Vi è mai capitato, durante la stipula di un atto notarile, di provare una sensazione di difficoltà nel seguire la lettura e nel mantenere la concentrazione, se non, addirittura, un insopprimibile senso di noia unito, magari, ad una scarsa comprensione del contenuto?

Certo le difficoltà insite nella materia e, talora, la non sempre chiara intellegibilità delle parole del notaio non aiutano il povero cliente, ma credo sia un dato di fatto che i testi dei nostri atti siano nella maggior parte dei casi un po’ involuti, infarciti di riferimenti a norme di legge che per le parti sono prive di significato, strutturati secondo modelli decisamente superati.

Il linguaggio è uno strumento in continua evoluzione e altrettanto lo sono le tecniche della comunicazione che, soprattutto in questi ultimi anni, hanno guadagnato un ruolo centrale anche in ambiti diversi da quelli tradizionale: oramai si parla quotidianamente, anche nel mondo delle aziende e delle professioni, di concetti quali comunicazione interna ed esterna, marketing narrativo, storytelling. Il modo di comunicare si è arricchito di nuovi strumenti e il racconto è sempre più spesso costituito da molteplici elementi: video, audio, immagini, testi, mappe, infografiche. Sull’onda di quanto accade nei social media si tende sempre più a creare vere e proprie storie finalizzate a produrre e veicolare contenuti (content marketing) allo scopo di rafforzare l’identità di un marchio.

Da qualche tempo questi concetti hanno cominciato a farsi largo anche nel campo delle professioni giuridiche e non solo gli studi più affermati e strutturati ma anche quelli di dimensioni e aree di operatività geografica più limitati utilizzano correntemente queste tecniche per costruire e rafforzare un proprio brand.

Ma se è un dato di fatto che  l’utilizzo di queste tecniche comunicative si stia diffondendo progressivamente anche nell’ambito delle professioni giuridiche, la questione del linguaggio degli atti e della sua semplificazione nell’ottica di una maggiore comprensibilità, almeno qui in Italia, è ancora agli inizi, e in tal senso va ricordata la lodevole iniziativa che ha portato a siglare, non più tardi di un paio d’anni fa, un protocollo d’intesa tra  Ministero della Pubblica Amministrazione e Accademia della Crusca per l’avvio di un programma di studio e promozione volto a favorire una comunicazione corretta e chiara in ambito istituzionale

Negli USA, invece, già dalla metà degli anni ’70 è andato sviluppandosi un vero e proprio movimento finalizzato alla semplificazione della lingua utilizzata dagli avvocati americani, il “Plain English Movement”, con l’obiettivo di sfrondare il linguaggio giuridico dalle complessità di una terminologia, spesso arcaica, riservata agli addetti ai lavori e poco comprensibile al cittadino comune.

Un po’ alla volta si sono moltiplicate iniziative destinate a inserirsi in questo filone. Varie ricerche sono state condotte, principalmente negli USA, sottoponendo ad un campione di avvocati e giudici alcuni documenti in due versioni, una nello stile legale tradizionale ed una seconda in un linguaggio chiaro e maggiormente comprensibile (“plain language”, appunto) e la stragrande maggioranza degli intervistati ha ritenuto preferibile la versione in plain language.

La pragmaticità degli americani ha fatto sì che si arrivasse, nel 2010, a promulgare addirittura una legge federale ad hoc, il Plain Writing Act.

Periodi lunghi e involuti, frasi poco scorrevoli, l’utilizzo di vocaboli ormai desueti nel linguaggio comune influisce sulla fluenza, cioè sulla facilità o meno di processare le informazioni.

Oggi più che mai, nell’era di internet, caratterizzata da un vero e proprio bombardamento di stimoli comunicativi da metabolizzare velocemente, leggere e comprendere agevolmente le informazioni ricevute ne agevola l’assorbimento e ingenera nel lettore un atteggiamento positivo.

Se ciò vale per chi è esperto in un settore (come detto, il campione degli intervistati era composto da giudici e avvocati), è facile comprendere come sia tanto più importante per chi esperto non è.

E qui si torna al tema, posto inizialmente, del linguaggio utilizzato nell’atto notarile, il cui destinatario, nella stragrande maggioranza dei casi, non è un esperto del settore ma una persona comune.

Quanto più apprezzato sarebbe un atto notarile scritto in plain language, e quanto più apprezzato sarebbe il notaio che si rivolge al cliente in modo chiaro e comprensibile, sottraendosi ai trabocchetti del “legalese”?

E’ risaputo che dopo pochi minuti la soglia di attenzione di chi ascolta si abbassa in modo graduale, fino a sconfinare nella disattenzione. L’obiettivo a cui tendere dovrebbe quindi essere quello di organizzare le informazioni in modo efficace, riducendo i tempi di fruizione e, al contempo, agevolandone la comprensione, ciò che, sempre stando agli studi condotti, consente di accrescere notevolmente la credibilità e autorevolezza di chi fornisce l’informazione.

Gli atti notarili sono spesso eccessivamente lunghi, con troppi riferimenti a norme di legge che non solo non è indispensabile citare ma la cui presenza complica la fluenza da parte di chi ascolta o legge l’atto, con il risultato di rendere poco fluida la costruzione del periodo, complicando la comprensione dei testi e mettendo il più delle volte in una situazione di sudditanza psicologica il cliente che di tali norme, nella stragrande maggioranza dei casi, nulla sa.

Occorrere riflettere sul fatto che il cliente medio non esiste, esiste invece una tipologia di clienti estremamente varia per età, livello di istruzione, soglia media di attenzione, capacità di comprensione, padronanza del linguaggio di base e settoriale ecc. e tutto ciò, se vogliamo adeguare i nostri standard linguistici e di comunicazione, va tenuto in debita considerazione.

Il nostro linguaggio non deve essere autoreferenziale ma deve essere volto a raggiungere l’obiettivo di rendere comprensibili, anche a chi non è un tecnico del diritto, concetti tutt’altro che semplici.

E’ superfluo puntualizzare che una revisione dei testi finalizzata ad una più immediata comprensione dei concetti espressi nell’atto nulla deve concedere in termini di rigore scientifico e appropriatezza dell’espressione. Il punto, la vera sfida, è proprio coniugare comprensibilità e specificità del testo giuridico, di per sé tecnico e disseminato di menzioni cui il notaio è tenuto per legge e alle quali non può sottrarsi.

Ciò su cui si può operare è sicuramente:

  • il periodo, che deve essere più breve e possibilmente privo di (o con pochissime) incidentali;
  • l’uso dei vocaboli, eliminando quelli arcaici o eccessivamente ricercati;
  • l’utilizzo dei riferimenti normativi, che deve essere limitato a quei riferimenti che sono essenziali, magari concentrati in un’apposita sezione;
  • la struttura dell’atto, facendo ricorso, ove possibile, a schematizzazioni; inserendo per ogni articolo un titolo che faciliti la ricerca di determinate clausole; raggruppando, ove possibile, gli articoli in titoli e sezioni;
  • la grafica, utilizzando grassetti, sottolineature, corsivi ed elenchi puntati.

Questi sono solo alcuni degli accorgimenti che possono essere utilizzati. Sarà poi la sensibilità di ciascun notaio a guidarlo nella revisione dei testi, utilizzando la tecnica redazionale più affine al proprio modo di esprimersi ma sempre tenendo ben presente l’obiettivo finale di una più agevole comprensione del testo nell’ottica di una piena fruizione dei contenuti.

A metà degli anni ’60 Italo Calvino, in un celebre articolo scritto per il quotidiano Il Giorno, con la sottile ironia che gli era propria, lanciava i suoi strali contro quella che lui aveva ribattezzato “l’antilingua”, ma già molto prima, nei Promessi Sposi, Manzoni tracciava il ritratto mirabile dell’avvocato Azzeccagarbugli, del quale una delle principali caratteristiche era proprio il ricorso ad un linguaggio, quello dell’uomo di legge, artificiosamente complicato e del tutto incomprensibile al povero Renzo.

Ecco, se provassimo ogni tanto a metterci nei panni del Renzo di turno, cercando di fare uno sforzo che ci renda, nel linguaggio parlato e in quello scritto, più chiari e comprensibili, senza che ciò si traduca in un impoverimento della nostra lingua, renderemmo un gran servizio al cliente e guadagneremmo molto in termini di apprezzamento e credibilità.

Luca Sioni,  Notaio in San Vito al Tagliamento.

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