Scagli la prima pietra chi, nel proprio lavoro, non ha mai commesso un errore. A ciascuno di noi sarà capitato almeno una volta nella vita di non aver svolto un lavoro al meglio delle nostre possibilità, di aver fatto arrabbiare un cliente o di aver contrariato un nostro superiore.  Nella maggioranza dei casi non dipende tanto da incompetenza o da negligenza quanto piuttosto da una concomitanza di fattori: un carico di lavoro eccessivo, un equivoco riguardo alle responsabilità cui siamo chiamati, carenza di informazioni adeguate, inesperienza diretta su una specifica casistica, strumenti di lavoro inadeguati, mancanza di comunicazione, il collega che non ci aggiorna, il cliente che fa orecchie da mercante. Nessuna attenuante, si badi bene. Ma nessuno sbaglia mai con piacere. Allora, a fronte ad un errore, nostro o del nostro staff, come dobbiamo comportarci? Innanzitutto, ovviamente, bisogna cercare di correre ai ripari e aggiustare per quanto possibile la situazione contingente: correggere un dato anagrafico, recuperare un documento, registrare un atto. Insomma, spengo l’incendio. Una volta sistemate le cose occorre poi riflettere sulle cause che hanno portato all’errore e chiedersi cosa ha contribuito a farlo accadere. Insomma, indago sulle cause scatenanti. Il che non significa avviare una caccia alle streghe per rintracciare un colpevole. Ci interessa il peccato, non il peccatore. Anzi di più, ci interessa capire se sia possibile evitare che ciò che ci ha indotto in errore possa ripresentarsi in futuro. Insomma, metto lo studio in sicurezza.

Per ricapitolare: individuata la causa (l’atto non riporta le clausole corrette), ne indago la causa (non ho lavorato sullo schema d’atto aggiornato), intervengo con una azione migliorativa (redigo una procedura che stabilisce a tutto lo studio chi deve fare cosa in merito all’aggiornamento degli schemi d’atto). E non dovrebbe finire qua: dovremmo anche prenderci il tempo per verificare se le misure adottate hanno davvero risolto il problema definitivamente. Se nonostante la procedura dovessimo riscontrare la stessa anomalia in un altro atto, significherebbe evidentemente che la misura adottata non è stata efficace E così l’iter si ripete di analisi si dovrebbe ripetere.

Questo è quello che ci chiede di fare lo standard internazionale Iso 9001, che definisce i requisiti che un’organizzazione deve possedere per ottenere la certificazione di qualità. E utilizza una terminologia tecnica molto precisa:

  • non conformità: identifica l’anomalia, l’irregolarità, il problema
  • correzione; identifica l’azione volta ad eliminare la non conformità
  • azione correttiva: identifica l’azione finalizzata a rimuovere causa che ha generato la non conformità

Il citato standard ci chiede anche di documentare l’analisi e la gestione della non conformità. Questo permette allo studio di avere sempre traccia delle non conformità identificate, delle azioni correttive intraprese e dei risultati ottenuti oltre che di poter identificare eventuali tendenze e le aree di miglioramento su cui investire.


La gestione delle non conformità può essere vista come un processo di apprendimento continuo dall’esperienza degli errori. Ogni non conformità è una lezione in sé, è un’opportunità per lo studio di comprendere meglio i propri processi, individuare eventuali debolezze o inefficienze e adottare misure per prevenirne la ricorrenza.

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network

 

Recommended Posts