Il Valore dello Studio Notarile: Una Visione Economica tra Deontologia e prassi – di Dott. Michele D’Agnolo

Nella professione notarile, la tutela dell’indipendenza e della neutralità del notaio è un principio fondante. Per questa ragione, il codice deontologico del notariato vieta qualsiasi forma di acquisto o vendita dello studio notarile. Tuttavia, osservando la questione da una prospettiva economica, non si può ignorare che uno studio notarile ben avviato, soprattutto quando raggiunge una certa dimensione, porta con sé un valore significativo.

Pur non potendosi un’impresa nel senso classico del termine, lo studio notarile ha caratteristiche che, dal punto di vista economico, lo rendono simile a una realtà imprenditoriale. Per questo lo si può definire azienda in senso economico, in una accezione si badi molto diversa e molto più ampia di quella  del Codice Civile e che comprende anche organizzazioni come la famiglia e le pubbliche amministrazioni. La reputazione costruita nel tempo, la clientela consolidata, le relazioni con altri professionisti e il know-how organizzativo accumulato, contribuiscono a creare un vero e proprio valore economico che non può essere ignorato, soprattutto quando si tratta di associazioni notarili o passaggi generazionali. Nella esperienza professionale di chi scrive vediamo come questo valore di avviamento venga sempre più considerato nelle dinamiche associative e di transizione, pur nel rispetto delle norme deontologiche.

Lo Studio Notarile tra Deontologia e Avviamento Economico

A differenza delle imprese tradizionali, dove l’acquisto di quote societarie o di un intero business è un processo usuale, nel mondo notarile queste operazioni sono vietate. Il motivo risiede nella protezione della terzietà del notaio e nel mantenimento della sua totale indipendenza. Lo studio notarile non può, quindi, essere trattato come un bene vendibile, al fine di evitare qualsiasi condizionamento economico che possa influenzare l’imparzialità del professionista.

Tuttavia, quando osserviamo la questione con gli occhi di un economista, è evidente che uno studio notarile, soprattutto se ben strutturato, possiede un valore intrinseco che va oltre la sola prestazione intellettuale del notaio. Questo valore di avviamento, pur non potendo essere oggetto di compravendita diretta, esiste e viene spesso considerato in modo informale nelle dinamiche tra colleghi.

Che Cos’è il Valore di Avviamento nello Studio Notarile?

Il valore di avviamento (o goodwill) si riferisce a tutti quegli elementi intangibili che concorrono a rendere uno studio notarile più redditizio e attrattivo. Esso non riguarda solamente il volume di affari o la clientela acquisita, ma anche una serie di fattori interconnessi, tra cui:

  • Team di collaboratori: Uno studio che ha un team di collaboratori esperti e fidelizzati ha oggi un valore difficilmente riproducibile visto il calo endemico di talenti e vocazioni nell’ambito degli assistenti notarili. 
  • Reputazione e visibilità: Uno studio notarile che ha costruito una solida reputazione nel tempo, grazie alla competenza e alla qualità del servizio offerto, ha un marchio di fiducia che attrae nuovi clienti e fidelizza quelli esistenti.
  • Clientela consolidata: L’elenco dei clienti abituali, che tornano regolarmente per consulenze e atti notarili, rappresenta una risorsa preziosa. Questi clienti non sono attratti solo dalla necessità, ma scelgono lo studio per l’affidabilità e la qualità delle prestazioni.
  • Efficienza operativa: Uno studio ben strutturato, con processi efficienti, e una gestione moderna delle pratiche, offre un valore aggiunto che lo rende appetibile a potenziali nuovi associati.
  • Relazioni con professionisti e istituzioni: Le relazioni consolidate con avvocati, commercialisti, consulenti immobiliari e banche costituiscono un network professionale che non solo facilita il flusso di incarichi, ma garantisce una continuità di affari anche nei momenti di flessione economica.

Tutti questi elementi, anche se non formalmente quantificabili come in un’impresa commerciale, determinano un potenziale valore economico che i notai iniziano a riconoscere e considerare in modo sempre più esplicito, specialmente quando si verificano situazioni di recesso da un’associazione notarile o di ingresso in uno studio consolidato.

Il Valore di Avviamento nelle Dinamiche Associative

Le associazioni tra notai sono una forma sempre più diffusa di esercizio della professione, in cui più notai uniscono le proprie competenze e risorse per offrire servizi su più ampia scala, dividendo costi e rischi. In queste dinamiche, il valore di avviamento dello studio diventa un fattore rilevante, specialmente nelle seguenti situazioni:

  1. Ingresso di un nuovo notaio in uno studio avviato: Quando un giovane notaio o un notaio esterno entra a far parte di uno studio notarile già consolidato, pur non potendo “acquistare” lo studio, è chiaro che ci sono delle aspettative rispetto al contributo economico che il nuovo associato può portare. Non si tratta solo di condividere i costi, ma di considerare anche il valore intangibile che il nuovo arrivato riceve, in termini di clientela, reputazione e rete professionale già attiva. Spesso questo valore viene compensato indirettamente attraverso accordi economici strutturati, che tengono conto dell’avviamento dello studio.

 

  1. Recesso da un’associazione notarile: Quando un notaio decide di recedere da una società tra notai, il valore di avviamento dello studio spesso entra in gioco. Anche se la deontologia vieta la vendita dello studio, in base ai patti associativi il notaio uscente potrebbe avere maturato il diritto a una sorta di “liquidazione” che considera il contributo che ha apportato alla crescita e allo sviluppo dell’attività. In questi casi, il valore di avviamento diventa un elemento di confronto per determinare una compensazione equa, seppur informale.

 

  1. Transizioni generazionali: In contesti di passaggio generazionale, come il ritiro di un notaio senior e l’ingresso di un successore, il valore di avviamento è ancora più evidente. Anche se formalmente il notaio non può “vendere” il proprio studio, è comprensibile che il subentrante si trovi a gestire una realtà con un pacchetto di clienti già avviato, un personale formato e una reputazione solida. Questo valore implicito viene spesso riconosciuto attraverso modalità di collaborazione o affiliazione che, pur nel rispetto delle regole, tengono conto del valore economico generato dallo studio.

Come Valutare il Valore di Avviamento in Assenza di Transazioni Dirette

Nonostante il divieto deontologico di acquisto dello studio, esistono comunque modalità attraverso le quali il valore di avviamento viene nella prassi riconosciuto e considerato nelle dinamiche professionali. Alcuni fattori che possono entrare in gioco per stimare questo valore includono:

  • Volume d’affari annuale: Sebbene non si tratti di una vera e propria valutazione del valore economico dello studio, il fatturato complessivo può dare un’indicazione del giro di affari e della capacità dello studio di attrarre clienti.
  • Durata della relazione con i clienti: La presenza di una clientela fidelizzata, che si rivolge ripetutamente allo studio per questioni notarili, rappresenta un valore fondamentale. La qualità di queste relazioni può influire sul potenziale avviamento.
  • Efficienza e struttura organizzativa: Un notaio che entra in uno studio già organizzato e ben gestito non deve affrontare gli stessi costi iniziali di un professionista che avvia uno studio da zero. L’efficienza dei processi interni, la formazione del personale e l’uso di tecnologie moderne contribuiscono a incrementare il valore complessivo.
  • Reputazione: Anche se difficilmente quantificabile, la reputazione del notaio e del suo studio sul mercato è uno degli elementi principali del valore di avviamento. Un nome noto e rispettato nel settore è spesso associato a un flusso costante di lavoro.

Conclusioni: Il Valore dell’Avviamento tra Etica e Riconoscimento Informale

Il valore dello studio notarile non può e non deve essere misurato in termini strettamente commerciali, ma esiste un avviamento economico che non può essere ignorato, soprattutto nelle dinamiche associative o di successione. Sebbene il codice deontologico vieti la compravendita diretta degli studi, il valore intangibile che essi rappresentano è sempre più considerato nelle transazioni informali tra colleghi.

Riconoscere e rispettare questo valore, pur nel rispetto delle regole etiche e deontologiche, permette ai notai di gestire le transizioni generazionali e associative in modo più trasparente e equo, assicurando che lo studio possa continuare a offrire servizi di alta qualità e a mantenere la fiducia dei propri clienti anche nel lungo periodo.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ

Ricevibilità di testamento con Divisione fatta dal testatore, nullità della stessa ex art. 735 comma 1° codice civile: art. 28 L.N.? – di Notaio Roberto Santarpia

Il presente elaborato ha, in asse con il taglio della rivista, un taglio operativo al fine di verificare se sia ricevibile dal notaio un testamento pubblico contenente una divisione fatta dal testatore con pretermissione di un legittimario.

Definizione e natura

La divisione fatta dal testatore, nota anche come “assegno divisionale qualificato”, è un atto testamentario con cui il testatore assegna direttamente i suoi beni agli eredi, evitando la formazione della comunione ereditaria. A differenza della divisione ordinaria, questa attribuzione ha effetto reale immediato, trasferendo i beni direttamente agli eredi sin dall’apertura della successione. Tuttavia, non si tratta di una divisione in senso tecnico, poiché non scioglie una comunione preesistente. È più correttamente definita come un mezzo per distribuire i beni tra gli eredi, con effetti immediati e diretti.

Distinzione da altre disposizioni

La divisione fatta dal testatore si distingue dall’institutio ex re certa (art. 588, 2° comma, c.c.), in cui le quote ereditarie non sono predeterminate, ma si determinano successivamente in base al valore dei beni assegnati. Nella divisione fatta dal testatore, invece, le quote sono specificamente individuate e assegnate agli eredi.

Limiti e condizioni

Proporzione tra valore della quota e beni assegnati: Il valore complessivo dei beni assegnati a ciascun erede non deve essere inferiore alla sua quota ereditaria di oltre un quarto, pena la possibilità di impugnazione per rescissione (art. 763 c.c.).

Inclusione dei legittimari: È obbligatorio includere nella divisione i legittimari, pena la nullità dell’atto (art. 735, 1° comma, c.c.).

Possibilità di divisione parziale: Il testatore può disporre una divisione oggettivamente parziale, assegnando solo alcuni beni e lasciando gli altri in comunione ereditaria, che sarà regolata secondo la legge, salvo diversa disposizione testamentaria.

Divisione soggettivamente parziale: È ammissibile che il testatore formi la porzione di alcuni eredi, lasciando gli altri in comunione ereditaria, a condizione che vi siano beni sufficienti per soddisfare i diritti degli eredi non apporzionati.

Nonostante il legislatore non la preveda, non v’è quindi alcun dubbio circa l’ammissibilità di una divisione soggettivamente parziale, ossia della divisione fatta dal testatore formando la porzione di alcuni eredi soltanto e lasciando quindi sussistere la comunione ereditaria in capo ai coeredi non apporzionati. La divisione soggettivamente parziale è anche, necessaria­mente, oggettivamente parziale, in quanto da essa devono re­star fuori i beni necessari a formare le porzioni degli eredi in essa non contemplati.

La validità della divisione soggettivamente parziale non può peraltro esser messa in dubbio guardando  quanto previsto dall’art. 735, 1° comma, c.c., che stabilisce essere nulla la divisione nella quale il testatore non abbia compreso qual­cuno dei legittimari o degli eredi istituiti. Tale norma, infatti, si riferisce soltanto al caso in cui il testatore non lasci fuori dalla divisione beni sufficienti a formare le porzioni spettanti ai soggetti pretermessi.

Efficacia e garanzie

La divisione fatta dal testatore ha effetti reali immediati, trasferendo i beni direttamente agli eredi. In caso di assegnazione di beni di valore inferiore alla quota spettante, il testatore può disporre conguagli in denaro, che assumono la natura di legati con funzione divisoria. Tali conguagli sono garantiti dall’ipoteca legale prevista dall’art. 2817, n. 2, c.c.

Nullità e impugnazione

La divisione fatta dal testatore è nulla se non comprende tutti i legittimari o gli eredi istituiti (art. 735, 1° comma, c.c.). Inoltre, è soggetta a impugnazione per lesione della legittima se un erede riceve beni di valore inferiore alla sua quota di legittima, con possibilità di azione di riduzione (art. 735, 2° comma, c.c.).

EFFETTI della nullità

La nullità della divisione non annulla le disposizioni testamentarie sottostanti. In caso di nullità, si ripristina la comunione ereditaria e gli interessati possono richiedere una nuova divisione secondo le norme legali. Il legittimario pretermesso deve prima esercitare l’azione di riduzione per ottenere la sua quota, e solo successivamente potrà partecipare alla divisione. E’ quindi bensì vero che In caso di pretermissione di un legittimario la divisione testamentaria è nulla ai sensi dell’art. ​ 735 c.c., ma il legittimario deve esperire preventivamente l’azione di riduzione per ottenere la quota di riserva e la qualità di erede.

Ciò in ossequio al principio oramai consolidatissimo secondo il quale il legittimario pretermesso non partecipa alla comunione ereditaria ipso iure (e né può pertanto chiedere la divisione dei beni relitti dal de cuius) senza aver prima esercitato vittoriosamente l’azione di riduzione delle disposizione testamenta­rie.  

Concorde la giurisprudenza della Cassazione: Cass. civ., Sez. ​ II, Sentenza, 22/03/2018, n. 7178: La domanda di nullità della divisione deve essere accolta solo se il legittimario pretermesso ha esperito preventivamente l’azione di riduzione. ​

La divisione non sarà quindi nulla nel caso in cui il testatore non abbia incluso nella stessa alcuno dei legittimari o degli eredi istituiti ma vi siano nell’asse beni sufficienti a formare la porzione dell’erede pretermesso o lo stesso non sia stato comunque leso nella sua legittima per avere ricevuto in vita donazioni che hanno soddisfatto la sua quota necessaria. Così come non sarà nulla nel caso in cui beni in eccedenza, rispetto al riparto divisorio, non vi siano, ma il legittimario non sia un coerede non avendo agito in riduzione.

Si verte indubitabilmente nel campo degli strumenti di protezione della legittima. Infatti la disposizione in commento (735 1° comma) decisamente presuppone la lesione del legittimario sotto il profilo quantitativo, per cui la legittimazione ad agire sarà integrata dalla verifica della ricorrenza di tutti i presupposti per l’esercizio dell’azione di riduzione, di cui l’azione in questione (735 comma 1°) costituirebbe a giudizio della migliore dottrina (Mengoni e La Porta) particolare applicazione.

Ma allora se la nullità dell’ art. 735. 1° comma codice civile, non opera “statim et irrevocabiliter” ma solo in quanto il legittimario pretermesso abbia vittoriosamente esperito l’azione di riduzione unitamente alla domanda giudiziale di nullità della divisione, di che tipo di nullità si tratta? Dalla risposta dipende la ricevibilità o meno da parte del Notaio di una divisione soggettivamente parziale effettuata dal testatore che non abbia incluso un legittimario e non abbia nemmeno lasciato (oltre il diviso) beni sufficienti ad apporzionarlo.

Personalmente aderisco pienamente quindi alla dottrina che propende per la detta ricevibilità ed anzi per la cogenza della sua ricevibilità ex art. 27 Legge notarile e non applicabilità dell’art. 28 della legge notarile per i seguenti motivi:

Non si verte nel campo della nullità assoluta in quanto i tratti caratteristici della stessa sono la insanabilità anche se è possibile la conversione; la legittimazione ad agire è assoluta, ovvero chiunque vi abbia interesse può far valere la nullità; la nullità assoluta può essere rilevata d’ufficio dal giudice ed infine la nullità assoluta produce effetti anche nei confronti dei terzi. Tutte tali condizioni non sono sussistenti nel caso della divisione fatta dal testatore senza inclusione di un legittimario.

Direi che per quanto sopra specificato si verta quindi nel campo della nullità relativa; infatti solo determinate parti, o specificamente indicate dalla legge, possono esercitare l’azione di nullità. A differenza della nullità assoluta, la nullità relativa può essere sanata e non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma richiede una specifica eccezione da parte dell’ interessato. Tutte circostanze rilevabili nella fattispecie che ci interessa; è, ritengo, configurabile anche una tacita volontà di sanatoria da parte del legittimario pretermesso che non abbia avuto soddisfazione in ordine alla sua quota necessaria e che non abbia impugnato con azione di riduzione e nullità la stessa divisione e che si caratterizza per la sua legittimazione ad agire limitata.

Quindi questa nullità ex art. 735 comma 1 c.c. è nullità di protezione o relativa. Da ciò inapplicabilità dell’art. 28 Legge notarile. Partendo dalle caratteristiche della sanzione della nullità di protezione è stato affermato che «esula dal contesto sanzionato dall’art. 28 l.n., la nullità relativa, rilevabile non d’ufficio ma solo da chi vi è legittimato dalla legge, strutturalmente assimilabile all’annullabilità, pur conservando quel profilo d’imprescrittibilità dell’azione tipico della nullità. L’art. 28 sanziona solo la nullità assoluta dell’atto». La Corte di Cassazione ha, in più occasioni, ribadito che il divieto imposto dall’art. 28, n. 1), l. not. di ricevere atti espressamente proibiti dalla legge attiene ad ogni vizio che dia luogo ad una nullità assoluta dell’atto, con esclusione, quindi, dei vizi che comportano l’annullabilità o l’inefficacia dell’atto ovvero la stessa nullità relativa.

Roberto Santarpia,  Notaio in Orzinuovi.

Il Notaio di Nuova Nomina affronta il mercato notarile: strategie di comunicazione tra budget ridotti e limiti deontologici – di Dott. Michele D’Agnolo

Negli ultimi anni, il settore notarile ha visto un’evoluzione significativa, non solo per l’aumento delle normative e della concorrenza, ma anche per la trasformazione organizzativa degli studi notarili. La presenza di più notai soci all’interno di uno stesso studio è una tendenza crescente, che porta con sé numerosi vantaggi, ma anche un aumento esponenziale della complessità organizzativa. In questo contesto, il ruolo degli assistenti notarili diventa cruciale, ma anche particolarmente sfidante.

  1. La complessità gestionale negli studi con più notai soci

Gli studi notarili che operano con più soci devono affrontare una serie di complessità organizzative che possono rendere la gestione del lavoro molto più articolata rispetto a studi con un solo notaio. Queste complessità emergono su più livelli:

  • Diversità di approcci operativi

Ogni notaio ha un proprio stile lavorativo, un metodo preferito per gestire i clienti e le pratiche, e differenti priorità. In uno studio multi-socio, gli assistenti notarili devono essere in grado di adattarsi alle esigenze specifiche di ciascun notaio. Questo richiede una flessibilità operativa non indifferente, poiché devono imparare a lavorare in maniera efficace con personalità e stili di lavoro diversi, spesso anche su base quotidiana.

  • Coordinamento tra i soci

La presenza di più notai implica anche la necessità di un maggiore coordinamento, sia tra i soci stessi sia tra i rispettivi team. Questo può comportare la gestione di sovrapposizioni di impegni, differenze nei processi decisionali, o addirittura conflitti di priorità. Gli assistenti notarili, spesso posti al centro del flusso organizzativo, devono essere abili nel bilanciare queste dinamiche e garantire una comunicazione efficace tra le parti.

  • Aumento del volume e della varietà delle pratiche

Con più notai, aumenta inevitabilmente il volume delle pratiche gestite dallo studio, così come la varietà degli atti notarili. Questo richiede una maggiore capacità organizzativa e una conoscenza approfondita delle diverse tipologie di pratiche, che vanno da quelle immobiliari e societarie a quelle di diritto di famiglia o successione. Gli assistenti notarili devono essere preparati a gestire una vasta gamma di attività, garantendo precisione e tempestività nella gestione di ciascuna pratica.

  1. Le sfide per gli assistenti notarili negli studi multi-socio

La figura dell’assistente notarile, già essenziale in qualsiasi studio notarile, diventa ancor più strategica negli studi con più notai soci. Questi professionisti si trovano ad affrontare diverse sfide:

  • Gestione del carico di lavoro

Con l’aumento del volume di lavoro e delle tipologie di atti da gestire, la capacità di organizzare le priorità diventa una competenza cruciale per gli assistenti notarili. Devono saper lavorare con efficienza sotto pressione e mantenere la qualità del servizio in situazioni di sovraccarico. La gestione di più agende notarili contemporaneamente richiede anche l’uso di strumenti digitali avanzati per la pianificazione, oltre alla necessità di aggiornamenti costanti su scadenze legali e normative.

  • Competenze trasversali e aggiornamento costante

Negli studi multi-socio, agli assistenti notarili si richiede di essere “multitasking” in un contesto dove la complessità delle pratiche può variare significativamente. Questo significa non solo una profonda conoscenza giuridica di base, ma anche competenze trasversali, come l’uso di software gestionali specifici, la capacità di relazionarsi con i clienti e la capacità di gestire pratiche delicate. Gli aggiornamenti normativi sono costanti, e gli assistenti devono rimanere sempre allineati alle nuove regolamentazioni, in particolare in ambiti complessi come la digitalizzazione degli atti notarili e l’evoluzione delle procedure di firma digitale.

  • Problem solving e gestione delle urgenze

Lavorare con più notai significa essere pronti a gestire situazioni impreviste e urgenze provenienti da diverse direzioni. La capacità di risolvere problemi e rispondere prontamente alle necessità dei notai e dei clienti, a volte simultaneamente, è una delle competenze più apprezzate. Inoltre, negli studi più grandi, gli assistenti devono spesso fungere da intermediari tra clienti e notai, rappresentando la “voce” dello studio nelle fasi preliminari di gestione della pratica.

  • Relazioni con i clienti

In uno studio con più notai soci, l’assistente notarile deve anche gestire le relazioni con una clientela più ampia e diversificata. A seconda del notaio con cui lavora, potrebbe trovarsi a trattare con clienti privati, imprese o istituzioni, ciascuno con esigenze e aspettative differenti. La capacità di adattarsi a vari contesti e stili di comunicazione diventa fondamentale, così come la gestione delle aspettative dei clienti su tempi e modalità di erogazione del servizio.

  • Doppia leadership e ambiguità dei ruoli

Negli studi con più soci, la leadership non è sempre centralizzata. Gli assistenti notarili possono essere chiamati a rispondere a due o più superiori, ciascuno con priorità differenti, creando una potenziale ambiguità nelle responsabilità e nelle direttive. L’ambiguità può creare dinamiche conflittuali anche tra i soci stessi. La chiarezza organizzativa e la comunicazione interna diventano quindi vitali per evitare confusioni e inefficienze.

  1. Strumenti per affrontare la complessità organizzativa

Per affrontare al meglio queste sfide, gli assistenti notarili e lo studio nel suo complesso possono adottare alcune strategie organizzative:

  • Digitalizzazione e strumenti gestionali avanzati

L’utilizzo di software gestionali per la gestione delle pratiche notarili, dei clienti e degli appuntamenti è ormai imprescindibile. Questi strumenti aiutano a semplificare la gestione del flusso di lavoro, garantendo che ogni notaio e assistente disponga delle informazioni corrette in tempo reale, riducendo il rischio di errori o sovrapposizioni.

  • Formazione continua

La formazione continua per gli assistenti notarili non dovrebbe limitarsi alle sole competenze giuridiche. Investire in formazione su competenze gestionali, organizzative e di problem solving può fare una grande differenza nella capacità di affrontare la complessità di uno studio multi-socio.

  • Comunicazione interna strutturata

Negli studi con più notai soci, la comunicazione interna deve essere strutturata e sistematica. Meeting regolari tra soci, e tra questi e gli assistenti notarili e il personale amministrativo possono facilitare il coordinamento e garantire che tutti siano allineati su scadenze, priorità e responsabilità. Allo stesso modo strumenti di condivisione delle informazioni come CRM, chat interne ed altri possono contribuire ad una migliore circolazione delle informazioni. 

Conclusioni

Gli studi notarili con più notai soci presentano una complessità organizzativa notevole, e gli assistenti notarili svolgono un ruolo essenziale nel gestire questa complessità. La capacità di adattarsi a diversi stili di lavoro, di gestire il carico di pratiche e di mantenere una relazione efficace con i clienti è cruciale per il successo di questi studi. Attraverso una formazione adeguata, l’uso di strumenti digitali avanzati e una gestione organizzativa chiara, è possibile affrontare con successo le sfide poste da questa nuova realtà professionale.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ

Cessione d’azienda e registro: legificazione di un principio già applicato nella prassi – di Notaio in attesa di nomina Michele Marco Sardella

La legge di riforma dell’imposta di registro recata dal d.lgs. 2024 n. 139, in vigore dal 1° gennaio 2025 (di seguito, la “Riforma”), è intervenuta, tra l’altro, in tema di tassazione dei contratti di cessione d’azienda a titolo oneroso, modificando le disposizioni del Testo unico in materia di imposta di registro di cui al d.P.R. 1986 n. 131 (TUR) in tema di determinazione della base imponibile (art. 51 TUR) e di individuazione delle aliquote applicabili (art. 23 TUR).

È a tutti noi ben noto che la questione relativa alla natura giuridica dell’azienda rappresenta uno dei temi maggiormente dibattuti nell’ambito dell’intero diritto commerciale. Senza alcuna pretesa di esaustività (non foss’altro perché in questo contributo ci occupiamo di trattamento fiscale), è giusto il caso di rammentare che al filone atomistico, secondo cui l’azienda non esiste come bene autonomo, rilevando solo i singoli beni che la compongono, si contrappone il filone unitario, secondo cui l’azienda è, per l’appunto, un bene unitario, distinto dai singoli beni che la compongono e, come tale, dotato di autonoma rilevanza giuridica. Il filone unitario vede contrapporsi, al suo interno, chi afferma la natura dell’unico-bene-azienda come bene immateriale a chi, invece, la configura come universalità. Ancora, all’interno della tesi universalistica, si fronteggiano due orientamenti: il primo individua l’azienda come una universalità di fatto, comprensiva di tutti i beni (ma non dei diritti) materiali e immateriali che la compongono; il secondo, invece, considera l’azienda come universalità di diritto, comprensiva non solo dei beni, ma anche di tutti i diritti ad essa inerenti.

Da un punto di vista fiscale, in via preliminare, occorre precisare che, sulla base del disposto di cui all’art. 2, comma 3 lettera b) d.P.R. 1972 n. 633 (Testo unico in materia di imposta sul valore aggiunto), la cessione a titolo oneroso di aziende o rami di azienda è operazione fuori dal campo Iva e che, pertanto, in virtù del principio di alternatività tra Iva e Registro di cui all’art. 40 TUR, si applica l’imposta di registro in misura proporzionale.

La disciplina è contenuta nell’art. 23, commi 1 e 4 TUR, dal quale si evince in prima battuta che il Legislatore, ai fini fiscali, si schiera a favore della suddetta tesi atomistica  e nell’art. 51, commi 1, 2 e 4 TUR, entrambi novellati dalla Riforma, nonché nell’art. 43, comma 1 lettera a) TUR, disposizione, quest’ultima, che, invece, rimane invariata.

Partendo dalla lettura di quest’ultima disposizione, è possibile individuare la regola generale per calcolare la base imponibile ai fini della determinazione dell’imposta di registro: essa è costituita “dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto”, dovendosi assumere come tale in fase di registrazione il valore “dichiarato dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito” (art. 51, comma 1 TUR) e fermo restando il potere di rettifica in capo all’Agenzia delle Entrate nel caso in cui ritenga, dopo aver effettuato i controlli di cui all’art. 51, comma 4 TUR, che il valore preso a riferimento per il calcolo della base imponibile individuato dalle parti sia inferiore al valore venale del bene. In pratica, per la determinazione della base imponibile, il valore dell’azienda viene quantificato sommando i valori di tutti gli asset che la compongono (beni materiali, immateriali e avviamento), e sottraendo da tale valore quello delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie e dagli atti aventi data certa, precisandosi che le passività da decurtare vengono imputate ai diversi beni in proporzione al loro rispettivo valore (trattasi del cosiddetto “principio di proporzionalità”).

Quanto ai criteri per l’individuazione dell’aliquota applicabile, il nuovo comma 4 dell’art. 23 TUR stabilisce che nelle cessioni di aziende o di complessi aziendali relativi a singoli rami dell’impresa «si applicano le aliquote previste per i trasferimenti a titolo oneroso aventi a oggetto le diverse tipologie di beni che compongono l’azienda o il ramo di azienda, sulla base dell’imputazione a tali beni di una quota parte del corrispettivo da individuare secondo una ripartizione indicata nell’atto o nei suoi allegati. Per i crediti aziendali si applica sulla quota parte di corrispettivo a essi imputata l’aliquota prevista per le cessioni di crediti. Ai fini dell’applicazione delle diverse aliquote, le passività si imputano ai diversi beni sia mobili che immobili in proporzione del loro rispettivo valore. In assenza della suddetta ripartizione, si applica la disposizione del comma 1».

In altri termini, la nuova disposizione statuisce che:

  1. nelle operazioni di cessione di aziende o di rami d’azienda si applicano le aliquote previste per i trasferimenti a titolo oneroso relative alle diverse categorie di beni che compongono l’azienda ceduta.
    Si ricorda pertanto che, in ossequio ai criteri stabiliti dalla Tariffa Parte Prima allegata al TUR (TP1 TUR), le aliquote da applicare sono le seguenti:
    • immobili, aliquota del 9 per cento (salvo che trattasi di immobili strumentali, nel qual caso trova applicazione l’agevolazione di cui alla legge 2021 n. 234 in deroga al principio di alternatività Iva-Registro scontando i medesimi imposta in misura fissa);
    • terreni agricoli, aliquota del 15 per cento;
    • beni mobili, aliquota del 3 per cento;
    • avviamento, aliquota del 3 per cento;
    • crediti vari, aliquota dello 0,50 per cento;
    • partecipazioni sociali, soggette a imposta fissa;
    • contratti (soggetti a imposta in misura fissa, se il contratto ceduto è soggetto a IVA ovvero all’imposta in misura proporzionale propria del contratto, se lo stesso non è soggetto a IVA);
    • autoveicoli in genere, esenti da imposta (ai sensi dell’art. 11-bis della tabella allegata al TUR – TAB TUR);
    • unità da diporto, soggette a imposta fissa in base alla lunghezza (ai sensi dell’art. 7 TP1 TUR);
  2. la ripartizione degli asset costituenti l’azienda oggetto di cessione, secondo le categorie corrispondenti alle rispettive aliquote applicabili, deve essere indicata espressamente nell’ambito del contratto di cessione ovvero nei relativi allegati;
  3. in assenza della suddetta ripartizione (in atto o nei relativi allegati), l’intero valore dell’azienda oggetto di cessione è assoggettato all’imposta di registro applicando l’aliquota più elevata tra quelle previste per i beni che compongono il compendio aziendale ceduto, con evidente maggior carico fiscale in capo al contribuente;
  4. alla quota parte del corrispettivo imputabile ai crediti aziendali si applica l’aliquota prevista per le cessioni di crediti;
  5. ai fini dell’applicazione delle differenti aliquote, le passività sono imputate ai beni, mobili e immobili, in proporzione al rispettivo valore.

A ben vedere, più che dinnanzi a una vera e propria novità legislativa, pare piuttosto trovarsi di fronte all’esplicitazione all’interno del testo di legge di un principio ben noto alla realtà professionale, vale a dire quello della cosiddetta “ventilazione” del corrispettivo della cessione dell’azienda tra i vari beni, diritti e cespiti che la compongono, principio che consente di tassare l’atto che ci occupa applicando separatamente le aliquote proprie dei trasferimenti onerosi dei singoli asset aziendali.

Al contrario, ad avviso di chi scrive, assume rilevanza significativa l’introduzione della precisazione secondo cui, per i crediti maturati dall’imprenditore cedente trasferiti onerosamente per la loro riscossione al cessionario, si applica l’aliquota prevista per le cessioni di crediti sulla quota parte di corrispettivo a essi imputata e, cioè, quella dello 0,50 per cento ai sensi all’art. 6 TP1 TUR.

È vero infatti che anche prima dell’entrata in vigore della Riforma molti uffici concordavano per l’applicazione dell’aliquota dello 0,50 per cento alla quota parte di corrispettivo della cessione d’aziendacrelativa ai crediti aziendali, ma è altrettanto vero che non vi era un atteggiamento univoco, tant’è che non sono mancati casi in cui gli uffici hanno preteso di tassare tale voce dell’attivo aziendale applicando l’aliquota del 3 per cento.

Con riferimento alla valorizzazione delle passività, la norma specifica che dev’essere applicato un criterio tassativamente proporzionale, prescindendo da ogni nesso diretto tra le passività medesime e i singoli componenti dell’attivo. Ciò significa che, ad esempio, non assume alcuna rilevanza il fatto che un debito contratto per l’acquisto di un immobile aziendale sia garantito da ipoteca iscritta sul medesimo bene facente parte del complesso aziendale oggetto di trasferimento: anche in questo caso, il debito sarà “spalmato” proporzionalmente su tutti gli asset aziendali e non solo sull’immobile ipotecato.

Quanto alle modalità di determinazione della base imponibile, la Riforma ha modificato i commi 2 e 4 dell’art. 51 TUR, “traslando” al comma 2 parte di quanto già previsto in precedenza dal comma 4 del medesimo art. 51 TUR.

Ai sensi del comma 2, la base imponibile dell’imposta di registro dovuta in caso di trasferimento di aziende o di diritti reali su di esse è determinata assumendo il valore venale complessivo dei beni che compongono l’azienda, ivi incluso l’avviamento, con esclusione dei beni indicati negli artt. 7 TP1 TUR e 11-bis TAB TUR. Dal valore così determinato devono essere dedotte le passività inerenti all’azienda, risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa, fatte salve le passività che l’alienante si sia espressamente impegnato a estinguere all’interno del contratto, nonché quelle riferibili ai beni sopra menzionati.

Con riguardo alle modifiche introdotte all’articolo 51, comma 4 TUR, si evidenzia che l’Ufficio procede al controllo del valore indicato dalle parti ai sensi di legge, avvalendosi anche degli accertamenti effettuati ai fini di altre imposte e «procede ad accessi, ispezioni e verifiche secondo le disposizioni relative all’imposta sul valore aggiunto».

Michele Marco Sardella, Notaio in attesa di nomina

La complessità organizzativa negli studi notarili multi-socio: Le sfide per i Notai e gli assistenti notarili – di Dott. Michele D’Agnolo

Negli ultimi anni, il settore notarile ha visto un’evoluzione significativa, non solo per l’aumento delle normative e della concorrenza, ma anche per la trasformazione organizzativa degli studi notarili. La presenza di più notai soci all’interno di uno stesso studio è una tendenza crescente, che porta con sé numerosi vantaggi, ma anche un aumento esponenziale della complessità organizzativa. In questo contesto, il ruolo degli assistenti notarili diventa cruciale, ma anche particolarmente sfidante.

  1. La complessità gestionale negli studi con più notai soci

Gli studi notarili che operano con più soci devono affrontare una serie di complessità organizzative che possono rendere la gestione del lavoro molto più articolata rispetto a studi con un solo notaio. Queste complessità emergono su più livelli:

  • Diversità di approcci operativi

Ogni notaio ha un proprio stile lavorativo, un metodo preferito per gestire i clienti e le pratiche, e differenti priorità. In uno studio multi-socio, gli assistenti notarili devono essere in grado di adattarsi alle esigenze specifiche di ciascun notaio. Questo richiede una flessibilità operativa non indifferente, poiché devono imparare a lavorare in maniera efficace con personalità e stili di lavoro diversi, spesso anche su base quotidiana.

  • Coordinamento tra i soci

La presenza di più notai implica anche la necessità di un maggiore coordinamento, sia tra i soci stessi sia tra i rispettivi team. Questo può comportare la gestione di sovrapposizioni di impegni, differenze nei processi decisionali, o addirittura conflitti di priorità. Gli assistenti notarili, spesso posti al centro del flusso organizzativo, devono essere abili nel bilanciare queste dinamiche e garantire una comunicazione efficace tra le parti.

  • Aumento del volume e della varietà delle pratiche

Con più notai, aumenta inevitabilmente il volume delle pratiche gestite dallo studio, così come la varietà degli atti notarili. Questo richiede una maggiore capacità organizzativa e una conoscenza approfondita delle diverse tipologie di pratiche, che vanno da quelle immobiliari e societarie a quelle di diritto di famiglia o successione. Gli assistenti notarili devono essere preparati a gestire una vasta gamma di attività, garantendo precisione e tempestività nella gestione di ciascuna pratica.

  1. Le sfide per gli assistenti notarili negli studi multi-socio

La figura dell’assistente notarile, già essenziale in qualsiasi studio notarile, diventa ancor più strategica negli studi con più notai soci. Questi professionisti si trovano ad affrontare diverse sfide:

  • Gestione del carico di lavoro

Con l’aumento del volume di lavoro e delle tipologie di atti da gestire, la capacità di organizzare le priorità diventa una competenza cruciale per gli assistenti notarili. Devono saper lavorare con efficienza sotto pressione e mantenere la qualità del servizio in situazioni di sovraccarico. La gestione di più agende notarili contemporaneamente richiede anche l’uso di strumenti digitali avanzati per la pianificazione, oltre alla necessità di aggiornamenti costanti su scadenze legali e normative.

  • Competenze trasversali e aggiornamento costante

Negli studi multi-socio, agli assistenti notarili si richiede di essere “multitasking” in un contesto dove la complessità delle pratiche può variare significativamente. Questo significa non solo una profonda conoscenza giuridica di base, ma anche competenze trasversali, come l’uso di software gestionali specifici, la capacità di relazionarsi con i clienti e la capacità di gestire pratiche delicate. Gli aggiornamenti normativi sono costanti, e gli assistenti devono rimanere sempre allineati alle nuove regolamentazioni, in particolare in ambiti complessi come la digitalizzazione degli atti notarili e l’evoluzione delle procedure di firma digitale.

  • Problem solving e gestione delle urgenze

Lavorare con più notai significa essere pronti a gestire situazioni impreviste e urgenze provenienti da diverse direzioni. La capacità di risolvere problemi e rispondere prontamente alle necessità dei notai e dei clienti, a volte simultaneamente, è una delle competenze più apprezzate. Inoltre, negli studi più grandi, gli assistenti devono spesso fungere da intermediari tra clienti e notai, rappresentando la “voce” dello studio nelle fasi preliminari di gestione della pratica.

  • Relazioni con i clienti

In uno studio con più notai soci, l’assistente notarile deve anche gestire le relazioni con una clientela più ampia e diversificata. A seconda del notaio con cui lavora, potrebbe trovarsi a trattare con clienti privati, imprese o istituzioni, ciascuno con esigenze e aspettative differenti. La capacità di adattarsi a vari contesti e stili di comunicazione diventa fondamentale, così come la gestione delle aspettative dei clienti su tempi e modalità di erogazione del servizio.

  • Doppia leadership e ambiguità dei ruoli

Negli studi con più soci, la leadership non è sempre centralizzata. Gli assistenti notarili possono essere chiamati a rispondere a due o più superiori, ciascuno con priorità differenti, creando una potenziale ambiguità nelle responsabilità e nelle direttive. L’ambiguità può creare dinamiche conflittuali anche tra i soci stessi. La chiarezza organizzativa e la comunicazione interna diventano quindi vitali per evitare confusioni e inefficienze.

  1. Strumenti per affrontare la complessità organizzativa

Per affrontare al meglio queste sfide, gli assistenti notarili e lo studio nel suo complesso possono adottare alcune strategie organizzative:

  • Digitalizzazione e strumenti gestionali avanzati

L’utilizzo di software gestionali per la gestione delle pratiche notarili, dei clienti e degli appuntamenti è ormai imprescindibile. Questi strumenti aiutano a semplificare la gestione del flusso di lavoro, garantendo che ogni notaio e assistente disponga delle informazioni corrette in tempo reale, riducendo il rischio di errori o sovrapposizioni.

  • Formazione continua

La formazione continua per gli assistenti notarili non dovrebbe limitarsi alle sole competenze giuridiche. Investire in formazione su competenze gestionali, organizzative e di problem solving può fare una grande differenza nella capacità di affrontare la complessità di uno studio multi-socio.

  • Comunicazione interna strutturata

Negli studi con più notai soci, la comunicazione interna deve essere strutturata e sistematica. Meeting regolari tra soci, e tra questi e gli assistenti notarili e il personale amministrativo possono facilitare il coordinamento e garantire che tutti siano allineati su scadenze, priorità e responsabilità. Allo stesso modo strumenti di condivisione delle informazioni come CRM, chat interne ed altri possono contribuire ad una migliore circolazione delle informazioni. 

Conclusioni

Gli studi notarili con più notai soci presentano una complessità organizzativa notevole, e gli assistenti notarili svolgono un ruolo essenziale nel gestire questa complessità. La capacità di adattarsi a diversi stili di lavoro, di gestire il carico di pratiche e di mantenere una relazione efficace con i clienti è cruciale per il successo di questi studi. Attraverso una formazione adeguata, l’uso di strumenti digitali avanzati e una gestione organizzativa chiara, è possibile affrontare con successo le sfide poste da questa nuova realtà professionale.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ

Il Notaio alle prese con la più delicata delle successioni: quella del Suo studio – di Dott. Michele D’Agnolo

Per un notaio, uno degli atti più difficili da affrontare nella propria carriera è forse quello della successione del proprio studio. Un passaggio generazionale che, benché naturale, comporta sfide emotive, organizzative e professionali complesse. Sia che si tratti di una scelta volontaria o di una decisione imposta da circostanze esterne, il momento di restituire il sigillo notarile può risultare più difficile del previsto. Nonostante ciò, pianificare questa fase con sufficiente anticipo è di cruciale importanza per preservare il valore creato nel tempo e garantire continuità tanto ai clienti quanto ai collaboratori.

Perché è così difficile pianificare la propria successione?

Molti notai, come altri professionisti di successo, tendono a rimandare la riflessione su questo delicato passaggio. Si tratta di una sfida per vari motivi:

  • Il legame personale con lo studio: Dopo anni, se non decenni, di lavoro dedicato alla costruzione e gestione di uno studio notarile, il notaio sviluppa un profondo legame con la propria attività. Lo studio non è solo una fonte di reddito, ma rappresenta anche il frutto del proprio impegno, una sorta di “eredità professionale”.
  • L’identificazione con la professione: Il ruolo del notaio non è solo un mestiere, ma una vocazione che definisce la propria identità professionale. La prospettiva di abbandonare il timone dello studio può essere vissuta come una rinuncia a un pezzo di sé, e ciò può alimentare la procrastinazione.
  • Il timore dell’ignoto: La transizione implica inevitabilmente un cambiamento nella quotidianità, spesso con l’incertezza riguardo al futuro: “A chi affiderò il mio studio?”, “Sarò in grado di trovare qualcuno all’altezza?”, “Che cosa farò dopo?”. Sono domande legittime che contribuiscono a rendere difficile il confronto con la successione.

Eppure, nonostante le comprensibili resistenze, preparare con largo anticipo il passaggio generazionale è una necessità strategica per assicurare continuità operativa e preservare il valore dello studio, oltre a tutelare gli interessi di clienti e collaboratori.

Pianificare per proteggere il valore creato

Uno studio notarile non è solo il luogo in cui si gestiscono atti pubblici, ma è un vero e proprio ecosistema composto da risorse umane, competenze tecniche e relazioni consolidate con la clientela. Per questo motivo, una successione mal gestita rischia di compromettere anni di lavoro e di costruzione di fiducia.

Ecco alcune ragioni per cui pianificare con cura questo passaggio è fondamentale:

  • Mantenere la fiducia dei clienti: Il rapporto di fiducia tra il notaio e i suoi clienti è spesso basato su anni di interazioni professionali. Un passaggio generazionale improvviso o mal gestito può creare incertezze e discontinuità, portando i clienti a cercare altrove i propri servizi. La fiducia, che è alla base del rapporto cliente-notaio, può essere facilmente erosa se non si prepara una successione graduale e trasparente.
  • Salvaguardare il valore economico dello studio: Uno studio ben avviato possiede un valore economico intrinseco che va oltre la singola figura del notaio. Tuttavia, se non viene pianificata una successione, tale valore rischia di andare perso. La presenza di un successore ben preparato garantisce la continuità degli affari, tutelando l’investimento fatto negli anni.
  • Garantire stabilità ai collaboratori: Gli assistenti notarili e lo staff amministrativo rappresentano il cuore operativo di uno studio notarile. Una successione ben strutturata tutela anche la loro continuità lavorativa, evitando incertezze e insicurezze sul futuro del loro impiego.

Le fasi chiave della successione: pianificare con metodo

Per garantire una transizione fluida, il notaio deve affrontare la successione come un vero e proprio progetto a lungo termine, scandito da tappe precise. Ecco alcune linee guida per pianificare questo delicato passaggio:

  1. Identificazione del successore: Uno degli elementi più critici è la scelta del successore, che può avvenire attraverso due modalità principali:
  •    Associazione con un giovane notaio: Spesso, i notai preferiscono associare al proprio studio un giovane collega, introducendolo progressivamente alla gestione dello studio. Questa scelta consente di formare il successore sul campo, trasmettendo non solo competenze tecniche, ma anche il valore del rapporto con la clientela.
  •    Aggregazioni tra notai: Un’altra opzione può essere l’aggregazione con altri notai, magari già affermati, per condividere lo studio e garantire una continuità. Questo modello riduce la pressione di un’unica figura e permette una suddivisione delle responsabilità.
  1. Trasferimento graduale delle responsabilità: Un passaggio generazionale ben riuscito prevede che il successore venga coinvolto gradualmente nelle attività dello studio, affiancando il notaio titolare nel rapporto con i clienti e nella gestione delle pratiche più complesse. Questo avvicendamento progressivo consente di instaurare fiducia sia con il personale dello studio sia con la clientela.
  1. Comunicazione trasparente con la clientela: Una delle componenti più delicate del processo di successione è la comunicazione con i clienti. Annunciare per tempo il cambio di titolarità dello studio, spiegando la logica della transizione e presentando il nuovo notaio, contribuisce a mantenere la fiducia e a evitare incertezze. La trasparenza in questo processo è fondamentale per garantire una continuità nei servizi notarili senza bruschi scossoni.
  1. Valutazione e trasmissione del know-how: Oltre alla gestione quotidiana, il notaio uscente deve trasmettere il proprio bagaglio di esperienza e competenza. Questo passaggio riguarda tanto le procedure tecnico-giuridiche quanto la gestione delle relazioni umane e organizzative. Il valore di uno studio notarile risiede anche nella capacità di saper gestire situazioni complesse e di saper mediare con i clienti più esigenti.

La responsabilità sociale del Notaio

Un aspetto spesso trascurato riguarda la responsabilità sociale del notaio nei confronti dei suoi collaboratori e della clientela. Lasciare uno studio senza aver garantito una successione adeguata può avere effetti negativi sia sulle persone che hanno collaborato per anni, sia sui clienti che rischiano di rimanere senza un riferimento. Pianificare la propria successione, invece, è un atto di responsabilità che dimostra cura e attenzione nei confronti del proprio ecosistema professionale.

Conclusione: la successione come parte integrante del successo professionale

Affrontare per tempo la questione della successione non è solo un atto di responsabilità, ma anche una strategia per preservare il valore dello studio notarile e garantire la continuità dei servizi offerti. Pianificare la propria uscita dal mondo professionale non significa abbandonare la propria identità di notaio, ma assicurarsi che il patrimonio professionale, umano e relazionale costruito nel corso degli anni venga affidato a mani sicure. In definitiva, la successione del proprio studio è forse l’atto più importante che un notaio possa compiere, sia per il proprio futuro, sia per il futuro dei suoi collaboratori e dei suoi clienti.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ

La capacità di testare del beneficiario dell’amministrazione di sostegno – a cura Notaio Vincenzo Spadola

La capacità di testare in generale e le cause di incapacità testamentaria

La capacità di disporre per testamento è l’idoneità giuridica di una persona a programmare, attraverso un testamento, l’assetto dei propri interessi, sia patrimoniali che non, per il tempo successivo alla propria morte.

L’articolo 591 del Codice Civile stabilisce che il diritto di testare è riconosciuto a chiunque non sia dichiarato legalmente incapace, individuando tre ipotesi in cui tale capacità viene meno: la minore età, l’interdizione per infermità mentale e l’incapacità di intendere e di volere.

La conseguenza per il caso di contrasto alla norma predetta è l’annullamento del testamento che può essere chiesto da chiunque vi abbia interesse; la relativa azione dev’essere esercitata entro il termine di cinque anni dall’esecuzione delle disposizioni testamentarie.

La valutazione della capacità di testare deve riferirsi al momento esatto in cui il testamento è stato redatto.

Sul piano dottrinale, alcuni autori considerano l’incapacità di testare una vera e propria incapacità giuridica; altri (tesi maggioritaria) tendono a qualificarla come una particolare specificazione della capacità di agire.

Nella legge non si rinviene una definizione di incapacità di intendere e di volere, tuttavia essa comprende qualsiasi condizione temporanea o permanente che alteri la volontà del testatore, privandolo della capacità di prendere decisioni consapevoli, anche solo per un breve lasso di tempo.

Secondo la giurisprudenza, per ottenere l’annullamento di un testamento a causa di incapacità naturale del testatore, è necessaria una prova rigorosa, che non si limiti a evidenziare un’alterazione o un’anomalia psichica ma dimostri che, al momento della redazione, il soggetto era del tutto privo della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi. Tale onere probatorio grava su chi contesta la validità del testamento. A tale proposito in Cassazione, ordinanza 17 novembre 2022, n. 33914 si legge: “L’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula la esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del ‘de cuius’, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, con il conseguente onere, a carico di chi quello stato di incapacità assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere” (conformi: Cass. 22 gennaio 2019 n. 1682, Cass. 4 febbraio 2016 n. 2239, Cass. 10 marzo 2014 n. 5527; Cass. 6 novembre 2013 n. 24881).

L’individuazione dell’incapacità testamentaria può risultare particolarmente complessa nei casi di testamento olografo, poiché spesso non è possibile stabilire con esattezza il momento in cui l’atto è stato scritto e se il testatore si trovasse in uno stato di lucida consapevolezza.

Al contrario, nel testamento pubblico, la presenza del notaio offre una maggiore garanzia sulla valutazione della capacità del testatore, poiché il notaio può avvedersi dello stato di incoscienza o inconsapevolezza del testatore. Inoltre, il testamento pubblico prevede l’indicazione dell’orario di sottoscrizione, permettendo di collocare con certezza l’atto in un preciso momento temporale.

Amministrazione di sostegno e capacità testamentaria

La legge n. 6 del 2004 ha introdotto nel Codice Civile una disciplina volta a proteggere le persone che si trovano in condizioni di fragilità, senza però privarle completamente della loro autonomia.

L’amministrazione di sostegno, regolata dagli articoli 404-413 del Codice Civile, si fonda sul principio secondo cui la capacità di agire dell’individuo deve essere limitata solo nella misura strettamente necessaria alla tutela dei suoi interessi personali e patrimoniali, in base a una valutazione caso per caso da parte del giudice.

L’art. 409 del Codice Civile stabilisce che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno mantiene la capacità di compiere gli atti per i quali non sia richiesta la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’amministratore, determinando così un’incapacità parziale e circoscritta, con la conseguenza che il beneficiario può – tra le altre facoltà – validamente disporre per testamento, salvo diversa decisione del giudice.

L’articolo 411 del Codice Civile consente al Giudice Tutelare di estendere al beneficiario dell’amministrazione di sostegno effetti, limitazioni o decadenze previsti dalla legge per le persone sottoposte a interdizione o inabilitazione. Questa estensione può essere disposta sia nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno sia in un momento successivo e può anche riguardare la capacità di donare e testare (Cassazione, ordinanza 21 maggio 2018, n. 12460, per la quale “Il giudice tutelare può provvedere d’ufficio, sia con il provvedimento di nomina dell’amministratore, sia mediante successive modifiche, la limitazione della capacità di testare o donare del beneficiario, ove le sue condizioni psico-fisiche non gli consentano di esprimere una libera e consapevole volontà”).

In assenza di un provvedimento espresso, il beneficiario dell’amministrazione di sostegno non rientra automaticamente tra i soggetti incapaci di testare. A tale proposito, Cassazione, ordinanza 28 aprile 2022, n. 13270 afferma che “Ex art. 411 c.c., comma 4, infatti, al giudice tutelare compete di delineare gli esatti contorni della sfera di comportamenti rilevanti che al beneficiario risultano preclusi, richiamandosi eventualmente alle limitazioni previste dalla legge con riguardo ai soggetti interdetti o inabilitati. E’ stato giustamente osservato in dottrina che l’estensione non implica, tramite la tecnica della relatio, il richiamo della specifica norma limitativa (ad esempio l’art. 591 c.c., comma 2, n. 2). Occorre tuttavia che, sia pure in forma implicita, la limitazione di capacità risulti specificamene stabilita con il provvedimento. In assenza di qualsiasi riferimento nel provvedimento, ad esempio, all’incapacità di fare testamento, non sono consentite valutazioni logiche o di coerenza fondate sull’ampiezza degli atti per i quali il provvedimento abbia previsto la rappresentanza o l’assistenza dell’amministratore di sostegno. Salva specifica disposizione limitativa del giudice tutelare, la capacità di testare è conservata dal beneficiario dell’amministrazione di sostegno. Il testamento fatto dal beneficiario dell’amministrazione di sostegno non è quindi annullabile ai sensi dell’art. 591 c.c., comma 2, n. 2”.

A seconda della graduazione dei poteri conferiti all’amministratore di sostegno e, quindi, della residua capacità rimasta in capo al beneficiario, si suole distinguere tra un amministratore sostituto, quando il beneficiario si trova in una condizione di totale incapacità di intendere e volere, e un amministratore assistente, tutte le volte in cui il beneficiario mantiene la capacità di compiere atti, anche significativi, di amministrazione del proprio patrimonio e di cura della propria persona. Nel primo caso l’amministrazione di sostegno presenta caratteristiche affini alla tutela, nel secondo caso, invece, l’istituto dell’amministrazione di sostegno si avvicina alla curatela, in relazione alla quale l’ordinamento non prevede i divieti di ricevere per testamento e donazione che, al contrario, sono previsti per tutore e protutore (Cassazione, sentenza 4 marzo 2020, n. 6079).

L’art. 411 del Codice Civile prevede espressamente un’ipotesi di incapacità testamentaria e donativa in relazione all’amministratore di sostegno, il quale non può ricevere disposizioni testamentarie o donazioni dal beneficiario durante l’esercizio dell’incarico, salvo che vi sia uno dei rapporti indicati nella norma, cioè parentela entro il quarto grado o coniugio (nonché unione civile) o convivenza. Si ritiene che tale incapacità di ricevere per testamento sia riferibile solo al caso di amministratore di sostegno cosiddetto sostituto, con l’effetto che, in caso di amministrazione di sostegno assistente, questi potrebbe ereditare o ricevere un legato anche se non legato da uno dei detti rapporti con il beneficiario (Cassazione, sentenza 4 marzo 2020, n. 6079; Tribunale Trieste, sentenza 6 maggio 2017 n. 313; Tribunale Torre Annunziata, sentenza 28 marzo 2024, n. 929).

La norma da ultimo citata conferma, indirettamente, che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno mantiene la capacità di testare, salvo i casi in cui il giudice abbia disposto diversamente o venga dimostrato un concreto stato di incapacità naturale al momento della redazione dell’atto di ultima volontà.

Una questione ancora aperta riguarda la possibilità di attribuire all’amministratore di sostegno un potere di assistenza al beneficiario nella redazione del testamento. Alcuni orientamenti giurisprudenziali si sono espressi in senso favorevole, prevedendo che tale potere possa consistere o nell’affiancamento del beneficiario al momento della formazione della volontà oppure nella trascrizione delle volontà testamentarie se il beneficiario sia impossibilitato fisicamente a redigere un testamento olografo.

A tale proposito è emblematico il caso deciso da Tribunale di Varese 12 marzo 2012 ove i giudici hanno affermato che il paziente affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) può fare testamento, dettando le proprie volontà all’amministratore di sostegno avvalendosi del comunicatore oculare; in concreto è stato stabilito che l’amministratore avrebbe dovuto dapprima raccogliere una rappresentazione fotografica della schermata a video e poi trascriverne il contenuto.

Nel caso trattato dal Giudice Tutelare di Milano, decreto n.11965/2011  del 24 febbraio 2015, il magistrato, valutata la possibilità del soggetto interessato di utilizzare un comunicatore oculare, ha precisato che “il paziente affetto da SLA possa fare testamento dettando le proprie volontà all’amministratore di sostegno avvalendosi del comunicatore oculare, non potendosi ammettere che un individuo perda la facoltà di testare a causa della propria malattia, trattandosi di una discriminazione fondata sulla disabilità, precisando inoltre, che per i pazienti affetti da SLA deve ritenersi sussistente un vero e proprio diritto alla comunicazione non verbale, mediante l’utilizzo di un comunicatore a puntamento oculare”.

Va tenuto altresì presente che, secondo quanto prevede la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, gli Stati che l’hanno ratificata provvedono «ad accettare e facilitare nelle attività ufficiali il ricorso da parte delle persone con disabilità […] alle comunicazioni aumentative ed alternative e ad ogni altro mezzo, modalità e sistema accessibile di comunicazione di loro scelta» (articolo 21, comma b). Lo Stato italiano ha ratificato la convenzione con Legge 3 marzo 2009, n. 18.

I due provvedimenti giudiziali sopra citati, seppure condivisibili per l’intento mostrato di voler preservare la capacità di testare anche in capo a soggetti affetti da gravi disabilità, tuttavia hanno destato non poche perplessità sotto il profilo della tenuta giuridica di un testamento olografo siffatto, in evidente contrasto con l’art. 602 del Codice Civile per il quale il testamento olografo dev’essere scritto per intero, datato e sottoscritto di pugno dal suo autore, pena la nullità.

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 21 maggio 2018 n. 12460, già citata prima, sembra farsi carico delle perplessità e afferma che negli atti personalissimi, qualora le facoltà cognitive e volitive del testatore risultino gravemente compromesse, non si possono facilmente ipotizzare forme di mediazione o integrazione da parte di terzi e che l’introduzione di un consenso esterno risulterebbe in evidente contrasto con il carattere strettamente personale dell’atto di ultima volontà e con la tutela della capacità del beneficiario, che rappresenta la finalità stessa dell’istituto.

In senso opposto, l’ordinanza della Corte di Cassazione del 15 marzo 2021, n. 7194 ha invece aperto alla possibilità che il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno attribuisca a questi un potere di assistenza nella predisposizione delle disposizioni testamentarie. Nel caso specifico, il decreto prevedeva che la validità del testamento fosse subordinata alla presenza di un’autorizzazione scritta dell’amministratore, non tanto per l’esercizio del potere di testare in sé, quanto per la materiale stesura delle singole disposizioni di ultima volontà. Di conseguenza, il ruolo dell’amministratore si configurava come un’integrazione negoziale della volontà testamentaria del beneficiario.  Secondo la Corte, questa configurazione non solo è compatibile con l’ordinamento, ma implica la necessità di distinguere la capacità testamentaria “attenuata” del beneficiario dell’amministrazione di sostegno da quella dell’interdetto, che è soggetta a un regime differente e più restrittivo.

Sull’argomento è stata molto rigorosa la Commissione Regionale di Disciplina della Puglia con la decisione del 15 febbraio 2022 che ha stabilito che viola l’art. 603 del Codice Civile il notaio che consente l’intervento (e la conseguente sottoscrizione) dell’amministratore di sostegno nel testamento pubblico da lui ricevuto nonostante vi sia stata formale autorizzazione in tal senso da parte del giudice tutelare (allegata all’atto): tanto in considerazione del carattere strettamente unilaterale, unisoggettivo e personalissimo del testamento, come è confermato appunto dal detto art. 603 c.c., che limita l’intervento di altri soggetti, oltre ai testimoni, esclusivamente nel caso di testamento del muto e del sordo. Il notaio, invece, avrebbe dovuto evidenziare l’abnormità del provvedimento giudiziale e, avvalendosi dello “ius postulandi” concessogli dall’art.1 della Legge Notarile, chiedere la modifica del provvedimento autorizzativo. La violazione della norma civilistica comporta violazione dell’art.28 Legge Notarile.

Dubbi e perplessità possono essere fugati mediante il ricorso al testamento per atto pubblico ove la redazione è per definizione affidata a persona terza, il notaio; ancor di più oggi, essendo oramai consentito ai notai avvalersi delle nuove tecnologie della comunicazione, quali i moderni dispositivi di ausilio alle persone con disabilità che permettono al disabile una comunicazione con il notaio, con modalità alternative a quella verbale, che assicura ugualmente il corretto esercizio dell’espressione del pensiero e del controllo del testo e, unitamente alla lettura e all’ascolto diretto, garantiscono al beneficiario –  anche  in tali particolari casi – la percezione della corrispondenza della propria volontà con il testamento in  tal modo perfezionato. Il notaio, in detti casi, può esercitare pienamente l’indagine della volontà senza alcuna mediazione di interpreti o di amministratori di sostegno, con piena garanzia della certezza e della riferibilità della volontà al testatore (sul tema in generale, Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 174/2022, Sul superamento degli articoli 56 e 57 della legge notarile per i malati di sindrome laterale amiotrofica (SLA)).

Conclusioni

Il beneficiario di amministrazione di sostegno conserva la capacità di testare, salvo che il giudice tutelare non disponga espressamente il contrario, estendendo nei suoi confronti l’incapacità prevista per gli interdetti.

Ammettere in linea di principio la capacità di testare in capo al beneficiario impedisce che un individuo perda tale facoltà a causa di una qualunque condizione o patologia che, seppure disabilitanti, non abbiano menomato capacità cognitive e decisionali; si tratterebbe infatti di una discriminazione fondata sulla disabilità con sacrificio, peraltro, di una capacità, quella di fare testamento, legata anche alla sfera emotiva e più intima della persona.

Il testamento è atto giuridico che non produce effetti pregiudizievoli per il suo autore, in quanto opera solo dopo la sua morte; peraltro, qualora le disposizioni testamentarie risultassero lesive degli interessi dei familiari, questi ultimi avrebbero comunque a disposizione vari strumenti di tutela; inoltre, anche un testamento fatto dal beneficiario che, in astratto, abbia mantenuto la capacità di testare può essere sempre impugnato da chiunque abbia interesse, dimostrando che, al momento della redazione, egli era in uno stato di incapacità naturale tale da compromettere la sua volontà.

Considerato, infine, che nel testamento possono essere inserite anche disposizioni non patrimoniali e che queste hanno dignità al pari di quelle patrimoniali, se non talvolta superiore – si pensi alle disposizioni sulla propria sepoltura, al riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio, alla designazione del tutore o protutore, alla dichiarazione di riabilitazione dell’indegno, alla confessione, alle determinazioni sul diritto morale di autore e sulle sorti della propria corrispondenza e di altri scritti, personali e confidenziali, alle disposizioni connesse alla cosiddetta morte digitale – l’affermata capacità di testare del beneficiario costituisce uno strumento di valorizzazione della persona umana sia nell’immediatezza presente sia nella proiezione dopo di sé.

Vincenzo Spadola,  Notaio in Parma.

 

Fonti (in ordine di pubblicazione), oltre alle sentenze citate nel testo

Giovanni Bonilini, La capacità di testare e di donare del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, Famiglia, persone e successioni, n. 1, 1 gennaio 2005, p. 9

Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 623-2016/C, L’amministrazione di sostegno, est. S. Monosi e G. Taccone, Approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 14 giugno 2017

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Maria Novella Bugetti, Sulla dubbia capacità di testare del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, Il diritto degli affari, n. 2, 2021, p. 208

Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 174-2022/P, 1 febbraio 2023, Sul superamento degli articoli 56 e 57 della legge notarile per i malati di sindrome laterale amiotrofica (SLA)

Vito Amendolagine, Percorsi di giurisprudenza – Evoluzioni giurisprudenziali sull’Amministrazione di sostegno, Giurisprudenza Italiana, n. 8-9, 1 agosto 2023, p. 1940

Giancarlo Iaccarino, AA.VV., Successioni e donazioni, Edizione 2023, Capitolo XI, di Vera Tagliaferri

Matteo Gallione e Giuseppe Trapani, L’eliminazione delle barriere giuridiche per i soggetti vulnerabili ed il ruolo centrale del Notariato, Notariato, n. 1, 1 gennaio 2025, p. 15

L’ingresso del Giovane Notaio in uno Studio avviato: strategie per una convivenza e transizione vantaggiose – di Dott. Michele D’Agnolo

Per un giovane notaio, entrare in uno studio notarile avviato rappresenta un’opportunità preziosa, ma anche una sfida complessa. L’inserimento in uno studio già strutturato permette di beneficiare dell’esperienza del notaio senior, dell’accesso a una clientela consolidata e di una gestione organizzativa già rodata. Tuttavia, affinché questa convivenza professionale sia davvero vantaggiosa per entrambe le parti, il giovane notaio deve muoversi con attenzione e consapevolezza. È fondamentale sviluppare una strategia che faciliti non solo l’integrazione nello studio, ma anche una transizione graduale e proficua per il notaio senior, soprattutto se quest’ultimo si avvicina alla conclusione della propria carriera.

In questo articolo esploreremo i principali aspetti ai quali il giovane notaio deve prestare attenzione per costruire una collaborazione armoniosa ed efficace con il collega senior, assicurando al tempo stesso il successo dello studio e una solida base per la propria carriera futura.

  1. Rispetto per la Storia e la Cultura dello Studio

Quando un giovane notaio entra in uno studio avviato, il primo passo per garantire una convivenza vantaggiosa è comprendere e rispettare la storia e la cultura dello studio. Ogni studio notarile ha una propria identità costruita nel tempo, basata su valori, procedure operative, relazioni consolidate con i clienti e modalità di lavoro che riflettono la visione e l’esperienza del notaio titolare.

– Adattarsi senza stravolgere: Il giovane notaio deve essere consapevole che il successo dello studio è stato costruito grazie a determinate dinamiche e modalità operative. Inizialmente, è fondamentale imparare e rispettare queste prassi, evitando di proporre cambiamenti radicali che potrebbero destabilizzare il flusso di lavoro o la fiducia dei clienti.

– Osservare e imparare: La fase iniziale dovrebbe essere dedicata all’osservazione attenta di come lo studio funziona, sia a livello tecnico che relazionale. Questo non solo aiuta a comprendere meglio l’ambiente di lavoro, ma permette di individuare con precisione le aree dove si potrebbe apportare un contributo positivo in modo graduale e costruttivo.

  1. Comunicazione Aperta e Costruttiva

Una delle chiavi per una collaborazione di successo è una comunicazione chiara e trasparente con il notaio senior. La gestione di uno studio notarile implica spesso decisioni strategiche e operative complesse, e una cattiva comunicazione può generare fraintendimenti, tensioni e frustrazioni. Il giovane notaio deve dunque assicurarsi di instaurare un dialogo costante e aperto con il collega più esperto.

– Chiedere consiglio e feedback: Mostrarsi umili e pronti ad apprendere è una qualità apprezzata dal notaio senior. Nonostante il giovane notaio possieda competenze fresche e aggiornate, il confronto con chi ha accumulato anni di esperienza sul campo è fondamentale. Chiedere consigli su situazioni complesse o feedback sul proprio operato dimostra rispetto per l’esperienza del notaio titolare e facilita una maggiore integrazione.

– Condividere la visione del futuro: Una buona convivenza professionale si basa anche su una visione comune del futuro dello studio. Il giovane notaio deve essere chiaro riguardo alle proprie aspettative di crescita, senza tuttavia imporre la propria agenda. Questo permette di allineare le ambizioni personali con gli obiettivi dello studio e del collega senior, creando un percorso condiviso di sviluppo.

  1. Apporto di Innovazione senza Rompere gli Equilibri

Uno dei principali vantaggi che un giovane notaio può offrire è la capacità di introdurre innovazioni e soluzioni moderne che possano migliorare l’efficienza operativa dello studio o ampliare l’offerta di servizi. Tuttavia, questo processo deve essere gestito con attenzione, evitando di stravolgere equilibri consolidati.

– Innovazione mirata: Invece di proporre cambiamenti radicali, il giovane notaio dovrebbe concentrarsi su piccoli miglioramenti incrementali che possano portare benefici tangibili. Ad esempio, l’introduzione di nuove tecnologie per la gestione documentale, la digitalizzazione di alcune procedure o l’uso di strumenti digitali per la comunicazione con i clienti possono contribuire ad aumentare l’efficienza dello studio senza creare discontinuità.

– Rispetto per i processi tradizionali: Non tutte le innovazioni sono adatte a ogni studio. Prima di proporre modifiche, è essenziale comprendere perché certe procedure sono state adottate e valutare se un cambiamento possa effettivamente portare valore aggiunto, senza creare disagi per i clienti o il personale.

  1. Contribuire alla Gestione delle Relazioni con la Clientela

Uno dei principali patrimoni di uno studio notarile avviato è il rapporto consolidato con la propria clientela, spesso costruito nel corso di molti anni. Il giovane notaio deve approcciare con estrema cautela questa dinamica, consapevole che entrare in contatto con clienti storici dello studio richiede tatto e sensibilità.

– Affiancamento graduale: Inizialmente, il giovane notaio dovrebbe lavorare a stretto contatto con il collega senior nelle relazioni con i clienti più importanti. Questo permette ai clienti di conoscere gradualmente la nuova figura professionale e di instaurare fiducia, senza avere la sensazione di un cambiamento improvviso.

– Rispetto per le relazioni consolidate: I clienti storici di uno studio sono spesso abituati a interfacciarsi con il notaio senior. Forzare un cambiamento nelle dinamiche di relazione potrebbe generare disorientamento o insoddisfazione. È quindi fondamentale che il giovane notaio si mostri disponibile, ma allo stesso tempo rispettoso dei rapporti di fiducia consolidati dal collega senior.

  1. Gestione Attenta del Personale di Studio

Il personale di uno studio notarile, dagli assistenti ai collaboratori amministrativi, rappresenta una risorsa cruciale per il buon funzionamento dell’attività. Il giovane notaio deve essere consapevole che l’arrivo di una nuova figura può generare timori o incertezze tra i dipendenti, soprattutto se percepito come un possibile preludio a cambiamenti significativi.

– Costruire fiducia con il personale: Il giovane notaio deve cercare di instaurare rapidamente un buon rapporto con lo staff, dimostrandosi aperto al dialogo e pronto a valorizzare le competenze di ciascun collaboratore. Il supporto del personale è infatti fondamentale per garantire una transizione fluida e mantenere alta la qualità del servizio offerto.

– Non forzare cambiamenti organizzativi: Anche nel rapporto con il personale, è importante evitare di introdurre cambiamenti radicali nella gestione operativa dello studio. Ogni modifica deve essere ponderata e, possibilmente, concordata con il notaio senior, in modo da non generare incertezza o malcontento tra i dipendenti.

  1. Preparare una Transizione Progressiva e Graduale

Nel caso in cui il notaio senior si stia avvicinando al pensionamento o abbia già espresso la volontà di ridurre il proprio impegno professionale, il giovane notaio deve pianificare con cura la transizione generazionale. Questo processo deve essere graduale, con un affiancamento progressivo che permetta al nuovo notaio di acquisire competenze gestionali e di rafforzare il rapporto con la clientela e il personale.

– Definire un piano di successione: Il giovane notaio e il collega senior dovrebbero discutere apertamente le modalità di transizione, definendo un piano che stabilisca tempi e modalità del passaggio di consegne. Questo permette di evitare sorprese e di garantire continuità nell’erogazione dei servizi notarili.

– Trasparenza con i clienti: Una transizione efficace richiede anche una comunicazione chiara con la clientela. Annunciare per tempo il passaggio di consegne e coinvolgere i clienti nel processo permette di mantenere alta la fiducia e di evitare discontinuità nel rapporto professionale.

Conclusione: Una Collaborazione Vantaggiosa per Tutti

L’ingresso di un giovane notaio in uno studio avviato rappresenta un momento di grande opportunità, ma anche di sfida. Per garantire una convivenza vantaggiosa con il notaio senior e una transizione fluida, il giovane professionista deve agire con sensibilità, rispetto e apertura mentale. Un approccio basato sul dialogo, l’apprendimento reciproco e l’innovazione mirata può trasformare questa fase in una collaborazione di successo, che non solo valorizza il passato dello studio, ma ne garantisce un futuro prospero.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ

Le Associazioni tra Notai: una struttura associativa pacificamente adottabile nel contesto della Legge Notarile – di Dott. Michele D’Agnolo

Nel panorama delle professioni giuridiche, il ruolo del notaio è regolamentato da una serie di norme rigide volte a tutelare l’indipendenza e l’imparzialità del pubblico ufficiale. Tuttavia, come per altre categorie professionali, anche i notai possono sentirsi attratti da forme di collaborazione organizzata che permettano di condividere risorse, conoscenze e opportunità commerciali, mantenendo al contempo l’autonomia professionale. In tale contesto, l’associazione tra notai rappresenta la principale e, al momento, l’unica struttura associativa riconosciuta dalla Legge Notarile (Legge 16 febbraio 1913, n. 89), pacificamente adottabile all’interno del sistema.

La Struttura Associativa Prevista dalla Legge Notarile

L’associazione tra notai, sebbene non molto diffusa, è considerata una forma di collaborazione flessibile che permette ai professionisti di operare in sinergia senza compromettere l’autonomia individuale e il rispetto delle norme di deontologia notarile. La Legge Notarile consente ai notai di costituire associazioni per condividere spese comuni, come quelle relative all’ufficio, ai collaboratori o ai mezzi tecnologici, e per coordinare meglio le attività professionali, sempre nel rispetto delle competenze e responsabilità individuali.

Questa tipologia di collaborazione permette di migliorare l’efficienza operativa e, in alcuni casi, di potenziare l’offerta dei servizi notarili. Tuttavia, si tratta di una struttura associativa piuttosto limitata nella sua applicazione pratica, principalmente a causa delle stringenti disposizioni normative che regolano la professione notarile e della necessità di salvaguardare la terzietà e l’indipendenza del notaio.

L’articolo della Legge Notarile italiana che consente le associazioni tra notai dello stesso distretto è l’articolo 82.

Secondo questo articolo, i notai possono associarsi tra loro al fine di esercitare in comune le loro funzioni. Tuttavia, questa possibilità è limitata ai notai aventi sede in qualsiasi comune della regione, ovvero del distretto della Corte d’Appello in cui si trova la sede, se tale distretto comprende più regioni.

L’associazione consente ai notai di condividere i locali e le risorse, ma ciascun notaio resta comunque responsabile personalmente e autonomamente per i propri atti notarili.

Ecco il testo dell’articolo 82:

“Sono permesse associazioni di notai aventi sede in qualsiasi comune della regione, ovvero del distretto della Corte d’appello in cui si trova la sede, se tale distretto comprende più regioni, per svolgere la propria attività e per mettere in comune, in tutto o in parte, i proventi delle loro funzioni e ripartirli, poi, in tutto o in parte, in quote uguali o disuguali”.

Ciò significa che la ripartizione degli utili e delle spese tra i notai associati deve essere prevista nell’atto costitutivo dell’associazione notarile, lasciando quindi ai notai stessi la possibilità di determinare i criteri di divisione. Tuttavia, queste modalità devono rispettare quanto stabilito, ossia che ogni notaio mantiene la propria autonomia e responsabilità per gli atti compiuti.

In sintesi, è l’atto costitutivo dell’associazione a regolare come saranno ripartiti utili e spese tra i notai associati. Sempre più frequentemente si stabilisce un criterio di ripartizione dei proventi predeterminato, che in generale appare preferibile, almeno fintanto che rispecchia i rispettivi apporti. La normativa fiscale (art. 5 TUIR) consente anche la determinazione a posteriori, per accordo tra gli associati, purché con atto avente data certa anteriore a quella della presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno di cui trattasi.

Gli Elementi Essenziali dello Statuto di un’Associazione tra Notai

La costituzione di un’associazione tra notai richiede la predisposizione di uno statuto che definisca con precisione i termini della collaborazione e i diritti e doveri dei membri. Gli elementi essenziali dello statuto includono:

  1. Oggetto dell’associazione: L’associazione deve essere finalizzata esclusivamente alla gestione condivisa di alcuni aspetti operativi, come le spese per l’ufficio, l’acquisto di strumenti tecnologici o il supporto amministrativo. L’attività notarile, infatti, resta strettamente personale e deve essere svolta in modo autonomo da ciascun associato.
  2. Ruolo e responsabilità dei singoli notai: Lo statuto deve chiarire che ogni notaio, pur facendo parte dell’associazione, continua a esercitare la propria attività in maniera indipendente e secondo le proprie responsabilità professionali. Questo aspetto è fondamentale per mantenere la conformità alle normative vigenti e per garantire l’imparzialità del notaio.
  3. Modalità di gestione e ripartizione delle spese: Lo statuto deve prevedere le modalità con cui vengono gestite e ripartite le spese comuni, come l’affitto dell’ufficio, le utenze, il personale di segreteria o le attrezzature informatiche. È importante che queste modalità siano definite in maniera chiara e trasparente, per evitare conflitti tra gli associati.
  4. Modalità di gestione e ripartizione dei proventi e degli utili: Inoltre, lo statuto deve disciplinare anche la ripartizione degli utili. Sebbene i notai esercitino la loro attività individualmente, alcune attività comuni o collaborazioni tra associati potrebbero generare utili condivisi, come per esempio la gestione di incarichi ricevuti congiuntamente. In questi casi, le modalità di ripartizione degli utili devono essere indicate chiaramente, stabilendo le percentuali o i criteri che determinano la quota spettante a ciascun associato, tenendo conto del contributo di ciascuno alla generazione del reddito. Questo aspetto, però, va trattato con particolare attenzione, poiché ogni notaio è tenuto a rispettare l’autonomia professionale, il divieto di esercizio con finalità commerciali e la responsabilità personale del proprio operato. Di conseguenza, l’eventuale ripartizione degli utili deve essere compatibile con la normativa deontologica, garantendo che non si creino situazioni che possano minare l’indipendenza dei singoli notai.
  5. Governance e amministrazione dell’associazione: Sebbene si tratti di una struttura molto semplice, è utile prevedere uno o più soggetti incaricati dell’amministrazione delle spese comuni e della gestione delle risorse condivise. Tali figure possono essere designate dagli associati secondo modalità stabilite nello statuto.
  6. Durata e modalità di scioglimento: Lo statuto deve indicare la durata dell’associazione e le modalità di scioglimento o di recesso di un singolo associato, stabilendo le conseguenze economiche e operative di tali eventualità.
  7. Esclusione di finalità commerciali: È essenziale che lo statuto chiarisca che l’associazione non ha scopo di lucro né può operare con finalità commerciali, poiché questo sarebbe in contrasto con la normativa deontologica che regola la professione notarile. L’associazione deve servire esclusivamente a migliorare l’efficienza operativa dei membri.

Possibili Altre Forme di Collaborazione: Reti e Consorzi di Professionisti

Oltre all’associazione tra notai, un’altra forma di collaborazione che sembrerebbe astrattamente compatibile con il sistema notarile è rappresentata dalle reti tra professionisti e dai consorzi di professionisti, forme associative introdotte nel nostro ordinamento dal Jobs Act degli autonomi (Legge 22 maggio 2017, n. 81). Questi modelli organizzativi consentono ai professionisti di collaborare su progetti comuni o di partecipare congiuntamente a gare pubbliche, offrendo la possibilità di mettere in rete competenze e risorse senza compromettere l’autonomia dei singoli aderenti.

Tuttavia, l’applicabilità di tali modelli ai notai è ancora oggetto di discussione, poiché vi è necessità di un’interpretazione che concili le specificità della professione notarile con la flessibilità concessa dal Jobs Act. La delicatezza della figura del notaio, con la sua funzione pubblica di garanzia, rende infatti complessa l’adozione di strutture associative più ampie rispetto all’associazione notarile tradizionale.

Conclusioni

In sintesi, le associazioni tra notai rappresentano l’unica forma di collaborazione strutturata espressamente prevista e riconosciuta dalla Legge Notarile. Esse offrono un modello funzionale di condivisione delle risorse, garantendo al tempo stesso il rispetto dei principi di autonomia e indipendenza professionale che sono fondamentali per la figura del notaio. Accanto a queste, le reti e i consorzi tra professionisti previsti dal Jobs Act autonomi potrebbero forse rappresentare uno sviluppo interessante per il futuro, ma necessitano di ulteriori chiarimenti normativi e interpretativi per essere pienamente applicabili al settore notarile.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ

Opere agevolate 110% e profili applicativi ad atto notarile – di Notaio Roberto Santarpia

La circolare 13/E dell’agenzia delle entrate del 13 giugno 2024 in modo molto opportuno viene a chiarire alcuni punti oscuri circa il prelievo fiscale concretantesi in una plusvalenza in caso di alienazione a titolo oneroso di immobili sui quali sono stati eseguiti interventi agevolati quali previsti dall’art. 119 del D.Legge 19 maggio 2020 num. 77 (Superbonus).

Qui di seguito solo alcune considerazioni su aspetti rilevanti per l’esercizio dell’ attività notarile senza più addentrarsi nell’esaminare tutti gli aspetti del detto Decreto Legge.

Si noti in primis che tra gli interventi agevolati che fanno scattare l’imposta rientrano anche interventi finalizzati all’efficienza energetica e al consolidamento statico o alla riduzione del rischio sismico degli edifici nonché, a determinate condizioni, anche l’installazione di impianti fotovoltaici e delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici.

L’imposta scatta quando l’intervento ha usufruito dell’agevolazione del 110% anche se poi successivamente questa originaria percentuale è stata per legge ridotta e fissata in percentuali diverse a seconda del ricorrere di alcune condizioni, che non ci si sofferma qui ad elencare.

L’imposta scatta altresì ove il recupero fiscale è stato ottenuto attraverso l’utilizzo dell’opzione per lo sconto in fattura praticato dal fornitore o per la cessione del credito d’imposta; quindi colui che ha portato questo superbonus in detrazione dalla propria dichiarazione dei redditi non subisce l’inasprimento fiscale in oggetto.

Sono esclusi dalla tassazione gli immobili acquisiti per successione e quelli che sono adibiti ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte del periodo di 10 anni antecedenti alla cessione.

Questa plusvalenza si configura, con riferimento alle imposte dirette, quale reddito diverso, e quindi non conseguita nell’esercizio di arti e professioni o da parte di imprese commerciali o da società in nome collettivo o in accomandita semplice.

Ciò che assume una rilevanza essenziale ai fini dell’applicazione dell’imposta e quindi di attenzione da parte del Notaio nell’esaminare la fattispecie, consiste nel fatto che la detta imposta è dovuta anche se l’ intervento è effettuato solo sulle parti comuni del fabbricato  di cui fa parte una serie di unità immobiliari (cosiddetti interventi trainanti) senza che rilevi che siano stati effettuati  anche lavori sulla singola unità immobiliare (cosiddetti interventi trainati).

Secondo aspetto di particolare momento che dà origine alla plusvalenza e che i lavori (trainati cioè eseguiti sulle singole porzioni di immobile) possono essere stati eseguiti oltre che dal proprietario dello stesso o da un titolare di diritto reale parziario anche da soggetti diversi, quali inquilini, comodatari o familiari conviventi, situazione che non elide l’applicazione dell’imposta.

Ulteriore tratto molto delicato per il notaio è che l’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che la norma di legge prevede che questi lavori possono, come normalmente accade, imporre di allineare le rendite catastali ai miglioramenti ottenuti attraverso gli interventi realizzati con il superbonus. Considerato che solo la omissione della dichiarazione di conformità catastale oggettiva genera nullità dell’atto, la falsa dichiarazione di conformità non determina nullità non potendosi equiparare la dichiarazione non veritiera alla mancanza di dichiarazione per cui la conseguenza (diversa dalla nullità) consiste in responsabilità civile verso il compratore di cui il notaio non può disinteressarsi.

Roberto Santarpia,  Notaio in Orzinuovi.