1) Introduzione.

A ragione della continua evoluzione internazionale dei rapporti e dell’attuale contesto economico e giuridico, è sempre più frequente che venga richiesto al notaio italiano di utilizzare atti esteri provenienti da paesi stranieri, la cui forma e la cui sostanza sono disciplinate diversamente da un paese all’altro.

Per tale ragione è necessario che il notaio italiano esamini con attenzione il documento proveniente dall’estero in modo tale da poter verificare la sua utilizzabilità in Italia ed evitare che un atto privo dei requisiti minimi richiesti dal nostro ordinamento produca effetti nel nostro paese. Tale verifica è spesso complessa perché richiede non solo la conoscenza delle normative italiane, ma anche di quelle internazionali.

Prima di procedere con l’analisi della fattispecie, occorre chiarire che la definizione di “atto estero” è stata data dalla dottrina, la quale lo identifica come un qualunque atto giuridico redatto all’estero, sia da pubbliche autorità straniere sia da privati, ricevuto o autenticato, sia in lingua italiana sia in lingua straniera, da pubbliche autorità straniere.

Non sono, invece, “atti esteri” quelli posti in essere dalle autorità diplomatiche e consolari italiane nell’esercizio di funzioni notarili, in quanto i poteri certificativi di tali autorità derivano e sono esercitati secondo la legge italiana, conformemente a quanto disposto oggi dal del d.lgs. 3 febbraio 2011 n. 71 (legge consolare).

    2) Atti ricevuti dagli uffici consolari ed atti ricevuti da notai stranieri.

Con riferimento agli atti posti in essere dalle autorità diplomatiche e consolari italiane nell’esercizio di funzioni notarili, l’art. 28 del citato d.lgs. 71/2011 prevede espressamente che il capo dell’ufficio consolare eserciti le funzioni di notaio nei confronti dei cittadini, attenendosi alla legislazione nazionale.

Attenzione particolare merita il comma secondo dell’art. 28 secondo il quale “Con decreto del Ministro degli affari esteri possono essere specificati gli atti notarili che i capi degli uffici consolari sono chiamati a stipulare, tenendo conto della possibilità di accedere ad adeguati servizi notarili in loco.”.  Il decreto del Ministro degli Affari Esteri del 31 ottobre 2011 ha stabilito all’articolo 1 che “I Capi degli Uffici consolari aventi sede in Austria, Belgio, Francia, Germania e Lettonia non esercitano funzioni notarili, tenuto conto che i notariati presenti in tali Paesi hanno aderito all’Unione Internazionale del Notariato (U.I.N.L.) e hanno proceduto alla dichiarazione di cui all’art. 6 della Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987 sull’esenzione dalla legalizzazione di atti negli Stati membri della CEE o stipulato in merito Convenzioni bilaterali con l’Italia” ma all’articolo 2 ha disposto che “I Capi degli Uffici consolari nei Paesi indicati all’articolo 1 continuano in ogni caso a ricevere, a richiesta di cittadini italiani, testamenti pubblici, segreti ovvero internazionali. 2. Ove il Capo dell’Ufficio Consolare operante in uno dei Paesi indicati all’articolo 1 verifichi una oggettiva e documentata impossibilità di rivolgersi ad un notaio in loco, può ricevere, quando il ritardo possa recare pregiudizio al cittadino italiano, atti che rivestono carattere di necessità ed urgenza.”.

Non può mettersi in dubbio, quindi, la validità e l’efficacia di atti proveniente da uno degli uffici consolari dei paesi di cui sopra, anche alla luce del fatto che la norma in commento rimette alla stessa autorità consolare la valutazione della “oggettiva e documentata impossibilità di rivolgersi ad un notaio in loco” e del “carattere di necessità ed urgenza”, secondo una valutazione di merito che non appare, in astratto, sindacabile.

Con riferimento agli atti ricevuti da notai stranieri vige il generale principio del “auctor regit actum” secondo il quale il notaio straniero è tenuto a svolgere, secondo la propria legge nazionale, una funzione analoga a quella del notaio italiano e l’atto deve essere redatto nel rispetto delle norme previste dal proprio ordinamento. La certificazione effettuata dal notaio straniero deve essere, seppure non identica, sostanzialmente equivalente, a quella apposta dal notaio italiano in un omologo atto. Tale principio non può non tenere conto delle notevoli differenze esistenti tra i paesi di civil law e quelli di common law in ambito notarile.

I paesi di civil law delineano chiaramente la professione notarile e attribuiscono al notaio funzioni similari a quelle disciplinate dalla nostra legge notarile e riconoscono agli atti dagli stessi redatti, di regola, la forma corrispondente a quella del nostro atto pubblico.

Negli ordinamenti di common law, invece, le competenze dei public notaries consistono principalmente nel ricevimento di dichiarazioni giurate ed attestazioni e nell’accertamento della provenienza delle sottoscrizioni ma non esiste un sistema di documenti aventi forza esecutiva e costituenti prove privilegiate, fino a querela di falso, da poter produrre in giudizio, come l’atto pubblico. Tali documenti portanti le sottoscrizioni autenticate da detti public notaries sono quindi idonei a garantire solamente l’autenticità delle firme in capo ai sottoscrittori e la loro identità.

Nella City di Londra o in alcune giurisdizioni degli Stati Uniti e del Canada è presente una figura professionale distinta dalla professione notarile che prende il nome di scrivener notaries.

    3) La legalizzazione o l’Apostille.

Gli atti esteri che devono essere depositati presso un notaio italiano (a meno che non ci sia un’apposita norma eccezionale che lo escluda) devono essere “debitamente legalizzati” o muniti di Apostille che renda certa la provenienza dell’atto, attestando l’autenticità della firma del notaio o del pubblico ufficiale straniero e la relativa qualifica. Tale legalizzazione o Apostille deve, quindi, precedere necessariamente il deposito che invece assolve la funzione di verifica della legalità dell’atto stesso ai fini dell’utilizzo nell’ordinamento italiano.

La legalizzazione è eseguita dall’autorità consolare italiana all’estero che certifica la legale qualità di chi ha apposto la firma (che tra l’altro non viene apposta in presenza dell’ufficiale legalizzante, ma viene verificata tramite il confronto con un campione appositamente depositato) e la sua autenticità, senza effettuazione di alcun controllo sul contenuto dell’atto.

Sono esenti da legalizzazione:

      i)le firme apposte su atti e documenti dai competenti organi delle rappresentanze diplomatiche o                    consolari italiane o dai funzionari da loro delegati;

      ii) gli atti provenienti dagli Stati contraenti della Convenzione de L’Aja del 5 ottobre 1961, in quanto                    sostituita dalla forma semplificata dell’apostille, e sono esenti da ogni forma di certificazione                        preventiva gli atti provenienti dagli Stati contraenti della Convenzione di Bruxelles del 25 maggio                    1987;

      iii) gli atti provenienti dai paesi con cui sono in vigore specifiche convenzioni bilaterali che comportano             l’esenzione da legalizzazione, come ad esempio la Germania o l’Austria.

La Convenzione dell’Aia del 5 ottobre 1961, ratificata dall’Italia, ha sostituito il requisito della legalizzazione degli atti pubblici esteri con l’Apostille, che, al pari della legalizzazione, svolge la funzione di attestare la qualità di pubblico ufficiale del soggetto autenticante.

Più precisamente, l’Apostille – apposta sul documento stesso dall’autorità competente dello Stato dal quale il documento proviene – certifica l’autenticità della firma, la qualità in forza della quale il soggetto che ha autenticato la firma ha agito e, se del caso, l’identità del sigillo o del timbro apposti.

L’Apostille è, quindi, una formalità analoga alla legalizzazione, dalla quale, tuttavia, si differenzia perché è costituita da una precisa formula, regolata per tutti i Paesi dalla Convenzione dell’Aja, ed è eseguita direttamente dall’autorità del luogo in cui il documento è formato, generalmente il Ministero degli Affari Esteri. 

Sono esenti da legalizzazione:

      i) le firme apposte su atti e documenti dai competenti organi delle rappresentanze diplomatiche o                   consolari italiane o dai funzionari da loro delegati;

     ii) gli atti provenienti dagli Stati contraenti della Convenzione de L’Aja del 5 ottobre 1961, in quanto                     sostituita dalla forma semplificata dell’apostille, e sono esenti da ogni forma di certificazione                         preventiva gli atti provenienti dagli Stati contraenti della Convenzione di Bruxelles del 25 maggio                   1987;

     iii) gli atti provenienti dai paesi con cui sono in vigore specifiche convenzioni bilaterali che comportano            l’esenzione da legalizzazione, come ad esempio la Germania o l’Austria.

   4) l’Atto di deposito.

Ogni atto estero, per essere utilizzato in Italia, previa apposita legalizzazione, deve essere depositato presso un archivio notarile o un notaio italiano (art. 106 n. 4 L.N.) così da garantire, oltre ad un preventivo controllo di legalità formale e sostanziale, l’adempimento degli obblighi fiscali e di pubblicità (ove previsti) e la conservazione dell’atto medesimo nel tempo, con possibilità di rilascio di copie, fermo restando che il deposito non modifica la natura dell’atto depositato ma rende certa l’esistenza del documento.

Il citato art. 106 n. 4 L.N. nulla dice in tema di scritture private non autenticate, che possono quindi essere utilizzate nel nostro Paese con la medesima efficacia delle scritture private non autenticate formate in Italia anche a ragione di quanto disposto dall’art. 1, n. 1), del R.D.L. n. 1666/1937 il quale amplia il numero degli atti che il notaio può ricevere in deposito, includendovi in pratica ogni sorta di documento, eventualmente anche non legalizzato.

Nel nostro ordinamento vige un generale principio di “riconoscimento” degli atti provenienti dall’estero secondo il quale l’atto estero, anche se formalmente riferibile ad un soggetto con poteri di certificazione simili a quelli del notaio italiano, possa essere considerato “equivalente” all’atto italiano.  Questa necessità di “equivalenza”, o ancor meglio di “equivalenza funzionale”, fra l’atto proveniente dall’estero e l’atto italiano è necessaria quando, in base alle norme di diritto privato internazionale, sia richiesta anche per gli atti formati all’estero la medesima forma richiesta per gli atti interni.

Formalmente il deposito di un atto straniero si realizza mediante la redazione di un verbale da parte del notaio italiano, avente quali comparenti i soggetti che richiedono il deposito dell’atto estero stesso, accompagnato dalla relativa traduzione in lingua italiana effettuata – e firmata – dal notaio, se conosce la lingua straniera o in alternativa da un perito scelto dalle parti (L’art. 68 del Regolamento Notarile).

Oggetto di traduzione devono essere tutte le parti dell’atto estero ad eccezione dell’Apostille, su cui non si possono generare dubbi interpretativi a ragione della specificità del suo contenuto.

Non è necessario un apposito verbale di deposito degli atti esteri che devono essere allegati ad un atto pubblico o autenticato da un notaio italiano perché in questi casi l’allegazione realizza di fatto anche il deposito.

Gli atti esteri sono da ritenersi “atti conservati a richiesta delle parti”, le quali hanno sempre diritto ad ottenere la restituzione. Di tale restituzione si redige apposito verbale nel quale sarà trascritto per intero il documento che si restituisce. L’atto di deposito rimane presso il notaio che annota la restituzione nella colonna “osservazioni” del repertorio e sull’atto stesso (art. 71 R.N.).

Il verbale di deposito: i) viene annotato a repertorio con applicazione dell’onorario graduale (al 50%) o fisso corrispondente al contenuto dell’atto depositato ai sensi dell’art. 14 della Tariffa notarile (e in tal caso non è dovuto l’onorario di cui all’art. 8 della Tariffa); ii) è soggetto a registrazione nel termine di 60 giorni dalla data dell’atto e sconta l’imposta di registro in misura fissa e l’imposta di bollo (fatta precisazione che sono dovute l’imposta di registro in relazione al contenuto e alla natura dell’atto depositato (artt. 2, 3 e 4 del D.P.R. n. 131/1986) e l’imposta di bollo in caso d’uso ai sensi dell’art. 30 della Tariffa, parte seconda, allegata al D.P.R. n. 642/1972).

   5) Il Controllo del Notaio italiano anche alla luce della Sentenza del 2 luglio 2019 n. 17713 della Corte            di Cassazione

In capo al notaio che utilizza un atto estero vige un generale obbligo di controllo di legalità dell’atto effettuato direttamente in sede di deposito. In questo caso il notaio è chiamato alla verifica di un atto già completamente formato senza che abbia la possibilità di indagare la volontà delle parti ma verificando la sua correttezza formale e sostanziale, al fine di poterlo ricevere in deposito e renderlo così utilizzabile nel nostro ordinamento.

In particolare, quanto alla forma occorre verificare che siano rispettati i requisiti minimi previsti dall’ordinamento di provenienza mentre quanto alla sostanza occorre verificare la compatibilità dell’atto estero con l’ordine pubblico internazionale (inteso come un complesso di principi fondamentali appartenenti ad una determinata comunità nazionale in un certo momento storico) e con le norme di applicazione necessaria (intese come le norme di diritto italiano che devono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera in considerazione del loro oggetto e del loro scopo).

Se l’atto estero è carente di alcuni elementi ritenuti necessari per il nostro ordinamento, il notaio deve verificare se sia possibile rimediare a tali carenze in sede di deposito o meno, tenendo presente che i vizi di forma non sono sanabili in alcun modo mentre alcuni vizi di sostanza possono invece essere sanati (ad esempio, con l’intervento delle parti nell’atto di deposito, è possibile sanare mediante conferma la mancanza di menzioni in materia urbanistica, le dichiarazioni di cui all’art. 35, comma 22, del D.l. n. 223/2006 o le dichiarazioni fiscali).  

Una delle questioni di maggior rilevanza nell’attività notarile è quella dell’utilizzo di una procura proveniente dall’estero.

Su tale questione si è anche recentemente pronunciata la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza del 2 luglio 2019 n. 17713 all’interno della quale sono stati indicati alcuni principi generali di notevole impatto per l’attività notarile nonostante la rigidità di alcune interpretazioni sostenute che hanno reso la questione ancora più complessa.

In particolare, i giudici affermano che i requisiti affinché la procura estera possa essere utilizzata in Italia sono: la traduzione in italiano, la legalizzazione o l’Apostille (salvo che si tratti di procura proveniente da Paese con il quale vigono diversi accordi internazionali), la conformità ai requisiti formali del Paese di provenienza e, soprattutto, la presenza dei requisiti minimi di sicurezza giuridica richiesti per la circolazione in Italia del negozio che consistono, per la scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza e nel preventivo accertamento dell’identità del sottoscrittore.

L’idoneità della procura deve essere esaminata alla luce dell’art. 60 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (D.I.P.), che disciplina la legge regolatrice della procura, disponendo quanto segue:

La rappresentanza volontaria è regolata dalla legge dello Stato in cui il rappresentante ha la propria sede d’affari sempre che egli agisca a titolo professionale e che tale sede sia conosciuta o conoscibile dal terzo. In assenza di tali condizioni si applica la legge dello Stato in cui il rappresentante esercita in via principale i suoi poteri nel caso concreto.

L’atto di conferimento dei poteri di rappresentanza è valido, quanto alla forma, se considerato tale dalla legge che ne regola la sostanza oppure dalla legge dello Stato in cui è posto in essere”.

Particolarmente rilevante, per l’attività notarile, è il secondo comma dell’art. 60, il quale, in punto di forma della procura estera, stabilisce un duplice criterio per affermare la validità della procura: i) conformità alla legge che regola la sostanza del rapporto rappresentativo, vale a dire i criteri segnati dal primo comma dell’art. 60 e ii) conformità alla lex loci, cioè alla legge del luogo in cui la procura si è formata.

Nell’esercizio delle funzioni notarili, tale disposizione deve essere necessariamente collegata con l’art. 54 R.N. che vieta al notaio di rogare contratti in cui intervengano persone che non siano assistite od autorizzate nel modo espressamente stabilito dalla legge, affinché esse possano in nome proprio od in quello dei loro rappresentati giuridicamente obbligarsi.

Il problema è allora quello di cercare di stabilire il contenuto del controllo che il notaio dovrà effettuare relativamente ai requisiti di sostanza e di forma della procura straniera, utilizzando i criteri di rinvio contenuti nella norma di diritto internazionale privato.

Secondo la sentenza in commento, “il notaio dovrà sicuramente prestare particolare attenzione ai requisiti di sostanza e di forma della procura per i quali si applica la legge italiana, e così, in particolare, alle questioni relative all’efficacia vincolante dell’attività del rappresentante nei confronti del rappresentato, al contenuto e all’estensione dei poteri del rappresentante, alla durata del potere rappresentativo, alla revoca ed all’estinzione della procura, alla capacità del rappresentato, alle conseguenze del conflitto d’interessi e del contratto concluso con sé stesso, ed infine alle conseguenze del negozio concluso dal rappresentante senza poteri. Ugualmente rigorosa sarà, inoltre, la natura del controllo circa la forma della procura in relazione all’attività compiuta dal rappresentante in nome e per conto del rappresentato. Se la procura ha per oggetto la vendita di beni immobili, ai sensi dell’art. 1350 c.c. e art. 1392 c.c., la procura deve essere conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere e, quindi, con atto pubblico o con scrittura privata”.

Si è, infatti, rilevato che l’applicazione della regola di conflitto di cui all’art. 60 D.I.P. deve essere coordinata con le norme di applicazione necessaria del diritto interno, quali l’art. 51, n. 3, L.N., che impone l’allegazione della procura, e l’art. 54 R.N., che impone l’accertamento della legittimazione ad agire del rappresentante. Quest’ultima, in particolare, non sarebbe sufficientemente garantita dalla sola esibizione di una scrittura privata intercorsa tra le parti

Alla luce di quanto sopra, la sentenza in commento stabilisce che, in presenza di una procura proveniente dall’estero, il notaio dovrà quindi verificare:

– che sia un atto valido secondo i criteri di rinvio dettati dal diritto internazionale privato italiano (art. 60 D.I.P.) e dunque indagare, se occorre, anche la disciplina applicabile nel paese di origine;

– che sia un atto proveniente da un’autorità competente di uno Stato straniero;

– che sia munita di legalizzazione od Apostille, salvo la presenza di convenzioni bilaterali che aboliscono la necessità di avere un documento legalizzato e apostillato;

– che non sia contraria ai parametri previsti dagli artt. 28 L.N. e 54 R.N. e che abbia in ogni caso, per il principio di congruità con l’atto al quale deve essere allegata, i requisiti minimi di sicurezza giuridica e di accertamento dell’identità del sottoscrittore richiesti per la circolazione in Italia del negozio principale;

– sia un atto idoneo ad essere allegato, in luogo del deposito, all’atto notarile.

   6) Uno sguardo al futuro.

La Convenzione di Bruxelles (ratificata e resa esecutiva dall’Italia con la legge n. 106/1990) che si applica agli atti pubblici e alle scritture private autenticate dagli stessi provenienti, ha soppresso ogni forma di legalizzazione tra gli Stati membri delle Comunità europee contraenti favorendo – da un lato – la rapida  circolazione degli atti, ma rendendo – dall’altro – ancora più complicato il controllo per il notaio che riceve in deposito l’atto estero non legalizzato perché in questo caso l’atto è privo di ogni traduzione e di ogni certificazione relativa al soggetto rogante o autenticante.

In questo contesto appaiono sempre più interessanti i tentativi di trovare soluzioni digitali e telematiche nuove e più rapide per la legalizzazione degli atti (o per l’apostille), garantendo un corretto equilibrio tra l’esigenza di circolazione degli atti e quella di certezza della loro provenienza ai fini dell’utilizzo.

Si segnalano al riguardo interessanti iniziative in fase di sperimentazione come la predisposizione di un sistema di interscambio delle firme digitali tra gli ordinamenti italiano e francese o come la proposta in materia di Apostille elettronica.

Veronica Ferraro, Notaio in Torino.

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