Del rapporto tra lo studio notarile e le agenzie immobiliare – di Dott. Michele D’Agnolo

Le agenzie immobiliari sono uno dei soggetti con i quali più di frequente gli studi notarili si trovano ad avere a che fare.

Wikipedia definisce l’“agente immobiliare” come un operatore del mercato immobiliare che, alle dipendenze di un’agenzia immobiliare o in proprio, fornisce un servizio volto a favorire la conclusione di contratti di compravendita o di locazione immobiliare. L’attività di agente immobiliare in Italia non è libera, ma è soggetta a una serie di requisiti, previsti dalla legge n.39 del 1989 e successive modifiche nonché dal decreto legislativo n. 59 del 2010, attuato dal Decreto Ministeriale 26 ottobre 2011.

Il servizio che presta l’agente immobiliare è, in estrema sintesi, una prestazione di mediazione.

Sempre secondo Wikipedia, “durante la compravendita di un immobile l’agente ha il compito di fornire un’adeguata informazione sul valore del bene immobiliare e di pubblicizzare l’immobile, intermediando in modo imparziale tra acquirente e venditore e assistendo le parti in tutte le fasi” della compravendita (es. contrattazione del prezzo di compravendita tra le due parti): se la trattativa va in porto si procede con il cosiddetto contratto preliminare di acquisto (detto anche compromesso) prima di arrivare a un rogito finale. Con la stipula del preliminare, l’agenzia come controparte per il suo lavoro richiede una quota percentuale sul prezzo di vendita dell’immobile, di solito in parte dall’acquirente e in parte dal venditore, salvo il caso che l’agente abbia agito su mandato di una sola parte (agente con mandato a titolo oneroso).

L’agente immobiliare è quindi per definizione un classico interlocutore dello studio notarile, in quanto propizia le compravendite immobiliari.

La scelta del Notaio è per usi consolidati rimessa a parte acquirente. Molti clienti delle agenzie immobiliari non hanno ancora un loro notaio di fiducia, e pertanto la loro scelta viene spesso influenzata dall’agente che può suggerire l’uno o l’altro studio convogliando la clientela.

Spesso è direttamente l’agente immobiliare a prendere contatto con lo studio e a chiedere un preventivo per conto del proprio cliente. In questo senso si parla degli agenti immobiliari come segnalatori diretti per lo studio notarile.

Talvolta questa segnalazione deriva da un rapporto di fiducia consolidato con lo studio notarile mentre in altri casi l’agenzia mette in moto un meccanismo competitivo presentando il cliente a più studi, mettendolo in grado in questo modo di confrontare più preventivi differenti. La richiesta del preventivo da parte dell’agenzia anziché dal cliente privato può indurre gli studi notarili consultati ad applicare delle tariffe più vantaggiose proprio in nome del rapporto consolidato che hanno con questi intermediari o della consapevolezza che il preventivo sarà in gara con altri.

Anche dopo l’ottenimento dell’incarico, è fondamentale stabilire con l’agenzia un rapporto di collaborazione per ottimizzare la gestione della pratica notarile. E’ fondamentale che la comunicazione tra l’agenzia immobiliare e lo studio notarile sia completa, veloce e trasparente.

Vi sono infatti agenzie con addetti molto preparati professionalmente, ben organizzati e molto collaborativi ed altre realtà con addetti meno preparati, meno organizzati e meno collaborativi.

Sempre più spesso nelle agenzie soprattutto quelle che appartengono alle catene di franchising c’è una significativa rotazione dei procacciatori, che hanno contratti precari, con conseguente poca preparazione giuridica media e poca attenzione degli stessi alle problematiche notarili.

In alcuni casi l’agente è totalmente passivo e si limita alla presentazione delle parti, demandando allo studio notarile magari anche aspetti che non sarebbero di stretta competenza dello stesso.

Talvolta invece l’intermediario, pur di vendere minimizza o ignora alcune problematiche che però potrebbero rendere il rapporto contrattuale squilibrato nei confronti di qualcuna delle parti. Ad esempio, per agevolare la conclusione dell’affare l’agente potrebbe sorvolare sull’opportunità di adottare clausole penali a favore del venditore. In molti casi il Notaio ha il dovere di “rendersi antipatico” nei confronti dell’agenzia e del venditore sollevando la problematica. Aspetti che potrebbero essere evitati con una maggiore attenzione nelle fasi preliminari delle varie trattative.

Il comportamento dell’agente ha un impatto significativo per quanto riguarda la collazione dei documenti necessari alla stipula. Se un agente è affidabile, il notaio può fissare la data di stipula anche in assenza della documentazione completa, confidando nel fatto che l’agente provvederà puntualmente a reperire e inoltrare tempestivamente allo studio i documenti mancanti. Quando invece l’agenzia è poco proattiva, il rischio è di fissare una stipula che poi dovrà essere rinviata o peggio sospesa, con disagio delle parti e spreco per lo studio notarile.

L’agente immobiliare influenza i picchi di lavoro dello studio notarile creando degli affastellamenti assolutamente insensati in quanto nei preliminari dei suoi clienti fissa sempre le scadenze dei rogiti a fine mese. Questa circostanza naturalmente può rallentare l’esecuzione degli adempimenti e creare disagio operativo allo studio, costringendolo in alcuni casi ad un sovradimensionamento per fronteggiare le alte maree mensili di atti.

Un altro comportamento delle agenzie che può mettere in difficoltà lo studio notarile è quello dell’agente geloso del rapporto con i clienti.

Ci sono casi in cui lo studio notarile non ha i recapiti delle parti fino alla stipula.

Non è detto che di per sé l’intermediario geloso sia un problema per il Notaio. Tutto funziona se è anche ben organizzato e quindi veicola in modo efficace ed efficiente le richieste dello studio notarile alle parti e le risposte delle stesse. Più frequentemente, tuttavia, si annoverano fenomeni come il telefono senza fili, dove la consultazione delle parti per relata refero distorce la comunicazione e naturalmente i passaggi aggiuntivi ove non tempestivamente gestiti prolungano l’attesa dei clienti rispetto alla stipula.

Naturalmente lo studio notarile può gestire in maniera proattiva i picchi di lavoro convincendo le agenzie a scrivere date diverse nei loro preliminari e a dischiudere i dati delle parti impegnandosi a mantenere l’agente informato in caso di necessità di comunicazioni dirette tra lo studio e i clienti.

Lo studio può anche stabilire accordi volti alla formazione periodica degli addetti delle agenzie in modo da fidelizzare le stesse e da avere a disposizione degli interlocutori più attenti e preparati.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ

Cassazione n. 34858 del 13.12.2023 e n. 722 del 9.1.2024 – di Notaio Barbara Bosso de Cardona

Massima Cass. n. 34858/2023

Per stabilire se una determinata pattuizione ricada sotto la comminatoria di nullità di cui all’art. 458 c.c. occorre accertare:

1) se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta;

2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbano comunque essere compresi nella stessa;

3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, così dello jus poenitendi;

4) se l’acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa;

5) se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, debba aver luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato.

Massima Cass. n. 722/2024

L’impegno assunto da fratelli, d’intesa con i genitori, di procedere a forme di conguaglio o compensazione per la differenza di valore dei beni loro donati in vita dai genitori non viola il divieto di patti successori, in quanto non viene ad investire i diritti spettanti sulla futura successione mortis causa del genitore ed anzi non trova in quest’ultima il presupposto causale, si deve concludere che la decisione della Corte territoriale ha erroneamente ritenuto di ravvisare, in simile pattuizione, una ipotesi di violazione del disposto di cui all’art. 458 c.c.

Testo Cass. n. 722/2024

1. Con sentenza in data 28 giugno 2018 la Corte d’appello di Milano, nella regolare costituzione delle appellate ADA, MARGHERITA e MARIA LAURA SIRONI, ha accolto l’appello proposto da PIETRO SIRONI avverso la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio n. 855/2017 e, in riforma della medesima, ha: − accertato e dichiarato la nullità sia della scrittura privata datata 15 novembre 2008 sia dell’atto pubblico del 18 dicembre 2008; − conseguentemente condannato ADA, MARGHERITA e MARIA LAURA SIRONI alla restituzione in favore dell’appellante delle quote della società Sirim s.r.l. a ciascuna appellata attribuite tramite il citato atto pubblico del 18 dicembre 2008; − compensato nella misura del 50% le spese del doppio grado di giudizio, gravando ADA, MARGHERITA e MARIA LAURA SIRONI del residuo 50%. 2. PIETRO SIRONI aveva adito il Tribunale di Busto Arsizio con citazione in data 30 gennaio 2014, chiedendo revocarsi ex art. 803 c.c. la donazione di quote della società Sirim s.r.l. che il medesimo attore aveva disposto a favore delle sorelle ADA, MARGHERITA e MARIA LAURA SIRONI con atto del 18 dicembre 2008. Si erano costituite ADA, MARGHERITA e MARIA LAURA SIRONI eccependo che l’atto, formalmente intestato come donazione, Corte di Cassazione – copia non ufficiale Sez. S2 – R.G. 21373/2018 – CC 30/11/2023 – Pagina nr. 3 di 16 costituiva, in realtà, esecuzione di una intesa formalizzata con scrittura privata datata 15 novembre 2008, con la quale i genitori delle parti in causa avevano inteso definire, assieme ai figli, l’assetto della divisione dei propri beni tra i figli medesimi. Avevano quindi dedotto le convenute che detta scrittura – sottoscritta da tutti i membri della famiglia – contemplava, tra l’altro, l’impegno di PIETRO SIRONI a cedere alle sorelle le quote della Sirim s.r.l. di cui era titolare, al fine di riequilibrare precedenti attribuzioni dei genitori al medesimo PIETRO SIRONI. Avevano, pertanto, argomentato le convenute che la donazione di cui l’attore chiedeva la revocazione veniva in realtà a dissimulare un negozio con funzione solutoria, in adempimento dell’impegno precedentemente assunto dall’attore, appunto, con la citata scrittura privata. A tale deduzione – secondo la ricostruzione offerta dalla decisione impugnata – l’attore aveva replicato in memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c., deducendo la nullità della scrittura privata datata in quanto conclusa in violazione del divieto di patti successori di cui all’art. 458 c.c. 3. Il Tribunale di Busto Arsizio aveva definito il giudizio respingendo la domanda di PIETRO SIRONI. Il Tribunale – sempre secondo la ricostruzione offerta dalla decisione impugnata – aveva infatti escluso la sussistenza dei presupposti per poter qualificare l’atto pubblico del 18 dicembre 2008 come donazione, e ciò: − sia perché risultava radicalmente assente in capo al disponente lo spirito di liberalità, risultando che l’attore medesimo aveva operato in esecuzione della scrittura privata datata 15 novembre 2008; Corte di Cassazione – copia non ufficiale Sez. S2 – R.G. 21373/2018 – CC 30/11/2023 – Pagina nr. 4 di 16 − sia perché era mancato un effettivo depauperamento dell’attore, essendo emerso che, pur essendo le quote formalmente intestate a PIETRO SIRONI, l’attribuzione patrimoniale proveniva concretamente dai genitori delle parti ed aveva la finalità di riequilibrare precedenti attribuzioni fatte al medesimo PIETRO SIRONI dai genitori. Il Tribunale, quindi, aveva concluso che l’atto pubblico di donazione del 18 dicembre 2008 veniva a dissimulare un negozio meramente solutorio, in esecuzione della scrittura privata datata 15 novembre 2008, ed aveva escluso– sul piano processuale – che assumesse rilevanza la mancata formulazione di una domanda di accertamento della simulazione da parte delle convenute, essendo sufficiente la formulazione dell’eccezione riconvenzionale. 4. Proposto appello da parte di PIETRO SIRONI e costituitesi regolarmente ADA, MARGHERITA e MARIA LAURA SIRONI, la Corte d’appello di Milano, nell’accogliere il gravame, ha osservato che: − correttamente il giudice di prime cure aveva negato all’atto pubblico del 18 dicembre 2008 la natura di donazione, data l’assenza dei due presupposti individuati dall’art. 769 c.c., ed altrettanto correttamente il Tribunale aveva concluso che detto atto pubblico veniva a collegarsi funzionalmente alla scrittura privata datata 15 novembre 2008 e perseguiva lo scopo di realizzare un progetto divisionale del patrimonio dei genitori; − il giudice di prime cure, tuttavia, aveva proceduto ad una errata interpretazione della scrittura privata datata 15 novembre 2008, in quanto quest’ultima veniva ad integrare un patto successorio, avendo le parti stipulato l’intesa in qualità di aventi diritto alla successione – non ancora aperta Corte di Cassazione – copia non ufficiale Sez. S2 – R.G. 21373/2018 – CC 30/11/2023 – Pagina nr. 5 di 16 – dei genitori e risultando che la comune intenzione delle parti medesime era quella di riequilibrare le rispettive situazioni patrimoniali nell’ottica della futura successione dei genitori rinunciando altresì al diritto di contestare in futuro le donazioni effettuate dai genitori medesimi quali anticipazioni dell’eredità; − a tal fine non assumeva rilevanza il fatto che quanto trasferito con l’atto pubblico del 18 dicembre 2008 fosse intestato a PIETRO SIRONI, trattandosi di beni che facevano parte di quanto donato dai genitori al medesimo PIETRO SIRONI, e quindi di beni che concorrevano a formare il patrimonio ereditario ed erano conseguentemente assoggettati a collazione; − la nullità della scrittura privata datata 15 novembre 2008 per violazione del divieto di patti successori veniva a riflettersi anche sul successivo atto pubblico del 18 dicembre 2008, il quale veniva a consistere in un atto solutorio privo di causa meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. e, ulteriormente, nullo perché posto in essere in frode alla legge ex art. 1344 c.c., essendo finalizzato a realizzare uno scopo illecito; − detta nullità poteva essere rilevata d’ufficio anche in grado d’appello – essendo stata peraltro sollevata la questione dall’appellante già nel giudizio di primo grado, nonostante la mancata formulazione delle conclusioni nell’atto introduttivo di tale giudizio – in quanto la domanda originariamente formulata presupponeva la validità dell’atto pubblico del 18 dicembre 2008, il quale, conseguentemente, si poneva come Corte di Cassazione – copia non ufficiale Sez. S2 – R.G. 21373/2018 – CC 30/11/2023 – Pagina nr. 6 di 16 elemento costitutivo della domanda su cui il giudice poteva pronunciarsi anche d’ufficio. 5. Per la cassazione della decisione della Corte d’appello di Milano ricorrono ADA, MARGHERITA e MARIA LAURA SIRONI. Resiste con controricorso PIETRO SIRONI. 6. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c. Le parti hanno entrambe depositato memoria. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è affidato a sette motivi. 2.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità “della sentenza e/o del procedimento” per violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. “per avere la Corte d’Appello di Milano erroneamente dichiarato la nullità della Scrittura Privata del 15 novembre 2008 e dell’Atto Pubblico del 18 dicembre 2008, non potendo né accogliere una domanda nuova di dichiarazione della nullità, né dichiarare d’ufficio detta nullità, né accogliere “per l’effetto” la domanda di ripetizione dell’indebito”. Il ricorso censura la decisione impugnata, per avere la stessa dichiarato la nullità sia della scrittura privata datata 15 novembre 2008 sia dell’atto pubblico del 18 dicembre 2008, sebbene l’odierno controricorrente avesse formulato la relativa domanda solo nel giudizio di appello. Argomentano, pertanto, le ricorrenti che la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile la relativa domanda mentre la Corte territoriale, statuendo sul merito di essa, sarebbe incorsa nella violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. Corte di Cassazione – copia non ufficiale Sez. S2 – R.G. 21373/2018 – CC 30/11/2023 – Pagina nr. 7 di 16 2.2. Con il secondo motivo, formulato in caso di mancato accoglimento del primo, il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità “della Sentenza e/o del procedimento”, per violazione degli artt. 101, primo comma, 102 e 354 c.p.c. e 111 Cost., “per avere la Corte d’Appello di Milano accertato e dichiarato la nullità della Scrittura Privata del 15 novembre 2008 e dell’Atto Pubblico del 18 dicembre 2008, all’esito di un processo svoltosi a contraddittorio non integro, non essendo state parti di esso, quali contraddittori necessari, tutti i soggetti che hanno stipulato tali atti”. Argomenta, in particolare, il ricorso che la declaratoria di nullità della scrittura privata datata 15 novembre 2008 e dell’atto pubblico del 18 dicembre 2008 è stata assunta senza che nel contraddittorio processuale fossero stati coinvolti tutti i soggetti che avevano concluso tali atti e che era, quindi, litisconsorti necessari rispetto alla domanda di accertamento della nullità. 2.3. Il primo motivo è fondato. Questa Corte ha costantemente affermato (a far tempo da Cass. Sez. U, Sentenza n. 26243 del 12/12/2014 e con le successive Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 10233 del 18/04/2023; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 28377 del 29/09/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 26495 del 17/10/2019; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 22457 del 09/09/2019; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 22678 del 27/09/2017; Cass. Sez. U – Sentenza n. 7294 del 22/03/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5249 del 16/03/2016) il principio a mente del quale la regola, affermata da Cass. Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014, della rilevabilità d’ufficio delle nullità negoziali da parte del giudice nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni dev’essere coordinata con il principio della domanda di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c., con la conseguenza che il giudice se, da un lato, può sempre rilevare la nullità negoziale anche Corte di Cassazione – copia non ufficiale Sez. S2 – R.G. 21373/2018 – CC 30/11/2023 – Pagina nr. 8 di 16 in grado di appello, trattandosi di eccezione in senso lato in funzione del rigetto della domanda riconducibile al disposto di cui all’art. 345, secondo comma, c.p.c., salvo il caso in cui sulla validità si sia già formato il giudicato, dall’altro lato, non può dichiarare detta nullità allorquando la relativa domanda della parte sia stata formulata solamente nel grado di appello, a ciò ostando il divieto fissato dall’art. 345, primo comma, c.p.c., e deve, semmai, convertire detta domanda, esaminandola nel merito, come eccezione di nullità legittimamente formulata dall’appellante ai sensi del citato art. 345, secondo comma, c.p.c. Nel caso in esame, si deve rilevare – anche in virtù dell’esame diretto degli atti nell’esercizio dei poteri di giudice del fatto processuale, essendo dedotto un error in procedendo (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20716 del 13/08/2018; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 6014 del 13/03/2018; Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 25259 del 25/10/2017) – che l’odierno controricorrente è venuto a formulare la domanda di accertamento della nullità sia della scrittura privata del 15 novembre 2008 sia dell’atto pubblico del 18 dicembre 2008 unicamente nel proprio atto di appello, laddove nel giudizio di prime cure si era limitato, in memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c. a dedurre tale nullità meramente ope exceptionis. Deduzione, peraltro, svolta con l’anodina formula “accertata e dichiarata la nullità/invalidità/inesistenza della privata scrittura sottoscritta il 15/11/2008”, riferita unicamente alla scrittura privata del 15 novembre 2008 – insistendosi invece a chiedere la revocazione della donazione ex art. 803 c.c. – e radicalmente inidonea a costituire formulazione di una vera e propria domanda di accertamento della nullità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale Sez. S2 – R.G. 21373/2018 – CC 30/11/2023 – Pagina nr. 9 di 16 Si deve, pertanto, concludere che la Corte d’appello di Milano, nel dichiarare la nullità sia della scrittura privata del 15 novembre 2008 sia dell’atto pubblico del 18 dicembre 2008, senza invece limitarsi a convertire la domanda in mera eccezione, esaminandola sotto tale profilo, si è posta in contrasto con il principio poc’anzi enunciato ed è venuta a statuire su una domanda che risultava inammissibile per violazione dell’art. 345, primo comma, c.c. Da ciò deriva l’accoglimento del primo motivo e l’assorbimento del secondo, formulato in via subordinata. 3.1. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità “della Sentenza e/o del procedimento”, per violazione dell’art. 112 c.p.c. “per avere la Corte d’Appello di Milano omesso di statuire in merito all’eccezione/ domanda di inammissibilità formulata dalle signore Sironi per violazione del divieto di venire contra factum proprium”. Le ricorrenti vengono a dolersi del fatto che la Corte territoriale non abbia valutato l’eccezione con la quale veniva argomentata l’assoluta contraddittorietà tra la domanda inizialmente formulata dal controricorrente e le successive deduzioni che hanno investito il tema della validità della scrittura privata datata 15 novembre 2008 e dell’atto pubblico del 18 dicembre 2008. 3.2. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti “per avere la Corte d’Appello di Milano omesso di esaminare il comportamento processuale del Sig. Pietro Sironi, tenuto ln violazione del divieto di venire contra factum proprium”. 3.3. I due motivi sono infondati. Corte di Cassazione – copia non ufficiale Sez. S2 – R.G. 21373/2018 – CC 30/11/2023 – Pagina nr. 10 di 16 Da un lato, infatti, occorre rammentare che la modificazione della domanda risulta ammessa ex art. 183 c.p.c. a condizione che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 12310 del 15/06/2015), da ciò derivando la piena legittimità della modifica della linea difensiva, ove operata nel rispetto delle preclusioni di legge, senza che nella stessa possa ravvisarsi una forma di abuso delle facoltà processuali. Dall’altro lato va richiamato il consolidato orientamento di questa Corte, a mente del quale il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 10422 del 15/04/2019; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 25154 del 11/10/2018; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 1876 del 25/01/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22083 del 26/09/2013). 4.1. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità “della Sentenza e/o del procedimento”, per violazione degli artt. 101, secondo comma, e 112 c.p.c. nonché 24 e 111 Cost. “per avere la Corte d’ Appello di Milano rilevato d’ufficio la questione della nullità dell’Atto Pubblico del 18 dicembre 2008 perché redatto in frode alla legge, ai sensi dell’art. 1344 cod. civ., ossia per realizzare un progetto divisionale del patrimonio ereditario, senza sottoporre alle parti la relativa questione (c.d. sentenza a sorpresa o della terza via)”. 4.2. Il motivo è infondato Se, come osservato in sede di esame del primo motivo di ricorso, la domanda di accertamento della nullità formulata solo in appello Corte di Cassazione – copia non ufficiale Sez. S2 – R.G. 21373/2018 – CC 30/11/2023 – Pagina nr. 11 di 16 dall’odierno controricorrente era da ritenersi nuova, e quindi inammissibile, è tuttavia vero che, alla luce degli stessi principi richiamati poc’anzi, ben poteva la Corte territoriale esaminare tale profilo nella forma della mera eccezione di nullità, essendo stato il profilo medesimo ormai dedotto in giudizio da una delle parti, senza che tale esame si traducesse in un rilievo di ufficio e senza, quindi, che occorresse provocare un contraddittorio che, a seguito della formulazione della domanda, si era già venuto a creare. 5.1. Con il sesto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 458, 1322, 1362 c.c. “per aver la Corte di Appello dl Milano erroneamente ritenuto che la Scrittura Privata 15 novembre 2008 costituisse un parto successorio dispositivo e abdicativo nullo”. Il ricorso censura la decisione impugnata, nella parte in cui quest’ultima ha ritenuto che la scrittura privata datata 15 novembre 2008 venisse ad integrare un patto successorio, argomentando che: − la Corte territoriale avrebbe attribuito alla decisione di primo grado conclusioni che invece in quest’ultima non sono formulate, avendo il Tribunale di Busto Arsizio unicamente affermato che l’intesa in questione mirava a riequilibrare le posizioni dei contraenti ed a realizzare un progetto divisionale del patrimonio ereditario; − l’interpretazione cui è pervenuta la Corte d’appello si porrebbe in contrasto con l’art. 1362 c.c. e non terrebbe conto della natura eccezionale dell’art. 458 c.c. quale limite all’autonomia privata. 5.2. Con il settimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 1344 c.c. “per Corte di Cassazione – copia non ufficiale Sez. S2 – R.G. 21373/2018 – CC 30/11/2023 – Pagina nr. 12 di 16 avere la Corte d’Appello di Milano erroneamente ritenuto che l’Atto Pubblico del 18 dicembre costituisse un contratto in frode alla legge”. Il ricorso censura la decisione impugnata, nella parte in cui quest’ultima ha ritenuto che l’atto pubblico del 18 dicembre 2008 costituisse contratto in frode alla legge in quanto finalizzato ad eludere il disposto di cui all’art. 458 c.c., argomentando che: − sia la scrittura privata datata 15 novembre 2008 sia il menzionato atto pubblico del 18 dicembre 2008 concernevano beni che erano già nella titolarità del controricorrente e quindi non potevano integrare una violazione dell’art. 458 c.c.; − la Corte d’appello avrebbe erroneamente attribuito al contenuto della scrittura privata datata 15 novembre 2008 una finalità abdicativa rispetto ai diritti derivanti ai legittimari dall’apertura della successione, senza che invece una simile volontà emergesse in modo univoco dalla scrittura medesima. 5.3. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente. Il sesto motivo è fondato. Questa Corte ha, anche recentemente, chiarito che, per stabilire se una determinata pattuizione ricada sotto la comminatoria di nullità di cui all’art. 458 c.c. occorre accertare: 1) se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbano comunque essere compresi nella stessa; 3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, così dello jus poenitendi; 4) se l’acquirente abbia Corte di Cassazione – copia non ufficiale Sez. S2 – R.G. 21373/2018 – CC 30/11/2023 – Pagina nr. 13 di 16 contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, debba aver luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 14110 del 24/05/2021; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1683 del 16/02/1995). Ulteriormente, questa Corte ha chiarito che, in tema di patti successori, l’atto mortis causa, rilevante gli effetti di cui all’art. 458 c.c., è esclusivamente quello nel quale la morte incide non già sul profilo effettuale (ben potendo il decesso di uno dei contraenti fungere da termine o da condizione), ma sul piano causale, essendo diretto a disciplinare rapporti e situazioni che vengono a formarsi in via originaria con la morte del soggetto o che dalla sua morte traggono comunque una loro autonoma qualificazione, sicché la morte deve incidere sia sull’oggetto della disposizione sia sul soggetto che ne beneficia: in relazione al primo profilo l’attribuzione deve concernere l’id quod superest, ed in relazione al secondo deve beneficiare un soggetto solo in quanto reputato ancora esistente al momento dell’apertura della successione (Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 18198 del 02/09/2020). Occorre poi rammentare che, in fattispecie affine a quella oggetto del presente ricorso, questa Corte ha ritenuto che l’assunzione tra fratelli dell’obbligo di conguaglio per la differenza di valore dei beni loro donati in vita dal genitore non violi il divieto di patti successori, non concernendo i diritti spettanti sulla futura successione mortis causa del genitore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24291 del 27/11/2015). Di tali principi, pur in parte richiamati nella decisione impugnata, la Corte d’appello di Milano, nell’affermare il contrasto della scrittura del 15 novembre 2008 con il disposto di cui all’art. 458 c.c., non risulta avere fatto buon governo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale Sez. S2 – R.G. 21373/2018 – CC 30/11/2023 – Pagina nr. 14 di 16 La Corte territoriale, invero, ha ritenuto di ricondurre la scrittura in questione all’ambito dei patti successori sulla scorta della considerazione che le pattuizioni contenute nella scrittura medesima miravano ad operare un riequilibrio tra le posizioni patrimoniali di figli dopo che solo alcuni di essi avevano ricevuto donazioni – peraltro non ben inquadrate nella decisione stessa – da parte dei genitori, concludendo che con tale riequilibrio si era mirato ad operare una ripartizione anticipata delle quote ereditarie tra i futuri aventi diritto alla successione, rinunciando a muovere contestazioni su eventuali lesioni della quota di legittima a ciascun erede spettante. È agevole notare, tuttavia, che, in tal modo, la Corte territoriale ha omesso di verificare la presenza di almeno due dei presupposti individuati da questa Corte ai fini dell’applicazione dell’’art. 458 c.c., e cioè, da un lato, se i promittenti – e cioè i genitori delle odierne parti – avessero inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, così dello jus poenitendi e, dall’altro lato, se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, avesse luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato, dovendosi osservare, anzi, che la stessa scrittura, pur riconducendo ai genitori – e non all’odierno controricorrente, formale titolare – il promesso trasferimento delle quote della società, veniva a qualificare lo stesso come donazione e non come attribuzione mortis causa. Le conclusioni cui la Corte territoriale è pervenuta risultano, poi, ancora più fragili ove si consideri che la stessa – senza alcuna valutazione del patrimonio complessivo dei genitori disponenti – ha postulato apoditticamente sia che l’intesa in questione venisse in sostanza ad investire i due futuri assi ereditari dei genitori nel loro complesso sia che le attribuzioni convenute nella scrittura fossero Corte di Cassazione – copia non ufficiale Sez. S2 – R.G. 21373/2018 – CC 30/11/2023 – Pagina nr. 15 di 16 finalizzare ad evitare future contestazioni in tema di lesione di legittima. In alcun modo, invece, la Corte territoriale ha verificato se le attribuzioni contemplate nella scrittura mirassero più semplicemente ad operare un riequilibrio delle posizioni patrimoniali unicamente in considerazione delle donazioni già conseguite da alcuni dei figli, e senza in alcun modo inserire funzionalmente tale riequilibrio nell’ambito della futura successione di ciascuno dei genitori, profilo, quest’ultimo, che anzi non appare in alcun modo desumibile in modo inequivoco dal tenore della scrittura stessa. Vi è da dire, ulteriormente, che da quest’ultima non emerge neppure una volontà abdicativa dei paciscenti in ordine all’assetto delle future successioni, atteso che le espressioni impiegate nella scrittura – ritenute invece pregnanti dalla decisione impugnata – non presentano alcun univoco riferimento alle successioni medesime (considerato, come già fece la citata Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24291 del 27/11/2015, “che, ai fini della determinazione della porzione disponibile e delle quote riservate ai legittimari, occorre avere riguardo alla massa costituita da tutti i beni che appartenevano al “de cuius” al momento della morte – al netto dei debiti – maggiorata del valore dei beni donati in vita dal defunto; pertanto, siffatta lesione intanto può configurarsi in quanto sia verificata con riferimento alla consistenza del patrimonio al momento della morte del de cuius, momento fino al quale esso può incrementarsi per successivi acquisti”) ed anzi, proprio sulla scorta del tenore letterale della scrittura, appaiono riferibili, non agli assetti delle future successioni, bensì alle “situazioni patrimoniali pregresse”, per usare proprio una locuzione contenuta nella scrittura medesima. Corte di Cassazione – copia non ufficiale Sez. S2 – R.G. 21373/2018 – CC 30/11/2023 – Pagina nr. 16 di 16 Ribadito, allora, il principio per cui l’impegno assunto da fratelli, d’intesa con i genitori, di procedere a forme di conguaglio o compensazione per la differenza di valore dei beni loro donati in vita dai genitori non viola il divieto di patti successori, in quanto non viene ad investire i diritti spettanti sulla futura successione mortis causa del genitore ed anzi non trova in quest’ultima il presupposto causale, si deve concludere che la decisione della Corte territoriale ha erroneamente ritenuto di ravvisare, in simile pattuizione, una ipotesi di violazione del disposto di cui all’art. 458 c.c. Da ciò deriva l’accoglimento del sesto motivo, il quale comporta l’assorbimento del settimo. 6. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto in relazione al primo ed al sesto motivo e la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, la quale si conformerà ai principi qui enunciati, provvedendo altresì a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità. P. Q. M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione. Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 30 novembre.

Barbara Bosso de Cardona,  Notaio.

La continuità aziendale e la successione dell’imprenditore, strumenti di pianificazione. – a cura Notaio Federica Croce

Il problema

Il passaggio generazionale è un momento delicato della pianificazione successoria dell’imprenditore, non solo dal punto di vista patrimoniale e giuridico ma anche a causa delle differenze di vedute tra imprenditore e suoi successori. L’impresa è un bene costituzionalmente tutelato ( art.41 cost.) ed in Italia i “Family Business Group”, imprese controllate almeno per il 51% da una o più persone legate da parentela e le imprese familiari, rappresentano il 90% del tessuto imprenditoriale.

Il problema non quindi esclusivamente tecnico bensì di condivisione di valori e scelte che garantiscano il futuro dei beni produttivi, pertanto va affrontato come un processo da gestire insieme, non come un evento da subire. Per questo motivo tale fase richiede una pianificazione accurata che garantisca continuità ed efficienza a lungo termine.

In questo contesto, a distanza di 18 anni dall’entrata in vigore della Legge n.55 del 14 febbraio 2006 che ha introdotto sette nuove disposizioni artt.768bis e ss. relative al “patto di famiglia” ci si chiede se effettivamente tale strumento ha offerto soluzioni efficienti; in particolare occorre valutare se il patto di famiglia, nei suoi profili applicativi ha consentito una effettiva pianificazione a tutela del patrimonio produttivo e dei rapporti famigliari nel passaggio generazionale delle imprese ed in quale rapporto si pone con altre fattispecie, come la “scissione con scorporo” di cui all’art. 2506.1 cc. e l’aumento di capitale gratuito con offerta a terzi nella gestione della transizione in modo giuridicamente e fiscalmente sostenibile.

Soluzioni e spunti critici

Il patto di famiglia è un contratto che ha come causa la trasmissione dell’azienda o delle partecipazioni “di controllo” di una società, vivente il “titolare/imprenditore”,  a favore di uno o più discendenti: detto contratto va sottoscritto da tutti coloro che alla data del patto siano qualificabili ai sensi dell’art.536 cc. come legittimari (è escluso dai partecipanti il coniuge separato con addebito, il coniuge divorziato e si ritiene ammissibile la clausola che preveda che in caso di divorzio le attribuzioni vadano restituite, nonché il convivente more uxorio).

È una forma di devoluzione patrimoniale che si aggiunge al testamento e consente di ovviare non solo al problema della valutazione dell’avviamento “soggettivo”/”oggettivo” al momento della morte, ma anche a quello di stabilizzare le scelte a livello successorio poichè disinnesca le “armi” della collazione (art.737 cc.)  e della possibile azione di riduzione (art.554 cc.)  nei confronti degli assegnatari; di fatto il patto di famiglia è un atto inter vivos che dispiega i suoi effetti anche sulla successione cristallizzando il diritti dei legittimari. Il patto di famiglia ha però requisiti specifici e pertanto produce gli effetti previsti dall’art.768 quater comma 3 solo ove siano rispettate le condizioni dettate dai commi 1 e 2 del medesimo articolo.

Una difficoltà applicativa è emersa da subito e discende dal fatto che uno dei requisiti essenziali della fattispecie è la nascita, a carico dell’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni di controllo della società oggetto del patto che può essere unicamente un discendente, di un obbligo di liquidare gli altri “legittimari non assegnatari” con una somma di denaro pari al valore ad essi spettante a titolo di legittima. Il “discendente/assegnatario” spesso non ha tali disponibilità economiche né beni con cui adempiere in natura, e ciò nella prassi costringe l’imprenditore a sopperire a tale mancanza disponendo egli stesso direttamente a favore dei “legittimari non assegnatari”. In genere lo schema utilizzato è quello dell’adempimento dell’obbligazione del terzo ex art.1180 cc. e ciò sposta il baricentro del contratto con conseguenze sul piano giuridico e fiscale.

Le prime pronunzie giurisprudenziali sul tema hanno, di fatto, evidenziato le difficoltà interpretative relative ai profili fiscali che discendono dai limiti strutturali sopra evidenziati, e specificamente hanno reso difficile rispettare la causa contrattuale prevista dal codice (circ. Ag. Ent. 22 gen. 2008/3/E; Cass.6062 del 28 febbraio 2023) arrivando fino a riqualificare l’attribuzione tra assegnatario e “legittimario non assegnatario” alla stregua di una donazione ( ordinanza n.32873 del 19 dicembre 2018) ritenendo il Supremo collegio che l’esenzione dall’imposta di cui all’art. 3 comma 4-ter D.lgs. 346/90 si applichi al patto di famiglia solo con riguardo al trasferimento dell’azienda e delle partecipazioni in favore del discendente beneficiario e non alle liquidazioni operate da quest’ultimo in favore degli altri legittimari. (sentenza n.29506 del 24 dicembre 2020). Stante quanto sopra evidenziato, si mostra nella pratica quotidiana dei nostri studi che non sempre la pianificazione può essere realizzata attraverso il Patto di Famiglia, in ragione dei limiti soggettivi ed oggettivi dettati dalle norme che ne presiedono la disciplina.

Quali alternative?

L’art. 51, comma 3, D. Lgs. 2 marzo 2023, n. 19 ha introdotto nel nostro codice civile l’art. 2506.1 che disciplina la “scissione mediante scorporo”, fattispecie che consente l’assegnazione di una parte del patrimonio di una società a favore di una o più società di nuova costituzione.

A differenza della scissione non proporzionale ordinaria, strumento già noto al giurista italiano, la nuova tipologia descrive un’operazione che non ha come effetto la diminuzione del patrimonio della scissa poiché il valore assegnato alla beneficiaria viene sostituito nel suo patrimonio dalla titolarità della partecipazione della newco a favore della quale si è attuato lo scorporo. Secondo la definizione dei primi commentatori si può parlare di “mera riallocazione di risorse”, con un risultato simile ad un conferimento, a seguito della quale la scissa continua la propria attività, dovendosi intendere la locuzione che chiude il primo comma dell’art.2506.1 cc come preclusiva di una scissione totale.  Quanto alla procedura ed ai requisiti, detta fattispecie è una scissione “semplificata” come  espressamente previsto dal comma III dell’art. 2506-ter c.c., ove dopo le parole “diversi da quello proporzionale”, la norma recita “o quando la scissione avviene mediante scorporo”.  Si osserva, inoltre, che è stato introdotto nell’art. 2506-ter c.c. un comma VI che esclude che spetti ai soci che non concorrono alla delibera di approvazione dell’operazione di scissione in parola, il diritto di recesso di cui agli articoli 2473 e 2502 cc..  Qualche dubbio sul tema del recesso potrebbe suscitare il caso in cui la delibera che approva la scissione porti un sostanziale cambiamento dell’oggetto della società scissa.

Dal punto di vista fiscale, a detta operazione si applicano le ordinarie imposte previste per le delibere societarie e per l’atto conclusivo della scissione. Il profilo fiscale può assumere una rilevanza decisiva ove si osservi che, spesso, il patrimonio delle famiglie imprenditoriali è detenuto da società e può comprendere più rami d’azienda, anche eterogenei, che coinvolgono a diverso titolo tutti o solo alcuni dei discendenti dell’imprenditore.  In tale ottica la scissione, in modo più efficiente rispetto al patto di famiglia, potrebbe essere funzionale alla creazione, mediante scorporo di una parte degli assets della società detenuta dall’imprenditore, di una società beneficiaria avente ad oggetto l’attività di holding i cui soci potrebbero essere tutti o alcuni dei legittimari dell’imprenditore coniuge e convivente more uxorio inclusi.  

Un aspetto critico in questo contesto è la governance aziendale. Durante il passaggio generazionale, è fondamentale stabilire una governance che esprima e coinvolga il più possibile i soci, garantendo una gestione responsabile e trasparente. La creazione di una nuova entità che detenga parte del patrimonio della scissa, consente ai soci della stessa di esprimere un proprio organo amministrativo che rappresenti le esigenze del gruppo dei soci che potranno essere discendenti o legittimari, coniugi anche separati o conviventi more uxorio, ipotesi queste precluse all’imprenditore che sottoscrive un patto di famiglia.

Ove non possa essere utilizzato lo strumento della scissione, potrebbe soccorrere un’altra operazione straordinaria quale l’aumento di capitale gratuito offerto in sottoscrizione a terzi che consente l’ingresso di soggetti specifici che, per le loro capacità o nell’ottica di una pianificazione famigliare, divengono soci senza apporto di denaro o beni.

L’aumento di capitale gratuito è un’operazione che consente ad una società di aumentare il proprio capitale ed in genere è utilizzata, quando è sottoscritto da soggetti non soci, per attrarre nuovi investitori o remunerare l’operato di collaboratori o manager. L’aumento di capitale gratuito con offerta a terzi è un’operazione finanziaria complessa che coinvolge l’emissione di nuove partecipazioni senza richiedere un corrispondente pagamento ai sottoscrittori.

Detta operazione straordinaria è disciplinata in modo quasi identico dagli articoli 2442 cc. per le S.p.a e dall’art.2481 ter cc. per le S.r.l. che si attua con l’imputazione di riserve a capitale. La delibera dei soci che ha ad oggetto detto aumento imprime una modifica al vincolo di destinazione di una parte disponibile del patrimonio netto. La competenza a deliberare detto aumento ai sensi dell’art. 2481, 1° comma c.c., può essere attribuita anche «agli amministratori» intendendosi detta locuzione riferita all’organo amministrativo sia esso unipersonale o pluripersonale.

Si ritiene, dalla dottrina maggioritaria, che detta norma sia di stretta interpretazione trattandosi di un’eccezione alla regola generale espressa dall’art.2479 II comma, n. 4, cc.  che riserva all’assemblea dei soci la competenza a deliberare le modifiche dello statuto.

Ai sensi del II comma dell’art. 2481 c.c. «La decisione di aumentare il capitale sociale non può essere attuata fin quando i conferimenti precedentemente dovuti non sono stati integralmente eseguiti». La ratio tale divieto è quella di impedire alla società di raccogliere nuovi apporti prima di aver riscosso quanto dovuto dai soci sui conferimenti a tutela della integrità del capitale.

L’aumento di capitale gratuito non comporta l’apporto alla società di nuovi conferimenti, conseguentemente, il riferimento alla fase di “attuazione dell’aumento” rende evidente che tale divieto non si applichi all’aumento gratuito trattandosi di fattispecie che si realizza per effetto immediato e diretto della delibera dell’assemblea dei soci o dell’organo amministrativo.

Non tutte le riserve possono essere imputate a capitale bensì esclusivamente «le riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili». Nell’art. 2481-ter c.c., secondo autorevole dottrina, il termine «fondi» identifica le «riserve», e conseguentemente la precisazione «in quanto disponibili» si riferisce sia ai fondi che alle riserve. L’aggettivo «disponibile» si riferisce alla destinazione delle poste contabili e si ritiene che si debbano considerare «disponibili» tutte le riserve che possono essere distribuite ai soci o impiegate (nelle s.p.a.) per l’acquisto di azioni proprie. Possono altresì essere utilizzati per l’imputazione a capitale anche gli utili a nuovo e gli utili dell’esercizio.

L’aumento gratuito di capitale non può comportare un mutamento della misura della quota di partecipazione dei soci salvo quanto disposto dall’art. 2481-ter, II comma, c.c., che prevede che la proporzione non possa cambiare “voto favorevole di tutti i soci ai quali vengono assegnate partecipazioni non proporzionali alle quote già possedute, fermi restando i limiti eventualmente derivanti dalla presenza di clausole statutarie in tema di circolazione delle quote” (Massima 159 del Consiglio Notarile di Milano).

Le eccezioni possono essere funzionali ad evitare che, a seguito di un aumento gratuito, il valore nominale delle partecipazioni sia espresso in numeri decimali o periodici; oppure possono essere utilizzate per favorire uno dei membri della compagine, ma anche per remunerarne apporti atipici. Come sopra precisato occorre in questi casi il consenso di tutti i soci.

Sul piano giuridico la ripartizione dell’aumento in modo non proporzionale all’apporto è ammissibile leggendo il combinato disposto dell’art. 2464, I comma, c.c., e l’art. 2468, II comma, c.c.  Dall’analisi di tali norme si evince che il difetto di proporzionalità sia ammesso in sede di costituzione di s.r.l. con il consenso di tutti i soci e quindi non si vede ragione ostativa alla sua ammissibilità in sede di aumento. L’interesse del singolo socio al rispetto della regola dettata dal II comma dell’art. 2481-ter c.c. è considerato disponibile, sebbene sia necessario il consenso unanime.  In tale prospettiva si conclude che sia consentito che beneficiari dell’aumento gratuito siano soggetti terzi, estranei alla compagine sociale quali ad esempio dipendenti o collaboratori, ma anche discendenti o coniugi o soggetti interessati alla successione dell’imprenditore.

Dal punto di vista fiscale gli aumenti di capitale sociale rientrano nella categoria delle operazioni societarie, regolamentate dall’articolo 4 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR n. 131/86 come nel caso delle delibere di scissione sopra descritte. Tale normativa equipara i conferimenti effettuati in sede di costituzione della società a quelli effettuati in un momento successivo, in sede di aumento del capitale, e come tali li assoggetta ad imposta di registro in misura fissa.

Conclusioni

Alla luce delle precedenti osservazioni emerge che è indispensabile un approccio integrato al passaggio generazionale dell’impresa, valutando la possibilità di utilizzare più fattispecie in sinergia tra loro al fine di realizzare un risultato che realizzi un bilanciamento attento tra le dinamiche familiari, aziendali e finanziarie. Tale risultato non è sempre perseguibile attraverso il patto di famiglia o non solo attraverso tale fattispecie.  La scissione con scorporo può essere utilizzata per creare entità agili e focalizzate, consentendo una gestione più efficiente delle diverse attività e consentendo ai soci di concentrarsi su specifiche competenze, stimolando l’innovazione in settori chiave. L’aumento di capitale gratuito offerto a terzi consente l’ingresso in società di soggetti non soci, senza limiti rispetto a discendenti, legittimari o soggetti legati all’imprenditore da rapporti diversi. La ricerca della soluzione più idonea al caso concreto passa attraverso la valutazione dei rapporti tra l’imprenditore ed i suoi famigliari, siano essi legittimari o meno, e dello scopo che si prefigge di volta in volta di perseguire. Non resta che ascoltare e prestare la propria opera professionale utilizzando tutti gli strumenti che l’ordinamento ci ha fornito, adeguandoli alle strutture societarie famigliari ed imprenditoriali che ci vengono sottoposte.

Federica Croce, Notaio in Lecco

Lo Studio Notarile Certificato: una scelta vincente per vincere le nuove sfide – di Dott.ssa Anna Lisa Copetto

La strada per diventare notaio in Italia non ha eguali al mondo per complessità, durata, impegno e sacrifici richiesti per la formazione di adeguati requisiti, in termini di preparazione giuridica, rigore, integrità, rettitudine e incorruttibilità richiesti.

Ai meno esperti talvolta sfugge che il notaio, nell’esercizio delle proprie funzioni, è un pubblico ufficiale al quale lo Stato, per ragioni di efficienza e di economicità, ha scelto di delegare l’attribuzione di pubblica fede agli atti privati. E non è poco se consideriamo che il notaio,  pur agendo in nome dello Stato e nell’interesse della collettività, si accolla integralmente tutti i costi legati all’esercizio della propria attività e ai rischi professionali connessi. Senza tener conto del fatto che è responsabile civilmente, penalmente, fiscalmente e disciplinarmente per ogni atto ricevuto durante la propria carriera, anche in caso di cessazione delle proprie funzioni. I costi a carico dello studio son ingentissimi. Ecco perché diventa importantissimo,  e se vogliamo anche urgente, dotarsi di una strategia organizzativa basata sia su una gestione efficienza di processi di lavorazione degli atti, sia una gestione consapevole ed organizzata dei propri rischi.

La certificazione ISO 9001 può rappresentare lo strumento attraverso il quale il Notaio può, dopo una accurata analisi delle dinamiche organizzative del proprio studio, stabilire il modello organizzativo più idoneo a massimizzarne i risultati positivi e minimizzare gli sprechi, oltre che di mitigare quanto più possibile i rischi e di ottimizzare. La certificazione ISO 9001 affianca alle alte competenze giuridiche del notaio, maniacalmente attento alla conformità a norma degli atti, le competenze manageriali necessarie a dare stabilità e sostenibilità allo studio.

La ISO 9001 è uno standard internazionale che definisce i requisiti che un’organizzazione (nel nostro caso, lo studio notarile) deve rispettare per potersi dire dotata di un sistema di gestione capace di garantire la piena soddisfazione di tutte le cd “parti interessate”, che nel caso dello studio, sono rappresentate da:  clienti, enti di regolamentazione, pubblica amministrazione in generale, collettività,

Adottare un sistema di gestione per la qualità certificato ISO 9001 significa, in concreto:

  • Fare una seria analisi di ciò che si è e decidere ciò che si vuole diventare
  • Stabilire gli obiettivi strategici e operativi nonché le risorse e azioni necessarie per raggiungerli
  • Formalizzare le prassi di lavoro che consentono di ottenere il miglior risultato possibile con il minor dispendio possibile di risorse
  • Fissare procedure di controllo e prevenzione degli errori per limitare i rischi e cogliere ogni opportunità vantaggiosa per lo studio
  • Verificare regolarmente la conformità tra quanto stabilito e quanto ottenuto in termini di risultati
  • Intervenire tempestivamente per risolvere eventuali difformità e soprattutto imparare dai propri errori per prevenirli in futuro

I vantaggi che lo studio può trarre dalla certificazione della qualità sono quindi evidenti:

  1. Miglioramento della qualità del servizio, grazie ad un maggior controllo dei processi di lavorazione della pratica e a una riduzione dei rischi di errore, e conseguente miglioramento della soddisfazione del cliente.
  2. Riduzione dei costi associati alle rilavorazioni e inefficienze e conseguente maggiore competitività grazie alla riduzione degli sprechi e ad una gestione più focalizzata delle risorse disponibili
  3. Miglioramento della soddisfazione interna, grazie ad una più chiara assegnazione di compiti e responsabilità, funzionali agli obiettivi complessivi dello studio

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network