Equilibrio normativo tra riorganizzazione societaria e salvaguardia dei creditori: l’art. 2503 c.c.
L’art. 2503, comma 1, c.c. sancisce, in tema di fusione, che “1. La fusione può essere attuata solo dopo sessanta giorni dall’ultima delle iscrizioni previste dall’articolo 2502-bis”. Dunque, regola generale è che la fusione può essere attuata soltanto dopo il decorso di sessanta giorni dall’ultima delle iscrizioni previste dall’art. 2502-bis del codice civile[1].
I creditori delle società partecipanti alla fusione anteriori all’iscrizione prevista nel terzo comma dell’art. 2501-ter c.c., entro il termine di sessanta giorni, possono fare opposizione. Difatti, la fusione comporta una concentrazione di patrimoni e ciò potrebbe determinare un pregiudizio per i creditori delle società partecipanti alla stessa[2]. Si può pertanto sostenere, come si sostiene pacificamente, che l’art. 2503 c.c. fonda la sua ratio nella salvaguardia delle ragioni dei creditori delle società partecipanti alla fusione anteriori all’iscrizione di cui all’art. 2501-ter c.c.
Larga parte della dottrina sostiene che l’opposizione rientra tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale in quanto avente la funzione di evitare un pregiudizio per i creditori; più specificamente, in tema di fusione (e scissione), lo strumento oppositorio si fonda altresì sul principio generale in base al quale per ottenere il mutamento del debitore del rapporto obbligatorio occorre il consenso del creditore[3].
Occorre preliminarmente precisare che la problematica della fusione anticipata è diversa rispetto alla questione circa la possibilità di procedere al perfezionamento dell’atto di fusione prima del decorso dei sessanta giorni.
Al riguardo, una parte della dottrina sostiene che l’atto di fusione può essere stipulato anche prima dei sessanta giorni ma sarà da sottoporsi alla condizione sospensiva della mancata opposizione nei termini previsti dalla legge.
Di diverso avviso è la dottrina prevalente e la prassi notarile più prudente, le quali, sulla scorta della responsabilità penale degli amministratori in caso di danno ai creditori mediante un atto di fusione, di scissione o di riduzione del capitale ex art. 2629 c.c., sostengono che l’atto di fusione non possa essere perfezionato prima del decorso del termine previsto per l’opposizione[4].
Ritornando alla tematica in oggetto, il Legislatore, nello stesso comma 1 dell’art. 2503 c.c., così come fissa la regola generale determina anche i casi in cui è possibile procedere all’attuazione della fusione anticipatamente (c.d. fusione anticipata).
Tali casi sono caratterizzati dalla loro idoneità ex lege a salvaguardare le ragioni dei creditori e perciò consentono di procedere ad attuare la fusione prima del decorso dei sessanta giorni determinando, di conseguenza, il venir meno o la limitazione del diritto di opposizione.
La fusione anticipata, dunque, consente di non attendere il termine di sessanta giorni ma di procedere direttamente alla stipula dell’atto di fusione.
In ordine alle ipotesi in cui può procedersi in tale ultimo senso, l’art. 2503, comma 1, c.c. detta quattro ipotesi eccezionali di fusione anticipata, le quali ricorrono nei casi in cui consti:
- il consenso dei creditori anteriori all’iscrizione o alla pubblicazione prevista nel terzo comma dell’art. 2501 ter c.c.; o
- il pagamento dei creditori che non hanno prestato il proprio consenso; o
- il deposito delle somme corrispondenti presso una banca; oppure
- “che la relazione di cui all’articolo 2501-sexies sia redatta, per tutte le società partecipanti alla fusione, da un’unica società di revisione, la quale asseveri, sotto la propria responsabilità ai sensi del sesto comma dell’articolo 2501-sexies, che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti alla fusione rende non necessarie garanzie a tutela dei suddetti creditori”.
Sotto altro profilo, tale norma assume altresì rilevanza in quanto essa prevede e consente una attuazione anticipata del negozio determinante la conclusione dell’operazione.
Ciò chiarito, ci si è chiesti se, sulla base dell’applicazione dell’art. 2503, comma 1, c.c., ritenendo la norma in esso contenuto come principio generale oppure applicando in via analogica la norma stessa alla riduzione reale del capitale, possa procedersi ad una sorta di riduzione reale del capitale anticipata[5].
La dottrina[6] e la giurisprudenza[7] prevalenti escludono la possibilità di anticipare la riduzione reale del capitale (art. 2445 c.c.).
Più in dettaglio, tale orientamento sostiene che il termine di 90 giorni dall’iscrizione della delibera, previsto a tutela dei creditori, non sia né diminuibile né derogabile, nemmeno con il consenso dei creditori stessi.
La dottrina, a sostegno di tale tesi, ritiene che la procedura della riduzione reale del capitale differisca da quella prevista in tema di fusione per la mancanza di una pubblicità preventiva che individui con certezza i creditori legittimati all’opposizione[8].
Passando alla trattazione della c.d. scissione anticipata, occorre premettere che la scissione, come regola generale, può essere attuata solo dopo il decorso di sessanta giorni dall’ultima delle iscrizioni di cui all’art. 2502-bis c.c.[9].
Difatti, l’operazione di scissione comporta una separazione del patrimonio della scissa, sicché ciò può determinare un pregiudizio sia per i creditori della scissa che per i creditori delle beneficiarie preesistenti[10].
Tuttavia, l’art, 2506 ter, comma 5, c.c. prevede l’applicazione alla scissione del già visto art. 2503 c.c., rubricato “Opposizione dei creditori”.
Dunque, il Legislatore ha consentito, anche in tema di scissione, di procedere anticipatamente alla sua attuazione predisponendo, a tutela dei creditori, le medesime misure di salvaguardia delle loro ragioni.
In altri termini, mediante il richiamo all’art. 2503 c.c., può aversi scissione anticipata nelle ipotesi subb. a), b), c) e d) di cui supra.
Più specificamente, con riguardo all’ipotesi sub. d), introdotta con la Riforma del diritto societario (D.Lgs. 6/2003), questa prevede, al fine di procedere all’attuazione anticipata della fusione o della scissione, che la relazione indicata all’art. 2501-sexies c.c. venga redatta da una sola società di revisione per tutte le società coinvolte nella fusione. Trattasi, in particolare, della relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio delle azioni o quote cui si aggiunge l’asseverazione “che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti alla fusione rende non necessarie garanzie a tutela dei suddetti creditori” (art. 2503, comma 1, ultima frase, c.c.)
In altre parole, la società di revisione deve attestare, sotto la propria responsabilità, come previsto dal sesto comma dell’art. 2501-sexies c.c., che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti alla fusione non richieda l’adozione di garanzie a tutela dei creditori interessati.
Al riguardo, al fine di realizzare una fusione o scissione anticipata, la dottrina prevalente sostiene che la relazione di cui all’art. 2501-sexies c.c. richiesta dall’art. 2503 c.c. (per la scissione, dal combinato disposto dagli artt. 2506-ter e 2503 c.c.) sarà pure necessaria in caso di scissione in cui non sia possibile e/o richiesto procedere alla stima del rapporto di cambio[11]; in tale ultimo caso, dunque, la relazione consisterà nella sola asseverazione di cui all’art. 2503, comma 1, ultima frase, c.c. vista supra.
Difatti, come chiarito dal Consiglio Notarile di Milano con la massima n. 60, “I compiti assegnati dalle citate norme all’esperto o alla società di revisione, in quanto fissati nell’interesse dei creditori, sono infatti logicamente e funzionalmente autonomi dal giudizio di congruità, di guisa che possono e debbono essere assolti, ove ne ricorrano i presupposti, anche indipendentemente dalla resa di un giudizio di congruità”.
Per completezza si rammenta che la relazione richiesta dall’art. 2503, comma 1, c.c. dovrà essere redatta da un unico esperto per tutte le società partecipanti alla fusione o scissione e che il perito dovrà essere una società di revisione e non una persona fisica[12].
In ordine alla problematica suesposta, la massima L.C. 3 del Comitato Triveneto dei Notai, in primo luogo, conferma che “Al fine di procedere ad una fusione o scissione anticipata è sempre ammissibile, anche nei casi semplificati in cui non si applica l’art. 2501-sexies c.c., che venga formata da un’unica società di revisione una relazione asseverante che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti alla fusione o scissione renda non necessarie garanzie a tutela dei creditori ai sensi dell’ultima parte del comma 1 dell’art. 2503 c.c.”; in secondo luogo, il Triveneto precisa che “La nomina dell’unica società di revisione spetta alle società partecipanti, salvo che la società incorporante, la società beneficiaria o la società risultante dalla fusione sia una SPA o SAPA, nel qual caso la nomina compete al tribunale”.
Sul tale ultimo punto, difatti, l’art. 2501-sexies c.c., richiamato dall’art. 2503, comma 1, c.c., al comma 3 precisa che “L’esperto o gli esperti sono scelti tra i soggetti di cui al primo comma dell’articolo 2409-bis e, se la società incorporante o la società risultante dalla fusione è una società per azioni o in accomandita per azioni, sono designati dal tribunale del luogo in cui ha sede la società”.
Dalla lettura testuale della norma si ricava che la designazione ad opera del Tribunale è necessaria soltanto se la società incorporante o risultante dalla fusione è una SPA o una SAPA, in caso contrario l’esperto potrà essere scelto di comune accordo dalle società partecipanti alla fusione[13].
Posto che la norma, così come la massima, trattano soltanto della fusione ci si è posti il problema della corretta applicazione dell’art. 2501-sexies, comma 3, c.c. nel caso in cui si tratti di scissione parziale con assegnazione ad una o più beneficiarie di nuova costituzione (c.d. scissione parziale in senso stretto) e la società scissa sia una SPA o una SAPA.
In tal caso, a parere di chi scrive, la circostanza per cui la scissa sia una SPA (o una SAPA) non determina che l’esperto debba essere designato dal Tribunale in quanto:
- la società scissa non può ontologicamente equipararsi ad una società incorporante, visto che la scissa assegna parte del suo patrimonio e non incorpora alcuna società;
- la società scissa non può ritenersi una società risultante dalla fusione o, meglio, dalla scissione. Difatti, si parla di “società risultante dalla scissione” con riferimento alla società di nuova costituzione, ovviamente nel caso in cui la scissione determini la costituzione di una nuova società (c.d. scissione in senso stretto).
Ciò detto deve ritenersi che nel caso in cui la società scissa sia una SPA o una SAPA l’esperto potrà essere scelto di comune accordo dalle società partecipanti alla scissione.
Dunque, può affermarsi che la normativa in tema di fusione e scissione, in particolare l’art. 2503 c.c., rappresenta un bilanciamento tra la necessità di consentire alle imprese di riorganizzarsi e l’esigenza di salvaguardare i creditori da eventuali pregiudizi patrimoniali. L’opposizione dei creditori, prevista come misura di tutela, si pone come meccanismo di salvaguardia dei loro diritti, fondamentale soprattutto nei casi in cui il mutamento della struttura societaria possa compromettere la garanzia del credito.
Tuttavia, consapevole delle esigenze di dinamicità delle operazioni societarie, il Legislatore ha introdotto eccezioni che consentono di anticipare la fusione nei casi di cui all’art. 2503, comma 1, c.c.
In quest’ottica, l’art. 2501-sexies c.c. prevede che la relazione asseverata di una società di revisione, che attesti la solidità patrimoniale e finanziaria delle società, consente di procedere senza attendere i 60 giorni previsti dall’art. 2503 c.c. Questa misura, insieme con le altre previste dalla normativa, permette di ridurre i tempi delle operazioni, senza compromettere le tutele essenziali.
Per quanto riguarda operazioni simili, come la riduzione reale del capitale ex art. 2445 c.c., la dottrina prevalente ritiene che non vi sia la stessa flessibilità garantita dalla legge per le fusioni, principalmente a causa dell’assenza di una pubblicità preventiva. La diversità di struttura tra queste operazioni evidenzia la particolare attenzione riservata alla pubblicità nelle fusioni e la differente tutela dei creditori.
Un aspetto rilevante è che le disposizioni relative alla fusione si applicano anche alle scissioni, come stabilito dall’art. 2506-ter c.c., il quale estende i meccanismi di opposizione e le garanzie anche a tali operazioni. Questo conferma la coerenza del sistema giuridico nell’assicurare la tutela dei creditori in tutte le operazioni societarie che incidono sulla loro posizione.
A tal proposito, la massima L.C. 3 del Comitato Triveneto dei Notai ha chiarito che è sempre possibile, anche nei casi semplificati che non richiedono l’applicazione dell’art. 2501-sexies c.c., procedere con una fusione o scissione anticipata, purché una relazione asseverante, redatta da un’unica società di revisione, attesti che la situazione patrimoniale delle società partecipanti renda non necessarie ulteriori garanzie per i creditori. Tale previsione è rilevante anche in materia di scissione, ove si è discusso dell’applicabilità dell’art. 2501-sexies, comma 3, c.c. nel caso di scissione parziale con assegnazione a nuove società beneficiarie. In questi casi, la designazione dell’esperto non deve necessariamente essere fatta dal Tribunale se la società scissa è una SPA o SAPA, poiché essa non può essere equiparata né a una società incorporante né a una risultante dalla fusione.
In conclusione, il quadro normativo in materia di fusioni e scissioni, con l’introduzione di strumenti come la relazione asseverante, riflette un bilanciamento efficace tra la necessità di favorire la riorganizzazione aziendale e la tutela dei creditori. L’evoluzione legislativa ha saputo rispondere alle esigenze di maggiore efficienza nei casi di operazioni di riorganizzazione societaria, senza rinunciare a garantire la protezione del patrimonio sociale e la sicurezza del sistema economico.
[1] Genghini, soc. cap., pp. 1625
[2] Genghini, soc. cap., pp. 1625
[3] Guerrera, trasformazione, fusione e scissione, … p. 429.
[4] Genghini, soc. cap., pp. 1631
[5] Al riguardo, occorre rammentare che l’art. 2445, commi 3 e 4, c.c. prevede che “La deliberazione (di riduzione del capitale) può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione.
Il tribunale, quando ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori oppure la società abbia prestato idonea garanzia, dispone che l’operazione abbia luogo nonostante l’opposizione”.
Dunque, anche in caso di riduzione reale del capitale, l’operazione può essere eseguita (o, meglio, “attuata” secondo i più) “soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese”.
In tema di riduzione reale anticipata, alcuni autori e sentenze di merito, sostengono la possibilità di anticipare la riduzione reale, purché vi sia il consenso dei creditori anteriori all’iscrizione della delibera (vedi A. Mazzoni, “Il nuovo diritto societario: commento al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6”, Giuffrè, Milano, 2004, p. 322-324) o siano stati saldati i creditori dissenzienti (vedi Tribunale di Milano, 12 febbraio 1988, in Giur. Comm., 1988, p. 1124).
Il CNN Studio n. 41-2016/I, Riduzione reale e attuazione anticipata con il consenso dei creditori, di Ruotolo-Boggiali ha chiarito che tale possibilità sarebbe giustificata dalla ratio delle norme di opposizione, tra cui rientra proprio l’art. 2503 c.c. previsto in tema di fusione, che mirano alla tutela dei creditori, anche mediante l’utilizzo di strumenti di tutela alternativi all’opposizione.
Più in dettaglio, in tutti questi casi, anche la ratio sottostante all’art. 2445 c.c. sarebbe quella di garantire che i creditori non subiscano un pregiudizio per via delle modifiche alla struttura patrimoniale della società e, di conseguenza, posto che il Legislatore ha previsto strumenti alternativi tutelanti i creditori all’art. 2503 c.c., tale orientamento sostiene che si potrebbe applicare in via analogica quest’ultimo articolo, consentendo, di conseguenza, di attuare anticipatamente la riduzione reale del capitale.
[6] G.F. Campobasso, “Diritto commerciale. Diritto delle società”, Utet, Torino, 2018, p. 460-462; M. Irrera, “Le operazioni sul capitale sociale”, Giuffrè, Milano, 2006, p. 214-216.
[7] Cass., 17 luglio 2006, n. 16347, in Giur. Comm., 2006, p. 876.
[8] In effetti, il Legislatore, nel caso di fusione, ha previsto una pubblicità preventiva legata all’iscrizione del progetto di fusione nel Registro delle Imprese, che consente ai creditori di opporsi entro un certo termine. Nel caso della riduzione del capitale, invece, non è prevista alcuna iscrizione simile a quella prevista, appunto, per il progetto di fusione.
In aggiunta, a parere di chi scrive, il fatto che il Legislatore abbia previsto, come si vedrà infra, un espresso richiamo della normativa regolante la fusione anticipata nelle norme previste in tema di scissione, significa che quello fissato all’art. 2503, comma 1, c.c. non possa ritenersi un principio generale, altrimenti tale richiamo alle norme della fusione non sarebbe stato necessario.
In altri termini, il richiamo dell’art, 2506 ter, comma 5, c.c. alle norme della fusione è stato ritenuto dal Legislatore quale doveroso in quanto, in caso contrario, l’operatore non avrebbe potuto applicare gli specifici strumenti di cui all’art. 2503, comma 1, c.c.
[9] Federico Magliuolo, La scissione delle società, p. 566
[10] Genghini, soc cap., pp. 1736-1737
[11] Federico Magliuolo, La scissione delle società, p. 573
[12] Federico Magliuolo, La scissione delle società, p. 573
[13] Genghini, soc cap., pp. 1609
Antonio D’Ausilio, Notaio in attesa di nomina