
Una difficoltà applicativa è emersa da subito e discende dal fatto che uno dei requisiti essenziali della fattispecie è la nascita, a carico dell’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni di controllo della società oggetto del patto che può essere unicamente un discendente, di un obbligo di liquidare gli altri “legittimari non assegnatari” con una somma di denaro pari al valore ad essi spettante a titolo di legittima. Il “discendente/assegnatario” spesso non ha tali disponibilità economiche né beni con cui adempiere in natura, e ciò nella prassi costringe l’imprenditore a sopperire a tale mancanza disponendo egli stesso direttamente a favore dei “legittimari non assegnatari”. In genere lo schema utilizzato è quello dell’adempimento dell’obbligazione del terzo ex art.1180 cc. e ciò sposta il baricentro del contratto con conseguenze sul piano giuridico e fiscale.
Le prime pronunzie giurisprudenziali sul tema hanno, di fatto, evidenziato le difficoltà interpretative relative ai profili fiscali che discendono dai limiti strutturali sopra evidenziati, e specificamente hanno reso difficile rispettare la causa contrattuale prevista dal codice (circ. Ag. Ent. 22 gen. 2008/3/E; Cass.6062 del 28 febbraio 2023) arrivando fino a riqualificare l’attribuzione tra assegnatario e “legittimario non assegnatario” alla stregua di una donazione ( ordinanza n.32873 del 19 dicembre 2018) ritenendo il Supremo collegio che l’esenzione dall’imposta di cui all’art. 3 comma 4-ter D.lgs. 346/90 si applichi al patto di famiglia solo con riguardo al trasferimento dell’azienda e delle partecipazioni in favore del discendente beneficiario e non alle liquidazioni operate da quest’ultimo in favore degli altri legittimari. (sentenza n.29506 del 24 dicembre 2020). Stante quanto sopra evidenziato, si mostra nella pratica quotidiana dei nostri studi che non sempre la pianificazione può essere realizzata attraverso il Patto di Famiglia, in ragione dei limiti soggettivi ed oggettivi dettati dalle norme che ne presiedono la disciplina.
Quali alternative?
L’art. 51, comma 3, D. Lgs. 2 marzo 2023, n. 19 ha introdotto nel nostro codice civile l’art. 2506.1 che disciplina la “scissione mediante scorporo”, fattispecie che consente l’assegnazione di una parte del patrimonio di una società a favore di una o più società di nuova costituzione.
A differenza della scissione non proporzionale ordinaria, strumento già noto al giurista italiano, la nuova tipologia descrive un’operazione che non ha come effetto la diminuzione del patrimonio della scissa poiché il valore assegnato alla beneficiaria viene sostituito nel suo patrimonio dalla titolarità della partecipazione della newco a favore della quale si è attuato lo scorporo. Secondo la definizione dei primi commentatori si può parlare di “mera riallocazione di risorse”, con un risultato simile ad un conferimento, a seguito della quale la scissa continua la propria attività, dovendosi intendere la locuzione che chiude il primo comma dell’art.2506.1 cc come preclusiva di una scissione totale. Quanto alla procedura ed ai requisiti, detta fattispecie è una scissione “semplificata” come espressamente previsto dal comma III dell’art. 2506-ter c.c., ove dopo le parole “diversi da quello proporzionale”, la norma recita “o quando la scissione avviene mediante scorporo”. Si osserva, inoltre, che è stato introdotto nell’art. 2506-ter c.c. un comma VI che esclude che spetti ai soci che non concorrono alla delibera di approvazione dell’operazione di scissione in parola, il diritto di recesso di cui agli articoli 2473 e 2502 cc.. Qualche dubbio sul tema del recesso potrebbe suscitare il caso in cui la delibera che approva la scissione porti un sostanziale cambiamento dell’oggetto della società scissa.
Dal punto di vista fiscale, a detta operazione si applicano le ordinarie imposte previste per le delibere societarie e per l’atto conclusivo della scissione. Il profilo fiscale può assumere una rilevanza decisiva ove si osservi che, spesso, il patrimonio delle famiglie imprenditoriali è detenuto da società e può comprendere più rami d’azienda, anche eterogenei, che coinvolgono a diverso titolo tutti o solo alcuni dei discendenti dell’imprenditore. In tale ottica la scissione, in modo più efficiente rispetto al patto di famiglia, potrebbe essere funzionale alla creazione, mediante scorporo di una parte degli assets della società detenuta dall’imprenditore, di una società beneficiaria avente ad oggetto l’attività di holding i cui soci potrebbero essere tutti o alcuni dei legittimari dell’imprenditore coniuge e convivente more uxorio inclusi.
Un aspetto critico in questo contesto è la governance aziendale. Durante il passaggio generazionale, è fondamentale stabilire una governance che esprima e coinvolga il più possibile i soci, garantendo una gestione responsabile e trasparente. La creazione di una nuova entità che detenga parte del patrimonio della scissa, consente ai soci della stessa di esprimere un proprio organo amministrativo che rappresenti le esigenze del gruppo dei soci che potranno essere discendenti o legittimari, coniugi anche separati o conviventi more uxorio, ipotesi queste precluse all’imprenditore che sottoscrive un patto di famiglia.
Ove non possa essere utilizzato lo strumento della scissione, potrebbe soccorrere un’altra operazione straordinaria quale l’aumento di capitale gratuito offerto in sottoscrizione a terzi che consente l’ingresso di soggetti specifici che, per le loro capacità o nell’ottica di una pianificazione famigliare, divengono soci senza apporto di denaro o beni.
L’aumento di capitale gratuito è un’operazione che consente ad una società di aumentare il proprio capitale ed in genere è utilizzata, quando è sottoscritto da soggetti non soci, per attrarre nuovi investitori o remunerare l’operato di collaboratori o manager. L’aumento di capitale gratuito con offerta a terzi è un’operazione finanziaria complessa che coinvolge l’emissione di nuove partecipazioni senza richiedere un corrispondente pagamento ai sottoscrittori.
Detta operazione straordinaria è disciplinata in modo quasi identico dagli articoli 2442 cc. per le S.p.a e dall’art.2481 ter cc. per le S.r.l. che si attua con l’imputazione di riserve a capitale. La delibera dei soci che ha ad oggetto detto aumento imprime una modifica al vincolo di destinazione di una parte disponibile del patrimonio netto. La competenza a deliberare detto aumento ai sensi dell’art. 2481, 1° comma c.c., può essere attribuita anche «agli amministratori» intendendosi detta locuzione riferita all’organo amministrativo sia esso unipersonale o pluripersonale.
Si ritiene, dalla dottrina maggioritaria, che detta norma sia di stretta interpretazione trattandosi di un’eccezione alla regola generale espressa dall’art.2479 II comma, n. 4, cc. che riserva all’assemblea dei soci la competenza a deliberare le modifiche dello statuto.
Ai sensi del II comma dell’art. 2481 c.c. «La decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti». La ratio tale divieto è quella di impedire alla società di raccogliere nuovi apporti prima di aver riscosso quanto dovuto dai soci sui conferimenti a tutela della integrità del capitale.
L’aumento di capitale gratuito non comporta l’apporto alla società di nuovi conferimenti, conseguentemente, il riferimento alla fase di “attuazione dell’aumento” rende evidente che tale divieto non si applichi all’aumento gratuito trattandosi di fattispecie che si realizza per effetto immediato e diretto della delibera dell’assemblea dei soci o dell’organo amministrativo.
Non tutte le riserve possono essere imputate a capitale bensì esclusivamente «le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili». Nell’art. 2481-ter c.c., secondo autorevole dottrina, il termine «fondi» identifica le «riserve», e conseguentemente la precisazione «in quanto disponibili» si riferisce sia ai fondi che alle riserve. L’aggettivo «disponibile» si riferisce alla destinazione delle poste contabili e si ritiene che si debbano considerare «disponibili» tutte le riserve che possono essere distribuite ai soci o impiegate (nelle s.p.a.) per l’acquisto di azioni proprie. Possono altresì essere utilizzati per l’imputazione a capitale anche gli utili a nuovo e gli utili dell’esercizio.
L’aumento gratuito di capitale non può comportare un mutamento della misura della quota di partecipazione dei soci salvo quanto disposto dall’art. 2481-ter, II comma, c.c., che prevede che la proporzione non possa cambiare “voto favorevole di tutti i soci ai quali vengono assegnate partecipazioni non proporzionali alle quote già possedute, fermi restando i limiti eventualmente derivanti dalla presenza di clausole statutarie in tema di circolazione delle quote” (Massima 159 del Consiglio Notarile di Milano).
Le eccezioni possono essere funzionali ad evitare che, a seguito di un aumento gratuito, il valore nominale delle partecipazioni sia espresso in numeri decimali o periodici; oppure possono essere utilizzate per favorire uno dei membri della compagine, ma anche per remunerarne apporti atipici. Come sopra precisato occorre in questi casi il consenso di tutti i soci.
Sul piano giuridico la ripartizione dell’aumento in modo non proporzionale all’apporto è ammissibile leggendo il combinato disposto dell’art. 2464, I comma, c.c., e l’art. 2468, II comma, c.c. Dall’analisi di tali norme si evince che il difetto di proporzionalità sia ammesso in sede di costituzione di s.r.l. con il consenso di tutti i soci e quindi non si vede ragione ostativa alla sua ammissibilità in sede di aumento. L’interesse del singolo socio al rispetto della regola dettata dal II comma dell’art. 2481-ter c.c. è considerato disponibile, sebbene sia necessario il consenso unanime. In tale prospettiva si conclude che sia consentito che beneficiari dell’aumento gratuito siano soggetti terzi, estranei alla compagine sociale quali ad esempio dipendenti o collaboratori, ma anche discendenti o coniugi o soggetti interessati alla successione dell’imprenditore.
Dal punto di vista fiscale gli aumenti di capitale sociale rientrano nella categoria delle operazioni societarie, regolamentate dall’articolo 4 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR n. 131/86 come nel caso delle delibere di scissione sopra descritte. Tale normativa equipara i conferimenti effettuati in sede di costituzione della società a quelli effettuati in un momento successivo, in sede di aumento del capitale, e come tali li assoggetta ad imposta di registro in misura fissa.
Conclusioni
Alla luce delle precedenti osservazioni emerge che è indispensabile un approccio integrato al passaggio generazionale dell’impresa, valutando la possibilità di utilizzare più fattispecie in sinergia tra loro al fine di realizzare un risultato che realizzi un bilanciamento attento tra le dinamiche familiari, aziendali e finanziarie. Tale risultato non è sempre perseguibile attraverso il patto di famiglia o non solo attraverso tale fattispecie. La scissione con scorporo può essere utilizzata per creare entità agili e focalizzate, consentendo una gestione più efficiente delle diverse attività e consentendo ai soci di concentrarsi su specifiche competenze, stimolando l’innovazione in settori chiave. L’aumento di capitale gratuito offerto a terzi consente l’ingresso in società di soggetti non soci, senza limiti rispetto a discendenti, legittimari o soggetti legati all’imprenditore da rapporti diversi. La ricerca della soluzione più idonea al caso concreto passa attraverso la valutazione dei rapporti tra l’imprenditore ed i suoi famigliari, siano essi legittimari o meno, e dello scopo che si prefigge di volta in volta di perseguire. Non resta che ascoltare e prestare la propria opera professionale utilizzando tutti gli strumenti che l’ordinamento ci ha fornito, adeguandoli alle strutture societarie famigliari ed imprenditoriali che ci vengono sottoposte.
Federica Croce, Notaio in Lecco