La fatturazione delle prestazioni nello studio notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Dal punto di vista economico, la fatturazione di una prestazione di servizi dovrebbe avvenire quando il ricavo è maturato in base al criterio di competenza, cioè una volta concluso il lavoro o in base a stati di avanzamento concordati.

La fatturazione delle prestazioni degli studi notarili, come quelle degli altri studi professionali, segue invece il criterio di cassa, in ossequio a logiche prettamente fiscali.

Infatti, Il criterio generale d’imputazione dei compensi percepiti posto dall’art. 54 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sul Reddito) per la determinazione del reddito di lavoro autonomo è quello di cassa, per cui un compenso diventa componente positivo di reddito in un determinato periodo, solo se il compenso è stato effettivamente incassato.

Anche dal punto di vista dell’IVA (Art.6 D.P.R.633/72), le prestazioni di servizi si considerano effettuate al momento del pagamento del corrispettivo, salva l’anticipata corresponsione di eventuali acconti. Ex art 15 del citato DPR, sono escluse dall’IVA le somme anticipate in nome e per conto del cliente.

L’eventuale fatturazione anticipata di tutto o parte del corrispettivo non ancora incassato anticipa anche il momento impositivo ai fini IVA. Questo spiega il frequente ricorso nella prassi all’emissione di un documento proforma, che riepiloga quanto dovuto per ottenerne il pagamento, nella speranza di posporre così la debenza dell’IVA. La fattura o notula definitiva viene in questo caso emessa pro quota quando il cliente paga in tutto o in parte quanto dovuto. Talvolta l’Agenzia delle Entrate contesta i documenti proforma considerandoli già definitivi.

La particolare natura dell’attività notarile prevede che il Notaio sia considerato responsabile di imposta con riferimento all’imposta di registro e alle imposte ipotecarie e catastali. Pertanto il Notaio è fortemente incoraggiato ad incassare dal cliente le spese anticipate dell’atto per poter assolvere al pagamento di questi tributi, dei quali rimane responsabile.

Il sistema offre qualche tutela. L’art. 28 della Legge Notarile prevede che il notaio ha la facoltà di non esercitare il suo mandato se non è stato pagato. La normativa sul “deposito prezzo” (l. 124/2017), addirittura afferma che il notaio deve astenersi dal rogito se non è stato previamente pagato.

Va detto che al di fuori dell’obbligo posto dalla norma sul deposito prezzo un minimo di elasticità nel fare credito è sempre stato praticato dalla generalità degli studi notarili, soprattutto con la clientela abituale e quella referenziata. Si potrebbe affermare che concedere un certo termine di dilazione è quasi indispensabile per lavorare con il mondo delle imprese, che comunque considerano il notaio alla stregua di tutti gli altri fornitori. La concorrenza tra studi notarili peraltro si basa anche su questo aspetto e tende a favorire gli studi che non si irrigidiscono ma valutano con prudenza le condizioni di concessione dei fidi ai clienti secondo criteri di gestione del rischio ormai quasi “bancari”. Si guarderà quindi il track record precedente del cliente, le condizioni economiche tratte dal bilancio o da altre notizie pubbliche, fino ad acquistare report di merito creditizio presso fornitori di informazioni economiche.  

C’è anche un altro aspetto tecnico da considerare e cioè che al momento dell’incarico o della stipula l’esatto ammontare delle spese che il Notaio sosterrà in nome e per conto del cliente potrebbe non essere completamente determinato, in quanto solo al completamento delle visure e all’invio del Modello Unico notarile sarà possibile una quantificazione esatta.

Le modalità operative tipiche dello studio notarile inducono quindi la necessità di chiedere un fondo spese, spesso indistinto, cioè comprendente un ammontare indicativo e comprensivo di anticipazioni, spese e onorari. Questo può essere richiesto dallo studio notarile già in sede di colloqui a suggello del mandato ricevuto oppure, successivamente, in sede di stipula. Fortunatamente soccorre la disciplina del DM 31 ottobre 1974.

Il decreto ministeriale del 31 ottobre 1974 ha inteso semplificare l’emissione delle fatture per alcune categorie di professionisti. Si tratta di soggetti passivi ai fini Iva che nel corso dell’attività esercitata sostengono di frequente anticipazioni di spese in nome e per conto della clientela. La disciplina in rassegna è applicabile agli avvocati, ai dottori commercialisti e agli esercenti la professione notarile.

Il decreto in rassegna prevede che se il cliente costituisce presso il professionista un fondo spese indistinto (di compensi e di spese), la fattura può essere emessa entro i 60 giorni successivi rispetto alla costituzione del fondo spese. Il professionista può quindi attendere anche lo spirare di tale termine per l’emissione e l’invio al sistema di interscambio del documento in formato digitale.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

AL VIA L’ISCRIZIONE AL RUNTS – a cura Notai Marco Avagliano e Maria Nives Iannaccone

L’iscrizione al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore è realtà!

Il Decreto direttoriale del Ministero del Lavoro 26 ottobre 2021, n. 561, individua nel 23 novembre 2021 la data a decorrere dalla quale il medesimo Registro è divenuto finalmente operativo.

La novità, lo sappiamo, è di non poco conto, e attesa da più di quattro anni, ossia da quando la materia degli Enti non profit fu completamente riformata (Codice del Terzo settore, d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117), unitamente all’istituzione, tra l’altro, dello stesso Registro. Essa coinvolge più di 360.000 tra enti e istituzioni (V. Melis, Il Registro unico del Terzo settore apre le porte a vecchi e nuovi enti, in Sole 24 ore, 15 novembre 2021, p. 8), e costituisce uno dei tasselli principali dell’impianto voluto dalla Riforma. Con il RUNTS, che costituirà il principale strumento con il quale individuare la nuova categoria degli ETS, si procede ad unificare e a digitalizzare, con ciò operando un’evidente semplificazione, i corrispondenti diversi Registri nazionali, regionali o comunque locali della maggior parte di questi enti o soggetti. Quel che si viene a creare è dunque una vera e propria piattaforma informativa e gestionale, che, in maniera analoga a quanto accade con il Registro delle imprese, consentirà dunque di accedere in tempo reale alle informazioni sugli ETS; ma anche da parte di questi ultimi di potervi operare, ad esempio depositando bilanci e altri documenti.

Ma come opera effettivamente il RUNTS?

Va premesso che è possibile compiere diversi distinguo, ad esempio, a seconda delle diverse categorie di enti, delle scadenze temporali o, ancora, del fatto se gli enti siano già costituiti o meno.

Dal punto di vista strutturale, il RUNTS è diviso in 7 sezioni, dedicate rispettivamente alle ODV, alle APS, agli Enti filantropici, alle Imprese sociali, alle Società di mutuo soccorso e alle Reti associative, oltre ad una residuale dedicata agli altri enti del Terzo settore.

Dal 23 novembre 2021, data fissata nel suddetto decreto, è iniziata la trasmigrazione dei dati degli enti interessati, dai vecchi Registri di Organizzazioni di Volontariato e Associazioni di Promozione Sociale al RUNTS. Entro i 180 giorni successivi alla comunicazione dei dati, gli uffici del RUNTS dovranno quindi verificare la sussistenza dei relativi requisiti e disporre, salvo richiesta delle informazioni e dei documenti mancanti, l’iscrizione o meno degli enti interessati nella sezione corrispondente (artt. 30 e 31 del d.m. 15 settembre 2020)

Va precisato che questo andrà realizzandosi, in automatico, per quanto riguarda le ODV e le APS. Mentre per le ONLUS, l’iscrizione non è diretta, e andrà opportunamente effettuata nell’apposita finestra temporale ricadente tra il primo gennaio e il 31 marzo del periodo d’imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea di cui all’art. 101, decimo comma, del Codice del Terzo Settore; l’iscrizione antecedente, comunque possibile, comporta la perdita della qualifica di Onlus e delle conseguenti agevolazioni fiscali di cui al d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460 (si vedano M.N. Iannaccone, Gli adeguamenti statutari delle Onlus, in G. Abbate – D. Boggiali – M.N. Iannaccone – N. Riccardelli, Gli adeguamenti statutari e il diritto transitorio del Terzo settore, Milano, 2021, p. 78 ss.; e D. Boggiali – G. Abbate, Avvio del RUNTS: registro operativo dal 23 novembre 2021 e possibilità di richiedere le iscrizioni dal giorno successivo (decreto del Ministero del Lavoro 26 ottobre 2021), in CNN Notizie, Settore Studi, Segnalazioni Novità, del 2 novembre 2021; G. Sepio, Registro unico, iscrizione delle Onlus al test convenienza, Sole 24 ore, 21 novembre 2021, p. 13).

Gli adeguamenti di ODV, APS e ONLUS sono poi facilitati, essendosi previsto, con disposizione non proprio puntuale, che per quelle già costituite alla data di entrata in vigore del Codice del Terzo settore, e iscritte nei relativi registri, possa procedersi all’adeguamento dei relativi statuti per renderli conformi alla nuova disciplina del Terzo Settore, entro la data del 31 maggio 2022, con le modalità e le maggioranze previste per l’assemblea ordinaria invece di quelle o stabilite dallo statuto di ciascun ente oppure, in mancanza, dall’art. 21, secondo comma, c.c..

E il notaio? Come si deve comportare a fronte di questa novità?

Dopo l’operativtà del RUNTS è l’unico soggetto competente a iscrivere nel RUNTS enti con personalità giuridica. Ai sensi dell’art. 22 CTS, il notaio che abbia ricevuto l’atto costitutivo di un’associazione o di una fondazione del Terzo settore o la pubblicazione di un testamento con il quale si dispone una fondazione del Terzo settore, una volta verificata la sussistenza delle condizioni previste per la costituzione dell’ente, in particolare quelle relative alla sua natura di ente del Terzo settore quelle sul patrimonio minimo, deve depositarlo per l’iscrizione, unitamente agli allegati, entro venti giorni presso il competente ufficio del RUNTS.

Va rammentato come il patrimonio minimo sia stabilito in 15.000 euro per le associazioni e in 30.000 euro per le fondazioni (art. 22, quarto comma, CTS). La sua sussistenza, se in denaro, deve risultare da apposita certificazione bancaria, ma potrà allo scopo utilizzarsi anche il conto corrente dedicato del notaio (art. 16, secondo comma, d.m. 15 settembre 2020 e art. 1 comma 63, lett. b), della l. 27 dicembre 2013, n. 147). Ove i beni apportati siano in natura, il relativo valore, sempre in misura non inferiore ai suddetti importi, andrà attestato da apposita relazione giurata di stima di un revisore legale o di una società di revisione iscritti nell’apposito registro.

Sono diverse le questioni sorte sul tema, ma qui vale la pena di ricordarne, a chiusura di questa breve panoramica, una relativa alla richiesta di iscrizione di enti adeguati antecedentemente alla data di operatività del RUNTS, e dunque prima del 24 novembre 2021.

Ci si è chiesti infatti se il Notaio debba accertare o meno l’effettività del patrimonio minimo anche per gli enti già operanti come persone giuridiche, in misura analoga a quelli di nuova costituzione. Sicchè si sta diffondendo l’idea che anche nei loro riguardi vada comunque richiesta, opportunamente, la relazione giurata di attestazione dell’effettiva consistenza patrimoniale (D. Boggiali – G. Abbate, Avvio del RUNTS: registro operativo dal 23 novembre 2021 e possibilità di richiedere le iscrizioni dal giorno successivo, cit.; D. Boggiali, L’iscrizione di enti adeguati al CTS prima dell’avvio del RUNTS. Prime indicazioni, in CNN Notizie, Settore Studi, Segnalazioni Novità, del 22 novembre 2021, nota 6). Sebbene appunto di mera opportunità si può ritenere si tratti, e non sicuramente di obbligo, non solo a fronte del silenzio del legislatore sul punto, ma stante anche la già accertata idoneità, al momento della relativa e precedente attribuzione, quali persone giuridiche degli enti in questione.

Marco Avagliano, Notaio in Cornaredo e Maria Nives Iannaccone, Notaio in Seregno.

Apostille elettronica – a cura Notaio Ugo Bechini

Il tema cela un fatto personale. Nel maggio 2005 si tenne negli USA il primo Forum sull’Apostille elettronica e fui aggregato ad una prestigiosissima delegazione del notariato italiano, con Giancarlo Laurini (allora presidente UINL), Mario Miccoli e Michele Nastri. Emerse allora una frattura destinata ad allargarsi negli anni seguenti, con ripetuti confronti tra Christophe Bernasconi, Segretario Generale dell’HCCH (la Conferenza dell’Aja di Diritto Internazionale Privato, responsabile del sistema Apostille) e chi scrive.

In Italia, Paese in questo campo decisamente all’avanguardia a livello mondiale, le riflessioni in tema erano già mature, e si puntava ad un sistema basato sulla firma digitale. Il documento da apostillare, si progettava, sarebbe stato scansionato (se non già digitale) e dotato di Apostille; il tutto sarebbe stato firmato digitalmente dall’Autorità emittente l’Apostille. La verifica della firma digitale su un sito centralizzato ad hoc creato presso HCCH avrebbe garantito la provenienza del plico da un’Autorità abilitata. Affare di pochi secondi e ad elevatissima sicurezza, come accade oggi per la verifica su bartolus.notariato.it di una copia autentica elettronica emessa da un collega francese. Il documento avrebbe per di più viaggiato via posta elettronica dal Paese di emissione a quello di utilizzo, con ovvie economie di tempo e denaro.

Non si approdò a nulla. Di fronte alla difficoltà di dotare di firma digitale amministrazioni pubbliche di ogni parte del mondo e che (era il primo decennio del secolo) nella quasi totalità non la conoscevano, HCCH raccomandò che ogni Paese scegliesse la tecnologia localmente ritenuta più adatta; sarebbe stata sempre più affidabile, argomentava Bernasconi, di un’Apostille cartacea che con un minimo di abilità manuale si può facilmente staccare da un documento ed appiccicare su un altro. Il meglio è nemico del bene fu insomma la filosofia vincente (non priva peraltro di un suo fondamento, ci mancherebbe).

Alcune Autorità oggi emettono comunque Apostille con firma digitale. Il problema in sede di verifica è che, mancando un sistema centralizzato, l’Ente Certificatore non è necessariamente noto al verificante, per il quale è quindi difficile maturare certezze. Un parallelo nostrano. Circolano normalmente documenti emessi da Amministrazioni Comunali con firma digitale basata su certificati del noto provider italiano Aruba. In casi del genere, ricordiamo, è Aruba, ed Aruba soltanto, a garantire che il documento X viene dal Comune Y. Per un destinatario UE non è un problema, visto che Aruba è ovviamente nella lista dei Trusted Providers dell’Unione (https://webgate.ec.europa.eu/tl-browser/#/tl/IT), ma un destinatario extra UE alle prese con un’ipotetica Apostille elettronica italiana basata su un certificato Aruba non resterebbe forse altrettanto convinto. Potrebbe anzi essere indotto a chiedersi seriamente che c’entri il minuscolo Stato caraibico.

Altre Autorità hanno invece adottato altre forme, le più svariate, di Apostille semplificata, o comunque diversa dall’archetipo del 1961; talora (ma non sempre) vi è la semplice riproduzione di una firma. Su appositi siti è però accessibile il registro delle Apostille così emesse; l’elenco è attualmente qui: https://assets.hcch.net/docs/b697a1f1-13be-47a0-ab7e-96fcb750ed29.pdf. Digitando i dati dell’Apostille otteniamo online la conferma della genuinità dell’Apostille e, secondo i casi, elementi addizionali, come data del documento e nome del notaio. Talvolta l’Autorità pone addirittura a disposizione sul sito una scansione integrale del documento come presentato all’Apostille, il che aggiunge sicurezza.

E veniamo al punto: che deve fare il notaio italiano? Sotto il profilo formale, essendo ormai diritto internazionale vivente quella che chiamerei Dottrina Bernasconi, nulla dovrà temere in sede disciplinare il notaio che utilizzi un documento apostillato secondo la procedura in uso nel paese di provenienza (accertata tramite HCCH), per quanto distante possa apparire dalle modalità che più ci sono familiari: locus regit actum. Ovvia precauzione conservare traccia delle ispezioni effettuate.

Sul piano sostanziale, se siamo perplessi sulla genuinità di un documento, non ci resta che promuovere una verifica sul posto. Se il Paese di provenienza aderisce all’UINL, i notariati locali si rendono generalmente disponibili (via CNN) a confortare il collega italiano, qualora vi siano motivate ragioni di dubbio. Negli altri casi possiamo contattare l’Autorità emittente per ragguagli: molti dettagli, compresi quasi sempre i numeri di telefono, si trovano alla pagina https://www.hcch.net/en/instruments/conventions/authorities1/?cid=41. L’Autorità è tenuta a rispondere, ai sensi dell’Articolo 7 della Convenzione dell’Aja del 1961.

Ugo Bechini, Notaio in Genova

 

Il beneficiario di amministrazione di sostegno può donare? – a cura Notaio Elena Barbi

La Corte Costituzionale con sentenza n. 114 del 10 maggio 2019, nel presupposto che l’art. 774 c.c. primo comma, non si applica direttamente all’amministrato, ha affermato che “il beneficiario di amministrazione di sostegno conserva la sua capacità di donare, salvo che il giudice tutelare, anche d’ufficio, ritenga di limitarla – nel provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno o in occasione di una sua successiva revisione – tramite l’estensione, con esplicita clausola ai sensi dell’art. 411, quarto comma, primo periodo, cod. civ., del divieto previsto per l’interdetto e l’inabilitato dall’art. 774, primo comma, primo periodo cod.civ.”.

Da quanto sopra emerge che la particolarità dell’istituto dell’amministrazione di sostegno dovrebbe indurre i Giudici Tutelari a predisporre decreti di apertura della procedura ritagliati sulle esigenze del singolo beneficiario ed in considerazione dell’effettiva capacità dello stesso. Viene quindi evidenziata la rilevanza del decreto di nomina, intorno al quale ruota poi l’intera procedura.

L’istituto nasce con l’intento di determinare e disciplinare uno status di incapacità delle persone diverso dall’interdizione e dall’inabilitazione, ma nella pratica lo vediamo utilizzato senza distinzione e nella stragrande maggioranza dei casi con decreti di apertura della procedura standardizzati.

Cosa deve quindi fare il notaio in presenza di un beneficiario che intende porre in essere una donazione, in presenza di un provvedimento di apertura della procedura che nulla dice in proposito o che fa generico rinvio agli art. 374 e 375 del cod.civ.?

Stando alla suddetta sentenza della Corte Costituzionale, che richiama anche quanto affermato in precedenza dalla Corte di Cassazione, l’amministrato può effettuare una donazione in quanto il provvedimento di nomina dell’amministratore “non determina uno status di incapacità della persona cui debbano riconnettersi automaticamente i divieti e le incapacità che il codice fa discendere come conseguenza della condizione di interdetto e di inabilitato.”

Si può quindi ritenere che, in assenza di decreto che comporti limitazioni in ordine ad atti dispositivi, il beneficiario conservi una legittimazione esclusiva per gli atti di donazione.

Nel caso di provvedimento con generico riferimento agli art. 374 e 375 del cod.civ. ci potremmo trovare nell’ipotesi di richiedere l’autorizzazione per porre in essere un atto di vendita, mentre la donazione potrebbe essere effettuata liberamente.

Sarà pertanto necessario che il notaio valuti l’effettiva capacità cognitiva del beneficiario di amministrazione di sostegno che intende porre in essere una donazione. La limitazione al compimento degli atti di straordinaria amministrazione potrebbe essere indice di una limitazione cognitiva del beneficiario. Da qui la necessità di richiedere un’integrazione o una precisazione delle decisioni assunte in sede di apertura della procedura, mentre una richiesta specifica di autorizzazione al compimento del singolo atto di donazione non sarebbe necessario, stante quanto sopra detto.

E’ preferibile che il Giudice Tutelare valuti la capacità di donare dell’amministrato nel suo complesso, ammettendo che lo stesso possa in astratto compiere donazioni, piuttosto che fargli effettuare una singola valutazione, obbligandolo a sondare le reali motivazioni che inducono l’amministrato a voler compiere l’atto, motivazioni che sono strettamente personali e non facilmente percepibili da un soggetto terzo.

Barbi Elena, Notaio in Sesto San Giovanni

I cicli tecnico, economico e finanziario dello studio notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Dal punto di vista meramente economico, l’attività di uno studio notarile consiste essenzialmente nella predisposizione di atti e nella esecuzione di adempimenti, che vengono poi pagati dal cliente, il quale è generalmente una delle parti degli atti stipulati.

Le attività principali appena descritte si ripetono senza soluzione di continuità per ogni atto rogato dal Notaio. La gestione è quindi caratterizzata da una continua successione di processi o cicli produttivi che si intrecciano e si avvicendano.

Tali cicli possono avere una durata più o meno ampia e possono essere considerati sotto almeno tre aspetti diversi, quello tecnico, quello economico e quello monetario.

Il ciclo tecnico dell’atto notarile va dal momento in cui il cliente si appalesa per il primo colloquio o telefonata e finisce quando il fascicolo dell’atto stipulato, esaurite tutte le formalità, va finalmente in archivio. In altre parole il ciclo tecnico riguarda i processi di produzione diretta e indiretta. La durata media del processo produttivo è misurata dal ciclo tecnico tipico dello studio. Il ciclo tecnico inizia con la combinazione dei fattori produttivi necessari per porre in essere la trasformazione economica e termina con l’ottenimento della prestazione destinata al cliente, che non potrebbe certo dirsi compiuta al momento della stipula in quanto mancherebbero ad esempio le formalità, la corretta messa a raccolta dell’originale, e l’archiviazione di eventuali copie e del fascicolo.

Gli studi notarili oggi compiono ogni sforzo organizzativo per accorciare il ciclo tecnico in modo da soddisfare il più rapidamente possibile i clienti e in modo da minimizzare, per quanto ovviamente la funzione pubblica e gli elevati standard qualitativi lo consentano, il tempo profuso su ciascuna pratica. Detta in termini economici, si minimizzano cioè contemporaneamente il tempo di attraversamento del processo, ad esempio di una settimana, e il tempo dedicato alla produzione, ad esempio otto ore complessive.

Il ciclo economico invece inizia con l’acquisto dei fattori produttivi necessari alla attività (acquisto di sistemi informatici, energia, forza lavoro, ecc.) e riguarda appunto il sostenimento di costi per acquisire tali fattori e termina con il conseguimento dei ricavi derivanti dalla vendita dei beni o delle prestazione di servizi. Il ciclo economico può essere inteso come l’intervallo di tempo che intercorre tra il sostenimento dei costi e il conseguimento dei ricavi.

I costi dello studio cominciano a maturare il giorno in cui il cliente mette piede per la prima volta nello studio e i dipendenti si prendono cura di lui. I ricavi invece maturano di solito soltanto dopo la stipula, generando in questo modo una momentanea perdita. A rigore, in realtà, posto che le prestazioni dello studio continuano anche dopo la stipula i relativi ricavi maturerebbero soltanto alla conclusione del ciclo tecnico, ma convenzionalmente si emette fattura all’atto o subito dopo la stipula.

Volendo anticipare i ricavi, va ricordato che solo raramente gli studi notarili chiedono acconti e spesso solo con riguardo alle imposte e alle altre spese sostenute in nome e per conto dei clienti, che non costituiscono per lo studio notarile dei veri e propri costi ma delle mere partite di giro di credito e debito.

Come abbiamo già avuto modo di vedere in un precedente intervento, è essenziale che i costi dello studio non superino i ricavi ed anzi che rimanga una marginalità, un utile atto a remunerare il lavoro del Notaio assicurandone l’indipendenza, ma anche a coprire i notevoli rischi posti dall’attività professionale e i continui investimenti tecnologici e di struttura necessari per assolvere alla pubblica funzione e per rimanere competitivi.

Da ultimo, si distingue e si studia anche il Ciclo monetario, che riguarda i soli movimenti in entrata e in uscita dei fondi disponibili in cassa e nei conti correnti bancari e postali: inizia nel momento in cui pago il canone di locazione, il canone software, gli stipendi dei dipendenti, e gli altri fattori necessari all’attività e finisce nel momento in cui incasso i proventi della stipula. A volte i fattori produttivi devono essere pagati anticipatamente. Il ciclo monetario o ciclo di cassa o ciclo di ritorno del capitale consente di conoscere l’intervallo di tempo che intercorre tra le uscite di denaro per il pagamento degli acquisti e le entrate di denaro derivanti dall’incasso delle vendite (cash flow). Anche in questo caso lo studio notarile ha tutto l’interesse a minimizzare la durata del ciclo monetario in quanto l’esposizione finanziaria momentanea necessaria a coprire i costi e le anticipazioni fino al pagamento della parcella deve essere coperta con capitali del Notaio o messi a disposizione dagli istituti bancari, con conseguente addebito degli interessi e delle spese.

Qualche studioso affianca alla tripartizione dei cicli dello studio che abbiamo appena esaminato anche un quarto ciclo denominato finanziario, che studia il momento in cui sorgono le obbligazioni derivanti dalle transazioni economiche, anche se non hanno ancora avuto manifestazione monetaria. Questo ciclo si pone concettualmente tra quello economico e quello monetario. Dunque l’emissione della parcella genera un credito a vantaggio dello studio mentre l’esistenza di un contratto di locazione e quindi di un costo di locazione genera un debito dello studio conduttore nei confronti del locatore per la mensilità maturata appar contratto. Eventuali soldi messi a disposizione della banca costituiscono un’entrata monetaria ma un debito finanziario nei confronti dell’istituto di credito.  

Come si è potuto evincere dalla breve trattazione, una accurata e precisa analisi dello stato di salute economica dello studio notarile in funzionamento passa obbligatoriamente attraverso l’analisi dei vari cicli e delle relazioni che intercorrono tra di questi.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

L’utilizzo del kanban per la pianificazione del lavoro dello studio notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Generalmente, i clienti degli studi notarili desiderano stipulare i loro atti il prima possibile.  In alcuni casi una o più parti hanno addirittura delle scadenze cogenti che non possono essere superate, come la fine dell’anno o termini mobili legati a precedenti impegni o accordi.

Gli assistenti notarili devono dividersi tra front e back office spesso senza soluzione di continuità e quindi non di rado faticano a trovare la concentrazione per elaborare le bozze. Spesso sono chiamati a rincorrere la clientela alla ricerca di documenti indispensabili per la stipula o a spiegare e convincere.

Il Notaio è per definizione la risorsa più rara dello studio notarile e quindi il suo tempo prezioso dovrebbe essere impiegato nel modo più proficuo possibile tenendo conto del suo bioritmo e della necessità di fare spazio e alternare correttamente le stipule, i colloqui, i controlli sulle minute degli atti, l’aggiornamento, le pubbliche relazioni e il management degli assistenti notarili.

Gli adempimenti successivi alla stipula devono invece essere realizzati molto velocemente, quasi immediatamente, per realizzare compiutamente la volontà delle parti ed evitare al Notaio di incorrere in responsabilità professionale.

Gli atti da elaborare possono comportare diversi gradi di difficoltà, non sempre prevedibili a priori. L’onerosità sopravvenuta può derivare da difficoltà o difformità derivanti dall’ispezione ipocatastale, o ancora da proposte di pattuizioni illegittime, o dal comportamento poco collaborativo delle parti.

Tuttavia con un po’ di pratica si può generalmente stanziare con buona approssimazione un adeguato budget medio di tempo per la predisposizione di ciascuna categoria di atti più ricorrenti, per la loro stipula e per l’esecuzione delle rispettive formalità.

Nella complessità che abbiamo appena ricordato, si rende quindi necessario pianificare il lavoro in modo da coordinare il lavoro del Notaio con quello degli assistenti notarili e spesso anche con quello di professionisti esterni che coadiuvano le parti o il Notaio.

Si tratta di una pianificazione che deve essere costantemente aggiornata in quanto avviene in un ambiente fortemente dinamico ed imprevedibile. Molti studi rinunciano tout court alla pianificazione perché la applicano in modo statico e non comprendono che il salto logico fondamentale è rappresentato dalla velocità di aggiornamento dei piani.

Un semplice strumento che può rendersi utile per la pianificazione del lavoro nello studio notarile è rappresentato dal kanban, che offre una rappresentazione grafica del flusso di lavoro.

Kanban è un termine giapponese che letteralmente significa “insegna”, indica un elemento del sistema Just in time di reintegrazione delle scorte a mano a mano che vengono consumate, nel sistema Toyota. I sistemi Lean di gestione aziendale sono da tempo mutuati dalle realtà aziendali ed applicate anche alle pubbliche amministrazioni e agli studi professionali.

Il kanban, indica lo stato di avanzamento degli incarichi assegnati allo studio dai clienti e ne assicura un flusso ordinato e veloce all’interno dello studio notarile, eliminando gli sprechi che possono derivare, ad esempio, dal riprendere in mano decine di volte lo stesso fascicolo o dall’interrompere continuamente gli addetti, o dal servire il cliente che protesta maggiormente.

Alcuni atti saranno infatti allo stadio di colloquio, mentre per altri sarà stato già compiutamente acquisito l’incarico. Per qualche altro atto saranno magari in corso le visure o lo studio di dottrina e giurisprudenza propedeutico alla stesura, mentre altri saranno in fase di collazione o le minute in visione al Notaio. Altri atti ancora saranno pronti per la stipula oppure già stipulati e pronti per la copia e gli adempimenti e così via fino alla fatturazione e all’archiviazione.

Il kanban si può realizzare in molti modi. Quello tradizionale, che ho visto realizzato in uno studio della provincia di Bolzano, si ottiene spostando le intere cartelle degli atti all’interno di una apposita scaffalatura. Oggi il kanban si può realizzare anche mediante una rappresentazione con dei semplici post-it su una lavagna divisa in colonne, oppure ancora si può rappresentare a livello elettronico utilizzando sistemi di produttività come Trello e similari. Da ultimo il kanban può essere realizzato con strumenti di business intelligence che estraggono informazioni dal gestionale dello studio e le mescolano con input manuale degli addetti ad esempio in un foglio excel.

Quando si sarà conclusa una fase di lavorazione di un atto l’addetto di riferimento aggiornerà il kanban spostando la pratica, il post-it o aggiornando la rappresentazione elettronica.

Il kanban andrà utilmente posizionato in un punto dello studio visibile a tutti i collaboratori e di regola non visibile ai clienti. Quello elettronico naturalmente può essere tenuto sempre attivo in una finestra dei pc degli assistenti dello studio.

In tutti i casi, la posizione delle cartelle o meglio ancora la loro rappresentazione grafica consente di vedere a colpo d’occhio se c’è qualche parte dello studio più scarica di altre o più ingolfata di cose da fare e si possono così ristabilire, d’intesa con il Notaio, le priorità o riorientare le risorse per far fronte ai picchi di lavoro.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

Alcuni principi di diritto a seguito della sentenza n. 11421 del 30.4.2021 a Sezioni Unite della Cassazione – a cura Notaio Alessandra Magnocavallo

È sorta in dottrina e giurisprudenza da qualche anno (dal 2015) una vera e propria querelle interpretativa circa l’esatta nozione di beneficiario nei contratti di assicurazione per il caso di morte dell’assicurato, relativamente alle clausole di individuazione dei beneficiari designati contrattualmente e solo genericamente con la dizione “eredi legittimi o testamentari”.

Va subito premesso che le Sezioni Unite non sono state affatto chiamate a deciderene in merito:

alla natura del diritto: è pacifico che il beneficiario sia titolare di un diritto “iure proprio” – derivante dal contratto di assicurazione ed acquistato in virtù della designazione effettuata dal contraente – e non “iure successionis”;

alla fonte dell’acquisto: anche a tal proposito, è pacifica la fonte contrattuale.

Il contrasto tra le Sezioni semplici è sorto negli anni con riguardo alla sussistenza o meno di un criterio immanente di interpretazione presuntiva in forza del quale la clausola dell’assicurazione sulla vita che prevedesse quali beneficiari gli eredi dello stipulante comportasse anche un rinvio alle quote di ripartizione dell’eredità secondo le regole della successione legittima o testamentaria.

Secondo una consolidata giurisprudenza di legittimità, nell’ipotesi di beneficiari individuati con riferimento alla categoria degli eredi legittimi, essi sono da identificarsi con coloro che in astratto – seppure con riferimento a tale qualità esistente al momento della morte – siano i successibili per legge e quindi anche ed indipendentemente dalla loro effettiva vocazione (anche se, ad esempio, fosse seguita una successione testamentaria).

Quanto alla ripartizione dell’indennizzo tra gli eredi legittimi, sempre secondo la prevalente giurisprudenza, in mancanza di diversa previsione dell’assicurato-contraente, essa dovrebbe presumersi uguale tra tutti i chiamati all’eredità e non secondo le quote ereditarie previste dalla successione ex lege, essendo contrattuale la fonte regolatrice del rapporto: l’indennizzo ripartito per teste e non pro quota ereditaria.

Nel 2015 la Suprema Corte, però, si è posta in netto contrasto con la posizione giurisprudenziale sopra citata, mettendo in discussione il principio secondo cui il riferimento alle regole della devoluzione dell’eredità assumerebbe rilevanza solo per l’individuazione della persona del beneficiario e non anche per la misura della sua quota di indennizzo, stabilendo che il quantum deve essere determinato pro quota sulla base delle regole della successione legittima.

Quindi, a seguito delle diverse posizioni delle Sezioni della Suprema Corte, la Corte di Cassazione nel 2019 ha rimesso alle Sezioni Unite le seguenti questioni:

– se l’espressione “eredi legittimi” sia descrittiva di coloro che in astratto rivestono la qualità di eredi legittimi o se invece debba riferirsi a coloro i quali siano in concreto i destinatari dell’eredità;

– se la designazione di eredi testamentari possa interferire con l’individuazione astratta degli eredi legittimi;

– e se l’indennizzo vada corrisposto nella misura delle quote ereditarie spettanti ex lege o in parti uguali.

Le Sezioni Unite con la sentenza n. 11421 del 30.4.2021 hanno riaffermato l’interpretazione già univocamente seguita in precedenza, statuendo i seguenti principi di diritto:

– la designazione generica di “eredi” come beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita comporta l’acquisto di un diritto proprio all’indennizzo da parte di coloro che, alla morte del contraente, rivestano tale qualità in forza del titolo della astratta delazione indicata all’assicuratore per individuare i beneficiari della prestazione;

– la designazione in termini generici di “eredi” quali beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita, fatta salva un’espressa ed inequivoca volontà differente del contraente, non comporta una ripartizione secondo le quote della successione ereditaria, ma comporta che a ciascuno spettino quote uguali;

– e, infine, nel caso di premorienza di uno dei beneficiari al contraente, la prestazione (salva la revoca od una diversa disposizione del contraente stesso) spetta agli eredi del beneficiario premorto che subentrano nella quota che sarebbe spettata a costui. Dunque, la regola che implica l’identificazione degli eredi designati con coloro che abbiano tale qualità al momento della morte del contraente convive con la regola della trasmissibilità del diritto ai vantaggi dell’assicurazione in favore degli eredi del beneficiario premorto, quale conseguenza dell’acquisto già avvenuto in capo a quest’ultimo.

Alessandra Magnocavallo, Notaio in Brescia.

La contabilità dello studio notarile: i principi di cassa e competenza – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Lo studio notarile ha generalmente una contabilità esclusivamente finalizzata all’assolvimento degli obblighi fiscali, legato all’apertura della partita IVA.

I notai neo-nominati aderiscono solitamente a regimi forfetari che non prevedono il riconoscimento delle componenti negative di reddito, mentre al crescere della dimensione dello studio diventa obbligatoria la tenuta di una contabilità c.d. semplificata. In entrambi i casi si tratta di una contabilità retta dal principio di cassa.

I regimi forfetari prescindono del tutto dalla tenuta di una contabilità, quindi, il Notaio non ha di fatto nessuna contezza della sua situazione economica, che deve ricostruire altrimenti ad esempio esaminando il proprio estratto conto bancario o sommando magari in un foglio di calcolo gli importi delle fatture emesse o ricevute. Questo può costituire un grosso limite informativo che può precludere al Notaio significative opportunità di sviluppo e non tutelarlo adeguatamente dai rischi economico-finanziari dell’attività, dei quali potrebbe accorgersi troppo tardi.  

La contabilità tenuta per cassa ha un valore informativo sicuramente significativo, ma comunque ridotto rispetto ad una contabilità più completa, tenuta anche in base al principio di competenza.

Qual è la differenza? Attenendoci al principio di cassa le componenti attive di reddito, gli incassi, si manifestano quando il cliente paga la prestazione mentre le spese o pagamenti si registrano quando lo studio notarile paga i fornitori e i dipendenti.

Un primo indice di salute dello studio è dunque dato dalla differenza tra incassi e pagamenti, che dovrebbe essere in linea di principio sempre positiva, salvo deficit momentanei dovuti ai tardivi pagamenti da parte dei clienti o magari da ascrivere a investimenti fatti che non hanno ancora trovato contropartita negli incassi. Purtroppo, questa grandezza non coincide quasi mai con il saldo del conto bancario dello studio notarile, nel quale transitano infatti anche le anticipazioni che lo studio fa in nome e per conto del cliente, che dovrebbero costituire una partita di giro.

Guardare soltanto agli incassi e spese è importante per sollecitare i creditori ma in alcuni casi può far adagiare sugli allori lo studio notarile.

Applicando il solo principio di cassa, potremmo avere il caso limite del Notaio che stipula moltissimi atti ma che i clienti non pagano. In questo caso il Notaio sa di aver lavorato moltissimo ma non ha incassato ancora nulla. Se i crediti sono buoni potrebbe forse ottenere un anticipo bancario sulle fatture, ma gli converrà iniziare a sollecitare i pagamenti arretrati o dotarsi di un finanziamento ponte che lo sostenga fino all’arrivo degli incassi.  

Per contro, potremmo avere anche il caso limite opposto, quello del Notaio che non stipula nessun atto ma “vive di rendita” incassando semplicemente il corrispettivo degli atti stipulati nell’anno precedente. Guardando soltanto il livello degli incassi, il Notaio potrebbe sentirsi al sicuro mentre in realtà dovrebbe già preoccuparsi per il poco lavoro e attivarsi di conseguenza.

Nel sistema di contabilità semplificata non teniamo conto, ad esempio, dei debiti progressivamente maturati quali ad esempio per il TFR dei dipendenti, quindi, il Notaio potrebbe sovrastimare i risultati ottenuti e non accantonare quanto necessario, trovandosi in difficoltà al momento di pagare.

Nel caso si adotti anche il principio di competenza, la contabilità dello studio rileverà non solo incassi e pagamenti ma anche ricavi e costi. Lo studio può infatti scegliere di adottare la contabilità ordinaria c.d. a partite aperte, che permette di rilevare sia le grandezze necessarie al fisco che quelle utili alla gestione. Un ricavo maturerà generalmente alla conclusione del lavoro, cioè una volta stipulato l’atto ed eseguite le relative formalità, a prescindere dal pagamento o meno della prestazione che potrebbe essere anticipato o posticipato. Parimenti un costo maturerà non più al pagamento del fornitore ma anche prima, in quanto dovrà contrapporsi ai ricavi che ha contribuito a creare. In altre parole, i fornitori costituiranno un costo per lo studio anche se non saranno ancora stati pagati.

Poiché i Notai hanno in genere una formazione prettamente giuridica è utile una precisazione.  Attenzione che né il sistema di costi e ricavi, né quello di incassi e pagamenti fanno riferimento al momento in cui sorge l’obbligo giuridico del pagamento, di solito di natura contrattuale, momento che potrebbe essere ancora diverso sia da quelli della manifestazione economica che da quello della manifestazione finanziaria.

L’adozione di entrambi i sistemi di contabilità sia di cassa che di competenza è quella che assicura allo studio notarile il massimo patrimonio informativo possibile. Infatti, è indispensabile per l’indipendenza del Notaio che lo studio sia di regola in equilibrio sia finanziario che economico. In altre parole, è bene che gli incassi siano sempre maggiori o uguali dei pagamenti e che contemporaneamente i ricavi siano sempre maggiori o uguali dei costi. La differenza tra ricavi e costi prende il nome di reddito e più precisamente di utile o perdita a seconda se è positiva o negativa.

La differenza tra incassi e pagamenti prende il nome di surplus finanziario o guadagno quando è positiva mentre di deficit finanziario quando è negativa.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network.

Estinzione delle società a seguito delle operazioni di fusione e scissione – a cura Notaio Roberto Santarpia

Oggetto delle presenti riflessioni giuridiche è conseguenza di quanto espresso dalla sentenza della Cassazione a Sezioni Unite del 30 luglio 2021 num. 21970, in tema di estinzione delle società a seguito delle operazioni di fusione e scissione e conseguenti ricadute sulla attività notarile, lì dove asserisce che in seguito alla fusione (e scissione) “non si prospetta una mera vicenda modificativa, ricorrendo invece una vera e propria dissoluzione o estinzione giuridica, contestuale ad un fenomeno successorio.”

      Quindi al solo scopo di porre le basi del discorso al fine di dare una soluzione all’eventuale problema inerente alla applicabilità o meno della disciplina legale prevista in modo cogente ai trasferimenti immobiliari, nel caso di trasferimento di un complesso aziendale cui facciano parte anche immobili nel contesto di un procedimento di fusione e scissione di società, alla luce della detta sentenza della cassazione, vi è in primo luogo da precisare il principio di diritto che la detta Sentenza ha pronunciato -al fine come sempre di dirimere un conflitto giurisprudenziale relativo agli effetti della fusione e anche della scissione- asserendo che l’operazione di fusione estingue la società incorporata dando luogo a una successione universale “corrispondente alla successione mortis causa” della società incorporante nell’intero patrimonio dell’incorporata, con il risultato che la incorporante subentra in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi, sia sostanziali che processuali, di cui era parte detta società incorporata, superando ed abbandonando il precedente principio consistente nella mera vicenda evolutivo modificativa delle società partecipanti alla fusione che quindi si riteneva sopravvivere.

      Conseguenza dell’estinzione è che il procedimento giurisdizionale in corso continua con la società incorporante o addirittura può iniziare direttamente un procedimento la stessa società incorporante con riferimento al rapporto giuridico già instauratosi in capo alla società incorporata anteriormente alla fusione, e non più legittimando il primigenio ente (fuso) a essere chiamato in giudizio o esso a proporre l’introduzione di un giudizio.

      Analizzando poi sotto un punto di vista sostanziale, e seguendo la teoria classica dottrinaria, il fenomeno della successione universale, questa ha sempre significato il subentrare di un soggetto ad un altro in tutte le situazioni giuridiche attive e passive, nonostante il mutamento del soggetto; rilevante conseguenza è che la successione (universale) allora è una vicenda non estintiva di situazioni giuridiche bensì solo modificativa del profilo soggettivo di un rapporto giuridico. Poi vi è la classica partizione della successione “tra vivi” o “per causa di morte” e altresì tra successione “a titolo universale” e “a titolo particolare”; sicuramente nel caso della fusione non ci si trova in presenza di una successione a titolo particolare ma universale e bisogna vedere se apostrofarla come successione tra vivi o successione per causa di morte.  Aderendo alla dottrina prevalente e anche alla giurisprudenza, specialmente quella formatasi dopo la novella del 16 gennaio 1991 numero 22 e sino alla novella legislativa del 2003 num. 6,  la giurisprudenza sostanzialmente uniforme, aveva affermato che la fusione di due o più società realizzerebbe sempre una successione universale corrispondente a quella mortis causa (e non tra vivi), determinando l’estinzione delle società partecipanti o della incorporata nella fusione impropria, principio oggi ripreso dalla recente sentenza della Cass a sez. Unite che ha abbandonato infatti il concetto formatosi dopo la novella del 2003 che le società non si estinguessero.

    La Cassazione a Sezioni Unite 21970/2021 ha motivato la sua decisione relativa alla estinzione della società, oltre che sulla base di una interpretazione sistematica della normativa della fusione nell’ambito internazionale, con il rilievo che la nuova formulazione dell’art. 2504 bis del codice civile non è tale da far presumere che il legislatore del 2003 abbia innovato al previgente orientamento secondo il quale la fusione era classificata come un fenomeno estintivo -lì dove ha sostituito l’espressione “società estinte” con l’espressione “società partecipanti alla fusione” nel detto articolo 2504 bis c.c.- presumendosi -aggiunge- erroneamente che il legislatore aderisse all’orientamento del fenomeno fusione/scissione quale mera modificazione dei loro assetti societari adducendo quale argomento dirimente altresì che l’articolo 2495 comma 2 codice civile prevede, in seguito alla cancellazione della società dal registro delle imprese, un effetto estintivo che prima della riforma del  2003 derivava solo dalla cessazione di ogni rapporto giuridico facente capo alla società cancellata, estinzione che si verifica in tutti i casi in cui una società viene cancellata dal Registro delle Imprese a prescindere dal motivo che porta a detta cancellazione.

     Stante ciò si può ritenere che la normativa applicabile alla successione universale mortis causa sia applicabile per analogia, nei limiti di compatibilità, alla successione che avviene a seguito della estinzione della società fusa per incorporazione, addirittura potendosi avere anche in questo caso la successione nel possesso ai sensi del 1° comma dell’articolo 1146 cod. civ., cosa non  possibile avvenire nei trasferimenti inter vivos, anche se a titolo universale. La dottrina infatti distingue la successione dal trasferimento dando alla prima un’estensione maggiore: il trasferimento a titolo particolare può aversi solo nella posizione attiva mentre la successione permette il subentrare di un nuovo soggetto sia nel lato attivo che nel lato passivo e peraltro essa può prescindere da qualsiasi atto traslativo ed è questo il fulcro del discorso per poterci aiutare a risolvere il problema che stiamo affrontando e cioè l’applicabilità o meno della disciplina legale cogente inerente ai trasferimenti immobiliari.

     Infatti da tutto ciò non è legittimo inferire che quindi il trasferimento del compendio aziendale, magari includente anche beni immobili, della società cancellata incorporata o della società scissa trovi il proprio fondamento giuridico e giustificazione unicamente nell’estinzione della società e della conseguente successione universale poiché se è vero, come è vero, che nella scissione parziale la società scissa continua ad esistere eppure il suo patrimonio passa alla beneficiaria, ciò significa che la causa in senso giuridico che giustifica il trasferimento degli assets non è (solo) la successione universale conseguente alla estinzione (che qui non vi è) ma la nota funzione di riorganizzazione aziendale che connota l’istituto della fusione e scissione; se così è non può mutare il fondamento (della fusione e scissione) che giustifica il trasferimento del patrimonio a seconda che si attui o meno l’estinzione dell’ente, rimanendo detto fondamento sempre il riassetto organizzativo degli enti societari che partecipano all’operazione che sfocia, come sovente avviene nella scissione e sempre nella fusione, nell’estinzione dell’ ente societario che -si ribadisce- non è però il presupposto imprescindibile del trasferimento dei beni. Rimane quindi sempre valida la ricostruzione dottrinaria che il trasferimento degli assets aziendali (incluso gli immobili) sono una conseguenza indiretta e secondaria e non la funzione primaria della fusione e scissione. Peraltro i rapporti giuridici transitano tra le società fuse e conseguentemente le società si estinguono per cui la fusione è quindi causa della successione e non il suo effetto. In altre parole nella fusione e scissione abbiamo ad oggetto non un trasferimento immediato e diretto del patrimonio (anche immobiliare o i diritti reali parziari relativi) ma detto passaggio di patrimonio è invece la conseguenza secondaria di un negozio giuridico diverso avente quale proprio contenuto precipuo la volontà di procedere alla ristrutturazione dell’assetto organizzativo delle società partecipanti alla fusione o scissione. Corollario di ciò è quindi che il trasferimento dei beni trova giustificazione e fondamento nella ristrutturazione dell’assetto organizzativo e non già nella successione che è quindi un evento collaterale all’evento fusione o scissione che a volte neanche sussiste nella scissione impropria. Si può altresì considerare, a fortiori, che questa successione è analoga ad una successione a titolo universale mortis causa e giova quindi ricordare il brocardo di diritto romano “ubi eadem ratio ibi eadem iuris dispositio”.

       Stante quanto sopra non dovrebbe, come non deve, ricorrere l’applicabilità delle normative in tema di conformità catastale, in tema di conformità urbanistica e di certificazione energetica nel caso di trasferimento di beni immobili facenti parte dell’azienda gestita dalla società fusa e cancellata, in quanto queste normative sono sottese e giustificate solo da un passaggio di proprietà immediato e diretto, costituente il fondamento del negozio che produce questo trasferimento di proprietà, quindi a titolo particolare. Ciò risulta evidente anche dal lessico usato dal legislatore che non si riferisce mai ad una successione a titolo universale ma a un trasferimento a titolo particolare e “tra vivi” come si può rilevare dallo stesso dettato normativo degli articoli 46 del d.p.r. 380 del 2001 in tema di conformità urbanistica, dall’articolo 30 del medesimo d.p.r. con riferimento al trasferimento di un terreno, dall’articolo 29 comma 1-bis della legge 27 febbraio 1985 numero 52 in tema di conformità catastale e dall’art. 6 del d. lgs. 19 agosto 2005 n. 192 in tema di attestato di prestazione energetica.

Roberto Santarpia,  Notaio in Orzinuovi.

Lo studio notarile rimbalzante – a cura Dott. Michele D’Agnolo

E’ prima mattina, un cliente telefona allo studio notarile. Entra in funzione la segreteria telefonica, che lo invita a chiamare da lunedì a venerdì dalle 9 alle 13 o dalle 16 alle 19. Peccato che sia lunedì mattina e siano già le 9,10, ma nessuno risponde.

Il cliente non si perde d’animo. Ritenta alle 9,30 ma trova occupato. Ritenta nuovamente alle 9,50. Passa quasi indenne il selettore automatico che lo invita a scegliere se parlare con l’amministrazione, con il reparto successioni, con il reparto atti immobiliari, ecc…, oppure ad attendere per poter finalmente parlare con un essere umano. La segreteria però lo mette in attesa: i nostri operatori sono momentaneamente occupati, ma non riattacchi per non perdere la priorità acquisita…

Alle 10,30, rifatta per la quarta volta tutta la procedura, il cliente finalmente incrocia la voce di una persona che risponde con sufficienza: “Si? Per un mutuo? Guardi non deve parlare con me, ma con la mia collega dei mutui. Doveva premere il tasto 1, non il tasto 3. No, ora non riesco a passargliela, perché è impegnata col Notaio. Richiami cortesemente più tardi”.

Purtroppo, vi sono ancora studi notarili dove il cliente viene vissuto come un male necessario e si verificano, spesso all’insaputa del Notaio, comportamenti simili a quelli appena descritti.

Lo studio notarile “rimbalzante” non è solo lento, scortese ed inefficiente nell’accoglienza telefonica, ma tende ad esempio ad erogare col contagocce anche le informazioni necessarie al reperimento dei documenti per la stipula. Sovente, infatti, il personale dà per scontate determinate nozioni ed informazioni che per i clienti non lo sono affatto, ed è un vero peccato perché se in fase iniziale il cliente collabora efficacemente, l’atto si stipula prima e meglio.

Per trasformare lo studio notarile da “rimbalzante” a “reattivo” e poi a “proattivo” occorre agire sia sul versante organizzativo e formativo che su quello della comunicazione e dell’educazione del cliente.

Sotto il profilo organizzativo si potrà ad esempio partire eseguendo un’indagine di soddisfazione della clientela. È anche possibile valutare oggettivamente i carichi di telefonate in ingresso misurando con un apposito software collegato al centralino VOIP il numero, la collocazione temporale e la durata media delle stesse e di conseguenza dimensionare correttamente il numero di linee e lo staff di accoglienza, in base ai picchi periodici previsti. Inoltre, si potrà intervenire sul personale con apposita formazione in materia di comunicazione efficace e di corretta gestione del rapporto con il cliente. L’affiancamento di un coach potrà facilitare l’effettiva applicazione sul campo delle nozioni apprese. Si potranno perfino inviare di tanto in tanto, all’insaputa del personale, dei clienti fittizi che testino i comportamenti della struttura.

Sotto il profilo dell’educazione al cliente, oltre a fornire elenchi di documenti personalizzati ed eventuali approfondimenti esplicativi, si possono predisporre brevi supporti audiovisivi a carattere informativo/formativo da collocare ad esempio nel sito web dello studio che possono essere allegati mediante un link ad una email o ad un messaggio.

Lo studio proattivo aumenta la fedeltà dei clienti e la probabilità di ottenere da questi un passaparola positivo con altri potenziali contatti.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network.