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Tassazione di “eventuali” conguagli nella divisione ereditaria in funzione dell’istituto della collazione – di Notaio Roberto Santarpia

Il contenuto del presente articolo scaturisce, come sempre, da riflessioni che occorre a noi notai effettuare, in modo anche “ossessivo”, pressati dall’esigenza di compiere al meglio la nostra professione lì dove, come sempre, i dubbi maggiori riguardano la tassazione dell’atto da parte di una ondivaga Amministrazione Finanziaria che a volte esegue “revirement” pretendendo imposte quando in altri casi omogenei non ha preteso.

Il caso consiste nel dover procedere ad una divisione ereditaria tra condividenti con obbligo di collazione di quanto donato dall’eriditando ad uno di loro, poiché facente parte della schiera di soggetti che il codice civile indica essere tenuti alla stessa (art. 737 c.c.), in mancanza di dispensa dalla medesima collazione da parte del donante.

Ora l’istituto della collazione ha lo scopo ravvisabile nell’intento di condurre, in sede di divisione ereditaria, ad una equiparazione tra le posizioni giuridico patrimoniali dei figli e discendenti del de cuius e quindi l’effetto di assicurare la parità di trattamento tra questi soggetti.

Quindi in buona sostanza chi è tenuto alla collazione deve conferire alla massa ereditaria quanto a lui donato al fine di realizzare l’uguaglianza tra coeredi in sede divisoria e quindi ad apporzionare loro in sede divisoria con beni il cui valore sia tale che, addizionato a quanto già ricevuto con liberalità inter vivos, detto valore sia ragguagliato alla di loro quota ideale quali compartecipi della comunione ereditaria.

Valga un esempio a miglior chiarimento: eredi ab intestato: tre figli (il cui nome tanto per cambiare è) Primo, Secondo e Terzo; quota di diritto: un terzo ciascuno; massa relitta valore euro 900.000; quota di fatto a ciascuno spettante in sede divisoria pari ad euro 300.000 ciascuno. Nel caso però in cui uno dei figli (Primo) abbia ricevuto una donazione dall’ereditando il cui valore è pari ad euro 300.000, senza dispensa dalla collazione, il valore della massa ereditaria a dividersi deve essere assunto in euro 1.200.000, la quota di un terzo di diritto spettante a ciascuno è quindi pari a euro 400.000, per cui al figlio Primo spetteranno in sede divisoria beni il cui valore sia pari a 100.000 e non pari a 300.000 ed agli altri due figli beni il cui valore sia pari ad euro 400.000 per ciascuno; il tutto senza dimenticare che la dispensa da collazione ha effetto solo per la quota disponibile come peraltro nel nostro caso.

Piccolo prologo propedeutico per la tassazione: L’art. 34 del TUR stabilisce che: «La massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore, riferito alla data della divisione, dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione…» quindi l’istituto della collazione non rileva in alcun modo nella determinazione del valore imponibile dell’asse ereditario (che rimane 1% della massa relitta) in quanto finalizzato ad una corretta applicazione delle imposte da liquidare in relazione alla connessa e consequenziale fattispecie divisoria (conguaglio esistente o meno). Quindi non bisogna sovrapporre due concetti affatto diversi, quali quello di ‘massa di computo’ (vedi 900.000 o 1.200.000) da un lato e di ‘base imponibile’ dall’altro (sempre 900.000) perché i 300.000 della donazione hanno già precedentemente scontato imposta.

Ora qualora i tre eredi avessero intenzione di attribuirsi i beni relitti in misura non paritetica (ad es per i valori sopra menzionati: a Primo 100.000 e a Secondo e Terzo euro 400.000 ciascuno) sarà addirittura necessario che il bravo notaio evidenzi la donazione a collazionarsi suddetta per evitare che la Amministrazione finanziaria tassi con aliquota proporzionale, propria dei trasferimenti immobiliari, la differenza di valore avuta (apparentemente) in meno da Primo a beneficio degli altri due condividenti, facendo computo solo con i beni relitti. Ma se i tre soggetti condividenti volessero invece attribuirsi tra loro comunque i beni relitti per un valore paritetico (300.000 euro per ciascuno) e non  menzionassero a tale scopo la donazione fatta a Primo, priva di dispensa da collazione, mostrando apparentemente equivalenza tra quota di diritto e quota di fatto, allora l’amministrazione finanziaria, se si avvedesse dell’esistenza della detta donazione, potrebbe far valere -ex converso- questa differenza di valore delle attribuzioni patrimoniali rispetto al valore della quota di diritto che sarebbe comunque pari a 400.000 euro (infatti Primo riceve 600.000 euro poiché prende 300.000 dai beni relitti e 300.000 dal bene donato) in relazione al fatto che a Primo comunque doveva essere attribuito bene di valore minore (100.000 a cui doveva addizionare i 300.000 già ricevuti in donazione). Il tutto sorprenderebbe, immagino, noi operatori del diritto che spesso abbiamo effettuato (io per primo) divisioni senza evidenziare la precedente donazione soggetta a collazione, se non altro (senza mala fede), perché ci era sfuggito che esisteva precedente donazione a collazionarsi e la cosa a dire il vero è sempre andata per il giusto verso.

Tutto quanto detto ha lo scopo di porre un alert, di richiamare, cioè, l’attenzione di noi notai richiesti di effettuare divisioni ereditarie, di verificare se sussistano o meno donazioni con le caratteristiche sopra evidenziate per evitare inaspettate e spiacevoli sorprese di tassazione proporzionale (sul montante di 200.000 euro costituente la differenza che Primo ha avuto in più) casi che sino ad oggi fortunatamente si sono rivelati rari.

Ora si potrebbe pensare di ovviare alla possibile tassazione del conguaglio (scaturente dal fatto che Primo ha preso 600.000 invece di 400.000) pensando ad una possibile rinuncia alla collazione da parte dei condividenti (non donatari) a cui beneficio andava la mancata dispensa da collazione, come sicuramente possibile e come ammesso da Cassazione (29 sett. 2017 num. 22911) con la conseguenza che la massa a dividersi torna ad essere 900.000 e non più 1.200.000, ognuno prende beni per 300.000 euro (pariteticità tra quota di fatto e di diritto) e Primo trattiene per sé il bene donato che vale 300.000 euro non dovendolo collazionare alla massa.

Ma a questo punto mi sorge il dubbio (più tartassante di quello amletico come accennavo nell’incipit del presente scritto) che si possa legittimamente associare e parificare sul piano degli effetti la rinuncia a valersi della collazione (da parte di Secondo e Terzo) (secondo Burdese, infatti, si tratterebbe di un diritto potestativo) con la rinuncia a valersi del conguaglio che gli stessi potrebbero effettuare in sede divisoria. Difatti abbiamo i medesimi presupposti per la divisione: tre fratelli, assenza di testamento, beni relitti per 900.000 euro, bene donato a Primo senza dispensa da collazione per euro 300.000 e quindi -sunteggiando vedi sopra- a Primo dovrebbero andare beni per 100.000 e a Secondo e Terzo beni per 400.000 ciascuno al fine di evitare differenze di valore tra quote di fatto e quota di diritto e quindi evitare conguagli con conseguente tassazione al 9% per la differenza. Se dividessero comunque, d’accordo tra loro, assegnandosi beni per 300.000 euro per ciascuno, Primo andrebbe a prendere 600.000 euro invece di 400.000 euro e dovrebbe di conseguenza elargire euro 200.000 (100.000 per ciascuno) a Secondo e Terzo per parificare le quote di fatto con la quota di diritto di tutti. La rinuncia a percepire conguaglio da parte di Secondo e Terzo, non eviterebbe però, per costante dottrina e giurisprudenza, la tassazione del medesimo al 9%. Infatti, NELLA DIVISIONE IL COGUAGLIO E’ TASSATO COME VENDITA ANCHE SE VI E’ RINUNZIA COME LIBERALITA’. Secondo la Cassazione (ordinanza 1 dicembre 2020, n. 27409, sez. V) l’eccedenza di valore dei beni assegnati rispetto alla quota sulla massa comune (c.d. conguaglio) è invariabilmente sottoposta al trattamento tributario della compravendita, non rilevando che i condividenti che ricevono di più rinunzino, per spirito di liberalità, verso un corrispettivo o a scopo di adempimento, a ricevere una prestazione pecuniaria in quanto l’art.34 del T.U.R., pone una presunzione assoluta (iuris et de iure), in forza della quale l’eccedenza “è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente”.

E ancora: “Ai fini dell’imposta di registro Il conguaglio scaturente da una divisione immobiliare deve essere tassato, con le aliquote previste per i trasferimenti, anche se il soggetto, avente diritto al conguaglio, rinuncia a riceverlo per spirito di liberalità”. Principio confermato dalla Corte di cassazione con le sentenze n. 4858, 4871, 4878 e 4884 tutte del 23 febbraio 2024.

Ancora vedasi Risposta ad interpello A. E.  452 / 2021 che riprende cass 28 marzo 2018, n. 7606: Inoltre, con citata la sentenza della Cassazione n. 20119 del 2012, è stato affermato che “Le assegnazioni che hanno luogo nella divisione di beni mobili o immobili non sono considerate traslative di proprietà dei beni assegnati se il condividente riceva una quota corrispondente ai suoi diritti; se, invece, vi è conguaglio, o la quota assegnata è superiore a quella spettante, la divisione, in relazione al conguaglio o al maggiore assegno, è considerata a carattere traslativo e come tale soggetta al tributo proporzionale. Ne deriva che l’Ufficio del Registro, al fine di procedere all’accertamento del tributo, debba sottoporre a giudizio di valore l’intero compendio oggetto della divisione per effettuare il raffronto proporzionale della quota assegnata rispetto al tutto, in relazione alla quota di comproprietà spettante.

Allora se i tre condividenti decidessero di evitare l’insorgere del conguaglio a monte e non a valle e cioè rinunciando alla (agli effetti della) collazione che parificherebbe in sede divisoria le quote di fatto (300.000 euro per ciascuno) con le quote di diritto non dovendosi più prendere in considerazione nella massa divisoria il bene donato, non equivarrebbe ciò in toto a rinunciare alla attribuzione della differenza di valore loro spettante (a Secondo e a Terzo) come se stessero rinunciando al conguaglio che sorgerebbe invece a valle se non rinunciassero alla collazione e quindi con massa computata includendo il bene donato?

Conseguenza: rinunciano alla collazione (Secondo e Terzo) ma non evitano che questa rinuncia possa evitare la tassazione del plusvalore avuto in più da Primo, cosa che non avverrebbe nel caso in cui la collazione non sorgesse affatto per dispensa fatta dal donante in vita: qui la collazione sorge ex lege al momento della apertura della successione e viene rinunciata (negli effetti) dai beneficiari della stessa.

Spero che tutte queste mie considerazioni rimangano di interesse puramente tecnico giuridico e non ricadano mai in casi pratici, ma visti i tempi correnti nei quali l’Amministrazione Finanziaria sta cercando (mi si passi la licenza partenopea che rappresenta più che mai una adeguatissima metafora) “paglia per cento cavalli” mi soccorre l’esigenza di accendere questo faro sul tema divisione ereditaria.

Roberto Santarpia,  Notaio in Orzinuovi.