La complessità organizzativa negli studi notarili multi-socio: Le sfide per i Notai e gli assistenti notarili – di Dott. Michele D’Agnolo

Negli ultimi anni, il settore notarile ha visto un’evoluzione significativa, non solo per l’aumento delle normative e della concorrenza, ma anche per la trasformazione organizzativa degli studi notarili. La presenza di più notai soci all’interno di uno stesso studio è una tendenza crescente, che porta con sé numerosi vantaggi, ma anche un aumento esponenziale della complessità organizzativa. In questo contesto, il ruolo degli assistenti notarili diventa cruciale, ma anche particolarmente sfidante.

  1. La complessità gestionale negli studi con più notai soci

Gli studi notarili che operano con più soci devono affrontare una serie di complessità organizzative che possono rendere la gestione del lavoro molto più articolata rispetto a studi con un solo notaio. Queste complessità emergono su più livelli:

  • Diversità di approcci operativi

Ogni notaio ha un proprio stile lavorativo, un metodo preferito per gestire i clienti e le pratiche, e differenti priorità. In uno studio multi-socio, gli assistenti notarili devono essere in grado di adattarsi alle esigenze specifiche di ciascun notaio. Questo richiede una flessibilità operativa non indifferente, poiché devono imparare a lavorare in maniera efficace con personalità e stili di lavoro diversi, spesso anche su base quotidiana.

  • Coordinamento tra i soci

La presenza di più notai implica anche la necessità di un maggiore coordinamento, sia tra i soci stessi sia tra i rispettivi team. Questo può comportare la gestione di sovrapposizioni di impegni, differenze nei processi decisionali, o addirittura conflitti di priorità. Gli assistenti notarili, spesso posti al centro del flusso organizzativo, devono essere abili nel bilanciare queste dinamiche e garantire una comunicazione efficace tra le parti.

  • Aumento del volume e della varietà delle pratiche

Con più notai, aumenta inevitabilmente il volume delle pratiche gestite dallo studio, così come la varietà degli atti notarili. Questo richiede una maggiore capacità organizzativa e una conoscenza approfondita delle diverse tipologie di pratiche, che vanno da quelle immobiliari e societarie a quelle di diritto di famiglia o successione. Gli assistenti notarili devono essere preparati a gestire una vasta gamma di attività, garantendo precisione e tempestività nella gestione di ciascuna pratica.

  1. Le sfide per gli assistenti notarili negli studi multi-socio

La figura dell’assistente notarile, già essenziale in qualsiasi studio notarile, diventa ancor più strategica negli studi con più notai soci. Questi professionisti si trovano ad affrontare diverse sfide:

  • Gestione del carico di lavoro

Con l’aumento del volume di lavoro e delle tipologie di atti da gestire, la capacità di organizzare le priorità diventa una competenza cruciale per gli assistenti notarili. Devono saper lavorare con efficienza sotto pressione e mantenere la qualità del servizio in situazioni di sovraccarico. La gestione di più agende notarili contemporaneamente richiede anche l’uso di strumenti digitali avanzati per la pianificazione, oltre alla necessità di aggiornamenti costanti su scadenze legali e normative.

  • Competenze trasversali e aggiornamento costante

Negli studi multi-socio, agli assistenti notarili si richiede di essere “multitasking” in un contesto dove la complessità delle pratiche può variare significativamente. Questo significa non solo una profonda conoscenza giuridica di base, ma anche competenze trasversali, come l’uso di software gestionali specifici, la capacità di relazionarsi con i clienti e la capacità di gestire pratiche delicate. Gli aggiornamenti normativi sono costanti, e gli assistenti devono rimanere sempre allineati alle nuove regolamentazioni, in particolare in ambiti complessi come la digitalizzazione degli atti notarili e l’evoluzione delle procedure di firma digitale.

  • Problem solving e gestione delle urgenze

Lavorare con più notai significa essere pronti a gestire situazioni impreviste e urgenze provenienti da diverse direzioni. La capacità di risolvere problemi e rispondere prontamente alle necessità dei notai e dei clienti, a volte simultaneamente, è una delle competenze più apprezzate. Inoltre, negli studi più grandi, gli assistenti devono spesso fungere da intermediari tra clienti e notai, rappresentando la “voce” dello studio nelle fasi preliminari di gestione della pratica.

  • Relazioni con i clienti

In uno studio con più notai soci, l’assistente notarile deve anche gestire le relazioni con una clientela più ampia e diversificata. A seconda del notaio con cui lavora, potrebbe trovarsi a trattare con clienti privati, imprese o istituzioni, ciascuno con esigenze e aspettative differenti. La capacità di adattarsi a vari contesti e stili di comunicazione diventa fondamentale, così come la gestione delle aspettative dei clienti su tempi e modalità di erogazione del servizio.

  • Doppia leadership e ambiguità dei ruoli

Negli studi con più soci, la leadership non è sempre centralizzata. Gli assistenti notarili possono essere chiamati a rispondere a due o più superiori, ciascuno con priorità differenti, creando una potenziale ambiguità nelle responsabilità e nelle direttive. L’ambiguità può creare dinamiche conflittuali anche tra i soci stessi. La chiarezza organizzativa e la comunicazione interna diventano quindi vitali per evitare confusioni e inefficienze.

  1. Strumenti per affrontare la complessità organizzativa

Per affrontare al meglio queste sfide, gli assistenti notarili e lo studio nel suo complesso possono adottare alcune strategie organizzative:

  • Digitalizzazione e strumenti gestionali avanzati

L’utilizzo di software gestionali per la gestione delle pratiche notarili, dei clienti e degli appuntamenti è ormai imprescindibile. Questi strumenti aiutano a semplificare la gestione del flusso di lavoro, garantendo che ogni notaio e assistente disponga delle informazioni corrette in tempo reale, riducendo il rischio di errori o sovrapposizioni.

  • Formazione continua

La formazione continua per gli assistenti notarili non dovrebbe limitarsi alle sole competenze giuridiche. Investire in formazione su competenze gestionali, organizzative e di problem solving può fare una grande differenza nella capacità di affrontare la complessità di uno studio multi-socio.

  • Comunicazione interna strutturata

Negli studi con più notai soci, la comunicazione interna deve essere strutturata e sistematica. Meeting regolari tra soci, e tra questi e gli assistenti notarili e il personale amministrativo possono facilitare il coordinamento e garantire che tutti siano allineati su scadenze, priorità e responsabilità. Allo stesso modo strumenti di condivisione delle informazioni come CRM, chat interne ed altri possono contribuire ad una migliore circolazione delle informazioni. 

Conclusioni

Gli studi notarili con più notai soci presentano una complessità organizzativa notevole, e gli assistenti notarili svolgono un ruolo essenziale nel gestire questa complessità. La capacità di adattarsi a diversi stili di lavoro, di gestire il carico di pratiche e di mantenere una relazione efficace con i clienti è cruciale per il successo di questi studi. Attraverso una formazione adeguata, l’uso di strumenti digitali avanzati e una gestione organizzativa chiara, è possibile affrontare con successo le sfide poste da questa nuova realtà professionale.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ

Il Notaio alle prese con la più delicata delle successioni: quella del Suo studio – di Dott. Michele D’Agnolo

Per un notaio, uno degli atti più difficili da affrontare nella propria carriera è forse quello della successione del proprio studio. Un passaggio generazionale che, benché naturale, comporta sfide emotive, organizzative e professionali complesse. Sia che si tratti di una scelta volontaria o di una decisione imposta da circostanze esterne, il momento di restituire il sigillo notarile può risultare più difficile del previsto. Nonostante ciò, pianificare questa fase con sufficiente anticipo è di cruciale importanza per preservare il valore creato nel tempo e garantire continuità tanto ai clienti quanto ai collaboratori.

Perché è così difficile pianificare la propria successione?

Molti notai, come altri professionisti di successo, tendono a rimandare la riflessione su questo delicato passaggio. Si tratta di una sfida per vari motivi:

  • Il legame personale con lo studio: Dopo anni, se non decenni, di lavoro dedicato alla costruzione e gestione di uno studio notarile, il notaio sviluppa un profondo legame con la propria attività. Lo studio non è solo una fonte di reddito, ma rappresenta anche il frutto del proprio impegno, una sorta di “eredità professionale”.
  • L’identificazione con la professione: Il ruolo del notaio non è solo un mestiere, ma una vocazione che definisce la propria identità professionale. La prospettiva di abbandonare il timone dello studio può essere vissuta come una rinuncia a un pezzo di sé, e ciò può alimentare la procrastinazione.
  • Il timore dell’ignoto: La transizione implica inevitabilmente un cambiamento nella quotidianità, spesso con l’incertezza riguardo al futuro: “A chi affiderò il mio studio?”, “Sarò in grado di trovare qualcuno all’altezza?”, “Che cosa farò dopo?”. Sono domande legittime che contribuiscono a rendere difficile il confronto con la successione.

Eppure, nonostante le comprensibili resistenze, preparare con largo anticipo il passaggio generazionale è una necessità strategica per assicurare continuità operativa e preservare il valore dello studio, oltre a tutelare gli interessi di clienti e collaboratori.

Pianificare per proteggere il valore creato

Uno studio notarile non è solo il luogo in cui si gestiscono atti pubblici, ma è un vero e proprio ecosistema composto da risorse umane, competenze tecniche e relazioni consolidate con la clientela. Per questo motivo, una successione mal gestita rischia di compromettere anni di lavoro e di costruzione di fiducia.

Ecco alcune ragioni per cui pianificare con cura questo passaggio è fondamentale:

  • Mantenere la fiducia dei clienti: Il rapporto di fiducia tra il notaio e i suoi clienti è spesso basato su anni di interazioni professionali. Un passaggio generazionale improvviso o mal gestito può creare incertezze e discontinuità, portando i clienti a cercare altrove i propri servizi. La fiducia, che è alla base del rapporto cliente-notaio, può essere facilmente erosa se non si prepara una successione graduale e trasparente.
  • Salvaguardare il valore economico dello studio: Uno studio ben avviato possiede un valore economico intrinseco che va oltre la singola figura del notaio. Tuttavia, se non viene pianificata una successione, tale valore rischia di andare perso. La presenza di un successore ben preparato garantisce la continuità degli affari, tutelando l’investimento fatto negli anni.
  • Garantire stabilità ai collaboratori: Gli assistenti notarili e lo staff amministrativo rappresentano il cuore operativo di uno studio notarile. Una successione ben strutturata tutela anche la loro continuità lavorativa, evitando incertezze e insicurezze sul futuro del loro impiego.

Le fasi chiave della successione: pianificare con metodo

Per garantire una transizione fluida, il notaio deve affrontare la successione come un vero e proprio progetto a lungo termine, scandito da tappe precise. Ecco alcune linee guida per pianificare questo delicato passaggio:

  1. Identificazione del successore: Uno degli elementi più critici è la scelta del successore, che può avvenire attraverso due modalità principali:
  •    Associazione con un giovane notaio: Spesso, i notai preferiscono associare al proprio studio un giovane collega, introducendolo progressivamente alla gestione dello studio. Questa scelta consente di formare il successore sul campo, trasmettendo non solo competenze tecniche, ma anche il valore del rapporto con la clientela.
  •    Aggregazioni tra notai: Un’altra opzione può essere l’aggregazione con altri notai, magari già affermati, per condividere lo studio e garantire una continuità. Questo modello riduce la pressione di un’unica figura e permette una suddivisione delle responsabilità.
  1. Trasferimento graduale delle responsabilità: Un passaggio generazionale ben riuscito prevede che il successore venga coinvolto gradualmente nelle attività dello studio, affiancando il notaio titolare nel rapporto con i clienti e nella gestione delle pratiche più complesse. Questo avvicendamento progressivo consente di instaurare fiducia sia con il personale dello studio sia con la clientela.
  1. Comunicazione trasparente con la clientela: Una delle componenti più delicate del processo di successione è la comunicazione con i clienti. Annunciare per tempo il cambio di titolarità dello studio, spiegando la logica della transizione e presentando il nuovo notaio, contribuisce a mantenere la fiducia e a evitare incertezze. La trasparenza in questo processo è fondamentale per garantire una continuità nei servizi notarili senza bruschi scossoni.
  1. Valutazione e trasmissione del know-how: Oltre alla gestione quotidiana, il notaio uscente deve trasmettere il proprio bagaglio di esperienza e competenza. Questo passaggio riguarda tanto le procedure tecnico-giuridiche quanto la gestione delle relazioni umane e organizzative. Il valore di uno studio notarile risiede anche nella capacità di saper gestire situazioni complesse e di saper mediare con i clienti più esigenti.

La responsabilità sociale del Notaio

Un aspetto spesso trascurato riguarda la responsabilità sociale del notaio nei confronti dei suoi collaboratori e della clientela. Lasciare uno studio senza aver garantito una successione adeguata può avere effetti negativi sia sulle persone che hanno collaborato per anni, sia sui clienti che rischiano di rimanere senza un riferimento. Pianificare la propria successione, invece, è un atto di responsabilità che dimostra cura e attenzione nei confronti del proprio ecosistema professionale.

Conclusione: la successione come parte integrante del successo professionale

Affrontare per tempo la questione della successione non è solo un atto di responsabilità, ma anche una strategia per preservare il valore dello studio notarile e garantire la continuità dei servizi offerti. Pianificare la propria uscita dal mondo professionale non significa abbandonare la propria identità di notaio, ma assicurarsi che il patrimonio professionale, umano e relazionale costruito nel corso degli anni venga affidato a mani sicure. In definitiva, la successione del proprio studio è forse l’atto più importante che un notaio possa compiere, sia per il proprio futuro, sia per il futuro dei suoi collaboratori e dei suoi clienti.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ

La capacità di testare del beneficiario dell’amministrazione di sostegno – a cura Notaio Vincenzo Spadola

La capacità di testare in generale e le cause di incapacità testamentaria

La capacità di disporre per testamento è l’idoneità giuridica di una persona a programmare, attraverso un testamento, l’assetto dei propri interessi, sia patrimoniali che non, per il tempo successivo alla propria morte.

L’articolo 591 del Codice Civile stabilisce che il diritto di testare è riconosciuto a chiunque non sia dichiarato legalmente incapace, individuando tre ipotesi in cui tale capacità viene meno: la minore età, l’interdizione per infermità mentale e l’incapacità di intendere e di volere.

La conseguenza per il caso di contrasto alla norma predetta è l’annullamento del testamento che può essere chiesto da chiunque vi abbia interesse; la relativa azione dev’essere esercitata entro il termine di cinque anni dall’esecuzione delle disposizioni testamentarie.

La valutazione della capacità di testare deve riferirsi al momento esatto in cui il testamento è stato redatto.

Sul piano dottrinale, alcuni autori considerano l’incapacità di testare una vera e propria incapacità giuridica; altri (tesi maggioritaria) tendono a qualificarla come una particolare specificazione della capacità di agire.

Nella legge non si rinviene una definizione di incapacità di intendere e di volere, tuttavia essa comprende qualsiasi condizione temporanea o permanente che alteri la volontà del testatore, privandolo della capacità di prendere decisioni consapevoli, anche solo per un breve lasso di tempo.

Secondo la giurisprudenza, per ottenere l’annullamento di un testamento a causa di incapacità naturale del testatore, è necessaria una prova rigorosa, che non si limiti a evidenziare un’alterazione o un’anomalia psichica ma dimostri che, al momento della redazione, il soggetto era del tutto privo della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi. Tale onere probatorio grava su chi contesta la validità del testamento. A tale proposito in Cassazione, ordinanza 17 novembre 2022, n. 33914 si legge: “L’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula la esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del ‘de cuius’, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, con il conseguente onere, a carico di chi quello stato di incapacità assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere” (conformi: Cass. 22 gennaio 2019 n. 1682, Cass. 4 febbraio 2016 n. 2239, Cass. 10 marzo 2014 n. 5527; Cass. 6 novembre 2013 n. 24881).

L’individuazione dell’incapacità testamentaria può risultare particolarmente complessa nei casi di testamento olografo, poiché spesso non è possibile stabilire con esattezza il momento in cui l’atto è stato scritto e se il testatore si trovasse in uno stato di lucida consapevolezza.

Al contrario, nel testamento pubblico, la presenza del notaio offre una maggiore garanzia sulla valutazione della capacità del testatore, poiché il notaio può avvedersi dello stato di incoscienza o inconsapevolezza del testatore. Inoltre, il testamento pubblico prevede l’indicazione dell’orario di sottoscrizione, permettendo di collocare con certezza l’atto in un preciso momento temporale.

Amministrazione di sostegno e capacità testamentaria

La legge n. 6 del 2004 ha introdotto nel Codice Civile una disciplina volta a proteggere le persone che si trovano in condizioni di fragilità, senza però privarle completamente della loro autonomia.

L’amministrazione di sostegno, regolata dagli articoli 404-413 del Codice Civile, si fonda sul principio secondo cui la capacità di agire dell’individuo deve essere limitata solo nella misura strettamente necessaria alla tutela dei suoi interessi personali e patrimoniali, in base a una valutazione caso per caso da parte del giudice.

L’art. 409 del Codice Civile stabilisce che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno mantiene la capacità di compiere gli atti per i quali non sia richiesta la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’amministratore, determinando così un’incapacità parziale e circoscritta, con la conseguenza che il beneficiario può – tra le altre facoltà – validamente disporre per testamento, salvo diversa decisione del giudice.

L’articolo 411 del Codice Civile consente al Giudice Tutelare di estendere al beneficiario dell’amministrazione di sostegno effetti, limitazioni o decadenze previsti dalla legge per le persone sottoposte a interdizione o inabilitazione. Questa estensione può essere disposta sia nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno sia in un momento successivo e può anche riguardare la capacità di donare e testare (Cassazione, ordinanza 21 maggio 2018, n. 12460, per la quale “Il giudice tutelare può provvedere d’ufficio, sia con il provvedimento di nomina dell’amministratore, sia mediante successive modifiche, la limitazione della capacità di testare o donare del beneficiario, ove le sue condizioni psico-fisiche non gli consentano di esprimere una libera e consapevole volontà”).

In assenza di un provvedimento espresso, il beneficiario dell’amministrazione di sostegno non rientra automaticamente tra i soggetti incapaci di testare. A tale proposito, Cassazione, ordinanza 28 aprile 2022, n. 13270 afferma che “Ex art. 411 c.c., comma 4, infatti, al giudice tutelare compete di delineare gli esatti contorni della sfera di comportamenti rilevanti che al beneficiario risultano preclusi, richiamandosi eventualmente alle limitazioni previste dalla legge con riguardo ai soggetti interdetti o inabilitati. E’ stato giustamente osservato in dottrina che l’estensione non implica, tramite la tecnica della relatio, il richiamo della specifica norma limitativa (ad esempio l’art. 591 c.c., comma 2, n. 2). Occorre tuttavia che, sia pure in forma implicita, la limitazione di capacità risulti specificamene stabilita con il provvedimento. In assenza di qualsiasi riferimento nel provvedimento, ad esempio, all’incapacità di fare testamento, non sono consentite valutazioni logiche o di coerenza fondate sull’ampiezza degli atti per i quali il provvedimento abbia previsto la rappresentanza o l’assistenza dell’amministratore di sostegno. Salva specifica disposizione limitativa del giudice tutelare, la capacità di testare è conservata dal beneficiario dell’amministrazione di sostegno. Il testamento fatto dal beneficiario dell’amministrazione di sostegno non è quindi annullabile ai sensi dell’art. 591 c.c., comma 2, n. 2”.

A seconda della graduazione dei poteri conferiti all’amministratore di sostegno e, quindi, della residua capacità rimasta in capo al beneficiario, si suole distinguere tra un amministratore sostituto, quando il beneficiario si trova in una condizione di totale incapacità di intendere e volere, e un amministratore assistente, tutte le volte in cui il beneficiario mantiene la capacità di compiere atti, anche significativi, di amministrazione del proprio patrimonio e di cura della propria persona. Nel primo caso l’amministrazione di sostegno presenta caratteristiche affini alla tutela, nel secondo caso, invece, l’istituto dell’amministrazione di sostegno si avvicina alla curatela, in relazione alla quale l’ordinamento non prevede i divieti di ricevere per testamento e donazione che, al contrario, sono previsti per tutore e protutore (Cassazione, sentenza 4 marzo 2020, n. 6079).

L’art. 411 del Codice Civile prevede espressamente un’ipotesi di incapacità testamentaria e donativa in relazione all’amministratore di sostegno, il quale non può ricevere disposizioni testamentarie o donazioni dal beneficiario durante l’esercizio dell’incarico, salvo che vi sia uno dei rapporti indicati nella norma, cioè parentela entro il quarto grado o coniugio (nonché unione civile) o convivenza. Si ritiene che tale incapacità di ricevere per testamento sia riferibile solo al caso di amministratore di sostegno cosiddetto sostituto, con l’effetto che, in caso di amministrazione di sostegno assistente, questi potrebbe ereditare o ricevere un legato anche se non legato da uno dei detti rapporti con il beneficiario (Cassazione, sentenza 4 marzo 2020, n. 6079; Tribunale Trieste, sentenza 6 maggio 2017 n. 313; Tribunale Torre Annunziata, sentenza 28 marzo 2024, n. 929).

La norma da ultimo citata conferma, indirettamente, che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno mantiene la capacità di testare, salvo i casi in cui il giudice abbia disposto diversamente o venga dimostrato un concreto stato di incapacità naturale al momento della redazione dell’atto di ultima volontà.

Una questione ancora aperta riguarda la possibilità di attribuire all’amministratore di sostegno un potere di assistenza al beneficiario nella redazione del testamento. Alcuni orientamenti giurisprudenziali si sono espressi in senso favorevole, prevedendo che tale potere possa consistere o nell’affiancamento del beneficiario al momento della formazione della volontà oppure nella trascrizione delle volontà testamentarie se il beneficiario sia impossibilitato fisicamente a redigere un testamento olografo.

A tale proposito è emblematico il caso deciso da Tribunale di Varese 12 marzo 2012 ove i giudici hanno affermato che il paziente affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) può fare testamento, dettando le proprie volontà all’amministratore di sostegno avvalendosi del comunicatore oculare; in concreto è stato stabilito che l’amministratore avrebbe dovuto dapprima raccogliere una rappresentazione fotografica della schermata a video e poi trascriverne il contenuto.

Nel caso trattato dal Giudice Tutelare di Milano, decreto n.11965/2011  del 24 febbraio 2015, il magistrato, valutata la possibilità del soggetto interessato di utilizzare un comunicatore oculare, ha precisato che “il paziente affetto da SLA possa fare testamento dettando le proprie volontà all’amministratore di sostegno avvalendosi del comunicatore oculare, non potendosi ammettere che un individuo perda la facoltà di testare a causa della propria malattia, trattandosi di una discriminazione fondata sulla disabilità, precisando inoltre, che per i pazienti affetti da SLA deve ritenersi sussistente un vero e proprio diritto alla comunicazione non verbale, mediante l’utilizzo di un comunicatore a puntamento oculare”.

Va tenuto altresì presente che, secondo quanto prevede la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, gli Stati che l’hanno ratificata provvedono «ad accettare e facilitare nelle attività ufficiali il ricorso da parte delle persone con disabilità […] alle comunicazioni aumentative ed alternative e ad ogni altro mezzo, modalità e sistema accessibile di comunicazione di loro scelta» (articolo 21, comma b). Lo Stato italiano ha ratificato la convenzione con Legge 3 marzo 2009, n. 18.

I due provvedimenti giudiziali sopra citati, seppure condivisibili per l’intento mostrato di voler preservare la capacità di testare anche in capo a soggetti affetti da gravi disabilità, tuttavia hanno destato non poche perplessità sotto il profilo della tenuta giuridica di un testamento olografo siffatto, in evidente contrasto con l’art. 602 del Codice Civile per il quale il testamento olografo dev’essere scritto per intero, datato e sottoscritto di pugno dal suo autore, pena la nullità.

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 21 maggio 2018 n. 12460, già citata prima, sembra farsi carico delle perplessità e afferma che negli atti personalissimi, qualora le facoltà cognitive e volitive del testatore risultino gravemente compromesse, non si possono facilmente ipotizzare forme di mediazione o integrazione da parte di terzi e che l’introduzione di un consenso esterno risulterebbe in evidente contrasto con il carattere strettamente personale dell’atto di ultima volontà e con la tutela della capacità del beneficiario, che rappresenta la finalità stessa dell’istituto.

In senso opposto, l’ordinanza della Corte di Cassazione del 15 marzo 2021, n. 7194 ha invece aperto alla possibilità che il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno attribuisca a questi un potere di assistenza nella predisposizione delle disposizioni testamentarie. Nel caso specifico, il decreto prevedeva che la validità del testamento fosse subordinata alla presenza di un’autorizzazione scritta dell’amministratore, non tanto per l’esercizio del potere di testare in sé, quanto per la materiale stesura delle singole disposizioni di ultima volontà. Di conseguenza, il ruolo dell’amministratore si configurava come un’integrazione negoziale della volontà testamentaria del beneficiario.  Secondo la Corte, questa configurazione non solo è compatibile con l’ordinamento, ma implica la necessità di distinguere la capacità testamentaria “attenuata” del beneficiario dell’amministrazione di sostegno da quella dell’interdetto, che è soggetta a un regime differente e più restrittivo.

Sull’argomento è stata molto rigorosa la Commissione Regionale di Disciplina della Puglia con la decisione del 15 febbraio 2022 che ha stabilito che viola l’art. 603 del Codice Civile il notaio che consente l’intervento (e la conseguente sottoscrizione) dell’amministratore di sostegno nel testamento pubblico da lui ricevuto nonostante vi sia stata formale autorizzazione in tal senso da parte del giudice tutelare (allegata all’atto): tanto in considerazione del carattere strettamente unilaterale, unisoggettivo e personalissimo del testamento, come è confermato appunto dal detto art. 603 c.c., che limita l’intervento di altri soggetti, oltre ai testimoni, esclusivamente nel caso di testamento del muto e del sordo. Il notaio, invece, avrebbe dovuto evidenziare l’abnormità del provvedimento giudiziale e, avvalendosi dello “ius postulandi” concessogli dall’art.1 della Legge Notarile, chiedere la modifica del provvedimento autorizzativo. La violazione della norma civilistica comporta violazione dell’art.28 Legge Notarile.

Dubbi e perplessità possono essere fugati mediante il ricorso al testamento per atto pubblico ove la redazione è per definizione affidata a persona terza, il notaio; ancor di più oggi, essendo oramai consentito ai notai avvalersi delle nuove tecnologie della comunicazione, quali i moderni dispositivi di ausilio alle persone con disabilità che permettono al disabile una comunicazione con il notaio, con modalità alternative a quella verbale, che assicura ugualmente il corretto esercizio dell’espressione del pensiero e del controllo del testo e, unitamente alla lettura e all’ascolto diretto, garantiscono al beneficiario –  anche  in tali particolari casi – la percezione della corrispondenza della propria volontà con il testamento in  tal modo perfezionato. Il notaio, in detti casi, può esercitare pienamente l’indagine della volontà senza alcuna mediazione di interpreti o di amministratori di sostegno, con piena garanzia della certezza e della riferibilità della volontà al testatore (sul tema in generale, Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 174/2022, Sul superamento degli articoli 56 e 57 della legge notarile per i malati di sindrome laterale amiotrofica (SLA)).

Conclusioni

Il beneficiario di amministrazione di sostegno conserva la capacità di testare, salvo che il giudice tutelare non disponga espressamente il contrario, estendendo nei suoi confronti l’incapacità prevista per gli interdetti.

Ammettere in linea di principio la capacità di testare in capo al beneficiario impedisce che un individuo perda tale facoltà a causa di una qualunque condizione o patologia che, seppure disabilitanti, non abbiano menomato capacità cognitive e decisionali; si tratterebbe infatti di una discriminazione fondata sulla disabilità con sacrificio, peraltro, di una capacità, quella di fare testamento, legata anche alla sfera emotiva e più intima della persona.

Il testamento è atto giuridico che non produce effetti pregiudizievoli per il suo autore, in quanto opera solo dopo la sua morte; peraltro, qualora le disposizioni testamentarie risultassero lesive degli interessi dei familiari, questi ultimi avrebbero comunque a disposizione vari strumenti di tutela; inoltre, anche un testamento fatto dal beneficiario che, in astratto, abbia mantenuto la capacità di testare può essere sempre impugnato da chiunque abbia interesse, dimostrando che, al momento della redazione, egli era in uno stato di incapacità naturale tale da compromettere la sua volontà.

Considerato, infine, che nel testamento possono essere inserite anche disposizioni non patrimoniali e che queste hanno dignità al pari di quelle patrimoniali, se non talvolta superiore – si pensi alle disposizioni sulla propria sepoltura, al riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio, alla designazione del tutore o protutore, alla dichiarazione di riabilitazione dell’indegno, alla confessione, alle determinazioni sul diritto morale di autore e sulle sorti della propria corrispondenza e di altri scritti, personali e confidenziali, alle disposizioni connesse alla cosiddetta morte digitale – l’affermata capacità di testare del beneficiario costituisce uno strumento di valorizzazione della persona umana sia nell’immediatezza presente sia nella proiezione dopo di sé.

Vincenzo Spadola,  Notaio in Parma.

 

Fonti (in ordine di pubblicazione), oltre alle sentenze citate nel testo

Giovanni Bonilini, La capacità di testare e di donare del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, Famiglia, persone e successioni, n. 1, 1 gennaio 2005, p. 9

Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 623-2016/C, L’amministrazione di sostegno, est. S. Monosi e G. Taccone, Approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 14 giugno 2017

Consiglio Nazionale del Notariato, Quesito Civilistico n. 51-2018/C. La capacità di testare del beneficiario di amministrazione di sostegno, Risposta dell’8 marzo 2018

Maria Novella Bugetti, Sulla dubbia capacità di testare del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, Il diritto degli affari, n. 2, 2021, p. 208

Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 174-2022/P, 1 febbraio 2023, Sul superamento degli articoli 56 e 57 della legge notarile per i malati di sindrome laterale amiotrofica (SLA)

Vito Amendolagine, Percorsi di giurisprudenza – Evoluzioni giurisprudenziali sull’Amministrazione di sostegno, Giurisprudenza Italiana, n. 8-9, 1 agosto 2023, p. 1940

Giancarlo Iaccarino, AA.VV., Successioni e donazioni, Edizione 2023, Capitolo XI, di Vera Tagliaferri

Matteo Gallione e Giuseppe Trapani, L’eliminazione delle barriere giuridiche per i soggetti vulnerabili ed il ruolo centrale del Notariato, Notariato, n. 1, 1 gennaio 2025, p. 15

L’ingresso del Giovane Notaio in uno Studio avviato: strategie per una convivenza e transizione vantaggiose – di Dott. Michele D’Agnolo

Per un giovane notaio, entrare in uno studio notarile avviato rappresenta un’opportunità preziosa, ma anche una sfida complessa. L’inserimento in uno studio già strutturato permette di beneficiare dell’esperienza del notaio senior, dell’accesso a una clientela consolidata e di una gestione organizzativa già rodata. Tuttavia, affinché questa convivenza professionale sia davvero vantaggiosa per entrambe le parti, il giovane notaio deve muoversi con attenzione e consapevolezza. È fondamentale sviluppare una strategia che faciliti non solo l’integrazione nello studio, ma anche una transizione graduale e proficua per il notaio senior, soprattutto se quest’ultimo si avvicina alla conclusione della propria carriera.

In questo articolo esploreremo i principali aspetti ai quali il giovane notaio deve prestare attenzione per costruire una collaborazione armoniosa ed efficace con il collega senior, assicurando al tempo stesso il successo dello studio e una solida base per la propria carriera futura.

  1. Rispetto per la Storia e la Cultura dello Studio

Quando un giovane notaio entra in uno studio avviato, il primo passo per garantire una convivenza vantaggiosa è comprendere e rispettare la storia e la cultura dello studio. Ogni studio notarile ha una propria identità costruita nel tempo, basata su valori, procedure operative, relazioni consolidate con i clienti e modalità di lavoro che riflettono la visione e l’esperienza del notaio titolare.

– Adattarsi senza stravolgere: Il giovane notaio deve essere consapevole che il successo dello studio è stato costruito grazie a determinate dinamiche e modalità operative. Inizialmente, è fondamentale imparare e rispettare queste prassi, evitando di proporre cambiamenti radicali che potrebbero destabilizzare il flusso di lavoro o la fiducia dei clienti.

– Osservare e imparare: La fase iniziale dovrebbe essere dedicata all’osservazione attenta di come lo studio funziona, sia a livello tecnico che relazionale. Questo non solo aiuta a comprendere meglio l’ambiente di lavoro, ma permette di individuare con precisione le aree dove si potrebbe apportare un contributo positivo in modo graduale e costruttivo.

  1. Comunicazione Aperta e Costruttiva

Una delle chiavi per una collaborazione di successo è una comunicazione chiara e trasparente con il notaio senior. La gestione di uno studio notarile implica spesso decisioni strategiche e operative complesse, e una cattiva comunicazione può generare fraintendimenti, tensioni e frustrazioni. Il giovane notaio deve dunque assicurarsi di instaurare un dialogo costante e aperto con il collega più esperto.

– Chiedere consiglio e feedback: Mostrarsi umili e pronti ad apprendere è una qualità apprezzata dal notaio senior. Nonostante il giovane notaio possieda competenze fresche e aggiornate, il confronto con chi ha accumulato anni di esperienza sul campo è fondamentale. Chiedere consigli su situazioni complesse o feedback sul proprio operato dimostra rispetto per l’esperienza del notaio titolare e facilita una maggiore integrazione.

– Condividere la visione del futuro: Una buona convivenza professionale si basa anche su una visione comune del futuro dello studio. Il giovane notaio deve essere chiaro riguardo alle proprie aspettative di crescita, senza tuttavia imporre la propria agenda. Questo permette di allineare le ambizioni personali con gli obiettivi dello studio e del collega senior, creando un percorso condiviso di sviluppo.

  1. Apporto di Innovazione senza Rompere gli Equilibri

Uno dei principali vantaggi che un giovane notaio può offrire è la capacità di introdurre innovazioni e soluzioni moderne che possano migliorare l’efficienza operativa dello studio o ampliare l’offerta di servizi. Tuttavia, questo processo deve essere gestito con attenzione, evitando di stravolgere equilibri consolidati.

– Innovazione mirata: Invece di proporre cambiamenti radicali, il giovane notaio dovrebbe concentrarsi su piccoli miglioramenti incrementali che possano portare benefici tangibili. Ad esempio, l’introduzione di nuove tecnologie per la gestione documentale, la digitalizzazione di alcune procedure o l’uso di strumenti digitali per la comunicazione con i clienti possono contribuire ad aumentare l’efficienza dello studio senza creare discontinuità.

– Rispetto per i processi tradizionali: Non tutte le innovazioni sono adatte a ogni studio. Prima di proporre modifiche, è essenziale comprendere perché certe procedure sono state adottate e valutare se un cambiamento possa effettivamente portare valore aggiunto, senza creare disagi per i clienti o il personale.

  1. Contribuire alla Gestione delle Relazioni con la Clientela

Uno dei principali patrimoni di uno studio notarile avviato è il rapporto consolidato con la propria clientela, spesso costruito nel corso di molti anni. Il giovane notaio deve approcciare con estrema cautela questa dinamica, consapevole che entrare in contatto con clienti storici dello studio richiede tatto e sensibilità.

– Affiancamento graduale: Inizialmente, il giovane notaio dovrebbe lavorare a stretto contatto con il collega senior nelle relazioni con i clienti più importanti. Questo permette ai clienti di conoscere gradualmente la nuova figura professionale e di instaurare fiducia, senza avere la sensazione di un cambiamento improvviso.

– Rispetto per le relazioni consolidate: I clienti storici di uno studio sono spesso abituati a interfacciarsi con il notaio senior. Forzare un cambiamento nelle dinamiche di relazione potrebbe generare disorientamento o insoddisfazione. È quindi fondamentale che il giovane notaio si mostri disponibile, ma allo stesso tempo rispettoso dei rapporti di fiducia consolidati dal collega senior.

  1. Gestione Attenta del Personale di Studio

Il personale di uno studio notarile, dagli assistenti ai collaboratori amministrativi, rappresenta una risorsa cruciale per il buon funzionamento dell’attività. Il giovane notaio deve essere consapevole che l’arrivo di una nuova figura può generare timori o incertezze tra i dipendenti, soprattutto se percepito come un possibile preludio a cambiamenti significativi.

– Costruire fiducia con il personale: Il giovane notaio deve cercare di instaurare rapidamente un buon rapporto con lo staff, dimostrandosi aperto al dialogo e pronto a valorizzare le competenze di ciascun collaboratore. Il supporto del personale è infatti fondamentale per garantire una transizione fluida e mantenere alta la qualità del servizio offerto.

– Non forzare cambiamenti organizzativi: Anche nel rapporto con il personale, è importante evitare di introdurre cambiamenti radicali nella gestione operativa dello studio. Ogni modifica deve essere ponderata e, possibilmente, concordata con il notaio senior, in modo da non generare incertezza o malcontento tra i dipendenti.

  1. Preparare una Transizione Progressiva e Graduale

Nel caso in cui il notaio senior si stia avvicinando al pensionamento o abbia già espresso la volontà di ridurre il proprio impegno professionale, il giovane notaio deve pianificare con cura la transizione generazionale. Questo processo deve essere graduale, con un affiancamento progressivo che permetta al nuovo notaio di acquisire competenze gestionali e di rafforzare il rapporto con la clientela e il personale.

– Definire un piano di successione: Il giovane notaio e il collega senior dovrebbero discutere apertamente le modalità di transizione, definendo un piano che stabilisca tempi e modalità del passaggio di consegne. Questo permette di evitare sorprese e di garantire continuità nell’erogazione dei servizi notarili.

– Trasparenza con i clienti: Una transizione efficace richiede anche una comunicazione chiara con la clientela. Annunciare per tempo il passaggio di consegne e coinvolgere i clienti nel processo permette di mantenere alta la fiducia e di evitare discontinuità nel rapporto professionale.

Conclusione: Una Collaborazione Vantaggiosa per Tutti

L’ingresso di un giovane notaio in uno studio avviato rappresenta un momento di grande opportunità, ma anche di sfida. Per garantire una convivenza vantaggiosa con il notaio senior e una transizione fluida, il giovane professionista deve agire con sensibilità, rispetto e apertura mentale. Un approccio basato sul dialogo, l’apprendimento reciproco e l’innovazione mirata può trasformare questa fase in una collaborazione di successo, che non solo valorizza il passato dello studio, ma ne garantisce un futuro prospero.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ

Le Associazioni tra Notai: una struttura associativa pacificamente adottabile nel contesto della Legge Notarile – di Dott. Michele D’Agnolo

Nel panorama delle professioni giuridiche, il ruolo del notaio è regolamentato da una serie di norme rigide volte a tutelare l’indipendenza e l’imparzialità del pubblico ufficiale. Tuttavia, come per altre categorie professionali, anche i notai possono sentirsi attratti da forme di collaborazione organizzata che permettano di condividere risorse, conoscenze e opportunità commerciali, mantenendo al contempo l’autonomia professionale. In tale contesto, l’associazione tra notai rappresenta la principale e, al momento, l’unica struttura associativa riconosciuta dalla Legge Notarile (Legge 16 febbraio 1913, n. 89), pacificamente adottabile all’interno del sistema.

La Struttura Associativa Prevista dalla Legge Notarile

L’associazione tra notai, sebbene non molto diffusa, è considerata una forma di collaborazione flessibile che permette ai professionisti di operare in sinergia senza compromettere l’autonomia individuale e il rispetto delle norme di deontologia notarile. La Legge Notarile consente ai notai di costituire associazioni per condividere spese comuni, come quelle relative all’ufficio, ai collaboratori o ai mezzi tecnologici, e per coordinare meglio le attività professionali, sempre nel rispetto delle competenze e responsabilità individuali.

Questa tipologia di collaborazione permette di migliorare l’efficienza operativa e, in alcuni casi, di potenziare l’offerta dei servizi notarili. Tuttavia, si tratta di una struttura associativa piuttosto limitata nella sua applicazione pratica, principalmente a causa delle stringenti disposizioni normative che regolano la professione notarile e della necessità di salvaguardare la terzietà e l’indipendenza del notaio.

L’articolo della Legge Notarile italiana che consente le associazioni tra notai dello stesso distretto è l’articolo 82.

Secondo questo articolo, i notai possono associarsi tra loro al fine di esercitare in comune le loro funzioni. Tuttavia, questa possibilità è limitata ai notai aventi sede in qualsiasi comune della regione, ovvero del distretto della Corte d’Appello in cui si trova la sede, se tale distretto comprende più regioni.

L’associazione consente ai notai di condividere i locali e le risorse, ma ciascun notaio resta comunque responsabile personalmente e autonomamente per i propri atti notarili.

Ecco il testo dell’articolo 82:

“Sono permesse associazioni di notai aventi sede in qualsiasi comune della regione, ovvero del distretto della Corte d’appello in cui si trova la sede, se tale distretto comprende più regioni, per svolgere la propria attività e per mettere in comune, in tutto o in parte, i proventi delle loro funzioni e ripartirli, poi, in tutto o in parte, in quote uguali o disuguali”.

Ciò significa che la ripartizione degli utili e delle spese tra i notai associati deve essere prevista nell’atto costitutivo dell’associazione notarile, lasciando quindi ai notai stessi la possibilità di determinare i criteri di divisione. Tuttavia, queste modalità devono rispettare quanto stabilito, ossia che ogni notaio mantiene la propria autonomia e responsabilità per gli atti compiuti.

In sintesi, è l’atto costitutivo dell’associazione a regolare come saranno ripartiti utili e spese tra i notai associati. Sempre più frequentemente si stabilisce un criterio di ripartizione dei proventi predeterminato, che in generale appare preferibile, almeno fintanto che rispecchia i rispettivi apporti. La normativa fiscale (art. 5 TUIR) consente anche la determinazione a posteriori, per accordo tra gli associati, purché con atto avente data certa anteriore a quella della presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno di cui trattasi.

Gli Elementi Essenziali dello Statuto di un’Associazione tra Notai

La costituzione di un’associazione tra notai richiede la predisposizione di uno statuto che definisca con precisione i termini della collaborazione e i diritti e doveri dei membri. Gli elementi essenziali dello statuto includono:

  1. Oggetto dell’associazione: L’associazione deve essere finalizzata esclusivamente alla gestione condivisa di alcuni aspetti operativi, come le spese per l’ufficio, l’acquisto di strumenti tecnologici o il supporto amministrativo. L’attività notarile, infatti, resta strettamente personale e deve essere svolta in modo autonomo da ciascun associato.
  2. Ruolo e responsabilità dei singoli notai: Lo statuto deve chiarire che ogni notaio, pur facendo parte dell’associazione, continua a esercitare la propria attività in maniera indipendente e secondo le proprie responsabilità professionali. Questo aspetto è fondamentale per mantenere la conformità alle normative vigenti e per garantire l’imparzialità del notaio.
  3. Modalità di gestione e ripartizione delle spese: Lo statuto deve prevedere le modalità con cui vengono gestite e ripartite le spese comuni, come l’affitto dell’ufficio, le utenze, il personale di segreteria o le attrezzature informatiche. È importante che queste modalità siano definite in maniera chiara e trasparente, per evitare conflitti tra gli associati.
  4. Modalità di gestione e ripartizione dei proventi e degli utili: Inoltre, lo statuto deve disciplinare anche la ripartizione degli utili. Sebbene i notai esercitino la loro attività individualmente, alcune attività comuni o collaborazioni tra associati potrebbero generare utili condivisi, come per esempio la gestione di incarichi ricevuti congiuntamente. In questi casi, le modalità di ripartizione degli utili devono essere indicate chiaramente, stabilendo le percentuali o i criteri che determinano la quota spettante a ciascun associato, tenendo conto del contributo di ciascuno alla generazione del reddito. Questo aspetto, però, va trattato con particolare attenzione, poiché ogni notaio è tenuto a rispettare l’autonomia professionale, il divieto di esercizio con finalità commerciali e la responsabilità personale del proprio operato. Di conseguenza, l’eventuale ripartizione degli utili deve essere compatibile con la normativa deontologica, garantendo che non si creino situazioni che possano minare l’indipendenza dei singoli notai.
  5. Governance e amministrazione dell’associazione: Sebbene si tratti di una struttura molto semplice, è utile prevedere uno o più soggetti incaricati dell’amministrazione delle spese comuni e della gestione delle risorse condivise. Tali figure possono essere designate dagli associati secondo modalità stabilite nello statuto.
  6. Durata e modalità di scioglimento: Lo statuto deve indicare la durata dell’associazione e le modalità di scioglimento o di recesso di un singolo associato, stabilendo le conseguenze economiche e operative di tali eventualità.
  7. Esclusione di finalità commerciali: È essenziale che lo statuto chiarisca che l’associazione non ha scopo di lucro né può operare con finalità commerciali, poiché questo sarebbe in contrasto con la normativa deontologica che regola la professione notarile. L’associazione deve servire esclusivamente a migliorare l’efficienza operativa dei membri.

Possibili Altre Forme di Collaborazione: Reti e Consorzi di Professionisti

Oltre all’associazione tra notai, un’altra forma di collaborazione che sembrerebbe astrattamente compatibile con il sistema notarile è rappresentata dalle reti tra professionisti e dai consorzi di professionisti, forme associative introdotte nel nostro ordinamento dal Jobs Act degli autonomi (Legge 22 maggio 2017, n. 81). Questi modelli organizzativi consentono ai professionisti di collaborare su progetti comuni o di partecipare congiuntamente a gare pubbliche, offrendo la possibilità di mettere in rete competenze e risorse senza compromettere l’autonomia dei singoli aderenti.

Tuttavia, l’applicabilità di tali modelli ai notai è ancora oggetto di discussione, poiché vi è necessità di un’interpretazione che concili le specificità della professione notarile con la flessibilità concessa dal Jobs Act. La delicatezza della figura del notaio, con la sua funzione pubblica di garanzia, rende infatti complessa l’adozione di strutture associative più ampie rispetto all’associazione notarile tradizionale.

Conclusioni

In sintesi, le associazioni tra notai rappresentano l’unica forma di collaborazione strutturata espressamente prevista e riconosciuta dalla Legge Notarile. Esse offrono un modello funzionale di condivisione delle risorse, garantendo al tempo stesso il rispetto dei principi di autonomia e indipendenza professionale che sono fondamentali per la figura del notaio. Accanto a queste, le reti e i consorzi tra professionisti previsti dal Jobs Act autonomi potrebbero forse rappresentare uno sviluppo interessante per il futuro, ma necessitano di ulteriori chiarimenti normativi e interpretativi per essere pienamente applicabili al settore notarile.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ

Opere agevolate 110% e profili applicativi ad atto notarile – di Notaio Roberto Santarpia

La circolare 13/E dell’agenzia delle entrate del 13 giugno 2024 in modo molto opportuno viene a chiarire alcuni punti oscuri circa il prelievo fiscale concretantesi in una plusvalenza in caso di alienazione a titolo oneroso di immobili sui quali sono stati eseguiti interventi agevolati quali previsti dall’art. 119 del D.Legge 19 maggio 2020 num. 77 (Superbonus).

Qui di seguito solo alcune considerazioni su aspetti rilevanti per l’esercizio dell’ attività notarile senza più addentrarsi nell’esaminare tutti gli aspetti del detto Decreto Legge.

Si noti in primis che tra gli interventi agevolati che fanno scattare l’imposta rientrano anche interventi finalizzati all’efficienza energetica e al consolidamento statico o alla riduzione del rischio sismico degli edifici nonché, a determinate condizioni, anche l’installazione di impianti fotovoltaici e delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici.

L’imposta scatta quando l’intervento ha usufruito dell’agevolazione del 110% anche se poi successivamente questa originaria percentuale è stata per legge ridotta e fissata in percentuali diverse a seconda del ricorrere di alcune condizioni, che non ci si sofferma qui ad elencare.

L’imposta scatta altresì ove il recupero fiscale è stato ottenuto attraverso l’utilizzo dell’opzione per lo sconto in fattura praticato dal fornitore o per la cessione del credito d’imposta; quindi colui che ha portato questo superbonus in detrazione dalla propria dichiarazione dei redditi non subisce l’inasprimento fiscale in oggetto.

Sono esclusi dalla tassazione gli immobili acquisiti per successione e quelli che sono adibiti ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte del periodo di 10 anni antecedenti alla cessione.

Questa plusvalenza si configura, con riferimento alle imposte dirette, quale reddito diverso, e quindi non conseguita nell’esercizio di arti e professioni o da parte di imprese commerciali o da società in nome collettivo o in accomandita semplice.

Ciò che assume una rilevanza essenziale ai fini dell’applicazione dell’imposta e quindi di attenzione da parte del Notaio nell’esaminare la fattispecie, consiste nel fatto che la detta imposta è dovuta anche se l’ intervento è effettuato solo sulle parti comuni del fabbricato  di cui fa parte una serie di unità immobiliari (cosiddetti interventi trainanti) senza che rilevi che siano stati effettuati  anche lavori sulla singola unità immobiliare (cosiddetti interventi trainati).

Secondo aspetto di particolare momento che dà origine alla plusvalenza e che i lavori (trainati cioè eseguiti sulle singole porzioni di immobile) possono essere stati eseguiti oltre che dal proprietario dello stesso o da un titolare di diritto reale parziario anche da soggetti diversi, quali inquilini, comodatari o familiari conviventi, situazione che non elide l’applicazione dell’imposta.

Ulteriore tratto molto delicato per il notaio è che l’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che la norma di legge prevede che questi lavori possono, come normalmente accade, imporre di allineare le rendite catastali ai miglioramenti ottenuti attraverso gli interventi realizzati con il superbonus. Considerato che solo la omissione della dichiarazione di conformità catastale oggettiva genera nullità dell’atto, la falsa dichiarazione di conformità non determina nullità non potendosi equiparare la dichiarazione non veritiera alla mancanza di dichiarazione per cui la conseguenza (diversa dalla nullità) consiste in responsabilità civile verso il compratore di cui il notaio non può disinteressarsi.

Roberto Santarpia,  Notaio in Orzinuovi.

Comprendere il cliente per migliorare: perché misurare la soddisfazione è cruciale – di Dott.ssa Anna Lisa Copetto

La soddisfazione del cliente in relazione ad un servizio ricevuto dallo studio notarile dipende dalla combinazione di una pluralità di fattori, che incidono con pesi diversi a seconda delle caratteristiche del cliente. 

C’è una dimensione di performance tecnico giuridica, sulla quale lo studio tende a investire moltissimo e che il cliente dà per imprescindibile e scontata. Tutti gli altri fattori (relazionali, organizzativi, informativi, ecc.)  tendono ad essere trascurati perché considerati in qualche modo accessori, secondari rispetto al fine ultimo, perfino superflui. Ma è proprio su questi che lo studio può invece costruire un elemento di vantaggio competitivo.

Prendiamo ad esempio la stipula di un atto di compravendita, un servizio tutto sommato standardizzabile, almeno in buona parte del  suo processo di realizzazione. Quali sono gi elementi che possono deliziare il cliente a tal punto da essere disposto a rivolgersi nuovamente allo studio o addirittura a suggerire ad altri di rivolgersi allo studio? Non certo il contenuto impeccabile dell’atto che egli dà per scontato.  A seconda delle sue sensibilità (funzionali, economiche, relazionali, emotive, razionali) potranno essere: la facilità di accesso allo studio, la velocità nel ricevere delle risposte, la capacità dello studio di comprendere quelle esigenze che nemmeno lui riusciva ad esplicitare, la capacità dello studio di risolvere con competenza e celerità un eventuale problema sorto in corso d’opera, la cortesia e l’empatia del personale di contatto, la cura dell’ambiente nel quale viene accolto, l’informatizzazione di alcuni passaggi, l’ubicazione dello studio, la disponibilità del Notaio, l’onorario,  e chi più ne ha più ne metta.

Ci sono alcuni elementi sui quali lo studio difficilmente potrà intervenire ma altri sui quali è opportuno interrogarsi rispetto alla effettiva possibilità di fare di più e meglio all’occhio esterno del mercato. A volte bisogna proprio cambiare prospettiva e indossare i panni del cliente per capire quali sono davvero i punti di forza dello studio che meritano di essere ulteriormente valorizzati e i punti di debolezza sui quali lavorare.

Stante le risorse non illimitate dello studio, vale la pena coinvolgere direttamente il cliente in questa analisi, anche per non rischiarare di fare i conti senza l’oste e ritrovarsi poi un caro prezzo da pagare, foss’anche solo di immagine.

L’indagine sulla soddisfazione del cliente si può collocare in diverse fasi del servizio:

  1. nella fase di avvio del rapporto, utile per comprendere le reali aspettative, raccogliere informazioni essenziali a costruire un’offerta mirata e allocare in modo efficiente risorse, energie e mezzi,
  2. in itinere, per riconoscere tempestivamente segnali di insoddisfazione e intervenire prontamente per risolverli
  3. nella fase successiva all’erogazione del servizio per comprendere gli aspetti che hanno in definitiva soddisfatto o deluso il cliente, cosi da poter pianificare una strategia di miglioramento

La soddisfazione del cliente può essere rilevata attraverso una osservazione diretta dei comportanti del cliente nella sua interazione con lo staff, attraverso dei questionari strutturati (utilizzando anche strumenti come Google Forms o SurveyMonkey che facilitano la raccolta di opinioni in forma anonima) oppure attraverso dei più informali colloqui post-stipula che, oltre alla raccolta dei feedback,  comunica al cliente la sua centralità nell’attenzione del Notaio.

I vantaggi di un’analisi accurata della soddisfazione sono ormai chiari:

  1. Miglioramento continuo: il feedback permette di affinare tanto l’offerta tecnica quanto l’esperienza relazionale
  2. Fidelizzazione della clientela:  un cliente soddisfatto non solo ritorna, ma diventa un interlocutore stabile e affidabile, riducendo i costi di lavorazione delle pratiche
  3. Migliore clima interno: minori reclami, minori grattacapi, lavorazioni più efficienti rendono il personale più sereno e produttivo
  4. Marketing gratuito: clienti appagati condividono la loro esperienza, contribuendo a consolidare la reputazione dello studio e a generare nuove opportunità
  5. Vantaggio competitivo: in un contesto nel quale la competenza tecnica è spesso data per scontata, eccellere nella relazione con il cliente costituisce un elemento distintivo e strategico.
  6. Prevenzione delle criticità: individuare tempestivamente potenziali insoddisfazioni consente di neutralizzarle, evitando che si trasformino in reclami o danni di immagine
  7. Orientamento strategico: comprendere le aspettative e i desideri della clientela permette di definire con precisione le priorità operative e di allocare le risorse in modo mirato ed efficace.

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network

 

Le difficili scelte del Notaio di prima nomina – di Dott. Michele D’Agnolo

Le difficili scelte del Notaio di prima nomina: Pro e Contro delle Diverse Modalità di Inizio dell’Esercizio Professionale

Diventare notaio di prima nomina rappresenta un traguardo importante e il coronamento di un lungo percorso formativo. Tuttavia, una volta superato il concorso, il neo notaio si trova di fronte a una delle scelte più delicate e cruciali per la propria carriera: come avviare l’esercizio della professione?

Le opzioni principali si dividono tra l’avvio di uno studio individuale e la scelta di un’associazione professionale. In quest’ultima, le possibilità ulteriori includono associarsi con altri notai di prima nomina o entrare in studi notarili già avviati. Ognuna di queste modalità presenta vantaggi e svantaggi che il neo notaio deve valutare con attenzione, tenendo conto delle proprie aspirazioni professionali, delle risorse a disposizione e del contesto del mercato notarile.

Esercizio della Professione in Forma Individuale: Pro e Contro

L’apertura di uno studio notarile individuale è l’opzione tradizionale per molti notai di prima nomina. Questa scelta comporta un alto grado di autonomia, ma anche notevoli responsabilità e rischi.

 I Pro:

  1. Massima autonomia decisionale: Aprire uno studio individuale consente al neo notaio di esercitare un controllo completo su ogni aspetto della propria attività, dalla gestione del personale alle relazioni con i clienti, passando per la selezione degli incarichi e la definizione delle tariffe.
  1. Costruzione del proprio brand professionale: Essere il titolare di uno studio significa potersi costruire una reputazione personale e una clientela direttamente legata al proprio nome, il che può rappresentare un vantaggio competitivo nel lungo periodo.
  1. Sviluppo indipendente della carriera: La gestione di uno studio individuale permette al notaio di crescere secondo i propri ritmi e di sviluppare una visione imprenditoriale della professione, creando un’attività che riflette pienamente i propri valori e obiettivi.

I Contro:

  1. Elevati costi iniziali: L’apertura di uno studio individuale richiede un investimento considerevole per l’acquisto o il leasing degli spazi, l’arredamento e l’attrezzatura, oltre alla gestione delle spese correnti come stipendi, utenze e forniture. Questi costi possono essere difficili da sostenere per un neo notaio senza una clientela consolidata.
  1. Isolamento professionale: Operare da soli può comportare un senso di isolamento, poiché manca il confronto continuo con altri professionisti. Questo può limitare l’apprendimento e lo sviluppo delle competenze, soprattutto nelle fasi iniziali della carriera.
  1. Responsabilità totale nella gestione operativa: Il neo notaio che avvia uno studio individuale deve occuparsi di tutti gli aspetti gestionali e operativi, dalle pratiche amministrative alla contabilità, fino alla gestione dei rapporti con i dipendenti e i fornitori. Questo può sottrarre tempo e risorse all’attività notarile vera e propria, creando pressioni e stress aggiuntivi.

Associazione con altri Notai di Prima Nomina: Pro e Contro

Una seconda opzione è quella di associarsi con altri notai di prima nomina. Si tratta di una forma di collaborazione che permette di condividere risorse e responsabilità, mantenendo una certa indipendenza.

 I Pro:

  1. Condivisione dei costi: L’associazione con altri notai di prima nomina consente di dividere i costi operativi, come l’affitto degli spazi, le spese per il personale e l’acquisto di attrezzature. Questo riduce il peso economico su ciascun notaio, rendendo l’avvio della professione più sostenibile.
  1. Sinergie professionali: Lavorare con colleghi di pari livello permette di scambiarsi idee, condividere esperienze e affrontare insieme le sfide della professione. Questa sinergia può portare a una crescita più rapida, in quanto ogni notaio può apprendere dalle esperienze degli altri.
  1. Maggiore potenziale di attrazione dei clienti: L’associazione con altri notai può offrire una più ampia gamma di competenze e servizi, aumentando così l’attrattiva dello studio per i potenziali clienti. La presenza di più notai permette anche di gestire un maggior numero di incarichi e di accrescere la visibilità sul mercato.

 I Contro:

  1. Condivisione delle decisioni: Associarsi con altri notai implica dover condividere decisioni strategiche e operative. Questo può portare a divergenze di opinione e conflitti, soprattutto se i partner non hanno una visione comune sugli obiettivi dello studio o sulle modalità di lavoro.
  1. Equilibrio di competenze ed esperienze: Essendo tutti notai di prima nomina, nessuno dei soci possiede ancora una significativa esperienza professionale. Questo può essere un limite nel trattare pratiche complesse o nell’affrontare questioni legali più sofisticate, dove la consulenza di un notaio più esperto sarebbe preziosa.
  1. Distribuzione dei profitti: L’associazione implica una suddivisione degli introiti tra i soci. Questo può rappresentare un limite economico, soprattutto nelle fasi iniziali, in cui il volume di lavoro potrebbe non essere sufficiente per garantire guadagni soddisfacenti a ciascun notaio.

Associazione con Studi Notarili Avviati: Pro e Contro

Infine, una terza possibilità per il neo notaio è quella di associarsi con uno studio notarile già avviato. Questa opzione presenta vantaggi significativi in termini di supporto professionale e accesso a una clientela consolidata, ma comporta anche alcune limitazioni.

 I Pro:

  1. Accesso immediato a una clientela consolidata: Entrare a far parte di uno studio notarile già avviato significa poter beneficiare da subito di una base di clienti già fidelizzati. Questo rappresenta un notevole vantaggio rispetto all’apertura di uno studio individuale, dove il neo notaio dovrebbe costruirsi da zero la propria reputazione.
  1. Supporto di notai esperti: Lavorare a fianco di notai più esperti consente al neo notaio di apprendere rapidamente le dinamiche della professione e di affrontare le pratiche più complesse con il supporto di colleghi navigati. Questo tipo di mentoring può accelerare lo sviluppo delle competenze e ridurre gli errori nelle fasi iniziali.
  1. Condivisione delle responsabilità gestionali: In uno studio avviato, molte delle responsabilità amministrative e gestionali sono già ben strutturate. Questo permette al giovane notaio di concentrarsi principalmente sull’attività notarile, evitando il peso della gestione operativa quotidiana.

 I Contro:

  1. Mancanza di autonomia: Associarsi a uno studio consolidato implica dover rispettare le regole e le dinamiche già stabilite dai notai titolari. Questo può limitare la libertà decisionale del neo notaio e la sua capacità di introdurre cambiamenti o innovazioni all’interno dello studio.
  1. Possibile difficoltà nel costruire una propria identità professionale: Lavorare all’interno di uno studio già affermato può portare il neo notaio a essere percepito come un collaboratore piuttosto che come un professionista indipendente. Questo potrebbe rallentare la costruzione di una propria identità professionale e della propria rete di contatti.
  1. Concorrenza interna: In un contesto in cui operano già notai esperti, il neo notaio potrebbe trovarsi a dover competere con i colleghi per l’assegnazione delle pratiche più importanti o per la costruzione di un proprio portafoglio clienti.

Conclusioni: Una Scelta da Ponderare con Attenzione

Per il notaio di prima nomina, la decisione su come avviare l’esercizio della professione è tutt’altro che semplice. L’avvio di uno studio individuale offre massima autonomia e la possibilità di costruire un brand personale, ma richiede risorse economiche significative e una grande capacità gestionale. L’associazione con altri notai di prima nomina consente di condividere i costi e le responsabilità, ma può comportare difficoltà di governance e mancanza di esperienza. Infine, l’ingresso in uno studio già avviato permette di beneficiare immediatamente di una clientela consolidata e di un supporto professionale, ma potrebbe limitare l’autonomia e la crescita indipendente.

In definitiva, la scelta giusta dipenderà dalle aspirazioni del singolo neo notaio, dalla sua attitudine all’imprenditorialità e dalla disponibilità di risorse economiche. In tutti i casi, una riflessione ponderata e una valutazione strategica delle opportunità offerte dal mercato sono essenziali per garantire un avvio di carriera solido e di successo.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ

La Transizione Generazionale negli Studi Notarili – di Dott. Michele D’Agnolo

La Transizione Generazionale negli Studi Notarili: Opportunità e Sfide per Giovani Notai e Studi Avviati

Il panorama notarile italiano sta vivendo una trasformazione significativa, caratterizzata da un ricambio generazionale sempre più accelerato. Questo fenomeno è determinato dall’aumento del numero di Notai che scelgono di ritirarsi anche prima del raggiungimento dei limiti di età previsti dalla legge, unito a una crescente frequenza ed estensione dei concorsi notarili e al conseguente incremento dei Notai di nuova nomina. In questo contesto, sia i giovani Notai sia i titolari di studi consolidati devono affrontare nuove sfide e opportunità che influenzeranno profondamente il futuro della professione notarile.

Un panorama in evoluzione: pensionamenti anticipati e concorsi più frequenti

Negli ultimi anni si è assistito a un aumento del numero di Notai che decidono di ritirarsi anticipatamente, spesso attratti da prospettive di pensionamento più flessibili o da un desiderio di passaggio del testimone alle nuove generazioni. Questa tendenza ha generato un effetto a catena: il maggior numero di concorsi notarili consente a giovani Notai di accedere alla professione in modo più rapido, ma al contempo espone il mercato notarile a una competizione sempre più serrata.

I Notai che si ritirano, sia per motivi personali che professionali, lasciano infatti spazio a nuove leve, con un impatto significativo sulla distribuzione degli incarichi e sulle modalità di accesso alla professione. Tuttavia, per i giovani Notai appena nominati, l’ingresso nel mondo professionale non è più garantito da un avvio indipendente della propria attività, come avveniva in passato, ma avviene sempre più spesso attraverso forme di associazione o affiliazione con studi notarili già avviati.

L’importanza di scegliere il mentore e lo studio giusto

Per i giovani Notai, la scelta del mentore e dello studio notarile in cui avviare la propria carriera diventa una decisione cruciale. In un mercato sempre più competitivo, associarsi a uno studio consolidato può rappresentare un’opportunità unica per acquisire competenze, costruire una rete di contatti e inserirsi progressivamente nella gestione dello studio. Tuttavia, è fondamentale che questa scelta venga effettuata con cura, valutando attentamente le condizioni del sodalizio e le prospettive di crescita all’interno dell’associazione.

Alcuni aspetti da considerare includono:

– La solidità dello studio: È importante valutare la posizione dello studio nel mercato locale, il volume di affari e la tipologia di clientela. Uno studio ben posizionato può garantire un flusso costante di incarichi e una maggiore visibilità.

– La compatibilità con il Notaio titolare: Il rapporto tra il giovane Notaio e il Notaio titolare deve basarsi su fiducia reciproca, rispetto e una visione comune del futuro dello studio. La capacità di apprendere dal titolare e, al contempo, di essere considerato come un potenziale successore, è fondamentale per una transizione fluida.

– Le condizioni economiche: Oltre agli aspetti formativi e professionali, è essenziale che le condizioni economiche del sodalizio siano trasparenti e giuste, con accordi chiari su compensi, ripartizione dei costi e prospettive di crescita all’interno dello studio.

La responsabilità dei Notai in uscita: garantire continuità e qualità

Dal lato opposto, i Notai che si apprestano a concludere la loro carriera professionale devono considerare con grande attenzione a chi affidare il proprio studio. Lasciare uno studio notarile non significa solo ritirarsi dalla professione, ma implica anche la responsabilità di assicurarsi che la clientela e gli assistenti notarili, che spesso rappresentano un patrimonio prezioso dello studio, vengano affidati a mani competenti e affidabili.

Il passaggio generazionale deve avvenire in modo pianificato e strutturato, evitando che la discontinuità possa danneggiare la reputazione dello studio o causare perdite di clientela. Alcuni aspetti che i Notai in uscita devono tenere in considerazione includono:

– La formazione del giovane Notaio: Il Notaio uscente ha il compito di trasmettere non solo le competenze tecniche, ma anche il patrimonio di conoscenze relazionali e gestionali che caratterizzano uno studio avviato. Questo processo di mentoring è fondamentale per garantire che il giovane Notaio possa prendere le redini dello studio in modo efficace.

– La gestione della clientela: Un avvicendamento ben riuscito richiede che la clientela venga progressivamente introdotta al nuovo Notaio, attraverso una fase di transizione in cui entrambi lavorano insieme. Questo processo deve essere gestito con tatto e attenzione, affinché la fiducia costruita negli anni non venga compromessa.

– Il coinvolgimento degli assistenti notarili: Lo staff notarile è spesso il cuore pulsante dello studio, e il loro coinvolgimento nel processo di transizione è fondamentale per mantenere la continuità operativa. Il Notaio uscente deve assicurarsi che anche il personale sia parte attiva del passaggio generazionale, garantendo così una continuità nel servizio ai clienti.

Aggregazioni tra neo Notai: una nuova forma di associazione

In alternativa all’affiliazione con studi avviati, si sta diffondendo la pratica delle aggregazioni tra neo Notai. Queste aggregazioni permettono ai giovani Notai di condividere risorse, competenze e costi, costituendo una struttura che può competere con gli studi più consolidati. Questa forma di collaborazione rappresenta una valida alternativa per chi preferisce mantenere una maggiore autonomia rispetto all’ingresso in studi già affermati, pur beneficiando delle sinergie derivanti da un lavoro di squadra.

Tuttavia, anche in questo caso, la scelta dei soci con cui aggregarsi è fondamentale. La condivisione di una visione comune del lavoro, la compatibilità professionale e una chiara definizione degli obiettivi comuni sono prerequisiti indispensabili per il successo di queste nuove strutture.

Conclusione: la transizione come opportunità

La transizione generazionale negli studi notarili rappresenta una sfida, ma anche una grande opportunità per il futuro della professione. Per i giovani Notai, associarsi a uno studio avviato o formare nuove aggregazioni può rappresentare un trampolino di lancio, purché si facciano scelte ponderate e si presti attenzione alle dinamiche interne dello studio.

Dall’altro lato, i Notai che si avviano verso la quiescenza sentono il dovere morale di assicurare che il proprio lascito professionale sia gestito con la stessa cura e dedizione che hanno impiegato nella loro carriera. Solo attraverso un passaggio generazionale ben pianificato e gestito sarà possibile mantenere elevati gli standard di qualità e professionalità che caratterizzano la professione notarile in Italia.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ

Equilibrio normativo tra riorganizzazione societaria e salvaguardia dei creditori: l’art. 2503 c.c. – di Notaio in attesa di nomina Antonio D’Ausilio

Equilibrio normativo tra riorganizzazione societaria e salvaguardia dei creditori: l’art. 2503 c.c.

L’art. 2503, comma 1, c.c. sancisce, in tema di fusione, che “1. La fusione può essere attuata solo dopo sessanta giorni dall’ultima delle iscrizioni previste dall’articolo 2502-bis”. Dunque, regola generale è che la fusione può essere attuata soltanto dopo il decorso di sessanta giorni dall’ultima delle iscrizioni previste dall’art. 2502-bis del codice civile[1].

I creditori delle società partecipanti alla fusione anteriori all’iscrizione prevista nel terzo comma dell’art. 2501-ter c.c., entro il termine di sessanta giorni, possono fare opposizione. Difatti, la fusione comporta una concentrazione di patrimoni e ciò potrebbe determinare un pregiudizio per i creditori delle società partecipanti alla stessa[2]. Si può pertanto sostenere, come si sostiene pacificamente, che l’art. 2503 c.c. fonda la sua ratio nella salvaguardia delle ragioni dei creditori delle società partecipanti alla fusione anteriori all’iscrizione di cui all’art. 2501-ter c.c.

Larga parte della dottrina sostiene che l’opposizione rientra tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale in quanto avente la funzione di evitare un pregiudizio per i creditori; più specificamente, in tema di fusione (e scissione), lo strumento oppositorio si fonda altresì sul principio generale in base al quale per ottenere il mutamento del debitore del rapporto obbligatorio occorre il consenso del creditore[3].

Occorre preliminarmente precisare che la problematica della fusione anticipata è diversa rispetto alla questione circa la possibilità di procedere al perfezionamento dell’atto di fusione prima del decorso dei sessanta giorni.

Al riguardo, una parte della dottrina sostiene che l’atto di fusione può essere stipulato anche prima dei sessanta giorni ma sarà da sottoporsi alla condizione sospensiva della mancata opposizione nei termini previsti dalla legge.

Di diverso avviso è la dottrina prevalente e la prassi notarile più prudente, le quali, sulla scorta della responsabilità penale degli amministratori in caso di danno ai creditori mediante un atto di fusione, di scissione o di riduzione del capitale ex art. 2629 c.c., sostengono che l’atto di fusione non possa essere perfezionato prima del decorso del termine previsto per l’opposizione[4].

Ritornando alla tematica in oggetto, il Legislatore, nello stesso comma 1 dell’art. 2503 c.c., così come fissa la regola generale determina anche i casi in cui è possibile procedere all’attuazione della fusione anticipatamente (c.d. fusione anticipata).

Tali casi sono caratterizzati dalla loro idoneità ex lege a salvaguardare le ragioni dei creditori e perciò consentono di procedere ad attuare la fusione prima del decorso dei sessanta giorni determinando, di conseguenza, il venir meno o la limitazione del diritto di opposizione.

La fusione anticipata, dunque, consente di non attendere il termine di sessanta giorni ma di procedere direttamente alla stipula dell’atto di fusione.

In ordine alle ipotesi in cui può procedersi in tale ultimo senso, l’art. 2503, comma 1, c.c. detta quattro ipotesi eccezionali di fusione anticipata, le quali ricorrono nei casi in cui consti:

  1. il consenso dei creditori anteriori all’iscrizione o alla pubblicazione prevista nel terzo comma dell’art. 2501 ter c.c.; o
  2. il pagamento dei creditori che non hanno prestato il proprio consenso; o
  3. il deposito delle somme corrispondenti presso una banca; oppure
  4. che la relazione di cui all’articolo 2501-sexies sia redatta, per tutte le società partecipanti alla fusione, da un’unica società di revisione, la quale asseveri, sotto la propria responsabilità ai sensi del sesto comma dell’articolo 2501-sexies, che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti alla fusione rende non necessarie garanzie a tutela dei suddetti creditori”.

Sotto altro profilo, tale norma assume altresì rilevanza in quanto essa prevede e consente una attuazione anticipata del negozio determinante la conclusione dell’operazione.

Ciò chiarito, ci si è chiesti se, sulla base dell’applicazione dell’art. 2503, comma 1, c.c., ritenendo la norma in esso contenuto come principio generale oppure applicando in via analogica la norma stessa alla riduzione reale del capitale, possa procedersi ad una sorta di riduzione reale del capitale anticipata[5].

La dottrina[6] e la giurisprudenza[7] prevalenti escludono la possibilità di anticipare la riduzione reale del capitale (art. 2445 c.c.).

Più in dettaglio, tale orientamento sostiene che il termine di 90 giorni dall’iscrizione della delibera, previsto a tutela dei creditori, non sia né diminuibile né derogabile, nemmeno con il consenso dei creditori stessi.

La dottrina, a sostegno di tale tesi, ritiene che la procedura della riduzione reale del capitale differisca da quella prevista in tema di fusione per la mancanza di una pubblicità preventiva che individui con certezza i creditori legittimati all’opposizione[8].

Passando alla trattazione della c.d. scissione anticipata, occorre premettere che la scissione, come regola generale, può essere attuata solo dopo il decorso di sessanta giorni dall’ultima delle iscrizioni di cui all’art. 2502-bis c.c.[9].

Difatti, l’operazione di scissione comporta una separazione del patrimonio della scissa, sicché ciò può determinare un pregiudizio sia per i creditori della scissa che per i creditori delle beneficiarie preesistenti[10].

Tuttavia, l’art, 2506 ter, comma 5, c.c. prevede l’applicazione alla scissione del già visto art. 2503 c.c., rubricato “Opposizione dei creditori”.

Dunque, il Legislatore ha consentito, anche in tema di scissione, di procedere anticipatamente alla sua attuazione predisponendo, a tutela dei creditori, le medesime misure di salvaguardia delle loro ragioni.

In altri termini, mediante il richiamo all’art. 2503 c.c., può aversi scissione anticipata nelle ipotesi subb. a), b), c) e d) di cui supra.

Più specificamente, con riguardo all’ipotesi sub. d), introdotta con la Riforma del diritto societario (D.Lgs. 6/2003), questa prevede, al fine di procedere all’attuazione anticipata della fusione o della scissione, che la relazione indicata all’art. 2501-sexies c.c. venga redatta da una sola società di revisione per tutte le società coinvolte nella fusione. Trattasi, in particolare, della relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio delle azioni o quote cui si aggiunge l’asseverazione “che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti alla fusione rende non necessarie garanzie a tutela dei suddetti creditori” (art. 2503, comma 1, ultima frase, c.c.)

In altre parole, la società di revisione deve attestare, sotto la propria responsabilità, come previsto dal sesto comma dell’art. 2501-sexies c.c., che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti alla fusione non richieda l’adozione di garanzie a tutela dei creditori interessati.

Al riguardo, al fine di realizzare una fusione o scissione anticipata, la dottrina prevalente sostiene che la relazione di cui all’art. 2501-sexies c.c. richiesta dall’art. 2503 c.c. (per la scissione, dal combinato disposto dagli artt. 2506-ter e 2503 c.c.) sarà pure necessaria in caso di scissione in cui non sia possibile e/o richiesto procedere alla stima del rapporto di cambio[11]; in tale ultimo caso, dunque, la relazione consisterà nella sola asseverazione di cui all’art. 2503, comma 1, ultima frase, c.c. vista supra.

Difatti, come chiarito dal Consiglio Notarile di Milano con la massima n. 60, “I compiti assegnati dalle citate norme all’esperto o alla società di revisione, in quanto fissati nell’interesse dei creditori, sono infatti logicamente e funzionalmente autonomi dal giudizio di congruità, di guisa che possono e debbono essere assolti, ove ne ricorrano i presupposti, anche indipendentemente dalla resa di un giudizio di congruità”.

Per completezza si rammenta che la relazione richiesta dall’art. 2503, comma 1, c.c. dovrà essere redatta da un unico esperto per tutte le società partecipanti alla fusione o scissione e che il perito dovrà essere una società di revisione e non una persona fisica[12].

In ordine alla problematica suesposta, la massima L.C. 3 del Comitato Triveneto dei Notai, in primo luogo, conferma che “Al fine di procedere ad una fusione o scissione anticipata è sempre ammissibile, anche nei casi semplificati in cui non si applica l’art. 2501-sexies c.c., che venga formata da un’unica società di revisione una relazione asseverante che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti alla fusione o scissione renda non necessarie garanzie a tutela dei creditori ai sensi dell’ultima parte del comma 1 dell’art. 2503 c.c.”; in secondo luogo, il Triveneto precisa che “La nomina dell’unica società di revisione spetta alle società partecipanti, salvo che la società incorporante, la società beneficiaria o la società risultante dalla fusione sia una SPA o SAPA, nel qual caso la nomina compete al tribunale”.

Sul tale ultimo punto, difatti, l’art. 2501-sexies c.c., richiamato dall’art. 2503, comma 1, c.c., al comma 3 precisa che “L’esperto o gli esperti sono scelti tra i soggetti di cui al primo comma dell’articolo 2409-bis e, se la società incorporante o la società risultante dalla fusione è una società per azioni o in accomandita per azioni, sono designati dal tribunale del luogo in cui ha sede la società”.

Dalla lettura testuale della norma si ricava che la designazione ad opera del Tribunale è necessaria soltanto se la società incorporante o risultante dalla fusione è una SPA o una SAPA, in caso contrario l’esperto potrà essere scelto di comune accordo dalle società partecipanti alla fusione[13].

Posto che la norma, così come la massima, trattano soltanto della fusione ci si è posti il problema della corretta applicazione dell’art. 2501-sexies, comma 3, c.c. nel caso in cui si tratti di scissione parziale con assegnazione ad una o più beneficiarie di nuova costituzione (c.d. scissione parziale in senso stretto) e la società scissa sia una SPA o una SAPA.

In tal caso, a parere di chi scrive, la circostanza per cui la scissa sia una SPA (o una SAPA) non determina che l’esperto debba essere designato dal Tribunale in quanto:

  • la società scissa non può ontologicamente equipararsi ad una società incorporante, visto che la scissa assegna parte del suo patrimonio e non incorpora alcuna società;
  • la società scissa non può ritenersi una società risultante dalla fusione o, meglio, dalla scissione. Difatti, si parla di “società risultante dalla scissione” con riferimento alla società di nuova costituzione, ovviamente nel caso in cui la scissione determini la costituzione di una nuova società (c.d. scissione in senso stretto).

Ciò detto deve ritenersi che nel caso in cui la società scissa sia una SPA o una SAPA l’esperto potrà essere scelto di comune accordo dalle società partecipanti alla scissione.

Dunque, può affermarsi che la normativa in tema di fusione e scissione, in particolare l’art. 2503 c.c., rappresenta un bilanciamento tra la necessità di consentire alle imprese di riorganizzarsi e l’esigenza di salvaguardare i creditori da eventuali pregiudizi patrimoniali. L’opposizione dei creditori, prevista come misura di tutela, si pone come meccanismo di salvaguardia dei loro diritti, fondamentale soprattutto nei casi in cui il mutamento della struttura societaria possa compromettere la garanzia del credito.

Tuttavia, consapevole delle esigenze di dinamicità delle operazioni societarie, il Legislatore ha introdotto eccezioni che consentono di anticipare la fusione nei casi di cui all’art. 2503, comma 1, c.c.

In quest’ottica, l’art. 2501-sexies c.c. prevede che la relazione asseverata di una società di revisione, che attesti la solidità patrimoniale e finanziaria delle società,  consente di procedere senza attendere i 60 giorni previsti dall’art. 2503 c.c. Questa misura, insieme con le altre previste dalla normativa, permette di ridurre i tempi delle operazioni, senza compromettere le tutele essenziali.

Per quanto riguarda operazioni simili, come la riduzione reale del capitale ex art. 2445 c.c., la dottrina prevalente ritiene che non vi sia la stessa flessibilità garantita dalla legge per le fusioni, principalmente a causa dell’assenza di una pubblicità preventiva. La diversità di struttura tra queste operazioni evidenzia la particolare attenzione riservata alla pubblicità nelle fusioni e la differente tutela dei creditori.

Un aspetto rilevante è che le disposizioni relative alla fusione si applicano anche alle scissioni, come stabilito dall’art. 2506-ter c.c., il quale estende i meccanismi di opposizione e le garanzie anche a tali operazioni. Questo conferma la coerenza del sistema giuridico nell’assicurare la tutela dei creditori in tutte le operazioni societarie che incidono sulla loro posizione.

A tal proposito, la massima L.C. 3 del Comitato Triveneto dei Notai ha chiarito che è sempre possibile, anche nei casi semplificati che non richiedono l’applicazione dell’art. 2501-sexies c.c., procedere con una fusione o scissione anticipata, purché una relazione asseverante, redatta da un’unica società di revisione, attesti che la situazione patrimoniale delle società partecipanti renda non necessarie ulteriori garanzie per i creditori. Tale previsione è rilevante anche in materia di scissione, ove si è discusso dell’applicabilità dell’art. 2501-sexies, comma 3, c.c. nel caso di scissione parziale con assegnazione a nuove società beneficiarie. In questi casi, la designazione dell’esperto non deve necessariamente essere fatta dal Tribunale se la società scissa è una SPA o SAPA, poiché essa non può essere equiparata né a una società incorporante né a una risultante dalla fusione.

In conclusione, il quadro normativo in materia di fusioni e scissioni, con l’introduzione di strumenti come la relazione asseverante, riflette un bilanciamento efficace tra la necessità di favorire la riorganizzazione aziendale e la tutela dei creditori. L’evoluzione legislativa ha saputo rispondere alle esigenze di maggiore efficienza nei casi di operazioni di riorganizzazione societaria, senza rinunciare a garantire la protezione del patrimonio sociale e la sicurezza del sistema economico.

[1] Genghini, soc. cap., pp. 1625

[2] Genghini, soc. cap., pp. 1625

[3] Guerrera, trasformazione, fusione e scissione, … p. 429.

[4] Genghini, soc. cap., pp. 1631

[5] Al riguardo, occorre rammentare che l’art. 2445, commi 3 e 4, c.c. prevede che “La deliberazione (di riduzione del capitale) può essere eseguita soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione abbia fatto opposizione.

Il tribunale, quando ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i creditori oppure la società abbia prestato idonea garanzia, dispone che l’operazione abbia luogo nonostante l’opposizione”.

Dunque, anche in caso di riduzione reale del capitale, l’operazione può essere eseguita (o, meglio, “attuata” secondo i più) “soltanto dopo novanta giorni dal giorno dell’iscrizione nel registro delle imprese”.

In tema di riduzione reale anticipata, alcuni autori e sentenze di merito, sostengono la possibilità di anticipare la riduzione reale, purché vi sia il consenso dei creditori anteriori all’iscrizione della delibera (vedi A. Mazzoni, “Il nuovo diritto societario: commento al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6”, Giuffrè, Milano, 2004, p. 322-324) o siano stati saldati i creditori dissenzienti (vedi Tribunale di Milano, 12 febbraio 1988, in Giur. Comm., 1988, p. 1124).

Il CNN Studio n. 41-2016/I, Riduzione reale e attuazione anticipata con il consenso dei creditori, di Ruotolo-Boggiali ha chiarito che tale possibilità sarebbe giustificata dalla ratio delle norme di opposizione, tra cui rientra proprio l’art. 2503 c.c. previsto in tema di fusione, che mirano alla tutela dei creditori, anche mediante l’utilizzo di strumenti di tutela alternativi all’opposizione.

Più in dettaglio, in tutti questi casi, anche la ratio sottostante all’art. 2445 c.c. sarebbe quella di garantire che i creditori non subiscano un pregiudizio per via delle modifiche alla struttura patrimoniale della società e, di conseguenza, posto che il Legislatore ha previsto strumenti alternativi tutelanti i creditori all’art. 2503 c.c., tale orientamento sostiene che si potrebbe applicare in via analogica quest’ultimo articolo, consentendo, di conseguenza, di attuare anticipatamente la riduzione reale del capitale.

[6] G.F. Campobasso, “Diritto commerciale. Diritto delle società”, Utet, Torino, 2018, p. 460-462; M. Irrera, “Le operazioni sul capitale sociale”, Giuffrè, Milano, 2006, p. 214-216.

[7] Cass., 17 luglio 2006, n. 16347, in Giur. Comm., 2006, p. 876.

[8] In effetti, il Legislatore, nel caso di fusione, ha previsto una pubblicità preventiva legata all’iscrizione del progetto di fusione nel Registro delle Imprese, che consente ai creditori di opporsi entro un certo termine. Nel caso della riduzione del capitale, invece, non è prevista alcuna iscrizione simile a quella prevista, appunto, per il progetto di fusione.

In aggiunta, a parere di chi scrive, il fatto che il Legislatore abbia previsto, come si vedrà infra, un espresso richiamo della normativa regolante la fusione anticipata nelle norme previste in tema di scissione, significa che quello fissato all’art. 2503, comma 1, c.c. non possa ritenersi un principio generale, altrimenti tale richiamo alle norme della fusione non sarebbe stato necessario.

In altri termini, il richiamo dell’art, 2506 ter, comma 5, c.c. alle norme della fusione è stato ritenuto dal Legislatore quale doveroso in quanto, in caso contrario, l’operatore non avrebbe potuto applicare gli specifici strumenti di cui all’art. 2503, comma 1, c.c.

[9] Federico Magliuolo, La scissione delle società, p. 566

[10] Genghini, soc cap., pp. 1736-1737

[11] Federico Magliuolo, La scissione delle società, p. 573

[12] Federico Magliuolo, La scissione delle società, p. 573

[13] Genghini, soc cap., pp. 1609

Antonio D’Ausilio, Notaio in attesa di nomina