Con riferimento alle possibilità di utilizzare determinati nuovi strumenti per finanziare una società si sta aprendo sempre più il campo di prospettive di applicazione di istituti giuridici più duttili rispetto a quanto accadeva in passato attraverso la concessione di garanzie reali quali ipoteca o pegno possessorio. L’esigenza della rapida finanziabilità con contemporanea sicurezza del creditore è ciò di cui si è preso cura il legislatore nell’ultimo periodo introducendo la possibilità di garantire il creditore attraverso il patto Marciano previsto per le banche art. 48 bis del TUB, nonché gli strumenti di finanziamento sia partecipativi che non di cui agli articoli 2346, comma 6, 2349, comma 2 e 2351, comma 5, del Codice Civile nonché attraverso il pegno non possessorio applicabile ai beni mobili oggetto dell’attività di impresa di cui all’art. 1 del D.L. num. 59 del 2016 ed anche attraverso ls possibilità di emissione di azioni riscattabili. Oltre a questa recente evoluzione, vale la pena considerare la possibilità per la società di avvalersi del ricorso al credito avvalendosi di un socio o di un privato e quindi senza necessariamente ricorrere ad enti preposti alla attività di finanziamento, attraverso l’utilizzo dello strumento “opzione put” a cui si contrappone l’ “opzione call”.

L’opzione put consiste in un contratto con il quale una parte che ha acquistato una partecipazione sociale riceve un diritto di opzione, che gli attribuisce il diritto di vendere agli altri soci la propria partecipazione ad un prezzo prestabilito non correndo quindi rischi nel suo investimento. Gli altri soci, concedenti l’opzione sono quindi in uno stato di soggezione (pati) consistente nel sopportare di dover acquistare la detta quota quando l’opzionario, che beneficia di un vero e proprio diritto potestativo, lo decida ed al prezzo predeterminato. L’assenza del rischio di non riuscire a recuperare il prezzo pagato in conseguenza dell’andamento sociale deteriore rispetto al momento dell’acquisto, invoglia certamente l’investitore con la conseguenza che il denaro incassato dagli acquirenti soci possa poi essere utilizzato per scopi sociali.

Di converso, sussiste anche l’ipotesi del diritto di opzione che attribuisce al titolare il diritto di acquistare dagli altri soci la partecipazione ad un prezzo stabilito; in tal caso gli altri soci, concedenti l’opzione, sono irrevocabilmente vincolati a vendere la propria partecipazione (opzione call). In questo caso il Finanziamento alla società si può realizzare attraverso un meccanismo complesso: la società delibera un aumento di capitale a titolo oneroso con contestuale esclusione del diritto di opzione da offrirsi a un terzo precedentemente individuato; il terzo sottoscrive la tranche di aumento di capitale con contestuale versamento della relativa quota di capitale; contestualmente il terzo concede un’opzione call di acquisto alla società, se spa o srl PMI (ove sussistano i presupposti di legge), avente ad oggetto la stessa quota di partecipazione testé sottoscritta.

E’ sorto in passato recente il dubbio che queste clausole fossero però valide.

Si può procedere, per valutare la possibilità di considerarle invece valide, ad analizzare il profilo causale, sia astratto che concreto, del contratto di opzione; la sua finalità ordinaria, per l’opzione put, consiste nel dismettere la propria partecipazione mentre la finalità ordinaria per l’opzione call consiste nel permettere al socio destinatario dell’opzione di incrementare la propria partecipazione acquistando la quota, rappresentandosi così, quale causa astratta, la mera finalità di mutamento della titolarità soggettiva. Ora l’ulteriore finalità (causa concreta) che le clausole suddette possono raggiungere devono rispondere a due requisiti, perché non siano illecite: 1) perseguire interessi meritevoli di tutela; 2) non contrarietà con norme imperative, ordine pubblico e buon costume. Senza addentrarci in lunghe elucubrazioni giuridiche si può dire che le clausole in oggetto non contrastano con detti principi e realizzano l’interesse societario a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società come infra meglio riportato come da pronuncia della Suprema Corte di Cassazione.

Infatti si era a lungo discusso in dottrina sulla possibile invalidità della opzione put sotto il profilo della possibile dismissione della titolarità della partecipazione sociale accompagnato dalla sicurezza di realizzare un prezzo predeterminato che non sia inferiore a quanto dallo stesso opzionario versato per l’acquisto, magari maggiorato di spese e di ulteriori somme, a prescindere dal reale andamento della società che potrebbe avere condotto, in quel dato momento, ad un patrimonio anche pari allo zero. In sostanza si metterebbe il socio acquisitore al riparo dal subire le perdite della società, in contrasto con quanto previsto dall’articolo 2265 cod. civ. che vieta il patto leonino.

La Suprema Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in merito, propese per la liceità  della opzione put (o call) considerandola contra legem solo in presenza di due presupposti specifici: e cioè quando, per effetto di tale opzione, l’esclusione del socio dalla partecipazione alle perdite sia “assoluta e costante”. Assoluta, nel senso che non deve sussistere alcuna possibilità che il socio sopporti le perdite; dunque, non sarebbe sufficiente una semplice riduzione della percentuale di sopportazione delle perdite: in tale, ipotesi il socio resterebbe comunque soggetto al rischio di impresa (ancorché ridotto) e, pertanto, conserverebbe l’interesse a che la gestione sia condotta in modo efficiente.

Costante, nel senso che l’esclusione deve durare per l’intero periodo in cui il socio partecipi alla società.

Nel caso in cui invece sussistano entrambi i presupposti suddetti (assolutezza e costanza della insussistenza del rischio di sopportare le perdite), il detto patto sarebbe affetto da nullità. Da ultimo però avveduta dottrina ha affermato che tuttavia questo patto sarebbe comunque valido poichè vincola solo i soci e non anche la stessa società, la quale sarebbe obbligata, nel detto ultimo caso, a ripartire utili e perdite in conformità al patto e quindi a spostare il peso delle stesse perdite, soltanto su alcuni soci, situazione che invece esula dall’essere cogente per la società. In altri termini, nel caso del patto di opzione a prezzo predeterminato, invece, la “negoziazione del rischio societario”, ossia la sua traslazione in capo agli altri soci, riguarda solo i soggetti che concludono il contratto; quello stesso patto, invece, resta indifferente per la società, la quale dovrà continuare a suddividere gli utili e le perdite tra le sue partecipazioni sociali. Per cui il detto patto put, allora, non interferisce con il divieto del patto leonino.

La Cassazione si è poi pronunciata ulteriormente nel 2018, sul tema de quo, con due ordinanze “gemelle” le quali ribadiscono la legittimità dell’opzione put a prezzo predeterminato (provvedimenti del 4/7/2018, n. 17498 e n. 17500). Il ragionamento della Corte è il seguente: pur in presenza di una fattispecie potenzialmente contraria ad una norma di legge, va analizzata di volta in volta la causa concreta del negozio, per valutare se l’operazione sia lecita e meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c.

Ad esempio deve considerarsi lecita l’operazione che persegue l’obiettivo del finanziamento all’impresa. E’ la vicenda del soggetto investitore che diventa socio e contribuisce alla ricapitalizzazione della società. In tal caso gli altri soci concedono a quel soggetto un’opzione put,

– per reperire la liquidità necessaria alla stessa Società,

– a condizioni più vantaggiose di quelle offerte dalle banche

– e senza il rilascio di gravose garanzie.

Il negozio di opzione diventa una garanzia atipica, alternativa, più duttile rispetto alla garanzie reali che normalmente assistono le operazioni di finanziamento.

Si parla, al riguardo di “finanziamenti partecipativi”, che costituiscono una “tecnica atipica” di apporto all’impresa, alternativo al tradizionale canale bancario.

E la finalità del finanziamento alle imprese non è in contrasto con l’art. 1322 c.c. e si è visto nel tempo che il legislatore anzi incentiva detto finanziamento (si pensi ai PIR).

L’orientamento della Cassazione si consolida nel 2020 con la sentenza n. 22960, mettendo forse la parola “fine” alla questione: “è lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci, con il quale l’uno, in occasione di un finanziamento partecipativo, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (cd. “put”) entro un dato termine ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale ad un prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborsi dei versamenti operati nelle more in favore della Società”.

Ulteriore finalità che le clausole di opzione put e call possono perseguire (analogamente alla clausola russian roulette) sono quelle di evitare una situazione di stallo societario nell’assemblea attribuendo ad uno dei due soci sia un’opzione put che opzione call.  Qualora si attribuiscano ad un unico socio in modo sequenziale le due opzioni, si delinea come risultato finale la fuoriuscita dell’altro socio dalla compagine sociale qualora il socio che è beneficiario  della opzione put è al contempo beneficiario dell’opzione call: al verificarsi dell’evento di dead lock, l’opzionario può esercitare l’opzione put e dopo un tempo predeterminato, se non esercitata, scatta per lui la possibilità di esercitare l’opzione call, temporalmente successiva all’opzione put.

Tutto quanto sopra illustrato in modo succinto ha lo scopo di mettere in luce le possibili valenze e i risultati che si possono raggiungere attraverso l’utilizzo di queste opzioni, put e call, al di là del loro scopo tipico, e cioè quello di realizzare il mero trasferimento della partecipazione sociale, il tutto al fine di agevolare chi è chiamato a “pensare” quali strumenti giuridici utilizzare per poter perseguire l’interesse dei soci e della società.

Roberto Santarpia,  Notaio in Orzinuovi.

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