Come prepararsi ai controlli ANTIRICICLAGGIO negli studi notarili- a cura Dott. Michele D’Agnolo

Dopo un lungo periodo di sospensione dei controlli a motivo della pandemia, la Guardia di Finanza ha nuovamente ricominciato le verifiche antiriciclaggio negli studi professionali, dedicando particolare attenzione a quelli notarili.

L’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia infatti non ha sufficiente proprio personale ispettivo per cui ha siglato una convenzione con le Fiamme Gialle che vi provvedono con loro personale specializzato.

L’accanimento terapeutico sugli studi notarili non ha nulla di personale, ma è dovuto al fatto che gli atti di maggiore entità comunque richiedono la forma solenne e pertanto per definizione il Notaio rimane il crocevia delle transazioni economiche di maggiore entità e complessità.

Dal punto di vista sostanziale, vi sono generalmente due tipi di controllo, quelli su segnalazione specifica e quelli generali. I controlli su segnalazione specifica derivano da indagini o procedimenti penali in corso per riciclaggio, autoriciclaggio o finanziamento del terrorismo. In buona sostanza i verificatori, in presenza di un reato ascrivibile ad un ex cliente o controparte dello studio notarile si chiedono come mai i soggetti agli obblighi antiriciclaggio coinvolti nella filiera delle operazioni che hanno dato origine all’illecito non si siano accorti di nulla.

I controlli generali, invece, sono dei controlli effettuati a campione estraendo i nominativi degli studi professionali da verificare dalle banche dati di cui dispongono le autorità competenti. Anche se non è noto, è ragionevole ritenere che anche queste estrazioni rispondano comunque a delle valutazioni di rischio fatte a livello statistico in base a degli indicatori. Talvolta si è avuto l’impressione che vengano scelti gli studi di maggiore dimensione o fatturato, forse anche tenendo conto del fatto che dispongono di maggiori risorse da destinare alla compliance.

Il numero complessivo dei controlli che vengono effettuati ogni anno non è altissimo, si parla di qualche centinaio di accessi in totale, ma è anche vero che il numero complessivo degli studi notarili è relativamente esiguo. Un commercialista o un avvocato, che sono più di centomila ciascuno hanno una probabilità molto inferiore di essere controllati rispetto ad uno studio notarile che ha qualche migliaio di colleghi.

Per quanta buona volontà ci si possa mettere, l’adempimento antiriciclaggio finisce spesso nel dimenticatoio. Da un lato non viene affatto naturale accogliere un nuovo cliente con l’approccio “poliziesco” che giocoforza lo svolgimento del ruolo di contrasto comporta. Dall’altro, anche a livello organizzativo interno la modulistica da compilare e le informazioni da richiedere vengono viste come un bastone tra le ruote degli addetti che devono preparare l’atto notarile e che hanno come principale preoccupazione l’addivenire alla stipula. Il Notaio, per la natura dell’attività che svolge, fatica a controllare puntualmente e deve necessariamente delegare alcune attività, seppure soltanto di carattere ancillare, preparatorio e successivo, ai propri assistenti.

Ciononostante, il Notariato rimane la categoria che maggiormente collabora con le autorità e che più segnala operazioni sospette.

Non esistono dati ufficiali, ma le voci raccolte raccontano di provvedimenti sanzionatori molto rilevanti per entità ed ammontare, spiccati nei primi mesi del 2023.

Per quanto concerne la natura delle violazioni,  l’attenzione dei verificatori sembrerebbe non essere tanto e solo diretta all’adempimento relativo alla singola pratica ma alla valutazione del sistema complessivo messo in atto dallo studio notarile per presidiare i rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

E così, anche aspetti apparentemente secondari della normativa ritornano prepotenetemente alla ribalta e diventano altrettanto importanti rispetto agli adempimenti centrali, che rimangono quelli relativi al “Know Your Client”, alla conoscenza del cliente, dei suoi fondi e delle sue intenzioni, o in termini tecnici all’Adeguata Verifica nelle sue componenti di riscontro anagrafico e di valutazione del rischio del singolo cliente/incarico.

Rimane invece tradizionalmente meno rilevante nello studio notarile il tema del controllo costante, a motivo della tipica natura una tantum delle prestazioni effettuate e della generalmente breve durata della fase istruttoria e del completamento della pratica successivo alla stipula.

E così gli studi notarili stanno prendendo coscienza, nel peggiore dei modi, dell’esigenza di svolgere, documentare ed aggiornare almeno ogni tre anni una valutazione di rischio perimetrale, che riguardi tutto lo studio. Ancora, diventa importantissimo poter esibire una politica e procedura antiriciclaggio scritte che definiscano l’approccio di contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo e stabiliscano chi fa che cosa e come all’interno dello studio in merito agli adempimenti in questione. 

Non da ultimo, si rende necessaria anche la predisposizione, l’esecuzione e la documentazione di un adeguato piano informativo e formativo annuale rivolto agli assistenti notarili.

Da ultimo, occorre anche dimostrare di svolgere gli adempimenti antiriciclaggio nel pieno rispetto del regolamento europeo sulla tutela dei dati personali (GDPR). Viene a mente in particolare la puntuale e corretta conservazione decennale della documentazione raccolta.

L’approccio della normativa antiriciclaggio, così come quello di molti altri corpi normativi europei, è basato sulla valutazione dei rischi. Questo approccio “Risk Based” non è particolarmente adatto alla cultura dei paesi latini in quanto induce una rilevante soggettività nelle risposte che i singoli studi possono dare e nella valutazione che i singoli verificatori possono svolgere. Presume l’assoluta buona fede e la reciproca collaborazione del controllante e del controllato. Al di là delle sanzioni, al Notaio, per cultura e funzione, dà particolarmente fastidio il fatto di poter essere trovato inadempiente a prescindere dagli sforzi fatti. Da custode della legalità, ogni Notaio odia non potersi sentire sicuro di aver fatto tutto quanto previsto. Fortunatamente esistono ormai modelli organizzativi e prassi consolidate che fanno capo alle discipline della gestione della qualità e dei rischi (Risk e Quality Management) e a settori economici soggetti a normativa antiriciclaggio dove le organizzazioni sono più complesse ed articolate come il mondo bancario e quello assicurativo.

Un controllo da parte delle autorità competenti che inizi dimostrando da parte dello studio notarile un approccio sistematico alla materia dell’antiriciclaggio già ben predispone il verificatore e di solito contribuisce a limitare profondità e durata dei controlli.

 

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

Lo studio notarile virtuale – a cura Dott.ssa Anna Lisa Copetto

Lo sviluppo della tecnologia consente oggi allo studio notarile modalità di comunicazione e interazione  impensabili fino a qualche tempo fa. Sia riguardo alle relazioni interne  che riguardo alle relazioni tra studio e clienti. La pandemia ha fatto la sua parte nell’insegnarci che anche i rapporti a distanza possono essere gestiti in modo efficace e garantire uno standard di qualità altrettanto valido. Ora non resta che fare tesoro di ciò che abbiamo acquisito in termini di nuove competenze  e sfruttare al meglio le risorse disponibili, rendendo la distanza fisica sia sempre meno importante.

C’è da chiedersi se abbia ancora senso oggi investire in costose infrastrutture fisiche che impongono oneri che possono essere molto ingenti: per l’acquisito/affitto dei locali e la loro manutenzione periodica, per l’acquisito/affitto dell’hardware e del software e la loro manutenzione o sostituzione, per l’acquisito del materiale necessario all’operatività dello studio, per ottemperare ai requisiti di legge. Una postazione fissa per il lavoro d’ufficio per uno studio notarile può arrivare a costare fino a 5.000 euro all’anno. A tutto questo si devono poi aggiungere tutti quei costi legati alla gestione di un team di lavoro e delle sue dinamiche interne.

Adottare una logica del lavoro a distanza – anche parzialmente –  può incidere enormemente sulla sua capacità competitive dello studio. Si pensi ad esempio alla maggior attrattività nei confronti di quei talenti professionali (sempre più rari e sempre più cari) che necessitano di una maggiore flessibilità per poter bilanciare lavoro e vita familiare. In particolare nei grandi centri urbani.

Allo stesso modo, anche l’introduzione di elementi di innovazione nella gestione del cliente può migliorare la competitività dello studio. Si pensi ad esempio, al maggior servizio reso al cliente che desidera poter interagire con lo studio con modalità che incidano il meno possibile sul suo tempo.

Se si condivide il principio per cui “il lavoro è qualcosa che si compie, non un luogo in cui ci si reca”, lo studio virtuale (in parte o in toto) è allora una grande opportunità di sviluppo e non una concessione che si fa ai propri collaboratori.

Affinché si possa trarre i benefici sperati, è senz’altro necessario uno sforzo importante in termini di investimento sulle infrastrutture informatiche, sulla progettazione delle nuove forme di interazione, di comunicazione e di trasmissione di dati e documenti, sulla formazione e addestramento pratico delle persone che andranno a far parte del progetto, sulle modalità di pianificazione, esecuzione e controllo dei lavori.

È evidente che occorre procedere attraverso una strategia complessiva che interessa trasversalmente lo studio e che deve avere come esito finale il ridisegno di un nuovo modello organizzativo e di business. Non si tratta quindi di acquistare la migliore tecnologia sul mercato ma di essere disposti ad fare un salto culturale importante. Ma necessario.

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network

 

La recente interpretazione dell’AdE sul regime della liberalità collegate ai trasferimenti immobiliari- a cura Notaio Alessandra Magnocavallo

La risposta dell’amministrazione finanziaria ad un interpello (il n. 6 del luglio 2022) offre lo spunto per alcune riflessioni sulla fiscalità delle liberalità dirette collegate ai trasferimenti immobiliari dal punto di vista dell’imposta di successione.

 

Il caso portato all’attenzione della AE riguardava l’applicabilità dell’esenzione di cui all’art. 1 comma 4bis D.Lgs 346/1990 alla seguente fattispecie complessa:

  • donazione diretta di denaro effettuata per atto pubblico contenente l’espressa dichiarazione che la somma stessa fosse donata esclusivamente allo scopo di consentire al donatario l’acquisto immobiliare, con l’apposizione – quindi – di una condizione risolutiva all’atto stesso nel caso di mancato acquisto dell’immobile;
  • atto di acquisto immobiliare in cui viene dichiarata espressamente la provenienza diretta del denaro costituente il pagamento del prezzo.

Il dubbio sorge dalla lettura della norma citata, laddove si legge che «Ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto».

 

Stupisce dunque la risposta dell’amministrazione, per la quale l’esenzione riguarderebbe solo le donazioni indirette collegate ad atti di trasferimento immobiliare e non anche le donazioni e le altre liberalità dirette, che pur la norma testualmente contempla.

Merita, a questo punto, ricordare che nella stessa Circolare 207/E del 2000 l’Amministrazione, nel citare le fattispecie esemplificative rientranti nella norma, citava già la dazione diretta di denaro ed il pagamento del prezzo effettuato dal genitore per l’acquisto della casa del figlio.

 

La giurisprudenza più recente (Cassazione n. 11831 del 12.4.2022 e n. 13133 del 2016) ha ammesso che l’esenzione si possa applicare già al momento della stipula dell’atto preordinato, pur richiedendo che la prova del collegamento tra la liberalità e l’acquisto immobiliare sia fornita mediante l’espressa dichiarazione contenuta nella compravendita.

 

Quindi, se da un lato sembra essere salva la rilevanza delle donazioni dirette e l’applicabilità del regime ex art. 1 comma 4 bis già al momento dell’atto preordinato, dall’altro non c’è univocità di orientamento né in giurisprudenza né nella prassi circa la prova del “collegamento” richiesto dalla norma. Sussistono, infatti, difficoltà pratiche nell’apprezzamento del requisito richiesto dalla norma.

 

Alessandra Magnocavallo, Notaio in Brescia.

La formazione dello staff dello studio notarile – a cura Dott.ssa Anna Lisa Copetto

È del tutto evidente che gli studi che dispongono delle migliori risorse umane sono quelli che godono di un maggiore successo, sia economico che reputazionale. Uno staff più competente è in grado di dare allo studio notarile un vantaggio competitivo estremamente rilevante e stabile nel tempo.

Ecco perché è importantissimo che le persone siano costantemente aggiornate rispetto ai temi di cui si occupano, ma anche che diventino ogni giorno più flessibili apprendendo nuove professionalità, in un’ottica di anche di un eventuale ampliamento della propria mansione.

Ci si riferisce non solo alle competenze tecniche e giuridiche, certamente imprescindibili, ma anche a quelle che oggi si definiscono competenze trasversali, come ad esempio la capacità di gestire un cliente difficile, di comunicare in modo efficace, di gestire in modo proficuo il tempo a disposizione, di lavorare in gruppo, di gestire e risolvere problemi, ecc. Cose che crediamo di saper fare ma che potremmo gestire in modo molto più consapevole  ed efficace se ci venissero spiegate. Un aspetto molto spesso trascurato, ad esempio,  riguarda la capacità dello staff di utilizzare al meglio gli strumenti tecnologici e informatici dello studio: troppe volte constatiamo un significativo sotto utilizzo di tecnologie più o meno sofisticate messe a disposizione, con un’evidente dispersione di risorse economiche e di tempo.

Tutto questo si può fare convincendo o spingendo le persone ad aggiornarsi da sole. L’autoapprendimento rischia tuttavia di essere molto più lento e meno efficiente dei risultati che si possono ottenere focalizzando interventi addestrativi opportuni.  Quindi si può fare meglio, aiutandole nel cambiamento con supporti di formazione e di addestramento pianificati in funzione delle reali necessità dello studio e delle attitudini della persona.

La formazione è necessaria ed indispensabile non solo per ottenere performance migliori ma anche per motivare il personale  e favorire una serie di cambiamenti positivi nei comportamenti che poi si riflettono sul risultato complessivo dello studio.

Sappiamo naturalmente che la formazione ha un duplice costo: quello del corso/formatore e quello del tempo speso dalle persone per frequentarlo. Così talvolta capita che i titolari dello studio rinuncino alla formazione del proprio staff ritenendo di non potersi permettersi l’uno e l’altro, realizzando così una profezia che si autoavvera, quella dello studio che non evolve.

Per avviare un piano di formazione del personale efficace e proficuo è necessario procedere in 3 step: analisi del reale fabbisogno formativo,  Progettazione e attuazione della formazione e valutazione dei risultati.

In conclusione, la formazione, se ben gestita, aiuta lo studio a competere efficacemente, purché sia vista e trattata come un elemento di un quadro più ampio di cambiamento che molto spesso richiede il coinvolgimento attivo dei titolari dello studio per un periodo di tempo più prolungato.

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network

 

Le reti di studi notarili – a cura Dott. Michele D’Agnolo

L’art. 12 della L. 22 maggio 2017, n. 81 ha introdotto nell’ordinamento italiano la possibilità di costituire aggregazioni professionali utilizzando nuove forme giuridiche.

In particolare, vengono estesi agli studi professionali alcuni istituti giuridici già noti al mondo delle imprese. Si tratta delle reti tra professionisti, dei consorzi stabili tra professionisti e delle associazioni temporanee tra professionisti.

In particolare, per concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti pubblici e privati, e’ riconosciuta ai professionisti, a prescindere dalla forma giuridica con cui esercitano la professione, la possibilità di costituire reti di professionisti o di partecipare a reti miste con imprese, con accesso alle relative provvidenze in materia. È inoltre consentito di costituire consorzi stabili professionali e associazioni temporanee professionali. Quest’ultima forma era già ammessa nella prassi, ma è stata finora utilizzata solo per partecipare a determinati appalti pubblici o per adire ad alcune agevolazioni. Escludendo dalla trattazione le ATP, che hanno per natura un utilizzo abbastanza limitato, conviene concentrarci sulle reti e sui consorzi. Al momento l’attività prevista dal legislatore in via esclusiva per queste strutture intermedie sembrerebbe riguardare il co-branding e il co-marketing, cioè la condivisione della comunicazione esterna volta al perseguimento di nuovi mandati professionali. Ma a ben vedere, se la finalità dello strumento è il perseguimento di incarichi più ampi e complessi, allora si deve poter presupporre anche una reciproca collaborazione e un coordinamento nella fase di pianificazione e di esecuzione degli stessi, con una suddivisione dei compiti. Se poi si inquadra il contratto di rete o di consorzio tra professionisti quale contratto atipico non vietato dall’ordinamento ex art. 1322 cc.

non sembra di rilevare particolari ostacoli giuridici nemmeno alla costituzione di realtà orientate anche ad esempio al coordinamento negli approvvigionamenti o nella gestione di vere e proprie “fasi” dei rispettivi studi. Si pensi ad un centro condiviso per la esecuzione degli adempimenti successivi alla stipula.

Come si può immediatamente intravvedere, si tratta di strumenti relativamente semplici e proprio per questo di grande rilievo perché riescono a conciliare il grande bisogno di indipendenza del singolo professionista con la necessità di un sempre maggiore coordinamento imposta dal mercato, superando sia le logiche riduttive della mera condivisione di costi che quelle troppo stringenti dell’associazione, oggi peraltro penalizzata dalla presenza dell’IRAP. 

Così come le reti tra imprese stanno riscuotendo un crescente successo tra le piccole e medie imprese italiane, ritengo ci sia da attendersi altrettanto interesse e diffusione per gli strumenti di aggregazione “debole” tra studi professionali che oggi vengono proposti, e che questi si possano estendere – mutatis mutandis – anche all’ambito notarile. Tra l’altro, reti e consorzi si possono anche impiegare in via propedeutica rispetto ad aggregazioni più approfondite, in quanto consentono di convivere e di mettersi reciprocamente alla prova prima di convolare eventualmente a “giuste nozze”.

Per quanto riguarda le reti tra professionisti, al momento la norma sembra consentire fondamentalmente due tipologie di accordo. Le reti esclusivamente tra professionisti, e le reti miste con imprese. Mentre gli specifici principi legali e deontologici della professione notarile escludono a mio avviso a priori la possibilità di reti miste tra studi notarili e imprese e di reti interprofessionali tra studi notarili e altri professionisti, non sembra  – almeno prima facie – di rilevare ostacoli alla creazione di reti o consorzi esclusivamente tra studi notarili, quantomeno tra quelli presenti nello stesso Distretto Notarile. Al momento non sembra di rilevare pronunciamenti ufficiali in merito da parte del CNN.

Un Notaio può intervenire alla rete in forma di professionista individuale ma anche direttamente con la propria associazione professionale.

Una volta debitamente sviscerati i risvolti deontologici, i contratti di rete tra Notai potrebbero forse essere utili anche per consentire aggregazioni deboli, di presidio territoriale, tra soggetti ai quali non sono consentite forme di avvicinamento maggiori, si pensi ai Notai operanti in aree diverse, ai quali oggi è preclusa l’associazione professionale.

Il contratto di rete tra professionisti nulla modifica rispetto alle responsabilità professionali e personali del singolo aderente.

È possibile costituire delle reti contratto, con valenza meramente interna tra gli studi notarili aderenti e delle reti soggetto, con attività esterna, diretta nei confronti ad esempio della clientela.

Anche qui cautela suggerisce per il momento di limitarsi alle reti contratto, attraverso le quali ad esempio alcuni Notai potrebbero decidere di comunicare all’esterno le competenze e l’organizzazione dei rispettivi studi in modo coordinato, con un sito web e una comunicazione social comuni.  

Ulteriori utilizzi del contratto di rete tra Studi Notarili possono emergere dalla facoltà che la rete ha di assumere dipendenti in co-datorialità. Si pensi alla possibilità di avere un addetto antiriciclaggio dedicato che svolge il suo lavoro a turno a vantaggio di una pluralità di studi.

La norma che ammette la partecipazione dei professionisti alle reti professionali e miste non brilla per chiarezza, in quanto secondo alcuni sembrerebbe richiedere  – ad substantiam – l’iscrizione dell’atto costitutivo al Registro delle Imprese. Iscrizione, peraltro, non possibile a causa del principio di tassatività. Sul punto è però intervenuto il Ministero dello Sviluppo Economico che con propria nota ha chiarito che l’impossibilità della pubblicità non implica l’impossibilità dell’utilizzo dello strumento.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

Azienda a chi? – a cura Notaio Gianluigi Cisotto

Secondo l’arcinota definizione del codice civile, all’articolo 2555, per azienda, deve intendersi “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.

I notai, come il sottoscritto, diversamente giovani, ricorderanno che è solo dal 1993 che, in forza della legge n.ro 310 dell’agosto di quell’anno, i contratti con cui si cedono la proprietà, o il godimento, delle aziende debbono essere redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata.

Prima di allora, a norma del secondo comma dell’articolo 2556 c.c. all’epoca vigente, i suddetti contratti relativi al trasferimento dell’azienda dovevano essere denunziati per l’iscrizione nel Registro delle Imprese “a cura delle parti”. Si trattava cioè di una vicenda giuridica totalmente nella disponibilità dei privati interessati, i quali erano quindi gli unici responsabili della conformità alla legge del contratto; l’eventuale necessità di un controllo di legalità restava pertanto di competenza, a posteriori e solo in caso di insorgenza di un qualche contenzioso, della magistratura.

Successivamente a quella data invece, il controllo di legalità, affidato al notaio a seguito dell’entrata in vigore della legge 310/93, è diventato inevitabilmente preventivo.

Il che ha portato alla luce il problema, che fino ad allora, è ragionevole ritenere, fosse ampiamente sottovalutato, costituito dalla necessità di verificare se, nell’ambito di un accordo per la cessione di un’azienda, un complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa effettivamente esista. Il che, con riferimento alle microimprese, spesso non è.

Pensiamo al commercio ambulante, o all’attività individuale di trasporto persone svolta dai taxisti, dove il vero interesse in gioco non è assolutamente il complesso di beni organizzato, bensì esclusivamente la licenza che consente di “posteggiare” in un determinato luogo in determinati giorni nel primo caso, o di condurre un taxi nel secondo.

La licenza, tuttavia, è un provvedimento amministrativo rilasciato dall’autorità competente per autorizzare un’attività, e non un bene suscettibile di essere oggetto di un trasferimento fra privati; un atto che abbia ad oggetto solo la licenza, quindi, sarebbe nullo per impossibilità dell’oggetto ai sensi dell’articolo 1343 c.c..

La questione assume particolare rilievo soprattutto per quanto attiene al “trasferimento” della “licenza taxi”; infatti, mentre nel caso del commercio ambulante, con un po’ di buona volontà, una qualche forma di organizzazione aziendale è comunque possibile ricostruirla (la merce, qualche espositore, la parte di avviamento imputabile alla posizione e al luogo cui la licenza consente di accedere, il registratore di cassa), per quanto attiene alla “licenza taxi” invece, se l’auto con cui l’attività viene esercitata, con la relativa attrezzatura, non è oggetto della cessione, altro non resta che la licenza.

E proprio della licenza per l’esercizio del servizio taxi, nonché della sua pretesa trasferibilità, si sono spesso occupate tanto l’Agenzia delle Entrate, tanto la magistratura delle commissioni tributarie tanto, niente di meno che, la Suprema Corte!

Esiste infatti, proprio in materia di regolamentazione dell’attività individuale di trasporto persone, una norma, la legge n.ro 21 del 15 gennaio 1992 che, se all’articolo 8 prevede, com’è naturale, che la licenza per l’esercizio del servizio taxi sia rilasciata dalle amministrazioni comunali, al successivo articolo 9 prevede altresì espressamente che la licenza stessa, “in presenza di determinate condizioni, può essere trasferita, su richiesta del titolare, a persona dallo stesso designata …”.

Quanto previsto all’articolo 9 della legge n.ro 21/92 ha spinto spesso gli interessati, cedente e acquirente nel possesso dei requisiti richiesti, a ricorrere anziché ad un vero e proprio contratto di cessione d’azienda, ad una semplice scrittura privata, da entrambi sottoscritta, e semplicemente indirizzata all’autorità comunale, al fine, in genere felicemente conseguito,  di ottenere il “trasferimento” della licenza dall’uno all’altro, così evitandosi l’onere, e il costo, della registrazione, che sarebbe invece inevitabilmente dovuto facendo ricorso al contratto di cessione d’azienda.

Poiché però le licenze per l’esercizio del servizio taxi vengono normalmente cedute a valori non irrisori, la loro cessione genera redditi e plusvalenze che non possono sfuggire al controllo dell’Agenzia delle Entrate, la quale sistematicamente sostenendo la totale equiparazione della cessione della licenza, così effettuata, ad una normale cessione d’azienda, oltre alla tassazione del reddito, pretende anche la corresponsione dell’imposta di registro. Di qui il contenzioso cui si accennava, nel cui ambito, mentre le Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali, sia pur con atteggiamento altalenante, hanno generalmente condiviso le ragioni dei contribuenti interessati e respinto le pretese dell’Agenzia delle Entrate, la Suprema Corte, con giurisprudenza al contrario assolutamente costante, ha sempre cassato le sentenze favorevoli ai contribuenti e mai quelle favorevoli all’Agenzia.

Quello che è interessante in tutta questa vicenda sono le rispettive e contrapposte motivazioni con cui le Commissioni Tributarie giungono a negare le ragioni dell’Agenzia delle Entrate, e la Suprema Corte invece ad avvallarle.

Le Commissioni Tributarie, in particolare quella provinciale lombarda, sostanzialmente negano che la cessione della licenza per l’esercizio del servizio taxi sia una cessione d’Azienda sul presupposto postulato che la licenza stessa sia un provvedimento amministrativo, come tale insuscettibile di contrattazione in accordi stipulati fra privati nell’esercizio della loro autonomia negoziale, pena radicale nullità per impossibilità dell’oggetto (art. 1343 c.c.).

Nell’esercitare il diritto di cui alla previsione dell’articolo 9 della su citata legge 21/1992 in sostanza, secondo la CTP milanese in particolare, la scrittura privata, allo scopo predisposta, deve correttamente qualificarsi quale contratto atipico (secondo quanto previsto dall’articolo 1322 c.c.)  concluso fra titolare della licenza ed aspirante al subentro, finalizzato ad agevolare il subentro nella licenza taxi secondo quanto previsto dall’apposito regolamento comunale; o ancora, sostiene sempre la CTP milanese in una diversa pronuncia, ma sostanzialmente sulla stessa linea di pensiero, che l’accordo sottoscritto fra le parti non possa dar luogo ad una cessione d’azienda, avente ad oggetto una licenza taxi e assoggettabile ad imposta di registro, in quanto le parti si sarebbero limitate a regolare la peculiare fattispecie di cui al regolamento comunale (…) che disciplina il trasferimento delle licenze e lo subordina alla verifica della sussistenza di specifici requisiti in capo al soggetto designato.  (sentenze n.ro 1886/8/2015 e n.ro 4249/17).

La Suprema Corte viceversa, pur rifacendosi alla medesima normativa, la legge 21/1992 di cui sopra, giunge ad antitetiche conclusioni interpretative tanto che, con ripetute decisioni, ha costantemente cassato le sentenze favorevoli ai contribuenti, sistematicamente equiparando le scritture private sottoscritte in forza della medesima legge 21/1992 ad una vera e propria cessione d’azienda, ritenendole, conseguentemente, soggette all’imposta di registro, affermando la liceità della trasferibilità della licenza taxi, proprio in base a quanto stabilito all’articolo 9 dalla su citata legge.

La licenza per l’esercizio del servizio taxi, infatti, sostiene la Suprema Corte in ripetute pronunce, “costituisce bene essenziale e primario nell’ambito del complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’attività individuale di trasporto persone poiché indispensabile per l’esercizio di detta attività ed avente valore commerciale di mercato, essendo legalmente consentita la trasferibilità della licenza” (n.ro 17476/2017 – 21762/2017 – 4945/2018 – 20770/2021), nonché, ancora ribadendo la legittima trasferibilità della licenza taxi e la non fondatezza della pretesa nullità per contrasto con norme imperative, che detta licenza sarebbe un bene dotato di autonomo valore economico, tant’è che ne esiste un florido mercato, spingendosi addirittura a sostenere che la licenza in oggetto sarebbe “un bene strumentale immateriale che finisce col cartolarizzare l’azienda divenendo presupposto strutturale ed elemento qualificante dell’esercizio dell’attività”. (N.ro 23143 del 4/10/2017).

Gianluigi Cisotto,  Notaio in Brescia.

Il notaio e la gestione delle emozioni – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Dallo straordinario sodalizio artistico di Battisti e Mogol è nata una canzone immortale che ci ricorda l’importanza delle emozioni.

Ma perché mai uno studio notarile dovrebbe interessarsi di un tema psicologico, apparentemente lontano dal diritto immobiliare, societario e successorio e dall’operatività quotidiana?

Ebbene, le emozioni sono di enorme interesse per gli studi notarili perché costituiscono il motore del comportamento delle persone. Se non bastasse l’evidenza schiacciante dell’etimo, eccovi qualche esempio.

Pensiamo alla gioia che prova il notaio o l’assistente quando un cliente riconosce un lavoro ben fatto. Una piccola lode, o un piccolo omaggio, che risultano spesso molto più appagante di qualsiasi incentivo economico. Gratificazioni che possono motivare un collaboratore anche molto a lungo.

O ancora al passaparola positivo del cliente che, ricordando del trattamento umano e compassionevole che ha ricevuto nella gestione della pratica di successione di un caro congiunto parla bene dello studio a tutto il suo entourage di amici e conoscenti.

Ma le emozioni che si possono ritrovare all’interno di uno studio non sono sempre e solo piacevoli.

La rabbia, quando l’assistente notarile si innervosisce per la pressione di un cliente che ha urgenza di fissare l’appuntamento per la stipula. La paura, nelle sue molte sfaccettature.

La paura del cliente che si affaccia per la prima volta alla soglia di uno studio notarile e deve appena sviluppare il rapporto di fiducia con il professionista.

Negli assistenti notarili, una tra le più comuni è la paura di sbagliare, che può frenare la produttività fino a paralizzare chi lavora al punto di non riuscire a prendere più alcuna decisione.

Ma c’è anche la paura, che può diventare ansia, di non farcela a reggere una mole di lavoro straordinariamente alta o di non riuscire a completare in tempo un atto già fissato in stipula.

Non possiamo non citare la paura del nuovo e di non riuscire a imparare, o di dover rallentare e lasciare indietro il lavoro, di fronte ad un cambiamento lavorativo importante come il cambio della suite del software notarile o delle proprie mansioni all’interno dello studio.

L’effetto delle emozioni positive e negative è spesso sottovalutato dal notaio che misura il comportamento dei collaboratori sulla propria capacità di gestione emotiva e del cambiamento, che sono di solito molto più sviluppate di quelle degli assistenti notarili. Fin dai tempi del concorso il notaio sviluppa una grande resilienza emotiva.

Alle volte l’emozione non viene esternata, ma non per questo è meno importante.

Si pensi a quando un collaboratore particolarmente coscienzioso sbaglia e si arrabbia con sé stesso fino all’autoflagellazione, con il notaio costretto a tirarlo su di morale invece che a rimproverarlo.

Per migliorare la gestione dello studio notarile, occorre quindi considerare sempre che le persone con cui interagiamo nell’attività quotidiana hanno contemporaneamente un lato razionale ed un lato emotivo. Viene a mente il commercialista che si sente sminuito perché non ha immediata attenzione da parte del notaio ma viene dirottato su un collaboratore.

Le emozioni sono contagiose, quindi il notaio deve stare molto attento a quello che dice e a come lo dice.

Quando il notaio entra in studio i collaboratori lo guardano e dal linguaggio del corpo cercano di decifrare di che umore è, per decidere a loro volta di che umore diventare. Un titolare di studio dovrebbe affrontare un corso di recitazione, per convogliare sempre positività quando entra in studio, mentre spesso è lui o lei a indurre demotivazione e rassegnazione magari sfogandosi apertamente.  

Quest’ ultimo esempio ci dimostra che le emozioni non sono immutabili, non dobbiamo per forza subirle ma possiamo almeno in una certa misura influenzare sia le nostre che quelle altui.

Per migliorare la nostra capacità di gestire le nostre emozioni e di identificare ed influenzare quelle altrui possiamo oggi far riferimento ad un ampio bagaglio di tecniche di tipo psicologico e di coaching, che il notaio può trasmettere anche ai suoi collaboratori, in modo da migliorare non solo le relazioni tra il titolare dello studio e gli assistenti ma anche le interazioni tra pari.  

Gestire anziché subire le emozioni nello studio notarile conviene davvero a tutti: meno stress, più produttività, più benessere.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

Accertamento della proprietà per usucapione – a cura Notaio Chiara Mistretta

Accertamento della proprietà per usucapione

     1 Inquadramento e fondamento

1.1 Uno dei valori cardine dell’ordinamento, al quale costantemente mira il legislatore, è la certezza e sicurezza dei traffici giuridici della circolazione dei beni. L’epoca contemporanea, definita liquida per il suo manifestarsi palesemente fluido e privo di punti di riferimento, induce il legislatore ad interrogarsi sulla valenza degli attuali strumenti giuridici in tema di acquisto della proprietà e certezza del diritto.

1.2 Nel nostro ordinamento vi sono due modi di acquisto della proprietà: a titolo derivativo e a titolo originario.

Per acquisto a titolo derivativo della proprietà si intende il trasferimento, da un soggetto ad un altro, del diritto per atto tra vivi (ad esempio compravendita, permuta, donazione) o mortis causa (per successione legittima o testamentaria).

L’usucapione è, invece, un modo di acquisto della proprietà a titolo originario: ovvero una situazione di mero fatto, il possesso, consolidatasi nel tempo in una situazione giuridica definitiva, che sia, in quanto tale, certa e stabile e, dunque, opponibile nei confronti dei terzi.

1.3 L’ordinamento distingue fondamentalmente tre fattispecie di usucapione: ordinaria, abbreviata e speciale. Quest’ultima, di applicazione residuale, è disciplinata dall’art. 1159-bis c.c. a tutela della piccola proprietà contadina, non si applica a qualsivoglia terreno agricolo, ma solo nei casi individuati nel suddetto articolo. L’usucapione speciale per la piccola proprietà rurale si compie in quindici anni se ordinaria, in cinque anni se abbreviata.

L’usucapione abbreviata su beni immobili si realizza con il decorso per dieci anni di possesso continuato, pacifico ed ininterrotto, ai sensi dell’ 1159 c.c. da parte di un soggetto che pur affermandosi, in buona fede, titolare del diritto di proprietà sul bene immobile, non lo sia effettivamente. In altri termini l’usucapione abbreviata su beni immobili può essere utilizzata quando un soggetto, in buona fede, ha acquisito il bene con atto trascritto nei registri immobiliari, solo astrattamente idoneo all’acquisto della proprietà, in quanto l’alienante non era effettivamente proprietario, pur apparendo tale all’esito di una valutazione caratterizzata da media diligenza.

Ad esempio non titolo idoneo, proprio in quanto non produttivo di alcun effetto, il titolo nullo.

L’acquirente, per essere in buona fede, non deve essere consapevole di ledere il diritto altrui, e precisamente di ledere il diritto dell’effettivo titolare del diritto venduto o alienato ad altro titolo. L’usucapione abbreviata su beni mobili iscritti nei pubblici registri si compie, invece, con il decorso di tre anni dalla data della trascrizione del titolo astrattamente idoneo.

L’usucapione ordinaria per diritti reali su beni immobili, tra cui il diritto di proprietà, ai sensi dell’art 1158 c.c., si realizza con il decorso per venti anni di possesso continuato, pacifico ed ininterrotto, non necessariamente in buona fede. Non è dunque necessario che il soggetto usucapente ignori di ledere il diritto altrui, ma è sufficiente ponga in essere una situazione possessoria in difetto di clandestinità e di violenza.

Per i diritti reali su beni mobili l’usucapione ordinaria si compie invece con il decorso di dieci anni ai sensi dell’art. 1161 c.c.

1.4 Fondamento dell’usucapione è, dunque, una particolare situazione di fatto, il possesso, esercitato in modo continuato, pacifico e senza interruzioni sulla cosa da parte di colui che, attraverso tale prolungata signoria, ne diviene in concreto il titolare effettivo del diritto di proprietà.

Ciò avviene anche ove non ricorra il cosiddetto animus usucapiendi, ovvero l’intenzione di pervenire all’acquisto del diritto di proprietà in quanto necessario e sufficiente il solo animus rem sibi habendi in altri termini la volontà di tenere la cosa per sè, come se fosse propria.

Pertanto, una volta acquisita per usucapione la titolarità del diritto di proprietà il possessore, ormai proprietario, viene investito, fra le altre, della facoltà di disporre del bene.

1.5 Quale acquisto a titolo originario l’usucapione sovviene non solo a ragioni di certezza del diritto, divenendo punto fermo nel sistema delle trascrizioni idoneo a dirimere gli acquisti fra più aventi causa dallo stesso soggetto, bensì agevola significativamente la prova della posizione proprietaria e consente di trascurare tutte le vicende precedenti relative al bene, così da evitare la c.d. probatio diabolica, ovvero la dimostrazione di aver acquistato dall’effettivo titolare del bene per aver, quest’ultimo, a sua volta acquistato dal precedente, effettivo proprietario, e così via via fino a risalire ad un momento indefinito: prova estremamente ardua, perfino a volte irrealizzabile.

       2.Qualificazione giuridica

2.1 Prima dell’introduzione della norma di cui al n.12-bis dell’art. 2643 c.c. l’usucapione era una modalità di acquisto a titolo originario che per poter essere trascritta nei registri di pubblicità immobiliare, richiedeva una pronuncia giudiziaria, ovvero una sentenza, la cui trascrizione, regolata dall’art. 2651 codice civile, aveva valore di pubblicità notizia.

La Legge 9 agosto 2013, n. 98 ha, tra le altre novità, introdotto al 1 comma dell’art. 2643 c.c., il n. 12 bis, che fa obbligo di trascrivere l’accordo di mediazione con cui si accerti l’usucapione mediante sottoscrizioni autenticate da un pubblico ufficiale.

Tale novella pertanto supera le precedenti chiusure giurisprudenziali e dottrinarie verso la trascrizione di accordi privati diretti ad accertare l’usucapione, ma è necessario porre l’attenzione sulla portata di tale pubblicità. Si rende, pertanto, necessario comprenderne la reale funzione e cogliere le rilevanti differenze che intercorrono tra le ipotesi dell’accertamento giudiziale e negoziale dell’usucapione.

2.2 L’introduzione del n 12 all’art. 2463 c.c. pone l’usucapione al centro di una pluralità di fattispecie che realizzano effetti diversi sia tra le parti che rispetto ai terzi ad esempio:

-l’usucapione potrà essere oggetto di una pronuncia giudiziaria e la sua trascrizione produrrà gli effetti previsti dall’art. 2651 c.c.;

-l’usucapione potrà essere oggetto di un accordo accertativo autenticato da un pubblico ufficiale e la sua pubblicità, ex n. 12-bis dell’art. 2643 c.c. avrà gli effetti di cui all’art. 2644 c.c. laddove sia rispettato il principio della continuità delle trascrizioni, ovvero potrà avere meri effetti prenotativi, ai sensi dell’art. 2650 c.c., laddove il soggetto usucapito che ha sottoscritto l’accordo non risulti legittimato in base ad un titolo debitamente trascritto nei registri immobiliari;

-l’usucapione potrà essere oggetto di un accordo transattivo autenticato da un pubblico ufficiale soggetto a trascrizione ai sensi del n. 13 dell’art. 2643 c.c. ed i cui effetti saranno regolamentati dagli artt. 2644 e 2650 c.c.;

-l’usucapione potrà essere oggetto di un atto negoziale di mero accertamento, anche unilaterale, autenticato da un pubblico ufficiale che potrà essere trascritto ai sensi dell’art. 2645 c.c., che ha arricchito il suo contenuto in ragione dell’introduzione del n. 12-bis dell’art. 2643 c.c..

2.3 Il negozio di accertamento nasce come elaborazione dottrinale ed è ritenuto dalla giurisprudenza ammissibile in quanto assolve una funzione meritevole di tutela, ai sensi del secondo comma dell’art 1322 c.c., per la sua idoneità a concorrere alla risoluzione potenziale di conflitti d’interessi, analogamente alla transazione sebbene con modalità ed effetti diversi.

Quindi l’atto di riconoscimento (o negozio di accertamento) sia all’interno di una procedura di mediazione conciliativa, che come atto autonomo, anche se trascritto, non potrà, costituire titolo su cui fondare il diritto di proprietà ma, semmai, potrà dare certezza, limitata alle parti dell’accordo dell’esistenza di uno o più presupposti previsti dalla legge ai fini del perfezionamento dell’usucapione.

Considerato che l’art. 2645 c.c. dispone che “[…] deve del pari rendersi pubblico, agli effetti previsti dall’articolo precedente, ogni altro atto o provvedimento che produce in relazione a beni immobili o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei contratti menzionati nell’articolo 2643 […]”, sarà logica conseguenza non solo la ricevibilità di atti che abbiano lo stesso contenuto di un accordo di mediazione che accerti l’usucapione, ma anche la loro trascrivibilità in base al combinato disposto degli artt. 2643 n. 12-bis e 2645 c.c..

2.4 Esiste un divario di effetti tra la trascrizione dell’accordo di mediazione che accerti l’usucapione (ovvero del negozio di accertamento o negozio transattivo) e la trascrizione della sentenza che realizzi analogo accertamento.

Quest’ultima resta disciplinata dall’art. 2651 c.c. e assume valore di pubblicità notizia ed il conflitto tra acquirente a titolo derivativo e usucapiente va sempre risolto a favore di quest’ultimo, a prescindere dalla trascrizione della sentenza che accerti l’usucapione e dalla sua anteriorità rispetto alla trascrizione dell’acquisto a titolo derivativo.

Le regole che governano la trascrizione dell’accordo di mediazione che accerti l’usucapione (ovvero del negozio di accertamento o negozio transattivo) sono quelle disciplinate dagli artt. 2644 e 2650 c.c., volgendosi questi a regolare la soluzione dei conflitti tra più aventi causa dal medesimo soggetto e sancendosi con essi il principio di continuità delle trascrizioni.

2.5 La scelta di introdurre gli accordi di mediazione nel regime di pubblicità dichiarativa di cui all’art. 2643 c.c. enuncia la preoccupazione del legislatore che le norme sulla pubblicità immobiliare rechino pregiudizio alle ragioni di chi non ha preso parte all’accordo.

All’accordo conciliativo ovvero al negozio di accertamento o transattivo compete una diversa e più ristretta portata, condizionata dal collegamento con la precedente proprietà, e perciò, diversamente dalla sentenza, non opponibile erga omnes. Trattandosi di atto di autonomia privata mediante il quale si accertano i presupposti dell’usucapione, la sua efficacia preclusiva non investe i terzi che vantino titoli trascritti o iscritti anteriormente alla trascrizione dell’accordo, ma resta opponibile alle sole parti dell’accordo e loro aventi causa.

Ne consegue che, ad esempio, il soggetto usucapiente di un accordo di conciliazione o di un negozio di accertamento o di una transazione non potrà prevalere sul creditore ipotecario che abbia iscritto il proprio titolo nei confronti di chi risulti titolare del diritto in base alle risultanze dei registri immobiliari anteriormente alla trascrizione dell’accordo stesso.

Il legislatore ha subordinato l’opponibilità ed efficacia nei confronti dei terzi di questo peculiare negozio di accertamento al fatto della sua avvenuta trascrizione ai sensi dell’art. 2643, comma 12-bis, c.c., tanto nei confronti dei terzi acquirenti, quanto pure nei confronti dei creditori dell’ex proprietario e sottoscrittore dell’accordo, con cui una parte riconosce che l’altra parte ha usucapito un bene che era di sua proprietà, regolamentando così una vicenda che riguarda le sole parti ed è opponibile ai terzi soltanto nel rispetto del principio di continuità delle trascrizioni.

Se tale valenza viene attribuita un atto negoziale di accertamento nato da un accordo bilaterale, ancor minor portata viene attribuita al negozio di accertamento unilaterale, autenticato da un pubblico ufficiale, trascritto ai sensi del combinato disposto dell’art. 2645 e 2643 c.c. a favore del soggetto usucapiente e contro coloro che in precedenza erano titolari del diritto usucapito.

     3 Conclusioni

3.1 A conclusione di quanto esposto è inevitabile constatate come la semplice previsione della trascrizione del negozio di accertamento dell’usucapione ai sensi del combinato disposto dell’art 2645 e 2643, comma 12-bis, c.c. non riesce a risolvere tutte le problematiche connesse all’accertamento dell’avvenuto acquisto della proprietà per usucapione. La sentenza di accertamento dell’usucapione e l’accordo di mediazione accertativo dell’usucapione (ovvero il negozio di accertamento o la transazione) sono due fattispecie che operano su due piani nettamente distinti quanto al contenuto e quanto agli effetti.

L’accordo di mediazione (ovvero del negozio di accertamento o negozio transattivo) nonostante l’efficacia inter partes dei suoi effetti ex art 1372 c.c., non potendo assurgere la propria efficacia erga omnes e dunque, non originando in capo al soggetto usucapiente un diritto nuovo, che travolge i diritti di terzi, come invece avviene per la trascrizione della sentenza accertativa dell’usucapione ai sensi dell’art. 2651 c.c., costituisce pur sempre un atto idoneo ad accertare i presupposti che la legge pone a fondamento dell’acquisto a titolo originario quale è l’usucapione.

 

3.2 In esito a tale ricostruzione è necessario ricordare che l’usucapione mantiene la sua caratteristica fondamentale di effetto legale e non negoziale di acquisto della proprietà pur in presenza di una pluralità di fattispecie, alcune delle quali poste in essere dall’autonomia privata, che ne accertino l’esistenza.

Infatti l’accordo conciliativo o il negozio di accertamento non avrà ad oggetto il trasferimento di diritti ma avrà ad oggetto l’accertamento tra le parti dei presupposti su cui si fonda l’usucapione con effetti preclusivi tra le parti stesse e loro aventi causa. Rispetto ai terzi, invece, l’opponibilità dell’accordo stesso seguirà le regole degli acquisti a titolo derivativo disciplinati dagli artt. 2644 e 2650 codice civile.

 

     4 Profili pratici: menzioni obbligatorie e fiscalità

4.1 Il negozio di accertamento dell’usucapione del diritto di proprietà su beni immobili, anche unilaterale, deve essere corredato dalle menzioni sui trasferimenti immobiliari ai fini della loro trascrizione.

Si consiglia di introdurre, ad abbundantiam, le menzioni relative al trasferimento di diritti reali su beni immobili a pena di nullità.

Le dichiarazioni richieste dalla normativa urbanistica all’interno dell’atto dovranno essere rese non dal soggetto cd. “usucapito”, al quale è stato sottratto il possesso per un tempo significativo del bene stesso, ma dovranno essere rese dal soggetto usucapiente ossia da colui che afferma e rivendica la disponibilità ed il possesso del bene quale proprietario.

Medesima considerazione si può affermare anche per la dichiarazione di conformità catastale oggettiva richiesta per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, dall’art. 19 del Decreto Legge n. 78 del 2010 (convertito in Legge 122/2010), potendo non menzionare la conformità catastale soggettiva.

4.2 Il negozio di accertamento dell’usucapione del diritto di proprietà, anche unilaterale, è soggetto alle imposte di trasferimento a titolo oneroso sui beni immobili ai sensi dell’art 8 nota II bis Testo Unico Imposta di Registro (imposta di registro al 9% imposta ipotecaria e castale in misura fissa di euro 50 ciascuna).

In atto è possibile far richiedere i benefici fiscali previsti per l’acquisto a titolo oneroso della prima casa, o per la piccola proprietà contadina.

4.3 L’accordo di mediazione che accerta l’usucapione è esente da imposta di bollo, ipotecaria, catastale, e da tassa ipotecaria ai sensi dell’art 17 comma 2 D.Lgs n 28 /2010, sconta l’imposta di registro in misura proporzionale nel caso in cui il valore di quanto usucapito supera la soglia di euro 50.000,00 ai sensi dell’art 17 comma 3 D.Lgs n 28 /2010.

4.4 Il negozio di accertamento dell’usucapione, anche unilaterle, e l’accordo di mediazione che accerta l’usucapione e viene trascritto contro i dichiaranti e a favore dell’usucapiente con voltura catastale automatica o manuale.

 

Bibliografia

Baralis G., Negozi accertativi in materia immobiliare, tipologia, eventuali limiti all’autonomia privata. Problemi di pubblicità immobiliare specie per il negozio che accerti l’usucapione. Usucapione “dichiarata” dal cedente ed atti dispositivi, Studio n. 176-2008/C,

Busani A., Imposta di registro, Milano, 2022

Krogh M., Usucapio libertatis e retroattività degli effetti dell’usucapione, studio n. 859-2008/C, approvato dalla Commissione Studi Civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato in data 4 marzo 2009

Gazzoni F., La trascrizione immobiliare, 2, Milano, 1993

Petrelli G., L’evoluzione del principio di tassatività nella trascrizione immobiliare, Napoli, 2009

Cass. civ., Sez. II, 14/06/2000, n. 8122

Cass. civ., Sez. II, 11/02/2009, n. 3404

Cass. civ., Sez. II, 09/08/2001, n. 11000

Cass. civ., Sez. V, 12/05/2003, n. 7224

Cass. civ., Sez. II, ordinanza 20/01/2022, n. 1796

Chiara Mistretta,  Notaio in Brescia.

Il Notaio e i social network – a cura Dott.ssa Anna Lisa Copetto

La comunicazione, piaccia o meno, ha un ruolo primario nel successo di qualunque iniziativa, a prescindere dal settore di appartenenza. Certo, se non ben salda ad un contenuto professionale di un certo spessore, anche la più solida delle strategie comunicative non potrà fare miracoli. Ma un ottimo professionista senza un’ottima comunicazione allineata alle caratteristiche del mercato rischia di essere presto o tardi sopraffatto.

Delineare una strategia comunicativa non significa tentare vender fumo ma di valorizzare al meglio agli occhi del pubblico le caratteristiche distintive dello studio: l’expertise, la reputazione, l’immagine, le relazioni, le esperienze, e così via. È mettere il cliente nelle condizioni di sapere che esistiamo, che possiamo sostenerlo, che possiamo essergli accanto. È  mettere nel cliente nelle condizioni, volendo, di poterci scegliere.

Uno degli strumenti della comunicazione più diffuso è rappresentato oggi dai social network, luoghi nei quali la stragrande maggioranza degli interlocutori attuali e potenziali dello studio (clienti,  partner, collaboratori, fornitori, ecc.) interagisce, si informa, si confronta, si connette, scambia idee e opinioni, condivide interessi e passioni.

I social network sono spesso considerati nell’immaginario di molti professionisti non propriamente conformi ai concetti di decoro e di dignità professionale. E in effetti non mancano esempi di comportamenti a di poco deplorevoli.  Tuttavia, va anche considerata anche da parte dello studio notarile la grande opportunità che essi offrono: creare un ventaglio di opportunità di dialogo e di incontro più che costruttive fino a quale tempo fa inimmaginabile.

Si tratta, in sostanza, di fare virtualmente in rete che quello che nella vita reale si chiama “fare pubbliche relazioni”: attraverso i social network è infatti possibile costruire e ampliare le relazioni, trasformare una semplice conoscenza in un rapporto duraturo,  in una opportunità di collaborazione, in una occasione di business.

Le tipologie di social network sono moltissime, ognuna con le proprie specificità e le proprie funzioni, il proprio linguaggio ma quasi tutte hanno in comune tre caratteristiche: la necessità di creare un proprio profilo, la possibilità di coltivare una rete più o meno ampia di relazioni e la possibilità di condividere e diffondere contenuti.

I social network che per la loro tipologia e diffusione sembrano più attraenti per la realtà dello studio notarile sono attualmente LinkedIn e Facebook. La presenza su LinkedIn ha come scopo principale quello di costruire e rafforzare una rete di relazioni con persone considerate affidabili nell’ambito del proprio contesto professionale. Facebook è da considerarsi un vero e proprio ecosistema (che comprende Instagram, Messanger e WhatsApp) che consente di aumentare la visibilità dello studio e di mantenere costantemente acceso il rapporto con i clienti attuali o potenziali dello studio.

 

A prescindere dalla piattaforma prescelta, per essere davvero efficace e usarla a proprio vantaggio sono indispensabili tre cose: dire cose interessanti, essere assidui e avere una linea editoriale allineata all’identità e all’immagine dello studio. Diversamente, si rischia un effetto boomerang i cui effetti potrebbero essere difficili da contenere. I social network hanno un proprio linguaggio e un proprio set di norme di comportamento da rispettare. Ecco perché è bene non improvvisarsi e affidarsi a figure professionali specializzate in grado di guidare lo studio non solo nella progettazione del proprio profilo ma soprattutto nella messa a terra dello strumento, per trarne il massimo beneficio possibile

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network

 

APPUNTI IN TEMA DI PERMUTA DI COSA PRESENTE CON COSA FUTURA – a cura Notaio Vito Pinto

Ogni volta in cui un costruttore abbia necessità di procedere ad acquisire spazi o aree per future edificazioni, evitando l’immediato esborso di danaro per l’acquisto dell’area stessa, ma essendo disposto a cedere parte della costruzione che realizzerà, ci si imbatte nella figura contrattuale della permuta di cosa presente con cosa futura.

L’art. 1552 c.c. definisce la permuta come il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà, od altri diritti, da un contraente all’altro, ma rinviando con l’art. 1555 c.c. alla disciplina della vendita risolve in senso positivo il problema della applicabilità dell’art. 1472 c.c. implicitamente ritenendo lecita e possibile una permuta di cosa presente con cosa futura.

Per di più tale possibilità si ricava anche dall’art. 1348 c.c. che ritiene ammissibili le prestazioni di cose future come oggetto di contratto.

Il primo problema che sorge nello sviluppo del contratto è la garanzia dell’adempimento dell’obbligazione futura, perché mentre la prestazione inerente il passaggio del terreno é di efficacia immediata, l’adempimento della controprestazione potrà avvenire solo al momento della realizzazione dell’opera, creando in tal modo una forte debolezza della posizione del contraente,  originario proprietario dell’area, che potrebbe anche rischiare di non riuscire ad ottenere quanto pattuito.

Si usano nella pratica quotidiana rimedi vari sia giuridici, come sicuramente il ricorso ad una fideiussione a prima richiesta che tuteli il contraente debole per il caso di mancata realizzazione della costruzione, sia empirici, come nel caso di costruzioni non in verticale ma in orizzontale (es.: villette a schiera) in cui sia possibile un preventivo frazionamento dell’area corrispondente alla singola porzione promessa in permuta.

In tal caso basterà, infatti, non cedere quest’unica unità già frazionata stipulando un contratto di appalto che impegnerà il costruttore stesso alla realizzazione della costruzione compensando totalmente o parzialmente il costo con quanto corrisponde al valore delle aree precedentemente vendute: ma appare subito evidente che questa non sarà più una permuta ma solo un doppio contratto : vendita e separato appalto con compensazione dei costi !

È evidente altresì che qualora si riscontrasse differenza di valore fra l’area ceduta e l’immobile offerto a costruzione finita si dovrà prevedere una compensazione in denaro e si avrà pertanto una permuta con conguaglio.

Si discute sulla natura del contratto in esame quando il valore del conguaglio superi il valore economico del bene permutato: in tal caso infatti non si avrà solo una permuta ma anche una vendita mista per la differenza .

Una volta che il proprietario dell’area abbia ceduto la proprietà del suolo e sia quindi in attesa della venuta ad esistenza del bene, questo diventa creditore nei confronti del costruttore e potrà anche eventualmente trasferire la proprietà delle unità immobiliari da costruire senza il consenso del costruttore, configurandosi in tale fattispecie non tanto una cessione di contratto, quanto una cessione del credito, per il quale non è necessario il consenso del contraente che abbia già conseguito tutti gli effetti attivi del contratto.

Ai fini degli effetti e della redazione stessa del contratto, assume particolare rilevanza la determinazione del momento in cui viene ad esistenza il bene futuro.

In giurisprudenza si è evidenziato come questo momento debba coincidere con il perfezionamento del processo produttivo della cosa nelle sue componenti essenziali, quando cioè siano state eseguite le opere murarie (e non bisognerebbe attendere il completamento delle opere di rifinitura), ma tale posizione non sempre corrisponde alle esigenze del contraente debole (cedente l’area) né le tutela ed é quindi sempre consigliato precisare nelle pattuizioni contrattuali originarie che non sarebbe sufficiente  ad esaurire la controprestazione futura il solo completamento dello scheletro in cemento, ma debba essere realizzato un aspetto completo della costruzione, anche se mancante di alcune rifiniture od accessori non indispensabili.

Pertanto si rende molto opportuno che le parti individuino con esattezza in contratto tale momento ai fini del perfezionamento dell’effetto traslativo, nonché ai fini della applicabilità e sussistenza delle garanzie di cui al D. Lgs. 122/05.

Qualora poi il predetto contraente debole non volesse per sé la proprietà della costruzione futura, sussistendo solo effetti obbligatori fino alla venuta ad esistenza del bene, sarà sempre possibile inserire una riserva di nomina a favore del terzo ex art. 1411 c.c. evitando così un doppio atto di trasferimento finale.

Si differenzia leggermente la fattispecie in cui la vendita del terreno sia eseguita con riserva del diritto di superficie su di una porzione della nuova costruzione che il proprietario del suolo vorrà per sé, con contestuale appalto per la costruzione della medesima.

In passato questa soluzione ha incontrato ostacoli di problema fiscale, in quanto l’Ufficio del Registro riteneva che vi fossero due distinti negozi (trasferimento del suolo e trasferimento del diritto di superficie) e perciò provvedeva ad una duplice tassazione, ma da circa dieci anni, aderendo ad una ricostruzione più coerente sulla riserva del diritto di superficie, che non implica di per sé un trasferimento, si è addivenuti ad una tassazione più equa.

Parte della dottrina aveva comunque espresso perplessità in ordine alla possibilità di costituire un diritto di superficie a partire da una certa altezza e per una determinata estensione e quindi, apparentemente poggiati sul vuoto (famosa la pronuncia della Cassazione sull’impossibilità che le “scatole d’aria” possano costituire oggetto di disposizione). In realtà il fenomeno in esame configura un diritto di superficie sulla proprietà che si andrà a costruire o eventualmente, una serie di diritti di superficie costruiti l’uno sopra l’altro; figure queste certamente ammissibili.

Unico inconveniente risulterebbe che il proprietario del suolo sarebbe titolare solo della proprietà superficiaria dell’edificio, mentre il suolo (e quindi anche le parti comuni) dovrebbero rimanere in piena proprietà del costruttore, con la importante conseguenza che in caso di crollo dell’edificio nulla rimarrebbe definito per l’originario proprietario dell’area, con ulteriori conseguenze dannose ed estintive nel caso di prescrizione del diritto stesso.

Molto meglio invece non cedere l’intera proprietà del terreno ma solo una quota millesimale dello stesso, pari al valore di quanto il costruttore vorrà tenere per sé, trattenendo quella quota millesimale che ad esecuzione dell’opera avvenuta con un atto di divisione potrà corrispondere esattamente al o agli appartenenti promessi in controprestazione dal costruttore !

Anche in questo caso una maggior garanzia sarà sempre rappresentata da una fideiussione e da un appalto ove il costruttore si impegni a portare a termine a regola d’arte la costruzione finale.

In realtà l’utilizzo di tutte le fattispecie negoziali sopra esaminate ha chiaramente diverse conseguenze in tema di inadempimento.

Nella classica ipotesi iniziale di permuta di cosa presente con cosa futura la parte che avrebbe dovuto ricevere la cosa futura potrà sempre chiedere la risoluzione del contratto se insoddisfatta.

Per effetto della sentenza di risoluzione la proprietà dell’area ritornerà al proprietario, con la proprietà delle costruzioni ivi edificate fino a quel momento, in forza del principio della accessione, con l’obbligo di pagamento – a sua scelta – delle spese sostenute o dell’indennità pari all’aumento del valore dell’area.

Il proprietario dell’area non avrà invece il diritto di demolire la costruzione, ex 1150 ultimo comma c.c. perché questa possibilità dovrebbe essere esclusivamente concessa in via giudiziaria e non sarà possibile ottenere il ripristino dello stato di fatto antecedente, quando area ed edificio formino una sola cosa inscindibile, ossia un nuovo bene.

Comunque la circostanza che l’inadempimento del costruttore non comporti la nullità del contratto ma solo la sua risoluzione non tutela in pieno il proprietario dell’area, in quanto la risoluzione ai sensi del 1458 c.c. sarà inopponibile agli aventi causa del costruttore che abbiano trascritto antecedentemente una qualsiasi azione giudiziaria risarcitoria per posizioni debitorie maturate.

Infatti difficilmente il proprietario si vedrà restituito il bene senza formalità pregiudizievoli, in quanto sarà probabilmente gravato da iscrizioni o trascrizioni o concesse dalla Banca per finanziare la costruzione, o iscritte da fornitori non soddisfatti e quindi sempre potenzialmente soggetto alla esecuzione forzata.

Altro rimedio esperibile, ove ne ricorrano i presupposti, è la rescissione del contratto, la cui applicazione è invocabile per tutti i contratti a prestazioni corrispettive.

In conclusione ed al fine di avere una rete protettiva per il contraente debole, oggi a tutela del trasferimento della proprietà di un immobile da costruire soccorre il D.Lgs. 122/05, ove applicabile ai sensi dell’art. 1 dello stesso, che permette all’acquirente di conseguire importanti garanzie, tra cui si segnalano:

  • una fideiussione bancaria o assicurativa a garanzia dell’obbligo da parte del costruttore di consegnare l’immobile finito (almeno nei suoi elementi essenziali) fino al rilascio del certificato di abitabilità;
  • una assicurazione obbligatoria nella ipotesi di crollo dell’edificio;
  • il preventivo frazionamento dell’ipoteca;
  • l’inserimento nell’atto , a pena di nullità, di tutta una serie di documenti che garantiscano o comunque lascino prevedere il futuro adempimento del costruttore, come l’intero capitolato e l’elenco di tutti i materiali da impiegare e di tutte le ditte impegnate nella costruzione;
  • la trascrizione presso i registri immobiliari, con effetto prenotativo contro altri creditori, dei diritti dell’acquirente del bene ancora da costruire.

Vito Pinto, Notaio in Varese