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Appunti in tema di permuta di cosa presente con cosa futura – a cura Notaio Vito Pinto

Ogni volta in cui un costruttore abbia necessità di procedere ad acquisire spazi o aree per future edificazioni, evitando l’immediato esborso di danaro per l’acquisto dell’area stessa, ma essendo disposto a cedere parte della costruzione che realizzerà, ci si imbatte nella figura contrattuale della permuta di cosa presente con cosa futura.

L’art. 1552 c.c. definisce la permuta come il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà, od altri diritti, da un contraente all’altro, ma rinviando con l’art. 1555 c.c. alla disciplina della vendita risolve in senso positivo il problema della applicabilità dell’art. 1472 c.c. implicitamente ritenendo lecita e possibile una permuta di cosa presente con cosa futura.

Per di più tale possibilità si ricava anche dall’art. 1348 c.c. che ritiene ammissibili le prestazioni di cose future come oggetto di contratto.

Il primo problema che sorge nello sviluppo del contratto è la garanzia dell’adempimento dell’obbligazione futura, perché mentre la prestazione inerente il passaggio del terreno é di efficacia immediata, l’adempimento della controprestazione potrà avvenire solo al momento della realizzazione dell’opera, creando in tal modo una forte debolezza della posizione del contraente,  originario proprietario dell’area, che potrebbe anche rischiare di non riuscire ad ottenere quanto pattuito.

Si usano nella pratica quotidiana rimedi vari sia giuridici, come sicuramente il ricorso ad una fideiussione a prima richiesta che tuteli il contraente debole per il caso di mancata realizzazione della costruzione, sia empirici, come nel caso di costruzioni non in verticale ma in orizzontale (es.: villette a schiera) in cui sia possibile un preventivo frazionamento dell’area corrispondente alla singola porzione promessa in permuta.

In tal caso basterà, infatti, non cedere quest’unica unità già frazionata stipulando un contratto di appalto che impegnerà il costruttore stesso alla realizzazione della costruzione compensando totalmente o parzialmente il costo con quanto corrisponde al valore delle aree precedentemente vendute: ma appare subito evidente che questa non sarà più una permuta ma solo un doppio contratto : vendita e separato appalto con compensazione dei costi !

È evidente altresì che qualora si riscontrasse differenza di valore fra l’area ceduta e l’immobile offerto a costruzione finita si dovrà prevedere una compensazione in denaro e si avrà pertanto una permuta con conguaglio.

Si discute sulla natura del contratto in esame quando il valore del conguaglio superi il valore economico del bene permutato: in tal caso infatti non si avrà solo una permuta ma anche una vendita mista per la differenza .

Una volta che il proprietario dell’area abbia ceduto la proprietà del suolo e sia quindi in attesa della venuta ad esistenza del bene, questo diventa creditore nei confronti del costruttore e potrà anche eventualmente trasferire la proprietà delle unità immobiliari da costruire senza il consenso del costruttore, configurandosi in tale fattispecie non tanto una cessione di contratto, quanto una cessione del credito, per il quale non è necessario il consenso del contraente che abbia già conseguito tutti gli effetti attivi del contratto.

Ai fini degli effetti e della redazione stessa del contratto, assume particolare rilevanza la determinazione del momento in cui viene ad esistenza il bene futuro.

In giurisprudenza si è evidenziato come questo momento debba coincidere con il perfezionamento del processo produttivo della cosa nelle sue componenti essenziali, quando cioè siano state eseguite le opere murarie (e non bisognerebbe attendere il completamento delle opere di rifinitura), ma tale posizione non sempre corrisponde alle esigenze del contraente debole (cedente l’area) né le tutela ed é quindi sempre consigliato precisare nelle pattuizioni contrattuali originarie che non sarebbe sufficiente  ad esaurire la controprestazione futura il solo completamento dello scheletro in cemento, ma debba essere realizzato un aspetto completo della costruzione, anche se mancante di alcune rifiniture od accessori non indispensabili.

Pertanto si rende molto opportuno che le parti individuino con esattezza in contratto tale momento ai fini del perfezionamento dell’effetto traslativo, nonché ai fini della applicabilità e sussistenza delle garanzie di cui al D. Lgs. 122/05.

Qualora poi il predetto contraente debole non volesse per sé la proprietà della costruzione futura, sussistendo solo effetti obbligatori fino alla venuta ad esistenza del bene, sarà sempre possibile inserire una riserva di nomina a favore del terzo ex art. 1411 c.c. evitando così un doppio atto di trasferimento finale.

Si differenzia leggermente la fattispecie in cui la vendita del terreno sia eseguita con riserva del diritto di superficie su di una porzione della nuova costruzione che il proprietario del suolo vorrà per sé, con contestuale appalto per la costruzione della medesima.

In passato questa soluzione ha incontrato ostacoli di problema fiscale, in quanto l’Ufficio del Registro riteneva che vi fossero due distinti negozi (trasferimento del suolo e trasferimento del diritto di superficie) e perciò provvedeva ad una duplice tassazione, ma da circa dieci anni, aderendo ad una ricostruzione più coerente sulla riserva del diritto di superficie, che non implica di per sé un trasferimento, si è addivenuti ad una tassazione più equa.

Parte della dottrina aveva comunque espresso perplessità in ordine alla possibilità di costituire un diritto di superficie a partire da una certa altezza e per una determinata estensione e quindi, apparentemente poggiati sul vuoto (famosa la pronuncia della Cassazione sull’impossibilità che le “scatole d’aria” possano costituire oggetto di disposizione). In realtà il fenomeno in esame configura un diritto di superficie sulla proprietà che si andrà a costruire o eventualmente, una serie di diritti di superficie costruiti l’uno sopra l’altro; figure queste certamente ammissibili.

Unico inconveniente risulterebbe che il proprietario del suolo sarebbe titolare solo della proprietà superficiaria dell’edificio, mentre il suolo (e quindi anche le parti comuni) dovrebbero rimanere in piena proprietà del costruttore, con la importante conseguenza che in caso di crollo dell’edificio nulla rimarrebbe definito per l’originario proprietario dell’area, con ulteriori conseguenze dannose ed estintive nel caso di prescrizione del diritto stesso.

Molto meglio invece non cedere l’intera proprietà del terreno ma solo una quota millesimale dello stesso, pari al valore di quanto il costruttore vorrà tenere per sé, trattenendo quella quota millesimale che ad esecuzione dell’opera avvenuta con un atto di divisione potrà corrispondere esattamente al o agli appartenenti promessi in controprestazione dal costruttore !

Anche in questo caso una maggior garanzia sarà sempre rappresentata da una fideiussione e da un appalto ove il costruttore si impegni a portare a termine a regola d’arte la costruzione finale.

In realtà l’utilizzo di tutte le fattispecie negoziali sopra esaminate ha chiaramente diverse conseguenze in tema di inadempimento.

Nella classica ipotesi iniziale di permuta di cosa presente con cosa futura la parte che avrebbe dovuto ricevere la cosa futura potrà sempre chiedere la risoluzione del contratto se insoddisfatta.

Per effetto della sentenza di risoluzione la proprietà dell’area ritornerà al proprietario, con la proprietà delle costruzioni ivi edificate fino a quel momento, in forza del principio della accessione, con l’obbligo di pagamento – a sua scelta – delle spese sostenute o dell’indennità pari all’aumento del valore dell’area.

Il proprietario dell’area non avrà invece il diritto di demolire la costruzione, ex 1150 ultimo comma c.c. perché questa possibilità dovrebbe essere esclusivamente concessa in via giudiziaria e non sarà possibile ottenere il ripristino dello stato di fatto antecedente, quando area ed edificio formino una sola cosa inscindibile, ossia un nuovo bene.

Comunque la circostanza che l’inadempimento del costruttore non comporti la nullità del contratto ma solo la sua risoluzione non tutela in pieno il proprietario dell’area, in quanto la risoluzione ai sensi del 1458 c.c. sarà inopponibile agli aventi causa del costruttore che abbiano trascritto antecedentemente una qualsiasi azione giudiziaria risarcitoria per posizioni debitorie maturate.

Infatti difficilmente il proprietario si vedrà restituito il bene senza formalità pregiudizievoli, in quanto sarà probabilmente gravato da iscrizioni o trascrizioni o concesse dalla Banca per finanziare la costruzione, o iscritte da fornitori non soddisfatti e quindi sempre potenzialmente soggetto alla esecuzione forzata.

Altro rimedio esperibile, ove ne ricorrano i presupposti, è la rescissione del contratto, la cui applicazione è invocabile per tutti i contratti a prestazioni corrispettive.

In conclusione ed al fine di avere una rete protettiva per il contraente debole, oggi a tutela del trasferimento della proprietà di un immobile da costruire soccorre il D.Lgs. 122/05, ove applicabile ai sensi dell’art. 1 dello stesso, che permette all’acquirente di conseguire importanti garanzie, tra cui si segnalano:

  • una fideiussione bancaria o assicurativa a garanzia dell’obbligo da parte del costruttore di consegnare l’immobile finito (almeno nei suoi elementi essenziali) fino al rilascio del certificato di abitabilità;
  • una assicurazione obbligatoria nella ipotesi di crollo dell’edificio;
  • il preventivo frazionamento dell’ipoteca;
  • l’inserimento nell’atto , a pena di nullità, di tutta una serie di documenti che garantiscano o comunque lascino prevedere il futuro adempimento del costruttore, come l’intero capitolato e l’elenco di tutti i materiali da impiegare e di tutte le ditte impegnate nella costruzione;
  • la trascrizione presso i registri immobiliari, con effetto prenotativo contro altri creditori, dei diritti dell’acquirente del bene ancora da costruire.

Vito Pinto, Notaio in Varese