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Il mistero della procura via PEC – a cura Notaio Ugo Bechini

Il collaboratore di una Collega di un medio centro del Sud, cui ho mandato una procura in forma digitale, è irremovibile: se non gliela rimando via PEC non potrà usarla.
Liberiamoci da un possibile equivoco: il riferimento al Sud. I progressi digitali della nostra professione sono stati pensati, disegnati e realizzati in grandissima prevalenza al Sud, o da donne e uomini del Sud. I tecnici che da tanti anni ci assistono sono docenti della Federico II; lui sarà anche stato un Hohenstaufen, non discuto, ma l’Università che porta il suo nome è a Napoli, se non m’inganno. Anche in ragione delle mie solide radici meridionali, mi infurio quando sento Colleghi dire: noi al Sud di queste cose non abbiamo pratica. Puerili scuse. Ed anzi, a volerla dir tutta: gli strumenti informatici sono tanto più utili quanto più zoppicanti sono le infrastrutture fisiche. Molti anni fa sentii un Collega svizzero affermare che non si avvertiva presso di loro la necessità di strumenti telematici in quanto una busta impostata prima delle 18, ovunque nella Confederazione, è recapitata l’indomani. Depurata delle iperboli l’idea, ancorché poco o nulla lungimirante, ha (o meglio: aveva) un suo senso.
Veniamo però alla PEC. A cosa serve? La legge (articolo 48 del CAD) è chiara: la trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata … Tali ricevute possono interessare al mittente, in molti casi; non in questo, a meno che in un impeto di complottismo io non sospetti la Collega di voler negare l’avvenuto invio. In ambito forense, ove l’uso della raccomandata a/r tra colleghi è riguardato con evidente biasimo (l’espressione, che trovo a suo modo divertente, è tratta da una delibera del Consiglio dell’Ordine di Bologna in data 7/2/18), si è discusso seriamente della liceità dell’uso, sempre tra Avvocati, della PEC, concludendo che si tratta di una pratica borderline, da valutare caso per caso: così ad esempio l’appena citato indirizzo felsineo. Ed il sopravvissuto spirito di corpo mi induce ad affermare che, in quanto a stile, noi notai non dovremmo esser secondi a nessuno.
Sin qui se l’uso della PEC è deciso dal mittente. Ma quale motivo può avere la destinataria, che ha già felicemente ricevuto quanto le occorre, di reclamare una PEC? Buio pesto. Un buio nel quale matura però una riflessione.
Per una parte significativa della classe notarile, a quanto pare, il diritto dell’informatica non è vero diritto. L’idea che anche gli istituti del diritto dell’informatica, come la PEC, siano radicati in formanti come giurisprudenza, dottrina e legislazione, e che quest’ultima sia persino declinabile in termini di legge/articolo/comma, non gode di molta popolarità. Quando sopravviene qualche novità in materia, in molti studi tutto finisce direttamente sul tavolo dei collaboratori, i quali a loro volta chiedono spesso aiuto alle Software Houses; queste ultime si trovano spesso, e non per loro ambizione, a fornire indicazioni anche in materia squisitamente giuridica, indicazioni che vengono poi tradotte in pratica dai collaboratori, non di rado scimmiottando acriticamente prassi altrui.
Appropriandosi della materia, il notaio potrà scoprire cose interessanti. Nel caso di specie, non solo che la PEC è uno strumento che giova al solo mittente, ma che il documento firmato digitalmente è del tutto indifferente al medium utilizzato per la trasmissione: se il documento fosse alterato in sede di trasmissione la verifica fallirebbe. E’ ben vero che secondo l’articolo 43 comma 2 eIDAS (Regolamento UE 910/2014), i dati inviati e ricevuti mediante servizio elettronico di recapito certificato qualificato godono della presunzione […] dell’invio di tali dati da parte del mittente identificato, ma una volta verificata la firma digitale, si tratta di informazione poco o nulla rilevante. Sarebbe molto più prezioso il curriculum del fattorino che ha recapitato la procura cartacea: un’occasione di falsificare il documento cartaceo lui l’ha avuta, se non altro. Si concluderebbe forse che se presso qualche importante studio (del Nord, in questo caso) è invalso l’uso di inviare le procure per PEC, è per qualche ragione che alla stragrande maggioranza di noi non interessa affatto, e che nulla ha comunque a che vedere con lo status giuridico del materiale trasmesso e con la sua utilizzabilità.

Ugo Bechini, Notaio in Genova