È verificata la condizione di reciprocità con la Svizzera? – a cura Notaio Veronica Ferraro

Un aspetto sempre molto complicato da analizzare nella quotidiana vita notarile è quello relativo alla ricezione di un atto in cui intervengono comparenti stranieri. In particolare, in questo articolo si tratterà di una problematica, ancora aperta e di notevole rilievo, nel campo dei trasferimenti immobiliari da parte di cittadini svizzeri ed in particolare di cittadini di Ginevra.

Preliminarmente occorre chiarire che tutte le volte in cui si deve ricevere un atto in cui intervengo cittadini “extra comunitari” in assenza di permesso di soggiorno è necessario verificare la condizione di reciprocità, definita – nel diritto internazionale bilaterale – come quel particolare rapporto di corrispondenza biunivoca che crea una relazione tra due Paesi tale per cui se un Paese riconosce agli stranieri i medesimi diritti che accorda ai propri cittadini, questi ultimi godranno dei medesimi diritti nell’altro Paese.

La condizione di reciprocità attiene esclusivamente, come più volte ribadito dalla Corte di Cassazione, ai diritti non fondamentali della persona (quali per esempio il diritto di proprietà immobiliare), perché i diritti fondamentali come il diritto alla vita, all’incolumità ed alla salute, non possono essere limitati in ragione della cittadinanza del loro portatore e sono conseguentemente riconosciuti a tutti i soggetti in modo indifferenziato ed egualitario.

La condizione di reciprocità può essere: i) la c.d. “reciprocità diplomatica” che si basa su accordi intergovernativi, ii) la c.d. “reciprocità legislativa” che si basa su norme di legge e iii) la c.d. “reciprocità di fatto o sostanziale”, che si dà per verificata quando, a prescindere dal dato normativo, nel Paese straniero al cittadino è riconosciuto un diritto analogo o simile a quello proprio del suo ordinamento.

É quest’ultimo il criterio dirimente in questo ambito fatto proprio dal nostro ordinamento all’articolo 16 delle disposizioni preliminari al codice civile che così recita: “Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali. Questa disposizione vale anche per le persone giuridiche straniere’’.

Un caso particolare: la Svizzera

  1. Il problema delle autorizzazioni

Un paese che, data la sua natura di Confederazione (ovvero un’unione politica fra più stati, con interessi convergenti sul piano internazionale), pone particolari problemi in tema di verifica della reciprocità è la Svizzera nella quale esiste da tempo un apposito ed articolato sistema normativo che regolamenta e limita l’acquisto di immobili da parte di cittadini stranieri. Si tratta, della legge federale sull’acquisto di fondi da parte di persone straniere (LAFE) del 16 dicembre 1983, dell’ordinanza esecutiva della stessa del 1 ottobre 1984 (OAFE) e della successiva Lex Koller del 1997.

Il sistema di reciprocità in tema di acquisto di immobili vige tra l’Italia e la Svizzera grazie all’accordo sottoscritto in data 21 giugno 1999 tra la Confederazione Svizzera e l’allora Comunità Europea sul reciproco riconoscimento in materia di valutazione della conformità.

Per le persone fisiche svizzere non residenti in Italia, la condizione di reciprocità si considera verificata per l’acquisto, anche mediante permuta, di:

  • abitazioni secondarie, di vacanza ed unità d’abitazione in apparthotel, con superficie abitabile netta non superiore ai 200 mq;
  • fondi, di pertinenza di abitazioni secondarie e di vacanza (singole unità immobiliari come ville e fabbricati) la cui superficie non ecceda i 1.000 mq;
  • immobili ad uso esclusivamente commerciale;
  • immobili da parte degli eredi legittimi negli acquisti mortis causae dei parenti dell’alienante in linea ascendente e discendente (nonni, genitori e figli) e del suo coniuge;
  • abitazione principale nel luogo del domicilio legale ed effettivo.

Per le persone giuridiche svizzere la condizione di reciprocità si considera verificata limitatamente all’acquisto di immobili da adibire a sede o stabilimento dell’impresa (principale o secondaria) o a fini produttivi esclusivamente attinenti all’attività economica svolta mentre non è verificata se l’acquisto dell’immobile è finalizzato ad un investimento di capitali (eccezion fatta per gli immobili ad uso commerciale) o se si contravviene all’obbligo di mantenere la destinazione d’uso del bene immobile acquistato.

È estremamente controverso l’accertamento della condizione di reciprocità con quei Paesi, come la Svizzera, in cui la possibilità di compiere una determinata attività giuridica da parte dello straniero non è preclusa, bensì subordinata ad autorizzazione.

In linea generale, per evitare quello che viene definito “l’inforestierimento del suolo svizzero”, dal complesso normativo si ricava un regime autorizzatorio per tutti gli stranieri che intendano acquistare diritti reali su beni immobili in territorio elvetico, ponendo come uniche esenzioni alla richiesta di autorizzazione quelle indicate all’art. 2 LAFE e precisamente:

  • a) quando riguarda un acquisto di immobile da utilizzare come stabilimento permanente per lo svolgimento di attività commerciale, artigianale, industriale o professionale;
  • b) quando riguarda un acquisto di immobile da adibire ad abitazione principale, domicilio legale ed effettivo;
  • c) quando sussiste “un’eccezione giusta” che l’art. 7 LAFE concretizza nel caso di trasferimento: i) a eredi legittimi, a parenti in linea ascendente e discendente dell’alienante ed il suo coniuge o il suo partner registrato; ii) ad acquirente già comproprietario del fondo; iii) a comproprietari per le permute dei loro piani nel medesimo immobile; iv) a cittadini degli Stati membri dell’Unione europea o dell’Associazione europea di libero scambio o ai cittadini del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord in base all’articolo 22 numero 3 dell’Accordo 25 febbraio 2019 che, come frontalieri, acquistano un’abitazione secondaria nella regione del loro luogo di lavoro o ancora altri casi particolari elencati dalla norma.

Allo stato dell’arte, nonostante la questione sia dibattuta e ci siano opinioni discordanti in materia, la posizione che oggi pare prevalere sostiene la tesi secondo cui non risulta verificata la condizione di reciprocità laddove la legge straniera preveda la necessità di un’autorizzazione ministeriale o governativa, che abbia finalità di controllo sugli acquisti di beni immobili o di partecipazioni sociali da parte di stranieri.

  1. Le leggi cantonali

Un ulteriore problema, oltre a quello delle autorizzazioni, si pone con riferimento alle leggi Cantonali.

L’analisi della questione in oggetto nasce dall’esigenza di affrontare un caso concreto che si è presentato in studio e che si riferiva al caso di una cittadina svizzera, residente a Ginevra, che intendeva acquistare un immobile in Italia da adibire ad abitazione secondaria.

Per poter rispondere a questo quesito – di non facile ed univoca soluzione – si è svolta una approfondita e preliminare analisi basata sulla consultazione della scheda del Ministero degli Esteri relativa alla condizione di reciprocità tra Italia e Svizzera e su studi e pareri autorevoli in materia.

In particolare, dalla lettura della legge federale svizzera e da quanto trovato sul sito della Farnesina, in questo caso, essendo una persona fisica non residente che acquista una abitazione secondaria con superficie abitativa netta non superiore a duecento metri quadri, sembrerebbe verificata la condizione di reciprocità.

Tuttavia, la legge del Cantone di Ginevra sembrerebbe non consentire genericamente l’acquisto di case secondarie da parte di stranieri, a prescindere dalla superficie.

Partendo dal dettato costituzionale federale svizzero e, compiendo un’interpretazione del combinato disposto degli articoli 54 (che afferma che la materia affari esteri sia di competenza della Confederazione), 49 (che dispone che il diritto federale prevalga su quello cantonale che sia in contrasto col medesimo) e 37 (che dà evidenza del fatto che il Cantone sia a tutti gli effetti uno Stato sovrano della costituzione), possiamo sostenere che la legge cantonale che non si pone in contrasto con la legislazione federale, non possa essere limitata o derogata dalla legge federale medesima.

Quindi, utilizzando il metodo della c.d. “reciprocità legislativa”, si può concludere che pare non essere verificata la condizione di reciprocità nel caso di una cittadina svizzera, residente a Ginevra, che intende acquistare un immobile in Italia da adibire ad abitazione secondaria perché la legge cantonale del cantone di Ginevra sembrerebbe non consentire genericamente l’acquisto di case secondarie da parte di stranieri, a prescindere dalla superficie.

Conclusioni

La questione, nella sua interezza, è stata sottoposta al Consiglio Nazionale del Notariato ed al Ministero della Giustizia per poter ottenere un parere univoco sul punto.

Allo stato attuale le domande che ancora sono rimaste senza una risposta certa e definitiva sono le seguenti:

  1. si intende verificata la condizione di reciprocità laddove la legge straniera preveda la necessità di un’autorizzazione ministeriale o governativa, che abbia finalità di controllo sugli acquisti di beni immobili o di partecipazioni sociali da parte di stranieri?
  2. nel caso della Svizzera, la legge cantonale che introduce limiti più stringenti rispetto alla legge federale, può comportare la mancata verifica della condizione di reciprocità?

Auspichiamo nel prossimo futuro di avere qualche risposta in più in riferimento ad una questione particolarmente delicata e di notevole interesse notarile, soprattutto se si considera che, ai sensi dell’art. 26 LAFE, i negozi giuridici aventi ad oggetto l’acquisto non autorizzato di immobili sono inefficaci, finché non intervenga l’atto autorizzativo e diventano addirittura nulli se siano comunque attuati, nonostante manchi la predetta autorizzazione o se intervenga il provvedimento di diniego di autorizzazione.

Veronica Ferraro, Notaio in Torino.

Come prepararsi ai controlli ANTIRICICLAGGIO negli studi notarili- a cura Dott. Michele D’Agnolo

Dopo un lungo periodo di sospensione dei controlli a motivo della pandemia, la Guardia di Finanza ha nuovamente ricominciato le verifiche antiriciclaggio negli studi professionali, dedicando particolare attenzione a quelli notarili.

L’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia infatti non ha sufficiente proprio personale ispettivo per cui ha siglato una convenzione con le Fiamme Gialle che vi provvedono con loro personale specializzato.

L’accanimento terapeutico sugli studi notarili non ha nulla di personale, ma è dovuto al fatto che gli atti di maggiore entità comunque richiedono la forma solenne e pertanto per definizione il Notaio rimane il crocevia delle transazioni economiche di maggiore entità e complessità.

Dal punto di vista sostanziale, vi sono generalmente due tipi di controllo, quelli su segnalazione specifica e quelli generali. I controlli su segnalazione specifica derivano da indagini o procedimenti penali in corso per riciclaggio, autoriciclaggio o finanziamento del terrorismo. In buona sostanza i verificatori, in presenza di un reato ascrivibile ad un ex cliente o controparte dello studio notarile si chiedono come mai i soggetti agli obblighi antiriciclaggio coinvolti nella filiera delle operazioni che hanno dato origine all’illecito non si siano accorti di nulla.

I controlli generali, invece, sono dei controlli effettuati a campione estraendo i nominativi degli studi professionali da verificare dalle banche dati di cui dispongono le autorità competenti. Anche se non è noto, è ragionevole ritenere che anche queste estrazioni rispondano comunque a delle valutazioni di rischio fatte a livello statistico in base a degli indicatori. Talvolta si è avuto l’impressione che vengano scelti gli studi di maggiore dimensione o fatturato, forse anche tenendo conto del fatto che dispongono di maggiori risorse da destinare alla compliance.

Il numero complessivo dei controlli che vengono effettuati ogni anno non è altissimo, si parla di qualche centinaio di accessi in totale, ma è anche vero che il numero complessivo degli studi notarili è relativamente esiguo. Un commercialista o un avvocato, che sono più di centomila ciascuno hanno una probabilità molto inferiore di essere controllati rispetto ad uno studio notarile che ha qualche migliaio di colleghi.

Per quanta buona volontà ci si possa mettere, l’adempimento antiriciclaggio finisce spesso nel dimenticatoio. Da un lato non viene affatto naturale accogliere un nuovo cliente con l’approccio “poliziesco” che giocoforza lo svolgimento del ruolo di contrasto comporta. Dall’altro, anche a livello organizzativo interno la modulistica da compilare e le informazioni da richiedere vengono viste come un bastone tra le ruote degli addetti che devono preparare l’atto notarile e che hanno come principale preoccupazione l’addivenire alla stipula. Il Notaio, per la natura dell’attività che svolge, fatica a controllare puntualmente e deve necessariamente delegare alcune attività, seppure soltanto di carattere ancillare, preparatorio e successivo, ai propri assistenti.

Ciononostante, il Notariato rimane la categoria che maggiormente collabora con le autorità e che più segnala operazioni sospette.

Non esistono dati ufficiali, ma le voci raccolte raccontano di provvedimenti sanzionatori molto rilevanti per entità ed ammontare, spiccati nei primi mesi del 2023.

Per quanto concerne la natura delle violazioni,  l’attenzione dei verificatori sembrerebbe non essere tanto e solo diretta all’adempimento relativo alla singola pratica ma alla valutazione del sistema complessivo messo in atto dallo studio notarile per presidiare i rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

E così, anche aspetti apparentemente secondari della normativa ritornano prepotenetemente alla ribalta e diventano altrettanto importanti rispetto agli adempimenti centrali, che rimangono quelli relativi al “Know Your Client”, alla conoscenza del cliente, dei suoi fondi e delle sue intenzioni, o in termini tecnici all’Adeguata Verifica nelle sue componenti di riscontro anagrafico e di valutazione del rischio del singolo cliente/incarico.

Rimane invece tradizionalmente meno rilevante nello studio notarile il tema del controllo costante, a motivo della tipica natura una tantum delle prestazioni effettuate e della generalmente breve durata della fase istruttoria e del completamento della pratica successivo alla stipula.

E così gli studi notarili stanno prendendo coscienza, nel peggiore dei modi, dell’esigenza di svolgere, documentare ed aggiornare almeno ogni tre anni una valutazione di rischio perimetrale, che riguardi tutto lo studio. Ancora, diventa importantissimo poter esibire una politica e procedura antiriciclaggio scritte che definiscano l’approccio di contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo e stabiliscano chi fa che cosa e come all’interno dello studio in merito agli adempimenti in questione. 

Non da ultimo, si rende necessaria anche la predisposizione, l’esecuzione e la documentazione di un adeguato piano informativo e formativo annuale rivolto agli assistenti notarili.

Da ultimo, occorre anche dimostrare di svolgere gli adempimenti antiriciclaggio nel pieno rispetto del regolamento europeo sulla tutela dei dati personali (GDPR). Viene a mente in particolare la puntuale e corretta conservazione decennale della documentazione raccolta.

L’approccio della normativa antiriciclaggio, così come quello di molti altri corpi normativi europei, è basato sulla valutazione dei rischi. Questo approccio “Risk Based” non è particolarmente adatto alla cultura dei paesi latini in quanto induce una rilevante soggettività nelle risposte che i singoli studi possono dare e nella valutazione che i singoli verificatori possono svolgere. Presume l’assoluta buona fede e la reciproca collaborazione del controllante e del controllato. Al di là delle sanzioni, al Notaio, per cultura e funzione, dà particolarmente fastidio il fatto di poter essere trovato inadempiente a prescindere dagli sforzi fatti. Da custode della legalità, ogni Notaio odia non potersi sentire sicuro di aver fatto tutto quanto previsto. Fortunatamente esistono ormai modelli organizzativi e prassi consolidate che fanno capo alle discipline della gestione della qualità e dei rischi (Risk e Quality Management) e a settori economici soggetti a normativa antiriciclaggio dove le organizzazioni sono più complesse ed articolate come il mondo bancario e quello assicurativo.

Un controllo da parte delle autorità competenti che inizi dimostrando da parte dello studio notarile un approccio sistematico alla materia dell’antiriciclaggio già ben predispone il verificatore e di solito contribuisce a limitare profondità e durata dei controlli.

 

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

Lo studio notarile virtuale – a cura Dott.ssa Anna Lisa Copetto

Lo sviluppo della tecnologia consente oggi allo studio notarile modalità di comunicazione e interazione  impensabili fino a qualche tempo fa. Sia riguardo alle relazioni interne  che riguardo alle relazioni tra studio e clienti. La pandemia ha fatto la sua parte nell’insegnarci che anche i rapporti a distanza possono essere gestiti in modo efficace e garantire uno standard di qualità altrettanto valido. Ora non resta che fare tesoro di ciò che abbiamo acquisito in termini di nuove competenze  e sfruttare al meglio le risorse disponibili, rendendo la distanza fisica sia sempre meno importante.

C’è da chiedersi se abbia ancora senso oggi investire in costose infrastrutture fisiche che impongono oneri che possono essere molto ingenti: per l’acquisito/affitto dei locali e la loro manutenzione periodica, per l’acquisito/affitto dell’hardware e del software e la loro manutenzione o sostituzione, per l’acquisito del materiale necessario all’operatività dello studio, per ottemperare ai requisiti di legge. Una postazione fissa per il lavoro d’ufficio per uno studio notarile può arrivare a costare fino a 5.000 euro all’anno. A tutto questo si devono poi aggiungere tutti quei costi legati alla gestione di un team di lavoro e delle sue dinamiche interne.

Adottare una logica del lavoro a distanza – anche parzialmente –  può incidere enormemente sulla sua capacità competitive dello studio. Si pensi ad esempio alla maggior attrattività nei confronti di quei talenti professionali (sempre più rari e sempre più cari) che necessitano di una maggiore flessibilità per poter bilanciare lavoro e vita familiare. In particolare nei grandi centri urbani.

Allo stesso modo, anche l’introduzione di elementi di innovazione nella gestione del cliente può migliorare la competitività dello studio. Si pensi ad esempio, al maggior servizio reso al cliente che desidera poter interagire con lo studio con modalità che incidano il meno possibile sul suo tempo.

Se si condivide il principio per cui “il lavoro è qualcosa che si compie, non un luogo in cui ci si reca”, lo studio virtuale (in parte o in toto) è allora una grande opportunità di sviluppo e non una concessione che si fa ai propri collaboratori.

Affinché si possa trarre i benefici sperati, è senz’altro necessario uno sforzo importante in termini di investimento sulle infrastrutture informatiche, sulla progettazione delle nuove forme di interazione, di comunicazione e di trasmissione di dati e documenti, sulla formazione e addestramento pratico delle persone che andranno a far parte del progetto, sulle modalità di pianificazione, esecuzione e controllo dei lavori.

È evidente che occorre procedere attraverso una strategia complessiva che interessa trasversalmente lo studio e che deve avere come esito finale il ridisegno di un nuovo modello organizzativo e di business. Non si tratta quindi di acquistare la migliore tecnologia sul mercato ma di essere disposti ad fare un salto culturale importante. Ma necessario.

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network

 

La recente interpretazione dell’AdE sul regime della liberalità collegate ai trasferimenti immobiliari- a cura Notaio Alessandra Magnocavallo

La risposta dell’amministrazione finanziaria ad un interpello (il n. 6 del luglio 2022) offre lo spunto per alcune riflessioni sulla fiscalità delle liberalità dirette collegate ai trasferimenti immobiliari dal punto di vista dell’imposta di successione.

 

Il caso portato all’attenzione della AE riguardava l’applicabilità dell’esenzione di cui all’art. 1 comma 4bis D.Lgs 346/1990 alla seguente fattispecie complessa:

  • donazione diretta di denaro effettuata per atto pubblico contenente l’espressa dichiarazione che la somma stessa fosse donata esclusivamente allo scopo di consentire al donatario l’acquisto immobiliare, con l’apposizione – quindi – di una condizione risolutiva all’atto stesso nel caso di mancato acquisto dell’immobile;
  • atto di acquisto immobiliare in cui viene dichiarata espressamente la provenienza diretta del denaro costituente il pagamento del prezzo.

Il dubbio sorge dalla lettura della norma citata, laddove si legge che «Ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto».

 

Stupisce dunque la risposta dell’amministrazione, per la quale l’esenzione riguarderebbe solo le donazioni indirette collegate ad atti di trasferimento immobiliare e non anche le donazioni e le altre liberalità dirette, che pur la norma testualmente contempla.

Merita, a questo punto, ricordare che nella stessa Circolare 207/E del 2000 l’Amministrazione, nel citare le fattispecie esemplificative rientranti nella norma, citava già la dazione diretta di denaro ed il pagamento del prezzo effettuato dal genitore per l’acquisto della casa del figlio.

 

La giurisprudenza più recente (Cassazione n. 11831 del 12.4.2022 e n. 13133 del 2016) ha ammesso che l’esenzione si possa applicare già al momento della stipula dell’atto preordinato, pur richiedendo che la prova del collegamento tra la liberalità e l’acquisto immobiliare sia fornita mediante l’espressa dichiarazione contenuta nella compravendita.

 

Quindi, se da un lato sembra essere salva la rilevanza delle donazioni dirette e l’applicabilità del regime ex art. 1 comma 4 bis già al momento dell’atto preordinato, dall’altro non c’è univocità di orientamento né in giurisprudenza né nella prassi circa la prova del “collegamento” richiesto dalla norma. Sussistono, infatti, difficoltà pratiche nell’apprezzamento del requisito richiesto dalla norma.

 

Alessandra Magnocavallo, Notaio in Brescia.

La formazione dello staff dello studio notarile – a cura Dott.ssa Anna Lisa Copetto

È del tutto evidente che gli studi che dispongono delle migliori risorse umane sono quelli che godono di un maggiore successo, sia economico che reputazionale. Uno staff più competente è in grado di dare allo studio notarile un vantaggio competitivo estremamente rilevante e stabile nel tempo.

Ecco perché è importantissimo che le persone siano costantemente aggiornate rispetto ai temi di cui si occupano, ma anche che diventino ogni giorno più flessibili apprendendo nuove professionalità, in un’ottica di anche di un eventuale ampliamento della propria mansione.

Ci si riferisce non solo alle competenze tecniche e giuridiche, certamente imprescindibili, ma anche a quelle che oggi si definiscono competenze trasversali, come ad esempio la capacità di gestire un cliente difficile, di comunicare in modo efficace, di gestire in modo proficuo il tempo a disposizione, di lavorare in gruppo, di gestire e risolvere problemi, ecc. Cose che crediamo di saper fare ma che potremmo gestire in modo molto più consapevole  ed efficace se ci venissero spiegate. Un aspetto molto spesso trascurato, ad esempio,  riguarda la capacità dello staff di utilizzare al meglio gli strumenti tecnologici e informatici dello studio: troppe volte constatiamo un significativo sotto utilizzo di tecnologie più o meno sofisticate messe a disposizione, con un’evidente dispersione di risorse economiche e di tempo.

Tutto questo si può fare convincendo o spingendo le persone ad aggiornarsi da sole. L’autoapprendimento rischia tuttavia di essere molto più lento e meno efficiente dei risultati che si possono ottenere focalizzando interventi addestrativi opportuni.  Quindi si può fare meglio, aiutandole nel cambiamento con supporti di formazione e di addestramento pianificati in funzione delle reali necessità dello studio e delle attitudini della persona.

La formazione è necessaria ed indispensabile non solo per ottenere performance migliori ma anche per motivare il personale  e favorire una serie di cambiamenti positivi nei comportamenti che poi si riflettono sul risultato complessivo dello studio.

Sappiamo naturalmente che la formazione ha un duplice costo: quello del corso/formatore e quello del tempo speso dalle persone per frequentarlo. Così talvolta capita che i titolari dello studio rinuncino alla formazione del proprio staff ritenendo di non potersi permettersi l’uno e l’altro, realizzando così una profezia che si autoavvera, quella dello studio che non evolve.

Per avviare un piano di formazione del personale efficace e proficuo è necessario procedere in 3 step: analisi del reale fabbisogno formativo,  Progettazione e attuazione della formazione e valutazione dei risultati.

In conclusione, la formazione, se ben gestita, aiuta lo studio a competere efficacemente, purché sia vista e trattata come un elemento di un quadro più ampio di cambiamento che molto spesso richiede il coinvolgimento attivo dei titolari dello studio per un periodo di tempo più prolungato.

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network

 

Le reti di studi notarili – a cura Dott. Michele D’Agnolo

L’art. 12 della L. 22 maggio 2017, n. 81 ha introdotto nell’ordinamento italiano la possibilità di costituire aggregazioni professionali utilizzando nuove forme giuridiche.

In particolare, vengono estesi agli studi professionali alcuni istituti giuridici già noti al mondo delle imprese. Si tratta delle reti tra professionisti, dei consorzi stabili tra professionisti e delle associazioni temporanee tra professionisti.

In particolare, per concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti pubblici e privati, e’ riconosciuta ai professionisti, a prescindere dalla forma giuridica con cui esercitano la professione, la possibilità di costituire reti di professionisti o di partecipare a reti miste con imprese, con accesso alle relative provvidenze in materia. È inoltre consentito di costituire consorzi stabili professionali e associazioni temporanee professionali. Quest’ultima forma era già ammessa nella prassi, ma è stata finora utilizzata solo per partecipare a determinati appalti pubblici o per adire ad alcune agevolazioni. Escludendo dalla trattazione le ATP, che hanno per natura un utilizzo abbastanza limitato, conviene concentrarci sulle reti e sui consorzi. Al momento l’attività prevista dal legislatore in via esclusiva per queste strutture intermedie sembrerebbe riguardare il co-branding e il co-marketing, cioè la condivisione della comunicazione esterna volta al perseguimento di nuovi mandati professionali. Ma a ben vedere, se la finalità dello strumento è il perseguimento di incarichi più ampi e complessi, allora si deve poter presupporre anche una reciproca collaborazione e un coordinamento nella fase di pianificazione e di esecuzione degli stessi, con una suddivisione dei compiti. Se poi si inquadra il contratto di rete o di consorzio tra professionisti quale contratto atipico non vietato dall’ordinamento ex art. 1322 cc.

non sembra di rilevare particolari ostacoli giuridici nemmeno alla costituzione di realtà orientate anche ad esempio al coordinamento negli approvvigionamenti o nella gestione di vere e proprie “fasi” dei rispettivi studi. Si pensi ad un centro condiviso per la esecuzione degli adempimenti successivi alla stipula.

Come si può immediatamente intravvedere, si tratta di strumenti relativamente semplici e proprio per questo di grande rilievo perché riescono a conciliare il grande bisogno di indipendenza del singolo professionista con la necessità di un sempre maggiore coordinamento imposta dal mercato, superando sia le logiche riduttive della mera condivisione di costi che quelle troppo stringenti dell’associazione, oggi peraltro penalizzata dalla presenza dell’IRAP. 

Così come le reti tra imprese stanno riscuotendo un crescente successo tra le piccole e medie imprese italiane, ritengo ci sia da attendersi altrettanto interesse e diffusione per gli strumenti di aggregazione “debole” tra studi professionali che oggi vengono proposti, e che questi si possano estendere – mutatis mutandis – anche all’ambito notarile. Tra l’altro, reti e consorzi si possono anche impiegare in via propedeutica rispetto ad aggregazioni più approfondite, in quanto consentono di convivere e di mettersi reciprocamente alla prova prima di convolare eventualmente a “giuste nozze”.

Per quanto riguarda le reti tra professionisti, al momento la norma sembra consentire fondamentalmente due tipologie di accordo. Le reti esclusivamente tra professionisti, e le reti miste con imprese. Mentre gli specifici principi legali e deontologici della professione notarile escludono a mio avviso a priori la possibilità di reti miste tra studi notarili e imprese e di reti interprofessionali tra studi notarili e altri professionisti, non sembra  – almeno prima facie – di rilevare ostacoli alla creazione di reti o consorzi esclusivamente tra studi notarili, quantomeno tra quelli presenti nello stesso Distretto Notarile. Al momento non sembra di rilevare pronunciamenti ufficiali in merito da parte del CNN.

Un Notaio può intervenire alla rete in forma di professionista individuale ma anche direttamente con la propria associazione professionale.

Una volta debitamente sviscerati i risvolti deontologici, i contratti di rete tra Notai potrebbero forse essere utili anche per consentire aggregazioni deboli, di presidio territoriale, tra soggetti ai quali non sono consentite forme di avvicinamento maggiori, si pensi ai Notai operanti in aree diverse, ai quali oggi è preclusa l’associazione professionale.

Il contratto di rete tra professionisti nulla modifica rispetto alle responsabilità professionali e personali del singolo aderente.

È possibile costituire delle reti contratto, con valenza meramente interna tra gli studi notarili aderenti e delle reti soggetto, con attività esterna, diretta nei confronti ad esempio della clientela.

Anche qui cautela suggerisce per il momento di limitarsi alle reti contratto, attraverso le quali ad esempio alcuni Notai potrebbero decidere di comunicare all’esterno le competenze e l’organizzazione dei rispettivi studi in modo coordinato, con un sito web e una comunicazione social comuni.  

Ulteriori utilizzi del contratto di rete tra Studi Notarili possono emergere dalla facoltà che la rete ha di assumere dipendenti in co-datorialità. Si pensi alla possibilità di avere un addetto antiriciclaggio dedicato che svolge il suo lavoro a turno a vantaggio di una pluralità di studi.

La norma che ammette la partecipazione dei professionisti alle reti professionali e miste non brilla per chiarezza, in quanto secondo alcuni sembrerebbe richiedere  – ad substantiam – l’iscrizione dell’atto costitutivo al Registro delle Imprese. Iscrizione, peraltro, non possibile a causa del principio di tassatività. Sul punto è però intervenuto il Ministero dello Sviluppo Economico che con propria nota ha chiarito che l’impossibilità della pubblicità non implica l’impossibilità dell’utilizzo dello strumento.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

Il notaio e la gestione delle emozioni – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Dallo straordinario sodalizio artistico di Battisti e Mogol è nata una canzone immortale che ci ricorda l’importanza delle emozioni.

Ma perché mai uno studio notarile dovrebbe interessarsi di un tema psicologico, apparentemente lontano dal diritto immobiliare, societario e successorio e dall’operatività quotidiana?

Ebbene, le emozioni sono di enorme interesse per gli studi notarili perché costituiscono il motore del comportamento delle persone. Se non bastasse l’evidenza schiacciante dell’etimo, eccovi qualche esempio.

Pensiamo alla gioia che prova il notaio o l’assistente quando un cliente riconosce un lavoro ben fatto. Una piccola lode, o un piccolo omaggio, che risultano spesso molto più appagante di qualsiasi incentivo economico. Gratificazioni che possono motivare un collaboratore anche molto a lungo.

O ancora al passaparola positivo del cliente che, ricordando del trattamento umano e compassionevole che ha ricevuto nella gestione della pratica di successione di un caro congiunto parla bene dello studio a tutto il suo entourage di amici e conoscenti.

Ma le emozioni che si possono ritrovare all’interno di uno studio non sono sempre e solo piacevoli.

La rabbia, quando l’assistente notarile si innervosisce per la pressione di un cliente che ha urgenza di fissare l’appuntamento per la stipula. La paura, nelle sue molte sfaccettature.

La paura del cliente che si affaccia per la prima volta alla soglia di uno studio notarile e deve appena sviluppare il rapporto di fiducia con il professionista.

Negli assistenti notarili, una tra le più comuni è la paura di sbagliare, che può frenare la produttività fino a paralizzare chi lavora al punto di non riuscire a prendere più alcuna decisione.

Ma c’è anche la paura, che può diventare ansia, di non farcela a reggere una mole di lavoro straordinariamente alta o di non riuscire a completare in tempo un atto già fissato in stipula.

Non possiamo non citare la paura del nuovo e di non riuscire a imparare, o di dover rallentare e lasciare indietro il lavoro, di fronte ad un cambiamento lavorativo importante come il cambio della suite del software notarile o delle proprie mansioni all’interno dello studio.

L’effetto delle emozioni positive e negative è spesso sottovalutato dal notaio che misura il comportamento dei collaboratori sulla propria capacità di gestione emotiva e del cambiamento, che sono di solito molto più sviluppate di quelle degli assistenti notarili. Fin dai tempi del concorso il notaio sviluppa una grande resilienza emotiva.

Alle volte l’emozione non viene esternata, ma non per questo è meno importante.

Si pensi a quando un collaboratore particolarmente coscienzioso sbaglia e si arrabbia con sé stesso fino all’autoflagellazione, con il notaio costretto a tirarlo su di morale invece che a rimproverarlo.

Per migliorare la gestione dello studio notarile, occorre quindi considerare sempre che le persone con cui interagiamo nell’attività quotidiana hanno contemporaneamente un lato razionale ed un lato emotivo. Viene a mente il commercialista che si sente sminuito perché non ha immediata attenzione da parte del notaio ma viene dirottato su un collaboratore.

Le emozioni sono contagiose, quindi il notaio deve stare molto attento a quello che dice e a come lo dice.

Quando il notaio entra in studio i collaboratori lo guardano e dal linguaggio del corpo cercano di decifrare di che umore è, per decidere a loro volta di che umore diventare. Un titolare di studio dovrebbe affrontare un corso di recitazione, per convogliare sempre positività quando entra in studio, mentre spesso è lui o lei a indurre demotivazione e rassegnazione magari sfogandosi apertamente.  

Quest’ ultimo esempio ci dimostra che le emozioni non sono immutabili, non dobbiamo per forza subirle ma possiamo almeno in una certa misura influenzare sia le nostre che quelle altui.

Per migliorare la nostra capacità di gestire le nostre emozioni e di identificare ed influenzare quelle altrui possiamo oggi far riferimento ad un ampio bagaglio di tecniche di tipo psicologico e di coaching, che il notaio può trasmettere anche ai suoi collaboratori, in modo da migliorare non solo le relazioni tra il titolare dello studio e gli assistenti ma anche le interazioni tra pari.  

Gestire anziché subire le emozioni nello studio notarile conviene davvero a tutti: meno stress, più produttività, più benessere.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

Il Notaio e i social network – a cura Dott.ssa Anna Lisa Copetto

La comunicazione, piaccia o meno, ha un ruolo primario nel successo di qualunque iniziativa, a prescindere dal settore di appartenenza. Certo, se non ben salda ad un contenuto professionale di un certo spessore, anche la più solida delle strategie comunicative non potrà fare miracoli. Ma un ottimo professionista senza un’ottima comunicazione allineata alle caratteristiche del mercato rischia di essere presto o tardi sopraffatto.

Delineare una strategia comunicativa non significa tentare vender fumo ma di valorizzare al meglio agli occhi del pubblico le caratteristiche distintive dello studio: l’expertise, la reputazione, l’immagine, le relazioni, le esperienze, e così via. È mettere il cliente nelle condizioni di sapere che esistiamo, che possiamo sostenerlo, che possiamo essergli accanto. È  mettere nel cliente nelle condizioni, volendo, di poterci scegliere.

Uno degli strumenti della comunicazione più diffuso è rappresentato oggi dai social network, luoghi nei quali la stragrande maggioranza degli interlocutori attuali e potenziali dello studio (clienti,  partner, collaboratori, fornitori, ecc.) interagisce, si informa, si confronta, si connette, scambia idee e opinioni, condivide interessi e passioni.

I social network sono spesso considerati nell’immaginario di molti professionisti non propriamente conformi ai concetti di decoro e di dignità professionale. E in effetti non mancano esempi di comportamenti a di poco deplorevoli.  Tuttavia, va anche considerata anche da parte dello studio notarile la grande opportunità che essi offrono: creare un ventaglio di opportunità di dialogo e di incontro più che costruttive fino a quale tempo fa inimmaginabile.

Si tratta, in sostanza, di fare virtualmente in rete che quello che nella vita reale si chiama “fare pubbliche relazioni”: attraverso i social network è infatti possibile costruire e ampliare le relazioni, trasformare una semplice conoscenza in un rapporto duraturo,  in una opportunità di collaborazione, in una occasione di business.

Le tipologie di social network sono moltissime, ognuna con le proprie specificità e le proprie funzioni, il proprio linguaggio ma quasi tutte hanno in comune tre caratteristiche: la necessità di creare un proprio profilo, la possibilità di coltivare una rete più o meno ampia di relazioni e la possibilità di condividere e diffondere contenuti.

I social network che per la loro tipologia e diffusione sembrano più attraenti per la realtà dello studio notarile sono attualmente LinkedIn e Facebook. La presenza su LinkedIn ha come scopo principale quello di costruire e rafforzare una rete di relazioni con persone considerate affidabili nell’ambito del proprio contesto professionale. Facebook è da considerarsi un vero e proprio ecosistema (che comprende Instagram, Messanger e WhatsApp) che consente di aumentare la visibilità dello studio e di mantenere costantemente acceso il rapporto con i clienti attuali o potenziali dello studio.

 

A prescindere dalla piattaforma prescelta, per essere davvero efficace e usarla a proprio vantaggio sono indispensabili tre cose: dire cose interessanti, essere assidui e avere una linea editoriale allineata all’identità e all’immagine dello studio. Diversamente, si rischia un effetto boomerang i cui effetti potrebbero essere difficili da contenere. I social network hanno un proprio linguaggio e un proprio set di norme di comportamento da rispettare. Ecco perché è bene non improvvisarsi e affidarsi a figure professionali specializzate in grado di guidare lo studio non solo nella progettazione del proprio profilo ma soprattutto nella messa a terra dello strumento, per trarne il massimo beneficio possibile

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network

 

Appunti in tema di permuta di cosa presente con cosa futura – a cura Notaio Vito Pinto

Ogni volta in cui un costruttore abbia necessità di procedere ad acquisire spazi o aree per future edificazioni, evitando l’immediato esborso di danaro per l’acquisto dell’area stessa, ma essendo disposto a cedere parte della costruzione che realizzerà, ci si imbatte nella figura contrattuale della permuta di cosa presente con cosa futura.

L’art. 1552 c.c. definisce la permuta come il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà, od altri diritti, da un contraente all’altro, ma rinviando con l’art. 1555 c.c. alla disciplina della vendita risolve in senso positivo il problema della applicabilità dell’art. 1472 c.c. implicitamente ritenendo lecita e possibile una permuta di cosa presente con cosa futura.

Per di più tale possibilità si ricava anche dall’art. 1348 c.c. che ritiene ammissibili le prestazioni di cose future come oggetto di contratto.

Il primo problema che sorge nello sviluppo del contratto è la garanzia dell’adempimento dell’obbligazione futura, perché mentre la prestazione inerente il passaggio del terreno é di efficacia immediata, l’adempimento della controprestazione potrà avvenire solo al momento della realizzazione dell’opera, creando in tal modo una forte debolezza della posizione del contraente,  originario proprietario dell’area, che potrebbe anche rischiare di non riuscire ad ottenere quanto pattuito.

Si usano nella pratica quotidiana rimedi vari sia giuridici, come sicuramente il ricorso ad una fideiussione a prima richiesta che tuteli il contraente debole per il caso di mancata realizzazione della costruzione, sia empirici, come nel caso di costruzioni non in verticale ma in orizzontale (es.: villette a schiera) in cui sia possibile un preventivo frazionamento dell’area corrispondente alla singola porzione promessa in permuta.

In tal caso basterà, infatti, non cedere quest’unica unità già frazionata stipulando un contratto di appalto che impegnerà il costruttore stesso alla realizzazione della costruzione compensando totalmente o parzialmente il costo con quanto corrisponde al valore delle aree precedentemente vendute: ma appare subito evidente che questa non sarà più una permuta ma solo un doppio contratto : vendita e separato appalto con compensazione dei costi !

È evidente altresì che qualora si riscontrasse differenza di valore fra l’area ceduta e l’immobile offerto a costruzione finita si dovrà prevedere una compensazione in denaro e si avrà pertanto una permuta con conguaglio.

Si discute sulla natura del contratto in esame quando il valore del conguaglio superi il valore economico del bene permutato: in tal caso infatti non si avrà solo una permuta ma anche una vendita mista per la differenza .

Una volta che il proprietario dell’area abbia ceduto la proprietà del suolo e sia quindi in attesa della venuta ad esistenza del bene, questo diventa creditore nei confronti del costruttore e potrà anche eventualmente trasferire la proprietà delle unità immobiliari da costruire senza il consenso del costruttore, configurandosi in tale fattispecie non tanto una cessione di contratto, quanto una cessione del credito, per il quale non è necessario il consenso del contraente che abbia già conseguito tutti gli effetti attivi del contratto.

Ai fini degli effetti e della redazione stessa del contratto, assume particolare rilevanza la determinazione del momento in cui viene ad esistenza il bene futuro.

In giurisprudenza si è evidenziato come questo momento debba coincidere con il perfezionamento del processo produttivo della cosa nelle sue componenti essenziali, quando cioè siano state eseguite le opere murarie (e non bisognerebbe attendere il completamento delle opere di rifinitura), ma tale posizione non sempre corrisponde alle esigenze del contraente debole (cedente l’area) né le tutela ed é quindi sempre consigliato precisare nelle pattuizioni contrattuali originarie che non sarebbe sufficiente  ad esaurire la controprestazione futura il solo completamento dello scheletro in cemento, ma debba essere realizzato un aspetto completo della costruzione, anche se mancante di alcune rifiniture od accessori non indispensabili.

Pertanto si rende molto opportuno che le parti individuino con esattezza in contratto tale momento ai fini del perfezionamento dell’effetto traslativo, nonché ai fini della applicabilità e sussistenza delle garanzie di cui al D. Lgs. 122/05.

Qualora poi il predetto contraente debole non volesse per sé la proprietà della costruzione futura, sussistendo solo effetti obbligatori fino alla venuta ad esistenza del bene, sarà sempre possibile inserire una riserva di nomina a favore del terzo ex art. 1411 c.c. evitando così un doppio atto di trasferimento finale.

Si differenzia leggermente la fattispecie in cui la vendita del terreno sia eseguita con riserva del diritto di superficie su di una porzione della nuova costruzione che il proprietario del suolo vorrà per sé, con contestuale appalto per la costruzione della medesima.

In passato questa soluzione ha incontrato ostacoli di problema fiscale, in quanto l’Ufficio del Registro riteneva che vi fossero due distinti negozi (trasferimento del suolo e trasferimento del diritto di superficie) e perciò provvedeva ad una duplice tassazione, ma da circa dieci anni, aderendo ad una ricostruzione più coerente sulla riserva del diritto di superficie, che non implica di per sé un trasferimento, si è addivenuti ad una tassazione più equa.

Parte della dottrina aveva comunque espresso perplessità in ordine alla possibilità di costituire un diritto di superficie a partire da una certa altezza e per una determinata estensione e quindi, apparentemente poggiati sul vuoto (famosa la pronuncia della Cassazione sull’impossibilità che le “scatole d’aria” possano costituire oggetto di disposizione). In realtà il fenomeno in esame configura un diritto di superficie sulla proprietà che si andrà a costruire o eventualmente, una serie di diritti di superficie costruiti l’uno sopra l’altro; figure queste certamente ammissibili.

Unico inconveniente risulterebbe che il proprietario del suolo sarebbe titolare solo della proprietà superficiaria dell’edificio, mentre il suolo (e quindi anche le parti comuni) dovrebbero rimanere in piena proprietà del costruttore, con la importante conseguenza che in caso di crollo dell’edificio nulla rimarrebbe definito per l’originario proprietario dell’area, con ulteriori conseguenze dannose ed estintive nel caso di prescrizione del diritto stesso.

Molto meglio invece non cedere l’intera proprietà del terreno ma solo una quota millesimale dello stesso, pari al valore di quanto il costruttore vorrà tenere per sé, trattenendo quella quota millesimale che ad esecuzione dell’opera avvenuta con un atto di divisione potrà corrispondere esattamente al o agli appartenenti promessi in controprestazione dal costruttore !

Anche in questo caso una maggior garanzia sarà sempre rappresentata da una fideiussione e da un appalto ove il costruttore si impegni a portare a termine a regola d’arte la costruzione finale.

In realtà l’utilizzo di tutte le fattispecie negoziali sopra esaminate ha chiaramente diverse conseguenze in tema di inadempimento.

Nella classica ipotesi iniziale di permuta di cosa presente con cosa futura la parte che avrebbe dovuto ricevere la cosa futura potrà sempre chiedere la risoluzione del contratto se insoddisfatta.

Per effetto della sentenza di risoluzione la proprietà dell’area ritornerà al proprietario, con la proprietà delle costruzioni ivi edificate fino a quel momento, in forza del principio della accessione, con l’obbligo di pagamento – a sua scelta – delle spese sostenute o dell’indennità pari all’aumento del valore dell’area.

Il proprietario dell’area non avrà invece il diritto di demolire la costruzione, ex 1150 ultimo comma c.c. perché questa possibilità dovrebbe essere esclusivamente concessa in via giudiziaria e non sarà possibile ottenere il ripristino dello stato di fatto antecedente, quando area ed edificio formino una sola cosa inscindibile, ossia un nuovo bene.

Comunque la circostanza che l’inadempimento del costruttore non comporti la nullità del contratto ma solo la sua risoluzione non tutela in pieno il proprietario dell’area, in quanto la risoluzione ai sensi del 1458 c.c. sarà inopponibile agli aventi causa del costruttore che abbiano trascritto antecedentemente una qualsiasi azione giudiziaria risarcitoria per posizioni debitorie maturate.

Infatti difficilmente il proprietario si vedrà restituito il bene senza formalità pregiudizievoli, in quanto sarà probabilmente gravato da iscrizioni o trascrizioni o concesse dalla Banca per finanziare la costruzione, o iscritte da fornitori non soddisfatti e quindi sempre potenzialmente soggetto alla esecuzione forzata.

Altro rimedio esperibile, ove ne ricorrano i presupposti, è la rescissione del contratto, la cui applicazione è invocabile per tutti i contratti a prestazioni corrispettive.

In conclusione ed al fine di avere una rete protettiva per il contraente debole, oggi a tutela del trasferimento della proprietà di un immobile da costruire soccorre il D.Lgs. 122/05, ove applicabile ai sensi dell’art. 1 dello stesso, che permette all’acquirente di conseguire importanti garanzie, tra cui si segnalano:

  • una fideiussione bancaria o assicurativa a garanzia dell’obbligo da parte del costruttore di consegnare l’immobile finito (almeno nei suoi elementi essenziali) fino al rilascio del certificato di abitabilità;
  • una assicurazione obbligatoria nella ipotesi di crollo dell’edificio;
  • il preventivo frazionamento dell’ipoteca;
  • l’inserimento nell’atto , a pena di nullità, di tutta una serie di documenti che garantiscano o comunque lascino prevedere il futuro adempimento del costruttore, come l’intero capitolato e l’elenco di tutti i materiali da impiegare e di tutte le ditte impegnate nella costruzione;
  • la trascrizione presso i registri immobiliari, con effetto prenotativo contro altri creditori, dei diritti dell’acquirente del bene ancora da costruire.

Vito Pinto, Notaio in Varese

Interpretazione fiscale al limite da parte dell’ agenzia delle entrate – a cura Notaio Roberto Santarpia

ANCORA UNA INTERPRETAZIONE FISCALE AL LIMITE DA PARTE DELL’ AGENZIA DELLE ENTRATE che nega bonus prima casa per la rinuncia al diritto reale di abitazione.

L’agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 525 del 26 ottobre 2022, afferma apoditticamente che il negozio portante la rinuncia abdicativa senza corrispettivo (e quindi a titolo gratuito) al diritto reale di abitazione deve essere tassata, oltre che con l’imposta di donazione, con le imposte ipotecaria e catastale e le rispettive aliquote del 2% e dell’ 1%, da applicare al valore del diritto rinunciato, non ritenendo ammissibile l’agevolazione prima casa e quindi l’applicabilità in misura fissa delle imposte suddette.

Analizziamo dunque la portata dell’asserto della A.E. per verificarne la “bontà” giuridica.

La rinuncia negoziale (ad un diritto) può essere effettuata a fronte di un corrispettivo o in assenza dello stesso. Nel primo caso nessuno dubita che ci troviamo dinnanzi a un negozio giuridico bilaterale traslativo a titolo oneroso -vedasi nota 6 allo studio del C.N.N. num. 216-2014/c, che apostrofa la rinuncia come una sorta di controprestazione sia pure a  carattere negativo e ……. precisa che in tale ipotesi il soggetto non abdica affatto al suo diritto e che pertanto il suo atto non può qualificarsi come rinuncia- fattispecie che non riterrei ammissibile per il diritto di abitazione in quanto comparabile ad una cessione e il diritto di abitazione è incedibile per legge;  ai sensi delll’articolo 1 della tariffa parte prima allegata al Dpr 131/1986 (imposta di registro) è previsto che le aliquote relative agli atti traslativi o costitutivi a titolo oneroso di diritti reali immobiliari si applicano anche alla rinuncia pura e semplice agli stessi diritti. Quindi trattamento unitario se a titolo oneroso tanto che si considerino bilaterali o unilaterali.

Nel caso invece di  assenza del detto corrispettivo, la rinuncia sarebbe effettuata a titolo gratuito e la normativa (Testo unico del 31/10/1990 n. 346,)  prevede che agli atti gratuiti si applichi la disciplina fiscale delle donazioni:

“art. 1 1. L’imposta sulle successioni e donazioni si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalita’ tra vivi.

  1. Si considerano trasferimenti anche la costituzione di diritti reali di godimento, la rinunzia a diritti reali o di credito e la costituzione di rendite o pensioni.”

Quindi la legge EQUIPARA anche qui le donazioni e le altre liberalità tra vivi ai fini fiscali. E questo è un primo indizio di volerle trattare nello stesso modo e quindi non solo in alcuni casi.

In secondo luogo approfondendo se la rinuncia negoziale gratuita possa configurarsi quale donazione (ontologicamente tale benchè indiretta) la risposta è affermativa per i seguenti motivi giuridici:

– seppure formalmente la rinuncia resta un negozio unilaterale, nel caso della rinuncia ad un diritto reale è difficile non scorgere un intento liberale, difatti in detta fattispecie chi rinuncia all’usufrutto o al diritto di abitazione, anziché venderlo, è ovvio che vuole avvantaggiare il nudo proprietario. Quindi tra donazione diretta e indiretta cambia solo lo schema: da contrattuale a unilaterale.

Se poi analizziamo, al fine di rinforzare il superiore asserto, la diversa situazione di arrichimenti che si verificano al di là di un negozio giuridico, quali quelli che avvengono a seguito di usucapione e per prescrizione di un diritto, è stato osservato da acuta dottrina, che qui manca il nesso di causalità fra la perdita del diritto e l’acquisto o la liberazione, tanto che l’usucapione dà luogo non ad un acquisto a titolo derivativo da parte di chi perde il diritto, ma ad un acquisto a titolo originario dovuto al possesso di terzi protrattosi per un certo tempo: non vi è una volontà espressa da parte di chi perde il diritto ma un comportamento omissivo dal quale è difficile dedurre un animus donandi ma, la medesima dottrina ha poi precisato che se in detta ipotesi vi fosse accordo configurativo tra le parti (colui che perde il diritto e il beneficiario a seguito della detta perdita), che di fatto convengono in detto modo di arricchire il beneficiario, non può non scorgersi anche qui un animus donandi che fa riconvertire anche dette fattispecie nell’ambito della donazione indiretta in asse con il disposto dell’art. 809 c.c.. che fa espresso riferimento ad “altri atti di liberalità”, contenuta nel titolo, e utilizza l’espressione “le liberalità, anche se risultano da atti diversi”, nel testo della norma. Altrimenti detto, con l’accordo configurativo si sovrappongono ad un effetto legale (derivante da un atto materiale) elementi soggettivi idonei a far rientrare le fattispecie al vaglio nella categoria delle donazioni indirette.

A questo punto della analisi è facile richiamare quanto oramai pacifico circa la disciplina legale applicabile alle donazioni indirette e cioè le medesime conseguenze riconducibili ad una donazione diretta per espresso richiamo dell’art. 809 c.c. che quindi le considera equipollenti sul piano giuridico, con stesse conseguenze anche a livello successorio quali i) la possibile esperibilità dell’azione di riduzione (tema controverso in seguito a recente sentenza di cassazione del 28 febb. 2022 n. 4523 poi smentita da ultima recentissima ordinanza di cassazione 35461/2022), ii) nonchè sul piano della operatività della collazione ex art. 737 c.c. che tratta le donazioni dirette ed indirette allo stesso modo (conforme Cass 27 luglio 2022 num. 23403).

L’Agenzia delle Entrate, nella suddetta risposta ad interpello, giustifica detta inapplicabilità come segue: “

“il predetto articolo 69, commi 3 e 4, reca una norma speciale agevolativa non suscettibile di interpretazione estensiva, che, quindi, non è applicabile agli atti a titolo gratuito e alla costituzione di vincoli di destinazione non espressamente contemplati dalla norma stessa”. Come chiarito dalla citata circolare, quindi, l’agevolazione “prima casa” non risulta comunque applicabile agli “atti a titolo gratuito”, posto che la norma di cui al citato articolo 69 si riferisce soltanto agli acquisti derivanti da “successioni o donazioni” e che le norme speciali non sono suscettibili di interpretazione estensiva.”

Ma, stante quanto sopra esposto, la portata di una norma (nella fattispecie la applicazione dei benefici fiscali previsti per la prima casa solo alle successioni e alle donazioni senza estenderla anche agli altri atti gratuiti) non si evidenzia mediante una interpretazione meramente letterale ma guardando lo spirito della stessa ed il suo intendimento e cioè quali interessi vuole perseguire e a tutela di quali interessi è stata dettata. Come i giuristi del diritto romano dicevano: “Ubi eadem ratio, ibi eadem iuris dispositio”, quanto meno lì dove sia presente animus donandi e ancora “scire leges non est verba earum tenere sed vim ac potestatem”; il legislatore fiscale non poteva non avere di mira (ai fini del beneficio 1° casa) tutte le ipotesi di negozi giuridici configurabili quali “donazione”, ma come sappiamo, usualmente non si è soliti ripetere, citando il T.U. delle successioni e donazioni, tutti gli altri atti comportanti arricchimento senza corrispettivo e comunque la nostra fattispecie è pur sempre ontologicamente una donazione seppure indiretta in un’epoca in cui conta la causa concreta piuttosto che la causa astratta.

Roberto Santarpia,  Notaio in Orzinuovi.