SENTENZA DEL 27/09/2023 N. 2867/1 – CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA LOMBARDIA

Massima

Il curatore dell’eredità giacente può essere considerato esclusivamente detentore dei beni dell’asse ereditario al fine di adempiere a una serie di obblighi amministrativi e dichiarativi, ma non possessore nemmeno temporaneo degli stessi. Di conseguenza difetta a monte, in capo al curatore dell’eredità giacente, il “presupposto impositivo diretto”. In base a tale ragionamento la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia ha respinto l’appello dell’Ufficio e ritenuto non dovuta l’imposta di successione. Nel caso di specie, peraltro, pur volendo aderire alla tesi prospettata dall’Amministrazione finanziaria, il de cuius era privo di eredi e l’asse ereditario aveva valore negativo per cui non era dovuta alcuna imposta.

Sentenza

Testo:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il contenzioso ha ad oggetto un avviso di liquidazione emesso per imposte di successione (ipotecaria, catastale, bollo) a seguito del decesso di xxxx e subentro della curatela dell’eredità giacente (con nomina del Tribunale, sez. Volontaria Giurisdizione).

Il merito della questione (tralasciando una serie di eccezioni preliminari pure poste) è che la curatela ritiene non dovuto alcunché perché non ci sono eredi e l’asse ereditario è negativo per ? 217.000; per di più il curatore si limita alla amministrazione dei beni ma non ne ha il possesso sicché manca, a suo dire, il presupposto impositivo. L’Ufficio sostiene invece che se è vero che i soggetti passivi dell’imposta siano gli eredi e chi presenta la dichiarazione di successione, è altrettanto vero che i curatori dell’eredità giacente sono immessi nel possesso temporaneo dei beni sicché, dal punto di vista fiscale, il curatore è nel possesso dei beni che amministra.

La CTP ha accolto il ricorso ritenendo che il curatore dell’eredità giacente non possa essere ritenuto responsabile del pagamento delle imposte di successione, bollo, ipotecarie e catastali o di tutti i tributi riferibili alla massa ereditaria in attesa di assegnazione. Ciò perché: si limita ad amministrare i beni, non è nel possesso dei beni, nessun trasferimento di ricchezza si è verificato a suo favore. Ne consegue che manca la soggettività passiva di imposta. Le spese sono state compensate.

Propone appello l’ufficio. Ripercorre e analizza l’istituto della curatela dell’eredità giacente e sottolinea che i curatori hanno specifici obblighi anche fiscali fra cui il pagamento dell’imposta di successione, in quanto il curatore è obbligato e presentare la dichiarazione di successione ed è indicato ex lege come responsabile solidale dell’imposta, anche se non è propriamente il soggetto passivo che è invece l’erede che accetta. A dire dell’ufficio l’inesistenza di chiamati all’eredità e l’avere indicato nella dichiarazione di successione lo Stato come beneficiario non comporta l’automatico esonero dal versamento perché ciò può ritenersi definitivo solo alla scadenza del termine di 10 anni dall’apertura della successione. Si richiama una sentenza della CTP di Milano che ha confermato che il curatore deve pagare anche se è indicato lo Stato come beneficiario (n. 1499/2022). Quanto al presupposto impositivo, in ambito tributario il curatore deve intendersi fiscalmente possessore dei bei che amministra.

Si è costituita la curatela dell’eredità giacente chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.

Ha depositato successiva memoria l’ufficio per evidenziare ulteriore giurisprudenza di merito a sé favorevole anche di secondo grado di questa Corte di II (2488/2023).

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello dell’Ufficio è infondato e, pertanto, non merita accoglimento, con conseguente doverosa conferma della decisione di primo grado.

Anzitutto occorre ricordare che, per consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, il giudice, nel motivare “concisamente” la sentenza secondo i dettami di cui all’art. 118 disp. att. cpc, non è tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti, ben potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni, di fatto e di diritto, considerate rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata. Ne consegue che quelle residue, non trattate in modo esplicito, non devono necessariamente essere ritenute come “omesse”, per effetto di “error in procedendo”, ben potendo esse risultare semplicemente assorbite (ovvero superate) per incompatibilità logico- giuridica con quanto concretamente ritenuto provato. Alla luce di quanto appena ricordato, si deve quindi precisare che la trattazione sarà in questa sede limitata all’approfondimento delle sole questioni rilevanti e dirimenti ai fini del decidere; ritenendosi quindi assorbite tutte le altre eccezioni e questioni. E ciò in applicazione del principio della cosiddetta ‘ragione più liquida’ desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., ulteriormente valorizzato e confermato dalla Suprema Corte (Cass. Civ., ord. n. 26214/2022; Cass. Civ., ord. n. 9309/2020; Cass. Civ., ord. n. 363/2019; Cass. Civ., ord. n. 11458/2018; Cass. Civ. SSUU sentenza n. 24883/2008; Cass. Civ. n. 26242/2014 e Cass. Civ. n. 9936/2014).

Ai sensi dell’articolo 5 del D. Lgs. 31.10.1990, n. 346 (TUS), i soggetti passivi dell’imposta sono gli eredi; ai sensi del successivo articolo 28, comma 2, l’obbligo di presentazione della dichiarazione di successione grava sui soggetti chiamati all’eredità, i legatari, ovvero i loro rappresentanti legali, gli immessi nel possesso temporaneo dei beni dell’assente, gli amministratori dell’eredità, i curatori delle eredità giacenti, gli esecutori testamentari. Quanto al pagamento delle imposte di successione, l’articolo 36 del TUS stabilisce che “Fino a quando l’eredità non sia stata accettata, o non sia stata accettata da tutti i chiamati, i chiamati all’eredità, o quelli che non hanno ancora accettato, e gli altri soggetti obbligati alla dichiarazione della successione, esclusi i legatari, rispondono solidalmente dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti”.

A parere di questa Corte il curatore dell’eredità giacente può essere al massimo considerato un detentore dei beni dell’asse ereditario in funzione dell’adempimento di una serie di obblighi di amministrazione e dichiarativi, ma non un possessore nemmeno temporaneo dei beni stessi, con la conseguenza che difetta a monte il presupposto impositivo diretto. Né tale conclusione è smentita dal disposto dell’art. 36 TUS laddove considera ‘i soggetti obbligati alla dichiarazione di successione’ comunque responsabili in via solidale delle imposte dovute; è infatti evidente, anche dalla dizione letterale della norma, che una forma di responsabilità solidale presuppone l’esistenza di un obbligato in via principale e dunque la presenza e l’identificazione di eredi o almeno soggetti chiamati alla eredità. Condizione che difetta nel caso di specie non esistendo né eredi né chiamati alla eredità, come confermato dalla dichiarazione di successione che indica lo Stato come beneficiario.

Peraltro, la stessa Amministrazione Finanziaria che considera il curatore dell’eredità giacente un possessore dei beni, con la risposta ad interpello n. 587 del 15.09.2021 ha comunque affermato che il curatore è obbligato a versare l’imposta nei limiti del valore dei beni ereditari posseduti. Ora, nel caso in esame, da un lato, l’eredità è devoluta allo Stato non risultando neppure identificati chiamati all’eredità, sicché già per questo non possono essere pretese imposte di successione o catastali o ipotecarie; dall’altro, comunque, chi è nel possesso dei beni ereditari (e come detto non è tale il curatore dell’eredità giacente) fino alla accettazione dell’eredità non può essere chiamato a rispondere dell’imposta oltre il limite del valore dei beni posseduti che nel caso di specie non esiste perché l’asse ereditario è negativo. In altri termini, pur volendo aderire alla ricostruzione dell’Ufficio sulla qualità del curatore dell’eredità giacente (che comunque questa Corte non condivide), non può pretendersi nel caso di specie alcuna imposta a nessun titolo essendo l’asse ereditario devoluto allo Stato e di valore negativo.

La giurisprudenza di merito si è già espressa più volte in questa stessa direzione: CTP Milano, sez. 16, n.604/2022; CGT II grado Lombardia, sez. 22, n.4078/2022; CTG I grado Milano, sez. 5, n.2973/2022; CTG I grado Milano, sez. 20, n.3594/2022; CGT II grado Lombardia, sez.6, n.1626/2023; CTP Torino 545/3/2020; CTP Milano 725/2022, CGT I Milano 2973/2022); CTP Milano 945/2021; CTP Milano 1632/2021; CTP Milano 604/2022.

La condanna al pagamento delle spese di lite segue la soccombenza e le stesse si liquidano, tenuto conto della natura e del valore della controversia, nonché dei parametri tabellari di riferimento, in complessivi? 1.202; oltre al 15% a titolo di rimborso spese generali e accessori di legge ove dovuti.

P. Q. M.

La Corte di Giustizia Tributaria di II° per la Lombardia

RIGETTA

L’appello dell’Ufficio e per l’effetto conferma la sentenza di primo grado.

CONDANNA

L’Ufficio soccombente alla rifusione delle spese di lite che si liquidano, con riferimento a questo grado di giudizio, in complessivi? 1.202 oltre al 15% a titolo di rimborso forfettario spese generali e accessori di legge ove dovuti.

Barbara Bosso de Cardona,  Notaio.

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