La formazione dello staff dello studio notarile – a cura Dott.ssa Anna Lisa Copetto

È del tutto evidente che gli studi che dispongono delle migliori risorse umane sono quelli che godono di un maggiore successo, sia economico che reputazionale. Uno staff più competente è in grado di dare allo studio notarile un vantaggio competitivo estremamente rilevante e stabile nel tempo.

Ecco perché è importantissimo che le persone siano costantemente aggiornate rispetto ai temi di cui si occupano, ma anche che diventino ogni giorno più flessibili apprendendo nuove professionalità, in un’ottica di anche di un eventuale ampliamento della propria mansione.

Ci si riferisce non solo alle competenze tecniche e giuridiche, certamente imprescindibili, ma anche a quelle che oggi si definiscono competenze trasversali, come ad esempio la capacità di gestire un cliente difficile, di comunicare in modo efficace, di gestire in modo proficuo il tempo a disposizione, di lavorare in gruppo, di gestire e risolvere problemi, ecc. Cose che crediamo di saper fare ma che potremmo gestire in modo molto più consapevole  ed efficace se ci venissero spiegate. Un aspetto molto spesso trascurato, ad esempio,  riguarda la capacità dello staff di utilizzare al meglio gli strumenti tecnologici e informatici dello studio: troppe volte constatiamo un significativo sotto utilizzo di tecnologie più o meno sofisticate messe a disposizione, con un’evidente dispersione di risorse economiche e di tempo.

Tutto questo si può fare convincendo o spingendo le persone ad aggiornarsi da sole. L’autoapprendimento rischia tuttavia di essere molto più lento e meno efficiente dei risultati che si possono ottenere focalizzando interventi addestrativi opportuni.  Quindi si può fare meglio, aiutandole nel cambiamento con supporti di formazione e di addestramento pianificati in funzione delle reali necessità dello studio e delle attitudini della persona.

La formazione è necessaria ed indispensabile non solo per ottenere performance migliori ma anche per motivare il personale  e favorire una serie di cambiamenti positivi nei comportamenti che poi si riflettono sul risultato complessivo dello studio.

Sappiamo naturalmente che la formazione ha un duplice costo: quello del corso/formatore e quello del tempo speso dalle persone per frequentarlo. Così talvolta capita che i titolari dello studio rinuncino alla formazione del proprio staff ritenendo di non potersi permettersi l’uno e l’altro, realizzando così una profezia che si autoavvera, quella dello studio che non evolve.

Per avviare un piano di formazione del personale efficace e proficuo è necessario procedere in 3 step: analisi del reale fabbisogno formativo,  Progettazione e attuazione della formazione e valutazione dei risultati.

In conclusione, la formazione, se ben gestita, aiuta lo studio a competere efficacemente, purché sia vista e trattata come un elemento di un quadro più ampio di cambiamento che molto spesso richiede il coinvolgimento attivo dei titolari dello studio per un periodo di tempo più prolungato.

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network

 

Le reti di studi notarili – a cura Dott. Michele D’Agnolo

L’art. 12 della L. 22 maggio 2017, n. 81 ha introdotto nell’ordinamento italiano la possibilità di costituire aggregazioni professionali utilizzando nuove forme giuridiche.

In particolare, vengono estesi agli studi professionali alcuni istituti giuridici già noti al mondo delle imprese. Si tratta delle reti tra professionisti, dei consorzi stabili tra professionisti e delle associazioni temporanee tra professionisti.

In particolare, per concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti pubblici e privati, e’ riconosciuta ai professionisti, a prescindere dalla forma giuridica con cui esercitano la professione, la possibilità di costituire reti di professionisti o di partecipare a reti miste con imprese, con accesso alle relative provvidenze in materia. È inoltre consentito di costituire consorzi stabili professionali e associazioni temporanee professionali. Quest’ultima forma era già ammessa nella prassi, ma è stata finora utilizzata solo per partecipare a determinati appalti pubblici o per adire ad alcune agevolazioni. Escludendo dalla trattazione le ATP, che hanno per natura un utilizzo abbastanza limitato, conviene concentrarci sulle reti e sui consorzi. Al momento l’attività prevista dal legislatore in via esclusiva per queste strutture intermedie sembrerebbe riguardare il co-branding e il co-marketing, cioè la condivisione della comunicazione esterna volta al perseguimento di nuovi mandati professionali. Ma a ben vedere, se la finalità dello strumento è il perseguimento di incarichi più ampi e complessi, allora si deve poter presupporre anche una reciproca collaborazione e un coordinamento nella fase di pianificazione e di esecuzione degli stessi, con una suddivisione dei compiti. Se poi si inquadra il contratto di rete o di consorzio tra professionisti quale contratto atipico non vietato dall’ordinamento ex art. 1322 cc.

non sembra di rilevare particolari ostacoli giuridici nemmeno alla costituzione di realtà orientate anche ad esempio al coordinamento negli approvvigionamenti o nella gestione di vere e proprie “fasi” dei rispettivi studi. Si pensi ad un centro condiviso per la esecuzione degli adempimenti successivi alla stipula.

Come si può immediatamente intravvedere, si tratta di strumenti relativamente semplici e proprio per questo di grande rilievo perché riescono a conciliare il grande bisogno di indipendenza del singolo professionista con la necessità di un sempre maggiore coordinamento imposta dal mercato, superando sia le logiche riduttive della mera condivisione di costi che quelle troppo stringenti dell’associazione, oggi peraltro penalizzata dalla presenza dell’IRAP. 

Così come le reti tra imprese stanno riscuotendo un crescente successo tra le piccole e medie imprese italiane, ritengo ci sia da attendersi altrettanto interesse e diffusione per gli strumenti di aggregazione “debole” tra studi professionali che oggi vengono proposti, e che questi si possano estendere – mutatis mutandis – anche all’ambito notarile. Tra l’altro, reti e consorzi si possono anche impiegare in via propedeutica rispetto ad aggregazioni più approfondite, in quanto consentono di convivere e di mettersi reciprocamente alla prova prima di convolare eventualmente a “giuste nozze”.

Per quanto riguarda le reti tra professionisti, al momento la norma sembra consentire fondamentalmente due tipologie di accordo. Le reti esclusivamente tra professionisti, e le reti miste con imprese. Mentre gli specifici principi legali e deontologici della professione notarile escludono a mio avviso a priori la possibilità di reti miste tra studi notarili e imprese e di reti interprofessionali tra studi notarili e altri professionisti, non sembra  – almeno prima facie – di rilevare ostacoli alla creazione di reti o consorzi esclusivamente tra studi notarili, quantomeno tra quelli presenti nello stesso Distretto Notarile. Al momento non sembra di rilevare pronunciamenti ufficiali in merito da parte del CNN.

Un Notaio può intervenire alla rete in forma di professionista individuale ma anche direttamente con la propria associazione professionale.

Una volta debitamente sviscerati i risvolti deontologici, i contratti di rete tra Notai potrebbero forse essere utili anche per consentire aggregazioni deboli, di presidio territoriale, tra soggetti ai quali non sono consentite forme di avvicinamento maggiori, si pensi ai Notai operanti in aree diverse, ai quali oggi è preclusa l’associazione professionale.

Il contratto di rete tra professionisti nulla modifica rispetto alle responsabilità professionali e personali del singolo aderente.

È possibile costituire delle reti contratto, con valenza meramente interna tra gli studi notarili aderenti e delle reti soggetto, con attività esterna, diretta nei confronti ad esempio della clientela.

Anche qui cautela suggerisce per il momento di limitarsi alle reti contratto, attraverso le quali ad esempio alcuni Notai potrebbero decidere di comunicare all’esterno le competenze e l’organizzazione dei rispettivi studi in modo coordinato, con un sito web e una comunicazione social comuni.  

Ulteriori utilizzi del contratto di rete tra Studi Notarili possono emergere dalla facoltà che la rete ha di assumere dipendenti in co-datorialità. Si pensi alla possibilità di avere un addetto antiriciclaggio dedicato che svolge il suo lavoro a turno a vantaggio di una pluralità di studi.

La norma che ammette la partecipazione dei professionisti alle reti professionali e miste non brilla per chiarezza, in quanto secondo alcuni sembrerebbe richiedere  – ad substantiam – l’iscrizione dell’atto costitutivo al Registro delle Imprese. Iscrizione, peraltro, non possibile a causa del principio di tassatività. Sul punto è però intervenuto il Ministero dello Sviluppo Economico che con propria nota ha chiarito che l’impossibilità della pubblicità non implica l’impossibilità dell’utilizzo dello strumento.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

Il notaio e la gestione delle emozioni – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Dallo straordinario sodalizio artistico di Battisti e Mogol è nata una canzone immortale che ci ricorda l’importanza delle emozioni.

Ma perché mai uno studio notarile dovrebbe interessarsi di un tema psicologico, apparentemente lontano dal diritto immobiliare, societario e successorio e dall’operatività quotidiana?

Ebbene, le emozioni sono di enorme interesse per gli studi notarili perché costituiscono il motore del comportamento delle persone. Se non bastasse l’evidenza schiacciante dell’etimo, eccovi qualche esempio.

Pensiamo alla gioia che prova il notaio o l’assistente quando un cliente riconosce un lavoro ben fatto. Una piccola lode, o un piccolo omaggio, che risultano spesso molto più appagante di qualsiasi incentivo economico. Gratificazioni che possono motivare un collaboratore anche molto a lungo.

O ancora al passaparola positivo del cliente che, ricordando del trattamento umano e compassionevole che ha ricevuto nella gestione della pratica di successione di un caro congiunto parla bene dello studio a tutto il suo entourage di amici e conoscenti.

Ma le emozioni che si possono ritrovare all’interno di uno studio non sono sempre e solo piacevoli.

La rabbia, quando l’assistente notarile si innervosisce per la pressione di un cliente che ha urgenza di fissare l’appuntamento per la stipula. La paura, nelle sue molte sfaccettature.

La paura del cliente che si affaccia per la prima volta alla soglia di uno studio notarile e deve appena sviluppare il rapporto di fiducia con il professionista.

Negli assistenti notarili, una tra le più comuni è la paura di sbagliare, che può frenare la produttività fino a paralizzare chi lavora al punto di non riuscire a prendere più alcuna decisione.

Ma c’è anche la paura, che può diventare ansia, di non farcela a reggere una mole di lavoro straordinariamente alta o di non riuscire a completare in tempo un atto già fissato in stipula.

Non possiamo non citare la paura del nuovo e di non riuscire a imparare, o di dover rallentare e lasciare indietro il lavoro, di fronte ad un cambiamento lavorativo importante come il cambio della suite del software notarile o delle proprie mansioni all’interno dello studio.

L’effetto delle emozioni positive e negative è spesso sottovalutato dal notaio che misura il comportamento dei collaboratori sulla propria capacità di gestione emotiva e del cambiamento, che sono di solito molto più sviluppate di quelle degli assistenti notarili. Fin dai tempi del concorso il notaio sviluppa una grande resilienza emotiva.

Alle volte l’emozione non viene esternata, ma non per questo è meno importante.

Si pensi a quando un collaboratore particolarmente coscienzioso sbaglia e si arrabbia con sé stesso fino all’autoflagellazione, con il notaio costretto a tirarlo su di morale invece che a rimproverarlo.

Per migliorare la gestione dello studio notarile, occorre quindi considerare sempre che le persone con cui interagiamo nell’attività quotidiana hanno contemporaneamente un lato razionale ed un lato emotivo. Viene a mente il commercialista che si sente sminuito perché non ha immediata attenzione da parte del notaio ma viene dirottato su un collaboratore.

Le emozioni sono contagiose, quindi il notaio deve stare molto attento a quello che dice e a come lo dice.

Quando il notaio entra in studio i collaboratori lo guardano e dal linguaggio del corpo cercano di decifrare di che umore è, per decidere a loro volta di che umore diventare. Un titolare di studio dovrebbe affrontare un corso di recitazione, per convogliare sempre positività quando entra in studio, mentre spesso è lui o lei a indurre demotivazione e rassegnazione magari sfogandosi apertamente.  

Quest’ ultimo esempio ci dimostra che le emozioni non sono immutabili, non dobbiamo per forza subirle ma possiamo almeno in una certa misura influenzare sia le nostre che quelle altui.

Per migliorare la nostra capacità di gestire le nostre emozioni e di identificare ed influenzare quelle altrui possiamo oggi far riferimento ad un ampio bagaglio di tecniche di tipo psicologico e di coaching, che il notaio può trasmettere anche ai suoi collaboratori, in modo da migliorare non solo le relazioni tra il titolare dello studio e gli assistenti ma anche le interazioni tra pari.  

Gestire anziché subire le emozioni nello studio notarile conviene davvero a tutti: meno stress, più produttività, più benessere.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

Il Notaio e i social network – a cura Dott.ssa Anna Lisa Copetto

La comunicazione, piaccia o meno, ha un ruolo primario nel successo di qualunque iniziativa, a prescindere dal settore di appartenenza. Certo, se non ben salda ad un contenuto professionale di un certo spessore, anche la più solida delle strategie comunicative non potrà fare miracoli. Ma un ottimo professionista senza un’ottima comunicazione allineata alle caratteristiche del mercato rischia di essere presto o tardi sopraffatto.

Delineare una strategia comunicativa non significa tentare vender fumo ma di valorizzare al meglio agli occhi del pubblico le caratteristiche distintive dello studio: l’expertise, la reputazione, l’immagine, le relazioni, le esperienze, e così via. È mettere il cliente nelle condizioni di sapere che esistiamo, che possiamo sostenerlo, che possiamo essergli accanto. È  mettere nel cliente nelle condizioni, volendo, di poterci scegliere.

Uno degli strumenti della comunicazione più diffuso è rappresentato oggi dai social network, luoghi nei quali la stragrande maggioranza degli interlocutori attuali e potenziali dello studio (clienti,  partner, collaboratori, fornitori, ecc.) interagisce, si informa, si confronta, si connette, scambia idee e opinioni, condivide interessi e passioni.

I social network sono spesso considerati nell’immaginario di molti professionisti non propriamente conformi ai concetti di decoro e di dignità professionale. E in effetti non mancano esempi di comportamenti a di poco deplorevoli.  Tuttavia, va anche considerata anche da parte dello studio notarile la grande opportunità che essi offrono: creare un ventaglio di opportunità di dialogo e di incontro più che costruttive fino a quale tempo fa inimmaginabile.

Si tratta, in sostanza, di fare virtualmente in rete che quello che nella vita reale si chiama “fare pubbliche relazioni”: attraverso i social network è infatti possibile costruire e ampliare le relazioni, trasformare una semplice conoscenza in un rapporto duraturo,  in una opportunità di collaborazione, in una occasione di business.

Le tipologie di social network sono moltissime, ognuna con le proprie specificità e le proprie funzioni, il proprio linguaggio ma quasi tutte hanno in comune tre caratteristiche: la necessità di creare un proprio profilo, la possibilità di coltivare una rete più o meno ampia di relazioni e la possibilità di condividere e diffondere contenuti.

I social network che per la loro tipologia e diffusione sembrano più attraenti per la realtà dello studio notarile sono attualmente LinkedIn e Facebook. La presenza su LinkedIn ha come scopo principale quello di costruire e rafforzare una rete di relazioni con persone considerate affidabili nell’ambito del proprio contesto professionale. Facebook è da considerarsi un vero e proprio ecosistema (che comprende Instagram, Messanger e WhatsApp) che consente di aumentare la visibilità dello studio e di mantenere costantemente acceso il rapporto con i clienti attuali o potenziali dello studio.

 

A prescindere dalla piattaforma prescelta, per essere davvero efficace e usarla a proprio vantaggio sono indispensabili tre cose: dire cose interessanti, essere assidui e avere una linea editoriale allineata all’identità e all’immagine dello studio. Diversamente, si rischia un effetto boomerang i cui effetti potrebbero essere difficili da contenere. I social network hanno un proprio linguaggio e un proprio set di norme di comportamento da rispettare. Ecco perché è bene non improvvisarsi e affidarsi a figure professionali specializzate in grado di guidare lo studio non solo nella progettazione del proprio profilo ma soprattutto nella messa a terra dello strumento, per trarne il massimo beneficio possibile

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network

 

APPUNTI IN TEMA DI PERMUTA DI COSA PRESENTE CON COSA FUTURA – a cura Notaio Vito Pinto

Ogni volta in cui un costruttore abbia necessità di procedere ad acquisire spazi o aree per future edificazioni, evitando l’immediato esborso di danaro per l’acquisto dell’area stessa, ma essendo disposto a cedere parte della costruzione che realizzerà, ci si imbatte nella figura contrattuale della permuta di cosa presente con cosa futura.

L’art. 1552 c.c. definisce la permuta come il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà, od altri diritti, da un contraente all’altro, ma rinviando con l’art. 1555 c.c. alla disciplina della vendita risolve in senso positivo il problema della applicabilità dell’art. 1472 c.c. implicitamente ritenendo lecita e possibile una permuta di cosa presente con cosa futura.

Per di più tale possibilità si ricava anche dall’art. 1348 c.c. che ritiene ammissibili le prestazioni di cose future come oggetto di contratto.

Il primo problema che sorge nello sviluppo del contratto è la garanzia dell’adempimento dell’obbligazione futura, perché mentre la prestazione inerente il passaggio del terreno é di efficacia immediata, l’adempimento della controprestazione potrà avvenire solo al momento della realizzazione dell’opera, creando in tal modo una forte debolezza della posizione del contraente,  originario proprietario dell’area, che potrebbe anche rischiare di non riuscire ad ottenere quanto pattuito.

Si usano nella pratica quotidiana rimedi vari sia giuridici, come sicuramente il ricorso ad una fideiussione a prima richiesta che tuteli il contraente debole per il caso di mancata realizzazione della costruzione, sia empirici, come nel caso di costruzioni non in verticale ma in orizzontale (es.: villette a schiera) in cui sia possibile un preventivo frazionamento dell’area corrispondente alla singola porzione promessa in permuta.

In tal caso basterà, infatti, non cedere quest’unica unità già frazionata stipulando un contratto di appalto che impegnerà il costruttore stesso alla realizzazione della costruzione compensando totalmente o parzialmente il costo con quanto corrisponde al valore delle aree precedentemente vendute: ma appare subito evidente che questa non sarà più una permuta ma solo un doppio contratto : vendita e separato appalto con compensazione dei costi !

È evidente altresì che qualora si riscontrasse differenza di valore fra l’area ceduta e l’immobile offerto a costruzione finita si dovrà prevedere una compensazione in denaro e si avrà pertanto una permuta con conguaglio.

Si discute sulla natura del contratto in esame quando il valore del conguaglio superi il valore economico del bene permutato: in tal caso infatti non si avrà solo una permuta ma anche una vendita mista per la differenza .

Una volta che il proprietario dell’area abbia ceduto la proprietà del suolo e sia quindi in attesa della venuta ad esistenza del bene, questo diventa creditore nei confronti del costruttore e potrà anche eventualmente trasferire la proprietà delle unità immobiliari da costruire senza il consenso del costruttore, configurandosi in tale fattispecie non tanto una cessione di contratto, quanto una cessione del credito, per il quale non è necessario il consenso del contraente che abbia già conseguito tutti gli effetti attivi del contratto.

Ai fini degli effetti e della redazione stessa del contratto, assume particolare rilevanza la determinazione del momento in cui viene ad esistenza il bene futuro.

In giurisprudenza si è evidenziato come questo momento debba coincidere con il perfezionamento del processo produttivo della cosa nelle sue componenti essenziali, quando cioè siano state eseguite le opere murarie (e non bisognerebbe attendere il completamento delle opere di rifinitura), ma tale posizione non sempre corrisponde alle esigenze del contraente debole (cedente l’area) né le tutela ed é quindi sempre consigliato precisare nelle pattuizioni contrattuali originarie che non sarebbe sufficiente  ad esaurire la controprestazione futura il solo completamento dello scheletro in cemento, ma debba essere realizzato un aspetto completo della costruzione, anche se mancante di alcune rifiniture od accessori non indispensabili.

Pertanto si rende molto opportuno che le parti individuino con esattezza in contratto tale momento ai fini del perfezionamento dell’effetto traslativo, nonché ai fini della applicabilità e sussistenza delle garanzie di cui al D. Lgs. 122/05.

Qualora poi il predetto contraente debole non volesse per sé la proprietà della costruzione futura, sussistendo solo effetti obbligatori fino alla venuta ad esistenza del bene, sarà sempre possibile inserire una riserva di nomina a favore del terzo ex art. 1411 c.c. evitando così un doppio atto di trasferimento finale.

Si differenzia leggermente la fattispecie in cui la vendita del terreno sia eseguita con riserva del diritto di superficie su di una porzione della nuova costruzione che il proprietario del suolo vorrà per sé, con contestuale appalto per la costruzione della medesima.

In passato questa soluzione ha incontrato ostacoli di problema fiscale, in quanto l’Ufficio del Registro riteneva che vi fossero due distinti negozi (trasferimento del suolo e trasferimento del diritto di superficie) e perciò provvedeva ad una duplice tassazione, ma da circa dieci anni, aderendo ad una ricostruzione più coerente sulla riserva del diritto di superficie, che non implica di per sé un trasferimento, si è addivenuti ad una tassazione più equa.

Parte della dottrina aveva comunque espresso perplessità in ordine alla possibilità di costituire un diritto di superficie a partire da una certa altezza e per una determinata estensione e quindi, apparentemente poggiati sul vuoto (famosa la pronuncia della Cassazione sull’impossibilità che le “scatole d’aria” possano costituire oggetto di disposizione). In realtà il fenomeno in esame configura un diritto di superficie sulla proprietà che si andrà a costruire o eventualmente, una serie di diritti di superficie costruiti l’uno sopra l’altro; figure queste certamente ammissibili.

Unico inconveniente risulterebbe che il proprietario del suolo sarebbe titolare solo della proprietà superficiaria dell’edificio, mentre il suolo (e quindi anche le parti comuni) dovrebbero rimanere in piena proprietà del costruttore, con la importante conseguenza che in caso di crollo dell’edificio nulla rimarrebbe definito per l’originario proprietario dell’area, con ulteriori conseguenze dannose ed estintive nel caso di prescrizione del diritto stesso.

Molto meglio invece non cedere l’intera proprietà del terreno ma solo una quota millesimale dello stesso, pari al valore di quanto il costruttore vorrà tenere per sé, trattenendo quella quota millesimale che ad esecuzione dell’opera avvenuta con un atto di divisione potrà corrispondere esattamente al o agli appartenenti promessi in controprestazione dal costruttore !

Anche in questo caso una maggior garanzia sarà sempre rappresentata da una fideiussione e da un appalto ove il costruttore si impegni a portare a termine a regola d’arte la costruzione finale.

In realtà l’utilizzo di tutte le fattispecie negoziali sopra esaminate ha chiaramente diverse conseguenze in tema di inadempimento.

Nella classica ipotesi iniziale di permuta di cosa presente con cosa futura la parte che avrebbe dovuto ricevere la cosa futura potrà sempre chiedere la risoluzione del contratto se insoddisfatta.

Per effetto della sentenza di risoluzione la proprietà dell’area ritornerà al proprietario, con la proprietà delle costruzioni ivi edificate fino a quel momento, in forza del principio della accessione, con l’obbligo di pagamento – a sua scelta – delle spese sostenute o dell’indennità pari all’aumento del valore dell’area.

Il proprietario dell’area non avrà invece il diritto di demolire la costruzione, ex 1150 ultimo comma c.c. perché questa possibilità dovrebbe essere esclusivamente concessa in via giudiziaria e non sarà possibile ottenere il ripristino dello stato di fatto antecedente, quando area ed edificio formino una sola cosa inscindibile, ossia un nuovo bene.

Comunque la circostanza che l’inadempimento del costruttore non comporti la nullità del contratto ma solo la sua risoluzione non tutela in pieno il proprietario dell’area, in quanto la risoluzione ai sensi del 1458 c.c. sarà inopponibile agli aventi causa del costruttore che abbiano trascritto antecedentemente una qualsiasi azione giudiziaria risarcitoria per posizioni debitorie maturate.

Infatti difficilmente il proprietario si vedrà restituito il bene senza formalità pregiudizievoli, in quanto sarà probabilmente gravato da iscrizioni o trascrizioni o concesse dalla Banca per finanziare la costruzione, o iscritte da fornitori non soddisfatti e quindi sempre potenzialmente soggetto alla esecuzione forzata.

Altro rimedio esperibile, ove ne ricorrano i presupposti, è la rescissione del contratto, la cui applicazione è invocabile per tutti i contratti a prestazioni corrispettive.

In conclusione ed al fine di avere una rete protettiva per il contraente debole, oggi a tutela del trasferimento della proprietà di un immobile da costruire soccorre il D.Lgs. 122/05, ove applicabile ai sensi dell’art. 1 dello stesso, che permette all’acquirente di conseguire importanti garanzie, tra cui si segnalano:

  • una fideiussione bancaria o assicurativa a garanzia dell’obbligo da parte del costruttore di consegnare l’immobile finito (almeno nei suoi elementi essenziali) fino al rilascio del certificato di abitabilità;
  • una assicurazione obbligatoria nella ipotesi di crollo dell’edificio;
  • il preventivo frazionamento dell’ipoteca;
  • l’inserimento nell’atto , a pena di nullità, di tutta una serie di documenti che garantiscano o comunque lascino prevedere il futuro adempimento del costruttore, come l’intero capitolato e l’elenco di tutti i materiali da impiegare e di tutte le ditte impegnate nella costruzione;
  • la trascrizione presso i registri immobiliari, con effetto prenotativo contro altri creditori, dei diritti dell’acquirente del bene ancora da costruire.

Vito Pinto, Notaio in Varese

Interpretazione fiscale al limite da parte dell’ agenzia delle entrate – a cura Notaio Roberto Santarpia

ANCORA UNA INTERPRETAZIONE FISCALE AL LIMITE DA PARTE DELL’ AGENZIA DELLE ENTRATE che nega bonus prima casa per la rinuncia al diritto reale di abitazione.

L’agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 525 del 26 ottobre 2022, afferma apoditticamente che il negozio portante la rinuncia abdicativa senza corrispettivo (e quindi a titolo gratuito) al diritto reale di abitazione deve essere tassata, oltre che con l’imposta di donazione, con le imposte ipotecaria e catastale e le rispettive aliquote del 2% e dell’ 1%, da applicare al valore del diritto rinunciato, non ritenendo ammissibile l’agevolazione prima casa e quindi l’applicabilità in misura fissa delle imposte suddette.

Analizziamo dunque la portata dell’asserto della A.E. per verificarne la “bontà” giuridica.

La rinuncia negoziale (ad un diritto) può essere effettuata a fronte di un corrispettivo o in assenza dello stesso. Nel primo caso nessuno dubita che ci troviamo dinnanzi a un negozio giuridico bilaterale traslativo a titolo oneroso -vedasi nota 6 allo studio del C.N.N. num. 216-2014/c, che apostrofa la rinuncia come una sorta di controprestazione sia pure a  carattere negativo e ……. precisa che in tale ipotesi il soggetto non abdica affatto al suo diritto e che pertanto il suo atto non può qualificarsi come rinuncia- fattispecie che non riterrei ammissibile per il diritto di abitazione in quanto comparabile ad una cessione e il diritto di abitazione è incedibile per legge;  ai sensi delll’articolo 1 della tariffa parte prima allegata al Dpr 131/1986 (imposta di registro) è previsto che le aliquote relative agli atti traslativi o costitutivi a titolo oneroso di diritti reali immobiliari si applicano anche alla rinuncia pura e semplice agli stessi diritti. Quindi trattamento unitario se a titolo oneroso tanto che si considerino bilaterali o unilaterali.

Nel caso invece di  assenza del detto corrispettivo, la rinuncia sarebbe effettuata a titolo gratuito e la normativa (Testo unico del 31/10/1990 n. 346,)  prevede che agli atti gratuiti si applichi la disciplina fiscale delle donazioni:

“art. 1 1. L’imposta sulle successioni e donazioni si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalita’ tra vivi.

  1. Si considerano trasferimenti anche la costituzione di diritti reali di godimento, la rinunzia a diritti reali o di credito e la costituzione di rendite o pensioni.”

Quindi la legge EQUIPARA anche qui le donazioni e le altre liberalità tra vivi ai fini fiscali. E questo è un primo indizio di volerle trattare nello stesso modo e quindi non solo in alcuni casi.

In secondo luogo approfondendo se la rinuncia negoziale gratuita possa configurarsi quale donazione (ontologicamente tale benchè indiretta) la risposta è affermativa per i seguenti motivi giuridici:

– seppure formalmente la rinuncia resta un negozio unilaterale, nel caso della rinuncia ad un diritto reale è difficile non scorgere un intento liberale, difatti in detta fattispecie chi rinuncia all’usufrutto o al diritto di abitazione, anziché venderlo, è ovvio che vuole avvantaggiare il nudo proprietario. Quindi tra donazione diretta e indiretta cambia solo lo schema: da contrattuale a unilaterale.

Se poi analizziamo, al fine di rinforzare il superiore asserto, la diversa situazione di arrichimenti che si verificano al di là di un negozio giuridico, quali quelli che avvengono a seguito di usucapione e per prescrizione di un diritto, è stato osservato da acuta dottrina, che qui manca il nesso di causalità fra la perdita del diritto e l’acquisto o la liberazione, tanto che l’usucapione dà luogo non ad un acquisto a titolo derivativo da parte di chi perde il diritto, ma ad un acquisto a titolo originario dovuto al possesso di terzi protrattosi per un certo tempo: non vi è una volontà espressa da parte di chi perde il diritto ma un comportamento omissivo dal quale è difficile dedurre un animus donandi ma, la medesima dottrina ha poi precisato che se in detta ipotesi vi fosse accordo configurativo tra le parti (colui che perde il diritto e il beneficiario a seguito della detta perdita), che di fatto convengono in detto modo di arricchire il beneficiario, non può non scorgersi anche qui un animus donandi che fa riconvertire anche dette fattispecie nell’ambito della donazione indiretta in asse con il disposto dell’art. 809 c.c.. che fa espresso riferimento ad “altri atti di liberalità”, contenuta nel titolo, e utilizza l’espressione “le liberalità, anche se risultano da atti diversi”, nel testo della norma. Altrimenti detto, con l’accordo configurativo si sovrappongono ad un effetto legale (derivante da un atto materiale) elementi soggettivi idonei a far rientrare le fattispecie al vaglio nella categoria delle donazioni indirette.

A questo punto della analisi è facile richiamare quanto oramai pacifico circa la disciplina legale applicabile alle donazioni indirette e cioè le medesime conseguenze riconducibili ad una donazione diretta per espresso richiamo dell’art. 809 c.c. che quindi le considera equipollenti sul piano giuridico, con stesse conseguenze anche a livello successorio quali i) la possibile esperibilità dell’azione di riduzione (tema controverso in seguito a recente sentenza di cassazione del 28 febb. 2022 n. 4523 poi smentita da ultima recentissima ordinanza di cassazione 35461/2022), ii) nonchè sul piano della operatività della collazione ex art. 737 c.c. che tratta le donazioni dirette ed indirette allo stesso modo (conforme Cass 27 luglio 2022 num. 23403).

L’Agenzia delle Entrate, nella suddetta risposta ad interpello, giustifica detta inapplicabilità come segue: “

“il predetto articolo 69, commi 3 e 4, reca una norma speciale agevolativa non suscettibile di interpretazione estensiva, che, quindi, non è applicabile agli atti a titolo gratuito e alla costituzione di vincoli di destinazione non espressamente contemplati dalla norma stessa”. Come chiarito dalla citata circolare, quindi, l’agevolazione “prima casa” non risulta comunque applicabile agli “atti a titolo gratuito”, posto che la norma di cui al citato articolo 69 si riferisce soltanto agli acquisti derivanti da “successioni o donazioni” e che le norme speciali non sono suscettibili di interpretazione estensiva.”

Ma, stante quanto sopra esposto, la portata di una norma (nella fattispecie la applicazione dei benefici fiscali previsti per la prima casa solo alle successioni e alle donazioni senza estenderla anche agli altri atti gratuiti) non si evidenzia mediante una interpretazione meramente letterale ma guardando lo spirito della stessa ed il suo intendimento e cioè quali interessi vuole perseguire e a tutela di quali interessi è stata dettata. Come i giuristi del diritto romano dicevano: “Ubi eadem ratio, ibi eadem iuris dispositio”, quanto meno lì dove sia presente animus donandi e ancora “scire leges non est verba earum tenere sed vim ac potestatem”; il legislatore fiscale non poteva non avere di mira (ai fini del beneficio 1° casa) tutte le ipotesi di negozi giuridici configurabili quali “donazione”, ma come sappiamo, usualmente non si è soliti ripetere, citando il T.U. delle successioni e donazioni, tutti gli altri atti comportanti arricchimento senza corrispettivo e comunque la nostra fattispecie è pur sempre ontologicamente una donazione seppure indiretta in un’epoca in cui conta la causa concreta piuttosto che la causa astratta.

Roberto Santarpia,  Notaio in Orzinuovi.

La gestione per eccezioni (Management by Exception) – a cura Dott.ssa Anna Lisa Copetto

La gestione per eccezione (MBE) è una tecnica di management che consiste, nell’ambito dello studio notarile,  nel rendere più autonomi possibile i propri collaboratori/dipendenti nello svolgimento delle mansioni assegnate e nel coinvolgimento del Notaio esclusivamente su questioni specifiche e anomale rispetto ad uno standard specifico. In parole povere: il Notaio interviene se e solo se strettamente indipensabile per competenza o autorità.

L’approccio della gestione per eccezioni può viaggiare su due binari:

  • Approccio attivo, nel qual caso il Notaio interviene per fornire al collaboratore il supporto necessario ad affrontare specifiche sfide e a prevenire il manifestarsi di problemi e criticità
  • Approccio passivo, nel qual caso il Notaio agisce per risolvere il problema una volta che si è manifestato, non avendo il collaboratore le competenze o l’autorità per gestirlo con efficacia

L’applicazione della gestione per eccezioni richiede, evidentemente, di stabilire ciò che è da considerarsi uno standard all’interno dello studio. Questo per poterlo successivamente distinguere da ciò che è da trattare in termini di eccezione, ovvero con l’ausilio del Notaio. Ad esempio, la redazione di un atto di compravendita immobiliare che ha ad oggetto una prima casa tra privati è probabilmente da considerarsi una attività standard che l’addetto assegnatario può (e a quel punto deve) gestire in completa autonomia. La redazione di un atto relativo alla cessione di una quota ereditaria tra fratelli durante la compravendita magari invece richiede l’intervento del Notaio. A tal fine, diventa utile poter disporre di procedure operative interne che guidino il collaboratore/dipendente nello svolgimento di un attività o di un processo standard.

Successivamente, diventa fondamentale valutare con costanza se e in che misura i collaboratori/dipendenti si attengono a quanto stabilito dalle procedure operative interne e individuare tempestivamente eventuali difformità  di comportamento o di risultato rispetto allo standard atteso dalla Direzione. A tal fine, appare utile condurre, in prima persona a cura del Notaio o suo delegato, una serie di audit interni periodici per valutare l’efficacia e l’efficienza dei processi operativi interni.

La gestione per eccezione si basa innanzitutto su efficaci processi di delega interna che attribuiscano ai collaboratori/dipendenti l’autorità e di assumere autonomamente delle decisioni, in modo tale che il Notaio possa occuparsi di solo temi e questioni particolari che richiedono una più elevata competenza e capacità.

È evidente che questo approccio richiede un forte investimento nella formazione e nella crescita professionale degli individui che compongono il team affinché possano maturare quelle competenze (tecniche, giuridiche, relazionali, comunicative, manageriali, ecc.) necessarie a gestire in completa autonomia le attività assegnate.

Quali sono i vantaggi della gestione per eccezione?

  • Una maggiore efficienza nei processi di erogazione delle prestazioni professionali.
  • Una maggiore chiarezza rispetto alle priorità dello studio.
  • Una maggiore motivazione dei propri collaboratori/dipendenti e un maggior commitment
  • Una maggiore responsabilizzazione dei propri collaboratori/dipendenti
  • Una gestione più strutturata delle problematiche che possono incidere sulla qualità della prestazione finale o sulla produttività dello studio

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network

 

La competenza concorrente dei notai nell’ambito della volontaria giurisdizione: un cambiamento epocale – a cura Notaio Veronica Ferraro

La portata innovativa della riforma della volontaria giurisdizione da parte del legislatore è di notevole interesse.

Tale riforma agisce su due diversi ambiti: da un alto ridefinisce le competenze giurisdizionali tra Giudice Tutelare e Tribunale in composizione collegiale, limitando fortemente le ultime, e dall’altro lato introduce una competenza concorrente del Notaio.

  1. Abrogazione dell’art. 375 del codice civile

Con riferimento al primo ambito, con l’abrogazione dell’art. 375 del codice civile (e la conseguente modifica dell’art. 376 del codice civile in tema di reimpiego) il legislatore si pone come obiettivo principale quello di rafforzare notevolmente il ruolo del Giudice Tutelare, definendolo come il vero e proprio “dominus” della volontaria giurisdizione, attribuendogli competenze prima riservate al Tribunale in composizione collegiale.

Con l’abrogazione dell’art. 375 del codice civile, infatti, si elimina la competenza del Tribunale in composizione collegiale – che, come detto, sopravvive esclusivamente per autorizzare la continuazione dell’impresa commerciale – e si attribuisce al Giudice Tutelare la competenza ad autorizzare tutti gli atti del minore sotto tutela o dell’interdetto.

 

  1. Il sistema del doppio binario previsto dall’art. 21 del Lgs. n. 149/2022

Per la prima volta, introducendo una competenza concorrente, si fa strada il concetto del “sistema a doppio binario di competenze” che rimette alle parti interessate la possibilità di scegliere se presentare la richiesta di autorizzazione all’autorità giudiziaria oppure al Notaio rogante.

A decorrere dal 28 febbraio 2023 e con riferimento ai procedimenti instaurati successivamente a tale data (così come previsto dall’art. 1, comma 380, della Legge di Bilancio 2023 n. 197/2022 che ha sostituito il precedente articolo 35 del D.lgs 149/2022, anticipandone l’efficacia) le autorizzazioni per la stipula degli atti pubblici e scritture private autenticate nei quali interviene un minore, un interdetto, un inabilitato o un soggetto beneficiario della misura dell’amministrazione di sostegno, ovvero aventi ad oggetto beni ereditari, possono essere rilasciate, previa richiesta scritta delle parti, personalmente o per il tramite di procuratore legale, dal Notaio rogante (art. 21, comma 1, del D.Lgs. n. 149/2022).  

Tale richiesta, come si evince dal tenore letterale della norma, deve essere presentata necessariamente in forma scritta personalmente dai legali rappresentanti del soggetto incapace o da un loro rappresentante legale.

Il Notaio a cui rivolgere la richiesta non può essere un qualsiasi Notaio ma deve essere il Notaio rogante cioè il Notaio incaricato di stipulare l’atto pubblico (o la scrittura privata autenticata) cui inerisce l’autorizzazione, comportando come conseguenza che l’autorizzazione rilasciata dal Notaio incaricato alla stipula dell’atto non potrà essere utilizzata da un altro Notaio mentre sarà utilizzabile dal coadiutore del Notaio autorizzante.

Nulla si dice in riferimento alla competenza territoriale e pertanto, dato il silenzio della norma sul punto, si ritiene che la competenza ad emettere l’autorizzazione sia di un qualsiasi Notaio della Repubblica Italiana, senza alcuna limitazione territoriale e senza che la sede del Notaio debba in qualche modo essere collegata al domicilio del minore o dell’incapace.

Pone qualche problema interpretativo la lettura del comma 3 dell’art. 21 che stabilisce che “ove per effetto della stipula dell’atto debba essere riscosso un corrispettivo nell’interesse del minore o di un soggetto sottoposto a misura di protezione, il Notaio, nell’atto di autorizzazione, determina le cautele necessarie per il reimpiego del medesimo”.

Ci si chiede, quindi, se in tema di “reimpiego” il Notaio è tenuto ad indicare in modo analitico le modalità di reimpiego oppure è tenuto solo ad adottare le cautele necessarie imponendo al legale rappresentante l’obbligo di versare il corrispettivo su un conto corrente intestato all’incapace.

Secondo una tesi estensiva il Notaio può, non solo autorizzare la riscossione del capitale ma, trovando applicazione analogica le prescrizioni dell’art 372 del codice civile, anche stabilirne i termini del reimpiego basandosi su determinati canoni prudenziali.  

Secondo una diversa e più restrittiva tesi, invece, esula dalle attribuzioni del Notaio disporre il reimpiego delle somme incassate, dovendo il medesimo solo evitare di lasciare quelle somme nella disponibilità delle parti, magari disponendo eventualmente il deposito su un conto gravato da “vincolo” di indisponibilità.

Il Notaio, nell’esercizio di questa “nuova” funzione di Giudice Tutelare, ha poteri latamente istruttori che si articolano nella possibilità di sentire senza formalità parenti ed affini, e, in caso di beni ereditari, anche i legatari o di farsi assistere da consulenti anche nell’ottica di fornire un’adeguata motivazione al provvedimento.

L’autorizzazione rilasciata dal Notaio è un atto formalmente giurisdizionale, perché proviene da un organo inquadrato nell’amministrazione della giustizia, ma sostanzialmente amministrativo, perché preordinato alla tutela di interessi privati, alla cui soddisfazione è collegato un interesse pubblico. Essa, per il principio della libertà di forme, non deve essere contenuta in atto pubblico e di conseguenza non deve osservare le norme della legge notarile.

Ci sono opinioni discordanti in tema di annotazione a repertorio e messa a raccolta.

Secondo un primo orientamento, che basa la sua riflessione sulle norme in materia di certificato successorio, non vi è ragione per escludere che il provvedimento autorizzativo emesso dal Notaio sia soggetto all’obbligo di annotazione a repertorio e messa a raccolta, precisando tra l’altro, che l’onorario repertoriale deve essere quello stabilito dall’art. 6, comma 1, lett. d) n. 14 del Decreto Ministeriale n. 265/2012.

Altri autori, invece, basandosi sul concetto che il provvedimento autorizzativo non è un atto notarile e non deve rispettare le regole notarili, sostengono che non debba essere iscritto a repertorio ed è esente da registrazione, dal pagamento del contributo unificato e dall’imposta di bollo. Su tale aspetto occorre che venga fatta chiarezza.

Alla Cancelleria del Tribunale che sarebbe stato competente al rilascio della corrispondente autorizzazione giudiziale ed al pubblico ministero presso il medesimo tribunale, dovrà essere trasmesso il provvedimento autorizzativo in modo tale da consentire l’assolvimento delle formalità pubblicitarie, consentire la modifica o la revoca da parte del Giudice Tutelare, come meglio infra specificato, e consentire il reclamo delle parti o del pubblico ministero.

Oltre al provvedimento autorizzativo rilasciato dal Notaio, deve essere depositato anche ogni documento acquisito al fine di creare il cd “fascicolo processuale”, in modo tale da dare la possibilità, in caso di reclamo, al Pubblico Ministero ed al Giudice di avere evidenza dei documenti e comprendere la ratio della decisione.

La modalità di comunicazione non è stata indicata ma si ritiene che debba essere uno strumento (probabilmente la posta elettronica certificata) che consenta l’attribuzione di data certa da cui possano decorrere i termini per proporre il reclamo.

Le autorizzazioni acquistano efficacia decorsi venti giorni dalle notificazioni e comunicazioni previste dalla norma, senza che sia stato proposto reclamo entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto o comunque dalla sua notifica (art. 21 comma 6 D.Lgs. n. 149/2022), comportando quindi da un lato, l’impossibilità per il Notaio di attribuire provvisoria esecuzione al provvedimento autorizzativo e dall’altro il fatto che il reclamo abbia un effetto sospensivo dell’esecutorietà del provvedimento.

In altri termini, quindi, l’autorizzazione rilasciata dal Notaio, essendo una fattispecie a formazione progressiva, acquista efficacia solo a condizione che non sia impugnata e che siano decorsi venti giorni dalle comunicazioni che il Notaio è tenuto a fare o che, qualora sia stata impugnata, ci sia stato un rigetto del reclamo.

Il Giudice Tutelare può in ogni tempo modificare o revocare tali autorizzazioni, fermo restando che restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca delle autorizzazioni da parte del Giudice Tutelare.

Nel caso in cui il Notaio ritenga mancanti i presupposti per l’autorizzazione e quindi non la rilasci, egli deve comunque emanare un provvedimento negativo che deve essere comunicato alla Cancelleria ed al Pubblico Ministero in modo tale da consentire la possibilità per le parti interessate o per il Pubblico Ministero di fare reclamo. È tuttavia fortemente probabile che le parti, in caso di diniego di autorizzazione, si orientino per proporre una nuova istanza ad un altro Notaio o direttamente all’Autorità Giudiziaria, creando un meccanismo che potrebbe a tratti diventare pericoloso e che andrebbe in qualche modo disciplinato.  

  1. Conclusioni

Lo stravolgimento delle competenze in materia di autorizzazioni in tema di volontaria giurisdizione incide notevolmente sul ruolo e sulle funzioni del Notaio al quale sono state attribuite competenze che necessitano di una sensibilità che esula in parte dalle sue abituali competenze e che riguardano soggetti considerati “deboli” e pertanto meritevoli di una particolare tutela.

In quest’ottica e nell’ottica di garantire una corretta esecuzione di questo nuovo ruolo, occorrerà che venga fatta chiarezza sugli aspetti pratici legati a questo tipo di attività notarile di cui il legislatore non si ancora è occupato.

Veronica Ferraro, Notaio in Torino.

 

Dottoresse e dottori di studio – a cura Dott. Michele D’Agnolo

In molti studi Notarili si riscontra la presenza di figure intermedie tra i membri dello staff e i Notai.

Si tratta per lo più di laureati in giurisprudenza, più raramente in materie economiche o scienza dell’amministrazione, che fungono da “ufficiali di collegamento” tra i professionisti e i dipendenti dello studio.

Di solito, oltre a rimanere incaricati in prima persona della stesura delle minute degli atti più complessi e dell’esecuzione delle ricerche informatiche e bibliografico documentali ad essi propedeutiche, i giuristi di studio hanno quasi sempre una funzione di “tribunale di prima istanza” di problem solving tecnico-giuridico, costituendo così un potente filtro per il Notaio. Un’efficace dottoressa o dottore di studio libera molto tempo ed energie al Notaio, assorbendo e gestendo non solo i dubbi di natura tecnica e contribuendo alla formazione e all’aggiornamento continuo degli assistenti notarili ma andando spesso a sciogliere anche eventuali tensioni e malumori dello staff che nell’incedere del lavoro possono maturare nei confronti del cliente o delle altre figure quali banche, commercialisti, tecnici, agenti immobiliari, funzionari pubblici coinvolte a vario titolo nella definizione di un atto notarile.

In alcuni casi, ma non sempre, queste figure ricoprono anche ufficialmente compiti manageriali fungendo da vero e proprio centro di coordinamento e monitoraggio per la struttura organizzativa, tenendo sotto controllo le principali scadenze nei confronti dei clienti e dei pubblici uffici e verificando i carichi di lavoro. Utilizzando un linguaggio tipico dell’economia aziendale, si direbbe con un ruolo da responsabili di produzione. Tradizionalmente però l’office manager è ancor oggi quasi sempre un’assistente notarile di particolare esperienza.

La figura del dottore di studio non si presta ad essere inquadrata facilmente neanche dal punto di vista giuslavoristico, tant’è vero che a volte lavora a partita iva e un tempo, finché la normativa lo permetteva, anche in collaborazione coordinata e continuativa.

Il motivo che spinge il dottore o la dottoressa di turno a frequentare lo studio può essere variegato. A volte si tratta di praticanti notai ancora in attesa di concorso oppure di aspiranti in perenne attesa degli annosi risultati di Concorso.

Altre volte si tratta invece di aspiranti Notai che non hanno superato, per i più vari motivi, il Concorso Notarile e che magari non possono o non intendono più parteciparvi.

Non di rado sono profili già abilitati alla professione forense o a quella di commercialista.

Le dottoresse e i dottori di studio svolgono quindi una funzione fondamentale all’interno dello studio notarile, anche se la loro importanza sta progressivamente diminuendo a motivo della sempre più frequente presenza di assistenti laureati e alla sempre maggiore presenza di giovani Notai quali associati junior o collaboratori negli studi già avviati.

Per i Notai titolari di studio risulta non sempre agevole gestire questi soggetti che presentano dei profili molto peculiari.

Innanzitutto non è agevole organizzare il rapporto di lavoro perché i giuristi di studio che sono praticanti hanno sovente bisogno di tempo per studiare. Soprattutto nell’imminenza dei concorsi i candidati chiedono di stare assenti anche per lunghi periodi di tempo o comunque anche se sono presenti “non ci sono con la testa” perché pensano al concorso.

Neppure è agevole gestire il periodo di limbo post-concorso perché laddove l’esito sia positivo, è tutt’altro che scontato che la neo-collega sia disponibile a rimanere all’interno dello studio in veste di collaboratore o associato junior.

Infatti è psicologicamente molto difficile per un giovane che sia stato assistente notarile di uno studio cambiare ruolo rimanendo nella stessa struttura. Si rischia infatti che il nuovo ruolo venga preso sotto gamba dal resto dello staff, che può vivere l’evoluzione carrierale del praticante notaio come una sorta di “tradimento” da parte dell’ambizioso/a collega.

Ancora meno agevole gestire eventuali malaugurati insuccessi al Concorso, anche solo momentanei, in quanto hanno solitamente un effetto negativo in termini di motivazione e spingono il candidato a trascurare ancora maggiormente l’attività pratica per incrementare l’investimento formativo necessario a superare lo scoglio concorsuale.

Anche l’inserimento di giovani Notai in studi dove vi sono già stabilmente uno o più giuristi di studio può indurre dinamiche di tipo competitivo.

Dottoresse e dottori di studio hanno generamente un comportamento più simile a quello di altri professionisti che non a quello della generalità dei dipendenti e quindi risultano molto sensibili al feedback che ricevono dal proprio “dominus”. Sia per frequenza che per qualità. Quindi se il Notaio desidera fidelizzare e motivare al massimo queste figure deve dimostrare di dedicare loro un tempo ed un attenzione particolare, più intensa di quella che dedica agli altri collaboratori. I dottori di studio hanno particolarmente bisogno di avere una “corsia preferenziale” per poter dialogare con il Notaio e misurano la loro importanza e il loro successo sulla base dell’attenzione che il Notaio dedica loro. Questi giuristi possono inoltre beneficiare enormemente del feedback di rinforzo, cioè di quelle lodi, meglio se pubbliche, di cui soprattutto i Notai della vecchia generazione sembrano particolarmente parchi. Tanto severi con sé stessi che con i collaboratori. Da somministrare invece al giurista di studio con estrema diplomazia ogni rimprovero, giacché potrebbe essere vissuto come un’offesa personale o come un accanimento terapeutico su una persona che magari già si autoflagella a sufficienza per l’errore commesso.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network