Opzione put e call: finalità ultronee rispetto al loro scopo tipico – a cura Notaio Roberto Santarpia

Con riferimento alle possibilità di utilizzare determinati nuovi strumenti per finanziare una società si sta aprendo sempre più il campo di prospettive di applicazione di istituti giuridici più duttili rispetto a quanto accadeva in passato attraverso la concessione di garanzie reali quali ipoteca o pegno possessorio. L’esigenza della rapida finanziabilità con contemporanea sicurezza del creditore è ciò di cui si è preso cura il legislatore nell’ultimo periodo introducendo la possibilità di garantire il creditore attraverso il patto Marciano previsto per le banche art. 48 bis del TUB, nonché gli strumenti di finanziamento sia partecipativi che non di cui agli articoli 2346, comma 6, 2349, comma 2 e 2351, comma 5, del Codice Civile nonché attraverso il pegno non possessorio applicabile ai beni mobili oggetto dell’attività di impresa di cui all’art. 1 del D.L. num. 59 del 2016 ed anche attraverso ls possibilità di emissione di azioni riscattabili. Oltre a questa recente evoluzione, vale la pena considerare la possibilità per la società di avvalersi del ricorso al credito avvalendosi di un socio o di un privato e quindi senza necessariamente ricorrere ad enti preposti alla attività di finanziamento, attraverso l’utilizzo dello strumento “opzione put” a cui si contrappone l’ “opzione call”.

L’opzione put consiste in un contratto con il quale una parte che ha acquistato una partecipazione sociale riceve un diritto di opzione, che gli attribuisce il diritto di vendere agli altri soci la propria partecipazione ad un prezzo prestabilito non correndo quindi rischi nel suo investimento. Gli altri soci, concedenti l’opzione sono quindi in uno stato di soggezione (pati) consistente nel sopportare di dover acquistare la detta quota quando l’opzionario, che beneficia di un vero e proprio diritto potestativo, lo decida ed al prezzo predeterminato. L’assenza del rischio di non riuscire a recuperare il prezzo pagato in conseguenza dell’andamento sociale deteriore rispetto al momento dell’acquisto, invoglia certamente l’investitore con la conseguenza che il denaro incassato dagli acquirenti soci possa poi essere utilizzato per scopi sociali.

Di converso, sussiste anche l’ipotesi del diritto di opzione che attribuisce al titolare il diritto di acquistare dagli altri soci la partecipazione ad un prezzo stabilito; in tal caso gli altri soci, concedenti l’opzione, sono irrevocabilmente vincolati a vendere la propria partecipazione (opzione call). In questo caso il Finanziamento alla società si può realizzare attraverso un meccanismo complesso: la società delibera un aumento di capitale a titolo oneroso con contestuale esclusione del diritto di opzione da offrirsi a un terzo precedentemente individuato; il terzo sottoscrive la tranche di aumento di capitale con contestuale versamento della relativa quota di capitale; contestualmente il terzo concede un’opzione call di acquisto alla società, se spa o srl PMI (ove sussistano i presupposti di legge), avente ad oggetto la stessa quota di partecipazione testé sottoscritta.

E’ sorto in passato recente il dubbio che queste clausole fossero però valide.

Si può procedere, per valutare la possibilità di considerarle invece valide, ad analizzare il profilo causale, sia astratto che concreto, del contratto di opzione; la sua finalità ordinaria, per l’opzione put, consiste nel dismettere la propria partecipazione mentre la finalità ordinaria per l’opzione call consiste nel permettere al socio destinatario dell’opzione di incrementare la propria partecipazione acquistando la quota, rappresentandosi così, quale causa astratta, la mera finalità di mutamento della titolarità soggettiva. Ora l’ulteriore finalità (causa concreta) che le clausole suddette possono raggiungere devono rispondere a due requisiti, perché non siano illecite: 1) perseguire interessi meritevoli di tutela; 2) non contrarietà con norme imperative, ordine pubblico e buon costume. Senza addentrarci in lunghe elucubrazioni giuridiche si può dire che le clausole in oggetto non contrastano con detti principi e realizzano l’interesse societario a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società come infra meglio riportato come da pronuncia della Suprema Corte di Cassazione.

Infatti si era a lungo discusso in dottrina sulla possibile invalidità della opzione put sotto il profilo della possibile dismissione della titolarità della partecipazione sociale accompagnato dalla sicurezza di realizzare un prezzo predeterminato che non sia inferiore a quanto dallo stesso opzionario versato per l’acquisto, magari maggiorato di spese e di ulteriori somme, a prescindere dal reale andamento della società che potrebbe avere condotto, in quel dato momento, ad un patrimonio anche pari allo zero. In sostanza si metterebbe il socio acquisitore al riparo dal subire le perdite della società, in contrasto con quanto previsto dall’articolo 2265 cod. civ. che vieta il patto leonino.

La Suprema Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in merito, propese per la liceità  della opzione put (o call) considerandola contra legem solo in presenza di due presupposti specifici: e cioè quando, per effetto di tale opzione, l’esclusione del socio dalla partecipazione alle perdite sia “assoluta e costante”. Assoluta, nel senso che non deve sussistere alcuna possibilità che il socio sopporti le perdite; dunque, non sarebbe sufficiente una semplice riduzione della percentuale di sopportazione delle perdite: in tale, ipotesi il socio resterebbe comunque soggetto al rischio di impresa (ancorché ridotto) e, pertanto, conserverebbe l’interesse a che la gestione sia condotta in modo efficiente.

Costante, nel senso che l’esclusione deve durare per l’intero periodo in cui il socio partecipi alla società.

Nel caso in cui invece sussistano entrambi i presupposti suddetti (assolutezza e costanza della insussistenza del rischio di sopportare le perdite), il detto patto sarebbe affetto da nullità. Da ultimo però avveduta dottrina ha affermato che tuttavia questo patto sarebbe comunque valido poichè vincola solo i soci e non anche la stessa società, la quale sarebbe obbligata, nel detto ultimo caso, a ripartire utili e perdite in conformità al patto e quindi a spostare il peso delle stesse perdite, soltanto su alcuni soci, situazione che invece esula dall’essere cogente per la società. In altri termini, nel caso del patto di opzione a prezzo predeterminato, invece, la “negoziazione del rischio societario”, ossia la sua traslazione in capo agli altri soci, riguarda solo i soggetti che concludono il contratto; quello stesso patto, invece, resta indifferente per la società, la quale dovrà continuare a suddividere gli utili e le perdite tra le sue partecipazioni sociali. Per cui il detto patto put, allora, non interferisce con il divieto del patto leonino.

La Cassazione si è poi pronunciata ulteriormente nel 2018, sul tema de quo, con due ordinanze “gemelle” le quali ribadiscono la legittimità dell’opzione put a prezzo predeterminato (provvedimenti del 4/7/2018, n. 17498 e n. 17500). Il ragionamento della Corte è il seguente: pur in presenza di una fattispecie potenzialmente contraria ad una norma di legge, va analizzata di volta in volta la causa concreta del negozio, per valutare se l’operazione sia lecita e meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c.

Ad esempio deve considerarsi lecita l’operazione che persegue l’obiettivo del finanziamento all’impresa. E’ la vicenda del soggetto investitore che diventa socio e contribuisce alla ricapitalizzazione della società. In tal caso gli altri soci concedono a quel soggetto un’opzione put,

– per reperire la liquidità necessaria alla stessa Società,

– a condizioni più vantaggiose di quelle offerte dalle banche

– e senza il rilascio di gravose garanzie.

Il negozio di opzione diventa una garanzia atipica, alternativa, più duttile rispetto alla garanzie reali che normalmente assistono le operazioni di finanziamento.

Si parla, al riguardo di “finanziamenti partecipativi”, che costituiscono una “tecnica atipica” di apporto all’impresa, alternativo al tradizionale canale bancario.

E la finalità del finanziamento alle imprese non è in contrasto con l’art. 1322 c.c. e si è visto nel tempo che il legislatore anzi incentiva detto finanziamento (si pensi ai PIR).

L’orientamento della Cassazione si consolida nel 2020 con la sentenza n. 22960, mettendo forse la parola “fine” alla questione: “è lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci, con il quale l’uno, in occasione di un finanziamento partecipativo, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (cd. “put”) entro un dato termine ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale ad un prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborsi dei versamenti operati nelle more in favore della Società”.

Ulteriore finalità che le clausole di opzione put e call possono perseguire (analogamente alla clausola russian roulette) sono quelle di evitare una situazione di stallo societario nell’assemblea attribuendo ad uno dei due soci sia un’opzione put che opzione call.  Qualora si attribuiscano ad un unico socio in modo sequenziale le due opzioni, si delinea come risultato finale la fuoriuscita dell’altro socio dalla compagine sociale qualora il socio che è beneficiario  della opzione put è al contempo beneficiario dell’opzione call: al verificarsi dell’evento di dead lock, l’opzionario può esercitare l’opzione put e dopo un tempo predeterminato, se non esercitata, scatta per lui la possibilità di esercitare l’opzione call, temporalmente successiva all’opzione put.

Tutto quanto sopra illustrato in modo succinto ha lo scopo di mettere in luce le possibili valenze e i risultati che si possono raggiungere attraverso l’utilizzo di queste opzioni, put e call, al di là del loro scopo tipico, e cioè quello di realizzare il mero trasferimento della partecipazione sociale, il tutto al fine di agevolare chi è chiamato a “pensare” quali strumenti giuridici utilizzare per poter perseguire l’interesse dei soci e della società.

Roberto Santarpia,  Notaio in Orzinuovi.

Le copie dei documenti informatici esibiti – a cura Notaio Gea Arcella

Nonostante i molti studi e materiali disponibili sulle copie, il tema è sempre di attualità soprattutto in relazione al cambio di supporto che può essere necessario al fine dell’allegazione di un documento informatico ad un documento cartaceo e viceversa.

In particolare la pandemia ha enormemente aumentato i casi in cui gli uffici pubblici, tradizionalmente legati nell’emissione dei documenti di loro competenza al supporto cartaceo, hanno incrementato invece la produzione di estratti e certificati su supporto informatico.

In questo breve approfondimento mi soffermerò in particolare sulle copie dei documenti informatici esibiti, disciplinate dall’art. 73 della l. not. e sulle interferenze tra tale articolo e quello dedicato alle allegazioni (art. 57 bis l. not.).

Diciamo subito che il documento informatico è duplicabile all’infinito, infatti esso ha delle caratteristiche sue proprie che influiscono sulla sua fruizione e su alcuni aspetti giuridici: esso pur avendo bisogno di un supporto per essere visualizzato, è indifferente allo stesso poiché non vi si incorpora  in maniera stabile; ciò comporta che nel modo informatico perde significato il concetto di originale e di copia, in quanto è impossibile distinguere tra un originale e l’altro, o tra l’originale e la copia, ma sono tutti duplicati identici, trattandosi di un “ documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario”, come recita la definizione della lettera  i-quinquies) dell’art. 1 D.Lgs. 82/2005 c.d. Codice dell’Amministrazione digitale.

Pertanto tutte le volte in cui un documento informatico possa utilizzato nel suo formato nativo non è necessario farne alcuna copia, ma basterà avere a disposizione un suo duplicato: si faccia l’esempio di un qualsiasi certificato rilasciato su supporto informatico da allegare ad un appalto pubblico che per legge deve essere stipulato anch’esso su supporto informatico; in questo caso nessuna copia è necessaria, nemmeno se il medesimo certificato fosse andato allegato ad un altro atto – anche di collega diverso –, ma esso potrà essere nuovamente allegato quale duplicato senza procedere all’emissione di alcuna copia conforme né di un estratto da parte del collega che per primo lo ha utilizzato.

La situazione è del tutto paragonabile a quella di un atto notarile (come ad es. gli atti notori) o di un estratto emesso in più originali: ciascuno è utilizzabile autonomamente, la differenza è che su supporto cartaceo il numero degli originali è definito all’origine, mentre per i documenti informatici tale limitazione ontologica non esiste.

Un problema di compatibilità di supporti si verifica, invece, se il documento esibito ha un formato non compatibile con quello dell’atto a cui deve essere allegato.

Di tale esigenza ha tenuto conto la legge notarile che all’art. 57-bis dispone che “quando deve essere allegato un documento redatto su supporto cartaceo ad un documento informatico, il notaio ne allega copia informatica, certificata conforme ai sensi dell’articolo 22, commi 1 e 3, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n 82 .2. Quando un documento informatico deve essere allegato ad un atto pubblico o ad una scrittura privata da autenticare, redatti su supporto cartaceo, il notaio ne allega copia conforme ai sensi dell’articolo 23 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, formata sullo stesso supporto”.

In termini generali la redazione di una copia risponde all’esigenza di disporre di un determinato documento anche su un supporto diverso da quello su cui originariamente è stato formato, o di più copie di uno stesso documento, sempre al fine di permetterne un più rapido e celere scambio; al contrario la copia ex art. 57 bis cit. è una trasposizione del contenuto del documento da allegare, formata al solo scopo di permettere un’inserzione che altrimenti sarebbe “fisicamente” impossibile, pertanto tale copia è in realtà assolutamente necessitata e non è destinata ad una circolazione autonoma rispetto all’originale cui viene unita. E’ per questa sua caratteristica che i diversi studi sul tema  hanno affermato che essa non si assoggettabile in via autonoma ad imposta di bollo e la non necessità che essa sia annotata a repertorio.

L’articolo 57-bis può essere, quindi, considerato l’espressione di un principio generale di omogeneità, in base al quale gli allegati devono condividere la natura del supporto (cartacea o informatica) del documento originale nel quale vanno inserti.

Anche quando sia necessario un cambio di supporto ai fini dell’allegazione, però, purché il documento informatico sia ancora in corso di validità, il fatto che esso sia già stato precedentemente utilizzato non vieta che esso possa essere nuovamente esibito e riutilizzato; siamo, infatti, di fronte ad un documento duplicabile pertanto, come abbiamo, visto nessuna distinzione può esserci tra un originale ed una copia e ciascun esemplare va valutato solo in relazione all’atto da compiere ed alla sua intrinseca efficacia; si faccia l’esempio di un certificato di destinazione urbanistica riferito a più particelle di terreno rilasciato in formato digitale, esso potrà essere utilizzato nel periodo di vigenza più volte, anche da notai diversi, ovviamente ciascun notaio ne farà una copia conforme ai fini dell’allegazione al suo atto, ma senza che sia necessario l’emissione di un nuovo certificato o che la copia conforme venga emessa esclusivamente dal notaio che lo ha utilizzato per primo.

Lo stesso dicasi per l’APE, che ha un periodo validità di 10 anni e, se disponile in formato digitale, può essere esibito a più notai senza che ciò infici la sua utilizzabilità.

Il notaio, infatti, ha competenza generale a fare la copia conforme di un documento esibito ex art.73 cit. il quale recita: “Il notaio può attestare la conformità all’originale di copie, eseguite su supporto informatico o cartaceo, di documenti formati su qualsiasi supporto ed a lui esibiti in originale o copia conforme.” Nonostante questa previsione sia stata inserita nella legge notarile con la novella del D.Lgs 110/2010, questa prerogativa non è una novità ma era già prevista dal R.D.L. 1666 del 1937, piuttosto con la riforma la competenza generale al rilascio di copie è stata ribadita anche con riferimento all’esigenza della conversione del formato di qualsiasi tipo di documento, essendo indifferente che esso sia esibito al notaio in originale o in copia conforme.

L’unico caveat che mi sento di dare è che quando la copia del documento esibito non sia eseguita ex art. 57 bis cit., ma sia destinata ad una autonoma circolazione, poiché riferita ad atti o documenti  non rogati o depositati presso il notaio che la rilascia, essa andrà annotata a repertorio come già previsto per gli estratti; la repertoriazione, infatti, costituisce un mezzo di tracciamento del documento e può attestarne l’esistenza ad una certa data, mentre per l’imposta di bollo varrà quanto previsto dall’art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 642/1972.

Gea Arcella, Notaio in Udine

I LASCITI TESTAMENTARI AL CONVIVENTE – a cura Notaio Vito Pinto

PREAMBOLO

Molti chiedono spesso come districarsi nel caso in cui si volesse lasciare una eredità o parte di essa al proprio convivente soprattutto alla luce della nuova legge sulle Unioni Civili e del notevole aumento delle convivenze stesse. Ma innanzitutto occorre chiarire quali convivenze possiamo considerare.

NORMATIVA

D.p.r. 223/1989; L. 20 maggio 2016 n. 76

DEFINIZIONI

La convivenza diviene giuridicamente rilevante quando due persone maggiorenni (tra loro non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile), unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, coabitano ed hanno dimora abituale nello stesso comune (e cioè ex art. 4 del d.P.R. 223/1989 compaiano nel medesimo certificato di stato di famiglia).

Sicuramente non sono convivenze le coabitazioni di più amici o degli studenti in uno stesso appartamento.

La nuova legge 76/2016 riconnette a tale situazione di fatto una serie di diritti relativi sia alla sfera della tutela della persona (ad esempio in materia ospedaliera), sia a quella patrimoniale (ad esempio il diritto a partecipare ad un’impresa familiare) ed ammette la possibilità della stipula di Patti di Convivenza con cui regolare i rapporti patrimoniali ma non le situazioni successorie.

SUCCESSIONE DEL CONVIVENTE

Per risolvere il problema del lascito al convivente non può aiutarci la L. 76/2016 in quanto, per espressa volontà legislativa, mentre si è voluto pienamente parificare al matrimonio l’Unione Civile fra omosessuali, anche sotto il profilo successorio, si è invece preferito non favorire le convivenze more uxorio per non scalfire l’importanza ed il primato dell’istituto del Matrimonio.

La Legge n. 76/2016 si limita a prevedere che:

  • fatto salvo quanto previsto dall’articolo 337 sexies c.c. per l’assegnazione della casa familiare (applicabile in presenza di figli minori anche ai conviventi), in caso di morte del convivente proprietario della casa di comune residenza, il convivente superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni (che diventano tre anni ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite) o per un periodo pari alla convivenza, se superiore, e comunque non oltre i cinque anni. Il diritto in ogni caso viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza ovvero contragga matrimonio, unione civile o intraprenda una nuova convivenza di fatto;
  • In caso di morte del conduttore nell’affitto, il convivente superstite ha facoltà di succedergli nel contratto di locazione della casa di comune residenza;
  • In caso di morte del convivente derivante da fatto illecito spetta al convivente superstite il diritto al risarcimento del danno, secondo quanto già riconosciuto in favore del coniuge.

In assenza di altri richiami normativi la convivenza rimane, quindi, del tutto irrilevante sotto il profilo dell’ordine dei successibili, e più in generale per tutti gli altri diritti successori (diversi da quelli sopra ricordati) che il nostro ordinamento riconosce invece ai coniugi.

IL TESTAMENTO COME UNICO RIMEDIO

L’unico strumento giuridico che ci viene in aiuto è il Testamento. Potrà essere pubblico, se stipulato dal Notaio ovvero olografo, se compilato di pugno dal testatore, datato e firmato per essere valido.

Ma, sistemata la validità formale, per evitare impugnazioni sarà necessario prevedere dei lasciti a favore di figli o di precedente coniuge separato ma non ancora divorziato per compensare il minimo che la legge riserva a questi soggetti definiti legittimari e protetti appunto con una necessaria quota di eredità chiamata legittima. Ovviamente invece qualora non esistessero figli o precedenti coniugi non divorziati potrò lasciare tutto al mio convivente o lasciare solo l’usufrutto a lui e la nuda proprietà ad altri, ad esempio qualche nipote, senza che mai fratelli o altri nipoti possano contestare alcunché non essendo protetti dalla legge.

Ed anche se tutti fossero d’accordo a lasciare libero il testatore di compensare il suo convivente con tutto quello che volesse, fino a quando sarà ancora attivo l’art. 458 c.c. che vieta i Patti Successori (anche se il nuovo Governo ha dichiarato di voler eliminare o modificare questo articolo) non si potrà, in vita del disponente, manifestare alcun consenso o rinuncia anticipata!

Dopo la morte del disponente invece se quest’ultimo avesse ugualmente fatto un testamento a favore del convivente senza rispettare le quote di legittima, tutti i legittimari potranno accettarlo e dare il proprio consenso con un atto notarile di acquiescenza alle disposizioni testamentarie permettendo così l’intestazione diretta dei beni al convivente beneficiario, considerando a parte però la relativa onerosità fiscale.

ONEROSITÀ FISCALE

Purtroppo Il legislatore ha proprio omesso di agevolare sotto il profilo fiscale gli strumenti in mano ai conviventi per disciplinare gli aspetti successori del loro rapporto: eventuali disposizioni a titolo liberale o successorio in favore del convivente scontano ai sensi del Testo Unico sulle Successioni l’aliquota nella misura massima ivi prevista (cioè l’imposta di successione all’8% prevista per le liberalità tra estranei più il 3% per le imposte di trascrizione e catasto sugli immobili), né beneficiano di alcuna franchigia (che viceversa opera per i coniugi e per le unioni civili fino ad 1.000.000 di euro).

Ed anche le eventuali Agevolazioni per la prima casa saranno limitate soltanto allo sconto del 3% delle imposte di trascrizione e catasto lasciando intatto il rimanente 8%.

Vito Pinto, Notaio in Varese

Le procedure scritte nell’organizzazione dello studio notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

In uno studio notarile, ogni atto e ogni cliente fanno storia a sé. Eppure, il fatto che esista una certa regolarità nell’iter di elaborazione degli atti e nell’esecuzione degli adempimenti si percepisce già ad istinto.

E’ interessante mappare e descrivere per iscritto questi passaggi, per aumentare l’efficacia e l’efficienza dello studio e ridurre i rischi.

Le procedure possono essere preziose in quanto determinano in modo univoco chi deve fare che cosa e come deve farlo. Chiariscono la responsabilità intesa come dovere di attivarsi ma anche di rendere conto ai superiori e la collegano all’autorità, cioè alla possibilità di impiegare idonee risorse, in termini di tempo e denaro. Soprattutto quando una pratica passa da una scrivania all’altra, si moltiplica la possibilità di buchi e doppioni. Cioè di attività anche essenziali non svolte o di attività inutilmente duplicate. Le procedure servono a ridurre la probabilità che questo accada stabilendo tempi e modi delle staffette.

Con un buon set di procedure è possibile uniformare il metodo di lavoro e i controlli tra assistenti notarili che non di rado provengono da esperienze diverse e quindi lavorano in modo completamente diverso l’uno dall’altro.

Le procedure sono anche molto preziose per l’inserimento di nuove figure all’interno dello studio, che possono disporre di una guida che consente loro di rendersi immediatamente utili.

L’esistenza di istruzioni di lavoro scritte, facilita la sostituzione e l’intercambiabilità delle mansioni in caso di necessità, ad esempio sostituzioni per malattia o maternità. Soprattutto quando sono coinvolte competenze rare e difficilmente riproducibili come ad esempio la messa a repertorio o l’esecuzione degli adempimenti immobiliari.

I protocolli così formalizzati consentono al notaio di ottimizzare il tempo dedicato all’organizzazione dello studio, utilizzando la tecnica della gestione per eccezioni (management by exceptions). Il notaio deve infatti dedicarsi ai colloqui, alla stipula, all’aggiornamento, allo sviluppo della clientela. Quanto più ha successo, tanto più deve attrezzare lo studio per ottimizzare il suo tempo dando regole di default certe e precise.

Le procedure servono infine al notaio per mitigare la responsabilità che gli deriva dall’operato dei collaboratori e dei dipendenti. Non è pensabile che sia il notaio in prima persona ad occuparsi di tutto, ma certamente ci si aspetta che organizzi al meglio e sovrintenda all’organizzazione dello studio.

Dal punto di vista del diritto del lavoro le procedure costituiscono una disposizione di servizio emanata dal Notaio-datore di lavoro in forma scritta, il cui ingiustificato inadempimento è sanzionabile a livello disciplinare per il dipendente secondo quanto stabilito dallo Statuto dei Lavoratori e dal CCNL applicabile.

Le procedure possono seguire L’intera parabola dell’atto notarile, dal primo colloquio col cliente all’archiviazione del fascicolo. Inoltre, possono regolamentare anche aspetti di carattere interno come la fatturazione e il recupero dei crediti.

Costituiscono documenti della qualità e possono fungere da base per l’adozione di sistemi di gestione documentati conformi allo standard internazionale ISO 9001:2015.

Nel loro stile redazionale, le procedure assomigliano molto da vicino alle regole per la gestione dei processi che il Notaio ha studiato alla facoltà di giurisprudenza, in esami che non a caso si chiamano proprio procedura civile e procedura penale. 

Le procedure possono rispondere a domande come: “Quali informazioni sul cliente vanno raccolte in sede di colloquio? Come vanno riportate nel fascicolo?” oppure “Cosa occorre archiviare e in che ordine. Come selezionare cosa eliminare dal fascicolo?”. Si possono anche introdurre scadenze: “entro quando deve essere effettuato l’adempimento immobiliare? “

Non è facile stabilire quanto approfondite debbano essere le istruzioni di lavoro. Non bisogna esagerare coi dettagli perché altrimenti demotiviamo le persone e togliamo loro lo spirito critico. D’altra parte disporre di una ricetta troppo succinta impedirebbe l’efficace preparazione di qualsiasi manicaretto. Vale la regola del farmacista: ogni procedura che deve essere lunga “quanto basta”. Ogni procedura è una mappa che non deve mai diventare territorio, ma contenere solo le informazioni dei punti cospicui, necessari a non perdere la strada.  

È molto importante che le procedure siano progettate e condivise con chi le utilizza. Non devono essere calate dall’alto perché altrimenti verranno cortesemente messe da parte. L’esistenza di procedure aiuta il Notaio a gestire meglio lo studio ma di certo non può sostituire del tutto il suo ruolo manageriale e di coaching nei confronti degli assistenti notarili.  

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

La fatturazione delle prestazioni nello studio notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Dal punto di vista economico, la fatturazione di una prestazione di servizi dovrebbe avvenire quando il ricavo è maturato in base al criterio di competenza, cioè una volta concluso il lavoro o in base a stati di avanzamento concordati.

La fatturazione delle prestazioni degli studi notarili, come quelle degli altri studi professionali, segue invece il criterio di cassa, in ossequio a logiche prettamente fiscali.

Infatti, Il criterio generale d’imputazione dei compensi percepiti posto dall’art. 54 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sul Reddito) per la determinazione del reddito di lavoro autonomo è quello di cassa, per cui un compenso diventa componente positivo di reddito in un determinato periodo, solo se il compenso è stato effettivamente incassato.

Anche dal punto di vista dell’IVA (Art.6 D.P.R.633/72), le prestazioni di servizi si considerano effettuate al momento del pagamento del corrispettivo, salva l’anticipata corresponsione di eventuali acconti. Ex art 15 del citato DPR, sono escluse dall’IVA le somme anticipate in nome e per conto del cliente.

L’eventuale fatturazione anticipata di tutto o parte del corrispettivo non ancora incassato anticipa anche il momento impositivo ai fini IVA. Questo spiega il frequente ricorso nella prassi all’emissione di un documento proforma, che riepiloga quanto dovuto per ottenerne il pagamento, nella speranza di posporre così la debenza dell’IVA. La fattura o notula definitiva viene in questo caso emessa pro quota quando il cliente paga in tutto o in parte quanto dovuto. Talvolta l’Agenzia delle Entrate contesta i documenti proforma considerandoli già definitivi.

La particolare natura dell’attività notarile prevede che il Notaio sia considerato responsabile di imposta con riferimento all’imposta di registro e alle imposte ipotecarie e catastali. Pertanto il Notaio è fortemente incoraggiato ad incassare dal cliente le spese anticipate dell’atto per poter assolvere al pagamento di questi tributi, dei quali rimane responsabile.

Il sistema offre qualche tutela. L’art. 28 della Legge Notarile prevede che il notaio ha la facoltà di non esercitare il suo mandato se non è stato pagato. La normativa sul “deposito prezzo” (l. 124/2017), addirittura afferma che il notaio deve astenersi dal rogito se non è stato previamente pagato.

Va detto che al di fuori dell’obbligo posto dalla norma sul deposito prezzo un minimo di elasticità nel fare credito è sempre stato praticato dalla generalità degli studi notarili, soprattutto con la clientela abituale e quella referenziata. Si potrebbe affermare che concedere un certo termine di dilazione è quasi indispensabile per lavorare con il mondo delle imprese, che comunque considerano il notaio alla stregua di tutti gli altri fornitori. La concorrenza tra studi notarili peraltro si basa anche su questo aspetto e tende a favorire gli studi che non si irrigidiscono ma valutano con prudenza le condizioni di concessione dei fidi ai clienti secondo criteri di gestione del rischio ormai quasi “bancari”. Si guarderà quindi il track record precedente del cliente, le condizioni economiche tratte dal bilancio o da altre notizie pubbliche, fino ad acquistare report di merito creditizio presso fornitori di informazioni economiche.  

C’è anche un altro aspetto tecnico da considerare e cioè che al momento dell’incarico o della stipula l’esatto ammontare delle spese che il Notaio sosterrà in nome e per conto del cliente potrebbe non essere completamente determinato, in quanto solo al completamento delle visure e all’invio del Modello Unico notarile sarà possibile una quantificazione esatta.

Le modalità operative tipiche dello studio notarile inducono quindi la necessità di chiedere un fondo spese, spesso indistinto, cioè comprendente un ammontare indicativo e comprensivo di anticipazioni, spese e onorari. Questo può essere richiesto dallo studio notarile già in sede di colloqui a suggello del mandato ricevuto oppure, successivamente, in sede di stipula. Fortunatamente soccorre la disciplina del DM 31 ottobre 1974.

Il decreto ministeriale del 31 ottobre 1974 ha inteso semplificare l’emissione delle fatture per alcune categorie di professionisti. Si tratta di soggetti passivi ai fini Iva che nel corso dell’attività esercitata sostengono di frequente anticipazioni di spese in nome e per conto della clientela. La disciplina in rassegna è applicabile agli avvocati, ai dottori commercialisti e agli esercenti la professione notarile.

Il decreto in rassegna prevede che se il cliente costituisce presso il professionista un fondo spese indistinto (di compensi e di spese), la fattura può essere emessa entro i 60 giorni successivi rispetto alla costituzione del fondo spese. Il professionista può quindi attendere anche lo spirare di tale termine per l’emissione e l’invio al sistema di interscambio del documento in formato digitale.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

AL VIA L’ISCRIZIONE AL RUNTS – a cura Notai Marco Avagliano e Maria Nives Iannaccone

L’iscrizione al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore è realtà!

Il Decreto direttoriale del Ministero del Lavoro 26 ottobre 2021, n. 561, individua nel 23 novembre 2021 la data a decorrere dalla quale il medesimo Registro è divenuto finalmente operativo.

La novità, lo sappiamo, è di non poco conto, e attesa da più di quattro anni, ossia da quando la materia degli Enti non profit fu completamente riformata (Codice del Terzo settore, d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117), unitamente all’istituzione, tra l’altro, dello stesso Registro. Essa coinvolge più di 360.000 tra enti e istituzioni (V. Melis, Il Registro unico del Terzo settore apre le porte a vecchi e nuovi enti, in Sole 24 ore, 15 novembre 2021, p. 8), e costituisce uno dei tasselli principali dell’impianto voluto dalla Riforma. Con il RUNTS, che costituirà il principale strumento con il quale individuare la nuova categoria degli ETS, si procede ad unificare e a digitalizzare, con ciò operando un’evidente semplificazione, i corrispondenti diversi Registri nazionali, regionali o comunque locali della maggior parte di questi enti o soggetti. Quel che si viene a creare è dunque una vera e propria piattaforma informativa e gestionale, che, in maniera analoga a quanto accade con il Registro delle imprese, consentirà dunque di accedere in tempo reale alle informazioni sugli ETS; ma anche da parte di questi ultimi di potervi operare, ad esempio depositando bilanci e altri documenti.

Ma come opera effettivamente il RUNTS?

Va premesso che è possibile compiere diversi distinguo, ad esempio, a seconda delle diverse categorie di enti, delle scadenze temporali o, ancora, del fatto se gli enti siano già costituiti o meno.

Dal punto di vista strutturale, il RUNTS è diviso in 7 sezioni, dedicate rispettivamente alle ODV, alle APS, agli Enti filantropici, alle Imprese sociali, alle Società di mutuo soccorso e alle Reti associative, oltre ad una residuale dedicata agli altri enti del Terzo settore.

Dal 23 novembre 2021, data fissata nel suddetto decreto, è iniziata la trasmigrazione dei dati degli enti interessati, dai vecchi Registri di Organizzazioni di Volontariato e Associazioni di Promozione Sociale al RUNTS. Entro i 180 giorni successivi alla comunicazione dei dati, gli uffici del RUNTS dovranno quindi verificare la sussistenza dei relativi requisiti e disporre, salvo richiesta delle informazioni e dei documenti mancanti, l’iscrizione o meno degli enti interessati nella sezione corrispondente (artt. 30 e 31 del d.m. 15 settembre 2020)

Va precisato che questo andrà realizzandosi, in automatico, per quanto riguarda le ODV e le APS. Mentre per le ONLUS, l’iscrizione non è diretta, e andrà opportunamente effettuata nell’apposita finestra temporale ricadente tra il primo gennaio e il 31 marzo del periodo d’imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea di cui all’art. 101, decimo comma, del Codice del Terzo Settore; l’iscrizione antecedente, comunque possibile, comporta la perdita della qualifica di Onlus e delle conseguenti agevolazioni fiscali di cui al d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 (si vedano M.N. Iannaccone, Gli adeguamenti statutari delle Onlus, in G. Abbate – D. Boggiali – M.N. Iannaccone – N. Riccardelli, Gli adeguamenti statutari e il diritto transitorio del Terzo settore, Milano, 2021, p. 78 ss.; e D. Boggiali – G. Abbate, Avvio del RUNTS: registro operativo dal 23 novembre 2021 e possibilità di richiedere le iscrizioni dal giorno successivo (decreto del Ministero del Lavoro 26 ottobre 2021), in CNN Notizie, Settore Studi, Segnalazioni Novità, del 2 novembre 2021; G. Sepio, Registro unico, iscrizione delle Onlus al test convenienza, Sole 24 ore, 21 novembre 2021, p. 13).

Gli adeguamenti di ODV, APS e ONLUS sono poi facilitati, essendosi previsto, con disposizione non proprio puntuale, che per quelle già costituite alla data di entrata in vigore del Codice del Terzo settore, e iscritte nei relativi registri, possa procedersi all’adeguamento dei relativi statuti per renderli conformi alla nuova disciplina del Terzo Settore, entro la data del 31 maggio 2022, con le modalità e le maggioranze previste per l’assemblea ordinaria invece di quelle o stabilite dallo statuto di ciascun ente oppure, in mancanza, dall’art. 21, secondo comma, c.c..

E il notaio? Come si deve comportare a fronte di questa novità?

Dopo l’operativtà del RUNTS è l’unico soggetto competente a iscrivere nel RUNTS enti con personalità giuridica. Ai sensi dell’art. 22 CTS, il notaio che abbia ricevuto l’atto costitutivo di un’associazione o di una fondazione del Terzo settore o la pubblicazione di un testamento con il quale si dispone una fondazione del Terzo settore, una volta verificata la sussistenza delle condizioni previste per la costituzione dell’ente, in particolare quelle relative alla sua natura di ente del Terzo settore quelle sul patrimonio minimo, deve depositarlo per l’iscrizione, unitamente agli allegati, entro venti giorni presso il competente ufficio del RUNTS.

Va rammentato come il patrimonio minimo sia stabilito in 15.000 euro per le associazioni e in 30.000 euro per le fondazioni (art. 22, quarto comma, CTS). La sua sussistenza, se in denaro, deve risultare da apposita certificazione bancaria, ma potrà allo scopo utilizzarsi anche il conto corrente dedicato del notaio (art. 16, secondo comma, d.m. 15 settembre 2020 e art. 1 comma 63, lett. b), della l. 27 dicembre 2013, n. 147). Ove i beni apportati siano in natura, il relativo valore, sempre in misura non inferiore ai suddetti importi, andrà attestato da apposita relazione giurata di stima di un revisore legale o di una società di revisione iscritti nell’apposito registro.

Sono diverse le questioni sorte sul tema, ma qui vale la pena di ricordarne, a chiusura di questa breve panoramica, una relativa alla richiesta di iscrizione di enti adeguati antecedentemente alla data di operatività del RUNTS, e dunque prima del 24 novembre 2021.

Ci si è chiesti infatti se il Notaio debba accertare o meno l’effettività del patrimonio minimo anche per gli enti già operanti come persone giuridiche, in misura analoga a quelli di nuova costituzione. Sicchè si sta diffondendo l’idea che anche nei loro riguardi vada comunque richiesta, opportunamente, la relazione giurata di attestazione dell’effettiva consistenza patrimoniale (D. Boggiali – G. Abbate, Avvio del RUNTS: registro operativo dal 23 novembre 2021 e possibilità di richiedere le iscrizioni dal giorno successivo, cit.; D. Boggiali, L’iscrizione di enti adeguati al CTS prima dell’avvio del RUNTS. Prime indicazioni, in CNN Notizie, Settore Studi, Segnalazioni Novità, del 22 novembre 2021, nota 6). Sebbene appunto di mera opportunità si può ritenere si tratti, e non sicuramente di obbligo, non solo a fronte del silenzio del legislatore sul punto, ma stante anche la già accertata idoneità, al momento della relativa e precedente attribuzione, quali persone giuridiche degli enti in questione.

Marco Avagliano, Notaio in Cornaredo e Maria Nives Iannaccone, Notaio in Seregno.

Apostille elettronica – a cura Notaio Ugo Bechini

Il tema cela un fatto personale. Nel maggio 2005 si tenne negli USA il primo Forum sull’Apostille elettronica e fui aggregato ad una prestigiosissima delegazione del notariato italiano, con Giancarlo Laurini (allora presidente UINL), Mario Miccoli e Michele Nastri. Emerse allora una frattura destinata ad allargarsi negli anni seguenti, con ripetuti confronti tra Christophe Bernasconi, Segretario Generale dell’HCCH (la Conferenza dell’Aja di Diritto Internazionale Privato, responsabile del sistema Apostille) e chi scrive.

In Italia, Paese in questo campo decisamente all’avanguardia a livello mondiale, le riflessioni in tema erano già mature, e si puntava ad un sistema basato sulla firma digitale. Il documento da apostillare, si progettava, sarebbe stato scansionato (se non già digitale) e dotato di Apostille; il tutto sarebbe stato firmato digitalmente dall’Autorità emittente l’Apostille. La verifica della firma digitale su un sito centralizzato ad hoc creato presso HCCH avrebbe garantito la provenienza del plico da un’Autorità abilitata. Affare di pochi secondi e ad elevatissima sicurezza, come accade oggi per la verifica su bartolus.notariato.it di una copia autentica elettronica emessa da un collega francese. Il documento avrebbe per di più viaggiato via posta elettronica dal Paese di emissione a quello di utilizzo, con ovvie economie di tempo e denaro.

Non si approdò a nulla. Di fronte alla difficoltà di dotare di firma digitale amministrazioni pubbliche di ogni parte del mondo e che (era il primo decennio del secolo) nella quasi totalità non la conoscevano, HCCH raccomandò che ogni Paese scegliesse la tecnologia localmente ritenuta più adatta; sarebbe stata sempre più affidabile, argomentava Bernasconi, di un’Apostille cartacea che con un minimo di abilità manuale si può facilmente staccare da un documento ed appiccicare su un altro. Il meglio è nemico del bene fu insomma la filosofia vincente (non priva peraltro di un suo fondamento, ci mancherebbe).

Alcune Autorità oggi emettono comunque Apostille con firma digitale. Il problema in sede di verifica è che, mancando un sistema centralizzato, l’Ente Certificatore non è necessariamente noto al verificante, per il quale è quindi difficile maturare certezze. Un parallelo nostrano. Circolano normalmente documenti emessi da Amministrazioni Comunali con firma digitale basata su certificati del noto provider italiano Aruba. In casi del genere, ricordiamo, è Aruba, ed Aruba soltanto, a garantire che il documento X viene dal Comune Y. Per un destinatario UE non è un problema, visto che Aruba è ovviamente nella lista dei Trusted Providers dell’Unione (https://webgate.ec.europa.eu/tl-browser/#/tl/IT), ma un destinatario extra UE alle prese con un’ipotetica Apostille elettronica italiana basata su un certificato Aruba non resterebbe forse altrettanto convinto. Potrebbe anzi essere indotto a chiedersi seriamente che c’entri il minuscolo Stato caraibico.

Altre Autorità hanno invece adottato altre forme, le più svariate, di Apostille semplificata, o comunque diversa dall’archetipo del 1961; talora (ma non sempre) vi è la semplice riproduzione di una firma. Su appositi siti è però accessibile il registro delle Apostille così emesse; l’elenco è attualmente qui: https://assets.hcch.net/docs/b697a1f1-13be-47a0-ab7e-96fcb750ed29.pdf. Digitando i dati dell’Apostille otteniamo online la conferma della genuinità dell’Apostille e, secondo i casi, elementi addizionali, come data del documento e nome del notaio. Talvolta l’Autorità pone addirittura a disposizione sul sito una scansione integrale del documento come presentato all’Apostille, il che aggiunge sicurezza.

E veniamo al punto: che deve fare il notaio italiano? Sotto il profilo formale, essendo ormai diritto internazionale vivente quella che chiamerei Dottrina Bernasconi, nulla dovrà temere in sede disciplinare il notaio che utilizzi un documento apostillato secondo la procedura in uso nel paese di provenienza (accertata tramite HCCH), per quanto distante possa apparire dalle modalità che più ci sono familiari: locus regit actum. Ovvia precauzione conservare traccia delle ispezioni effettuate.

Sul piano sostanziale, se siamo perplessi sulla genuinità di un documento, non ci resta che promuovere una verifica sul posto. Se il Paese di provenienza aderisce all’UINL, i notariati locali si rendono generalmente disponibili (via CNN) a confortare il collega italiano, qualora vi siano motivate ragioni di dubbio. Negli altri casi possiamo contattare l’Autorità emittente per ragguagli: molti dettagli, compresi quasi sempre i numeri di telefono, si trovano alla pagina https://www.hcch.net/en/instruments/conventions/authorities1/?cid=41. L’Autorità è tenuta a rispondere, ai sensi dell’Articolo 7 della Convenzione dell’Aja del 1961.

Ugo Bechini, Notaio in Genova

 

Il beneficiario di amministrazione di sostegno può donare? – a cura Notaio Elena Barbi

La Corte Costituzionale con sentenza n. 114 del 10 maggio 2019, nel presupposto che l’art. 774 c.c. primo comma, non si applica direttamente all’amministrato, ha affermato che “il beneficiario di amministrazione di sostegno conserva la sua capacità di donare, salvo che il giudice tutelare, anche d’ufficio, ritenga di limitarla – nel provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno o in occasione di una sua successiva revisione – tramite l’estensione, con esplicita clausola ai sensi dell’art. 411, quarto comma, primo periodo, cod. civ., del divieto previsto per l’interdetto e l’inabilitato dall’art. 774, primo comma, primo periodo cod.civ.”.

Da quanto sopra emerge che la particolarità dell’istituto dell’amministrazione di sostegno dovrebbe indurre i Giudici Tutelari a predisporre decreti di apertura della procedura ritagliati sulle esigenze del singolo beneficiario ed in considerazione dell’effettiva capacità dello stesso. Viene quindi evidenziata la rilevanza del decreto di nomina, intorno al quale ruota poi l’intera procedura.

L’istituto nasce con l’intento di determinare e disciplinare uno status di incapacità delle persone diverso dall’interdizione e dall’inabilitazione, ma nella pratica lo vediamo utilizzato senza distinzione e nella stragrande maggioranza dei casi con decreti di apertura della procedura standardizzati.

Cosa deve quindi fare il notaio in presenza di un beneficiario che intende porre in essere una donazione, in presenza di un provvedimento di apertura della procedura che nulla dice in proposito o che fa generico rinvio agli art. 374 e 375 del cod.civ.?

Stando alla suddetta sentenza della Corte Costituzionale, che richiama anche quanto affermato in precedenza dalla Corte di Cassazione, l’amministrato può effettuare una donazione in quanto il provvedimento di nomina dell’amministratore “non determina uno status di incapacità della persona cui debbano riconnettersi automaticamente i divieti e le incapacità che il codice fa discendere come conseguenza della condizione di interdetto e di inabilitato.”

Si può quindi ritenere che, in assenza di decreto che comporti limitazioni in ordine ad atti dispositivi, il beneficiario conservi una legittimazione esclusiva per gli atti di donazione.

Nel caso di provvedimento con generico riferimento agli art. 374 e 375 del cod.civ. ci potremmo trovare nell’ipotesi di richiedere l’autorizzazione per porre in essere un atto di vendita, mentre la donazione potrebbe essere effettuata liberamente.

Sarà pertanto necessario che il notaio valuti l’effettiva capacità cognitiva del beneficiario di amministrazione di sostegno che intende porre in essere una donazione. La limitazione al compimento degli atti di straordinaria amministrazione potrebbe essere indice di una limitazione cognitiva del beneficiario. Da qui la necessità di richiedere un’integrazione o una precisazione delle decisioni assunte in sede di apertura della procedura, mentre una richiesta specifica di autorizzazione al compimento del singolo atto di donazione non sarebbe necessario, stante quanto sopra detto.

E’ preferibile che il Giudice Tutelare valuti la capacità di donare dell’amministrato nel suo complesso, ammettendo che lo stesso possa in astratto compiere donazioni, piuttosto che fargli effettuare una singola valutazione, obbligandolo a sondare le reali motivazioni che inducono l’amministrato a voler compiere l’atto, motivazioni che sono strettamente personali e non facilmente percepibili da un soggetto terzo.

Barbi Elena, Notaio in Sesto San Giovanni

I cicli tecnico, economico e finanziario dello studio notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Dal punto di vista meramente economico, l’attività di uno studio notarile consiste essenzialmente nella predisposizione di atti e nella esecuzione di adempimenti, che vengono poi pagati dal cliente, il quale è generalmente una delle parti degli atti stipulati.

Le attività principali appena descritte si ripetono senza soluzione di continuità per ogni atto rogato dal Notaio. La gestione è quindi caratterizzata da una continua successione di processi o cicli produttivi che si intrecciano e si avvicendano.

Tali cicli possono avere una durata più o meno ampia e possono essere considerati sotto almeno tre aspetti diversi, quello tecnico, quello economico e quello monetario.

Il ciclo tecnico dell’atto notarile va dal momento in cui il cliente si appalesa per il primo colloquio o telefonata e finisce quando il fascicolo dell’atto stipulato, esaurite tutte le formalità, va finalmente in archivio. In altre parole il ciclo tecnico riguarda i processi di produzione diretta e indiretta. La durata media del processo produttivo è misurata dal ciclo tecnico tipico dello studio. Il ciclo tecnico inizia con la combinazione dei fattori produttivi necessari per porre in essere la trasformazione economica e termina con l’ottenimento della prestazione destinata al cliente, che non potrebbe certo dirsi compiuta al momento della stipula in quanto mancherebbero ad esempio le formalità, la corretta messa a raccolta dell’originale, e l’archiviazione di eventuali copie e del fascicolo.

Gli studi notarili oggi compiono ogni sforzo organizzativo per accorciare il ciclo tecnico in modo da soddisfare il più rapidamente possibile i clienti e in modo da minimizzare, per quanto ovviamente la funzione pubblica e gli elevati standard qualitativi lo consentano, il tempo profuso su ciascuna pratica. Detta in termini economici, si minimizzano cioè contemporaneamente il tempo di attraversamento del processo, ad esempio di una settimana, e il tempo dedicato alla produzione, ad esempio otto ore complessive.

Il ciclo economico invece inizia con l’acquisto dei fattori produttivi necessari alla attività (acquisto di sistemi informatici, energia, forza lavoro, ecc.) e riguarda appunto il sostenimento di costi per acquisire tali fattori e termina con il conseguimento dei ricavi derivanti dalla vendita dei beni o delle prestazione di servizi. Il ciclo economico può essere inteso come l’intervallo di tempo che intercorre tra il sostenimento dei costi e il conseguimento dei ricavi.

I costi dello studio cominciano a maturare il giorno in cui il cliente mette piede per la prima volta nello studio e i dipendenti si prendono cura di lui. I ricavi invece maturano di solito soltanto dopo la stipula, generando in questo modo una momentanea perdita. A rigore, in realtà, posto che le prestazioni dello studio continuano anche dopo la stipula i relativi ricavi maturerebbero soltanto alla conclusione del ciclo tecnico, ma convenzionalmente si emette fattura all’atto o subito dopo la stipula.

Volendo anticipare i ricavi, va ricordato che solo raramente gli studi notarili chiedono acconti e spesso solo con riguardo alle imposte e alle altre spese sostenute in nome e per conto dei clienti, che non costituiscono per lo studio notarile dei veri e propri costi ma delle mere partite di giro di credito e debito.

Come abbiamo già avuto modo di vedere in un precedente intervento, è essenziale che i costi dello studio non superino i ricavi ed anzi che rimanga una marginalità, un utile atto a remunerare il lavoro del Notaio assicurandone l’indipendenza, ma anche a coprire i notevoli rischi posti dall’attività professionale e i continui investimenti tecnologici e di struttura necessari per assolvere alla pubblica funzione e per rimanere competitivi.

Da ultimo, si distingue e si studia anche il Ciclo monetario, che riguarda i soli movimenti in entrata e in uscita dei fondi disponibili in cassa e nei conti correnti bancari e postali: inizia nel momento in cui pago il canone di locazione, il canone software, gli stipendi dei dipendenti, e gli altri fattori necessari all’attività e finisce nel momento in cui incasso i proventi della stipula. A volte i fattori produttivi devono essere pagati anticipatamente. Il ciclo monetario o ciclo di cassa o ciclo di ritorno del capitale consente di conoscere l’intervallo di tempo che intercorre tra le uscite di denaro per il pagamento degli acquisti e le entrate di denaro derivanti dall’incasso delle vendite (cash flow). Anche in questo caso lo studio notarile ha tutto l’interesse a minimizzare la durata del ciclo monetario in quanto l’esposizione finanziaria momentanea necessaria a coprire i costi e le anticipazioni fino al pagamento della parcella deve essere coperta con capitali del Notaio o messi a disposizione dagli istituti bancari, con conseguente addebito degli interessi e delle spese.

Qualche studioso affianca alla tripartizione dei cicli dello studio che abbiamo appena esaminato anche un quarto ciclo denominato finanziario, che studia il momento in cui sorgono le obbligazioni derivanti dalle transazioni economiche, anche se non hanno ancora avuto manifestazione monetaria. Questo ciclo si pone concettualmente tra quello economico e quello monetario. Dunque l’emissione della parcella genera un credito a vantaggio dello studio mentre l’esistenza di un contratto di locazione e quindi di un costo di locazione genera un debito dello studio conduttore nei confronti del locatore per la mensilità maturata appar contratto. Eventuali soldi messi a disposizione della banca costituiscono un’entrata monetaria ma un debito finanziario nei confronti dell’istituto di credito.  

Come si è potuto evincere dalla breve trattazione, una accurata e precisa analisi dello stato di salute economica dello studio notarile in funzionamento passa obbligatoriamente attraverso l’analisi dei vari cicli e delle relazioni che intercorrono tra di questi.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

L’utilizzo del kanban per la pianificazione del lavoro dello studio notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Generalmente, i clienti degli studi notarili desiderano stipulare i loro atti il prima possibile.  In alcuni casi una o più parti hanno addirittura delle scadenze cogenti che non possono essere superate, come la fine dell’anno o termini mobili legati a precedenti impegni o accordi.

Gli assistenti notarili devono dividersi tra front e back office spesso senza soluzione di continuità e quindi non di rado faticano a trovare la concentrazione per elaborare le bozze. Spesso sono chiamati a rincorrere la clientela alla ricerca di documenti indispensabili per la stipula o a spiegare e convincere.

Il Notaio è per definizione la risorsa più rara dello studio notarile e quindi il suo tempo prezioso dovrebbe essere impiegato nel modo più proficuo possibile tenendo conto del suo bioritmo e della necessità di fare spazio e alternare correttamente le stipule, i colloqui, i controlli sulle minute degli atti, l’aggiornamento, le pubbliche relazioni e il management degli assistenti notarili.

Gli adempimenti successivi alla stipula devono invece essere realizzati molto velocemente, quasi immediatamente, per realizzare compiutamente la volontà delle parti ed evitare al Notaio di incorrere in responsabilità professionale.

Gli atti da elaborare possono comportare diversi gradi di difficoltà, non sempre prevedibili a priori. L’onerosità sopravvenuta può derivare da difficoltà o difformità derivanti dall’ispezione ipocatastale, o ancora da proposte di pattuizioni illegittime, o dal comportamento poco collaborativo delle parti.

Tuttavia con un po’ di pratica si può generalmente stanziare con buona approssimazione un adeguato budget medio di tempo per la predisposizione di ciascuna categoria di atti più ricorrenti, per la loro stipula e per l’esecuzione delle rispettive formalità.

Nella complessità che abbiamo appena ricordato, si rende quindi necessario pianificare il lavoro in modo da coordinare il lavoro del Notaio con quello degli assistenti notarili e spesso anche con quello di professionisti esterni che coadiuvano le parti o il Notaio.

Si tratta di una pianificazione che deve essere costantemente aggiornata in quanto avviene in un ambiente fortemente dinamico ed imprevedibile. Molti studi rinunciano tout court alla pianificazione perché la applicano in modo statico e non comprendono che il salto logico fondamentale è rappresentato dalla velocità di aggiornamento dei piani.

Un semplice strumento che può rendersi utile per la pianificazione del lavoro nello studio notarile è rappresentato dal kanban, che offre una rappresentazione grafica del flusso di lavoro.

Kanban è un termine giapponese che letteralmente significa “insegna”, indica un elemento del sistema Just in time di reintegrazione delle scorte a mano a mano che vengono consumate, nel sistema Toyota. I sistemi Lean di gestione aziendale sono da tempo mutuati dalle realtà aziendali ed applicate anche alle pubbliche amministrazioni e agli studi professionali.

Il kanban, indica lo stato di avanzamento degli incarichi assegnati allo studio dai clienti e ne assicura un flusso ordinato e veloce all’interno dello studio notarile, eliminando gli sprechi che possono derivare, ad esempio, dal riprendere in mano decine di volte lo stesso fascicolo o dall’interrompere continuamente gli addetti, o dal servire il cliente che protesta maggiormente.

Alcuni atti saranno infatti allo stadio di colloquio, mentre per altri sarà stato già compiutamente acquisito l’incarico. Per qualche altro atto saranno magari in corso le visure o lo studio di dottrina e giurisprudenza propedeutico alla stesura, mentre altri saranno in fase di collazione o le minute in visione al Notaio. Altri atti ancora saranno pronti per la stipula oppure già stipulati e pronti per la copia e gli adempimenti e così via fino alla fatturazione e all’archiviazione.

Il kanban si può realizzare in molti modi. Quello tradizionale, che ho visto realizzato in uno studio della provincia di Bolzano, si ottiene spostando le intere cartelle degli atti all’interno di una apposita scaffalatura. Oggi il kanban si può realizzare anche mediante una rappresentazione con dei semplici post-it su una lavagna divisa in colonne, oppure ancora si può rappresentare a livello elettronico utilizzando sistemi di produttività come Trello e similari. Da ultimo il kanban può essere realizzato con strumenti di business intelligence che estraggono informazioni dal gestionale dello studio e le mescolano con input manuale degli addetti ad esempio in un foglio excel.

Quando si sarà conclusa una fase di lavorazione di un atto l’addetto di riferimento aggiornerà il kanban spostando la pratica, il post-it o aggiornando la rappresentazione elettronica.

Il kanban andrà utilmente posizionato in un punto dello studio visibile a tutti i collaboratori e di regola non visibile ai clienti. Quello elettronico naturalmente può essere tenuto sempre attivo in una finestra dei pc degli assistenti dello studio.

In tutti i casi, la posizione delle cartelle o meglio ancora la loro rappresentazione grafica consente di vedere a colpo d’occhio se c’è qualche parte dello studio più scarica di altre o più ingolfata di cose da fare e si possono così ristabilire, d’intesa con il Notaio, le priorità o riorientare le risorse per far fronte ai picchi di lavoro.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network