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E’ erede Il Trustee nel trust testamentario? Anche no. – di Notaio Roberto Santarpia

Questo articolo si propone di dare, per quanto possibile, lumi e quindi fare un pò di chiarezza su un argomento “periglioso” quale è il trust testamentario sotto il particolare profilo della qualifica che deve (o meno) rivestire il trustee per poter ottenere l’investitura quale “proprietario” dei beni in trust lì dove, per mezzo del testamento, l’istituzione del trust e la dotazione al trustee coincidono.

Non posso fare a meno di evidenziare che nell’accingermi a scrivere quanto infra, alla mia mente è tornato il ricordo di un autore di libro scientifico (Alberto Semi sul narcisismo) il quale introduceva il testo dicendo più o meno di sperare di non essere lui stesso tanto narcisista da pretendere di essere chiaro, semplice ed esaustivo e faccio mio appieno tale pensiero.  

Il punto nodale è se il trustee debba rivestire la qualifica di erede o legatario per poter apprendere i beni in trust (come dice gran parte della dottrina asserendo che nel nostro ordinamento non si possa configurare un soggetto che prende per testamento senza rivestire la qualità di erede o legatario) ovvero se la proprietà possa passare allo stesso in conseguenza del mero istituto del trust e quindi attributario dei beni in forza del testamento che prevede detta disposizione atipica, se atipica la vogliamo ancora considerare. Difatti il trust -istituto che deriva dagli ordinamenti del common law- è stato recepito nell’ordinamento italiano con l’adesione alla Convenzione dell’Aja, del 1° luglio 1985, ratificata con la legge 16 ottobre 1989 n. 364 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1992.   

Senza soffermarci sulla funzione del trust che sicuramente è a tutti i giuristi nota, è il caso di sottolineare che ai sensi dell’art. 2 della detta Convenzione “per trust si intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona (settlor) con atto tra vivi o mortis causa……..”, quindi è indubitabile che un trust si possa costituire a mezzo sia di un negozio inter vivos che di un negozio testamentario. Ora credo che nessuno dubiti che il trust costituito con atto inter vivos abbia in sé la causa (in senso giuridico) necessaria e sufficiente a far transitare la “proprietà” in capo al trustee, tanto se ora si volesse considerare detta causa “astratta” per l’avvenuto recepimento nel nostro ordinamento dell’istituto del trust, seppur non codificato dal legislatore italiano, quanto se si voglia -come ora appare preferibile- aderire alla causa concreta intesa quale scopo pratico del negozio, la sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione al di là del modello astratto utilizzato.

Se ciò è vero, come è vero, non si vede perché la medesima causa quale delineata dall’art. 2 della Convezione dell’Aja (che prevede il trasferimento dei beni o rapporti giuridici a favore del trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico….. e che i beni costituiscono un patrimonio separato nell’ambito della sfera giuridica del trustee che subisce un limite funzionale alla sua “proprietà” dato dalla particolare destinazione allo scopo che i beni hanno) non possa sorreggere il trasferimento dal settlor al trustee a prescindere dallo strumento usato e cioè atto inter vivos o testamento: nel primo caso causa sufficiente (nessuno dubita che il trustee non sia dunque un donatario) e nel secondo caso invece causa non sufficiente dovendo lui rivestire la qualità di erede.

Peraltro nessuno dubita neanche che l’interesse perseguito con il trust non sia meritevole di tutela e che non urti contro l’ordine pubblico, norme imperative e i principi del nostro ordinamento che già conosce l’istituto della fiducia: a conforto di ciò, l’art. 18 della legge n. 364 del 1989 dice che il trust deve osservare i limiti rappresentati dall’osservanza dei principi di ordine pubblico (interno) e all’art. 16 della detta legge si prescrive il rispetto delle norme di applicazione necessaria, tra le quali, quelle dei testamenti, quelle inerenti alla devoluzione ereditaria e quelle inerenti alla la successione necessaria. Ma detta ultima salvaguardia non deve indurre a farci concludere che nel nostro ordinamento non possa quindi configurarsi una disposizione testamentaria che investa qualcuno della proprietà di beni se non a titolo di erede o di legato perchè i principi del nostro ordinamento che i detti articoli 16 e 18 tutelano sono relativi alla forma testamentaria, e al generale rispetto di tutta la normativa successoria formale quanto alla forma dei testamenti e ai requisiti di loro validità, sostanziale quanto al divieto della sostituzione fidecommissaria, usufrutto successivo, divieto di apporre pesi sulla legittima, tutela della riserva a favore dei legittimari ecc. ma non certo impingere sulla qualifica che il trustee deve rivestire per apprendere i beni in quanto lo stesso art. 2 dichiara che il trust si può costituire per testamento senza voler introdurre ulteriori qualifiche al trustee e senza snaturare quindi l’istituto da lui delineato (seppure recepito in applicazione del rimando alla legge straniera scelta).  

A conforto del detto asserto se volessimo seguire il principio che nel nostro ordinamento chi viene investito per testamento debba per forza essere erede o legatario, ritenendo che il trust non abbia avuto la forza di modificare in parte qua le nostre regole legali in tema, deve poi conseguentemente essere consono con il principio da lui perseguito (si applica solo e sempre tutta la disciplina del ns. ordinamento in tema di successioni/testamenti) e spiegare quindi perché l’erede / trustee non abbia una proprietà piena ma conformata allo scopo del trust, vi sia una separazione patrimoniale all’interno della sua sfera giuridica non prevista dal nostro ordinamento ma da quello straniero scelto dalle parti per la disciplina del trust e le separazioni patrimoniali debbono (nel ns. ordinamento) essere previste in modo specifico perché eccezione al principio del 2740 c.c. (responsabilità generica) con la conseguenza che detti beni non fan parte del regime matrimoniale e perfino non fan parte della successione del trustee. In altri termini: come spiegare questo se non con la convinzione che il trust possa avere vigenza anche contrastando con questi principi e quindi se tale forza ha avuto non può anche giustificare una attribuzione testamentaria a prescindere dalla qualità di erede o legatario? Soluzione peraltro consona con la sua effettiva natura e causa.

Seguendo la tesi del “non erede” si riesce invece, molto meglio a concepire e conciliare alcuni aspetti del trust testamentario: il trasferimento al trustee dei beni e diritti  vincolati in trust, essendo meramente strumentale alla attuazione del trust, non è conciliabile con una sua qualificazione in termini di istituzione di erede o di legato, non volendo il testatore con la disposizione testamentaria al trustee beneficiare lo stesso; di conseguenza, quindi, la qualità di erede o legatario si deve riconoscere (piuttosto) in capo ai beneficiari del trust, essendo evidente come, con l’istituzione del trust testamentario, il testatore intenda disporre in favore (non già del trustee, il quale è, infatti, titolare dei beni in via provvisoria e meramente strumentale, bensì) dei beneficiari del trust, i quali, invero, rispetto alla volontà del testatore, sono i reali destinatari della disposizione testamentaria contente la istituzione del trust la cui CAUSA peraltro indubitabilmente sorregge il trasferimento dal trustee al beneficiario e nessuna altra causa.

Altra considerazione stridente se si accettasse la tesi del trustee erede: l’azione di riduzione dovrebbe essere diretta nei suoi confronti e non nei confronti dei beneficiari finali del trust in quanto il trasferimento a loro favore trova fonte non nel testamento ma nei successivi negozi attributivi dal trustee a loro favore, che rivestono natura di atto inter vivos. In realtà tutta la fattispecie complessa può solo spiegarsi e trova fondamento nel fatto che il beneficiario seppur avente causa dal trustee, non smette la relazione di continuità con il de cujus rappresentando il destinatario ultimo della volontà dello stesso che spiega e dà ragione del ricorso all’istituto del trust che altro non vuol dire che fiducia. Di conseguenza il legittimario leso dovrebbe agire nei confronti del beneficiario finale e non già nei confronti del trustee se non nel caso che la programmata sistemazione degli interessi sottesi dal trust non si sia ancora attuata ma ciò solo per esigenze  prioritarie di tutela della legittima. Peraltro a prescindere dal trust, già in precedenza si era individuato il legittimato passivo dell’azione di restituzione (che seguiva l’azione di riduzione nei confronti del fiduciario) nella persona del soggetto a cui un bene doveva essere trasferito in esecuzione di un patto fiduciario lì dove, come si sa, il bene viene trasferito in proprietà “piena” e non conformata al fiduciario il quale, in adempimento di un mero obbligo, ritrasferisce al beneficiario il bene.

Come poi spiegare il mancato (ed inesistente) arricchimento del trustee con la istituzione di erede o legatario? La qual cosa poi trascina di per sé quale conseguenza anche la inesperibilità dell’azione di riduzione nei suoi confronti.  

Se quindi possiamo concludere che il beneficiario consegue una liberalità indiretta dal de cujus appare configurabile nei suoi confronti l’applicabilità dell’art. 809 del codice civile.

Sembra quindi molto più consono ai principi del nostro ordinamento configurare il trustee che riceve per testamento non erede o legatario ma fiduciario e considerare erede il beneficiario (sempre che non sia trust di mero scopo) in relazione alla attuazione di tutti i principi di diritto sopra evidenziati.

Da ultimo le sentenze di Cassazione (relative  in maggioranza a trust inter vivos ma la faccenda non muta,  e specialmente la sentenza cass civile num. 5073 del 2023 che ritiene che l’azione di riduzione debba essere esercitata nei confronti dei beneficiari e non del trustee a meno che non abbia ancora trasferito i beni agli stessi) aderiscono alla tesi che il destinatario delle attribuzioni tramite trust siano in realtà non il trustee ma i beneficiari del trust, così come la stessa Agenzia delle Entrate ritiene che l’imposta sulle successioni e donazioni vada applicata con le franchigie previste in relazione al grado di parentela tra il settlor e i beneficiari finali percependo l’imposta solo al momento in cui il trustee trasferisce a costoro i beni adeguandosi perfettamente alla ricostruzione del detto istituto in termini unitari di fiducia (e causa fiduciaria del trasferimento a loro) e quindi riconoscendo al trustee la qualità di mero fiduciario  e non di erede o soggetto arricchito dalla disposizione/dotazione in seguito alla istituzione del trust.

Vedasi a tal proposito la risposta a interpello num. 106/21 dell Agenzia delle Entrate che dice “Solo l’attribuzione al beneficiario, che deve essere diverso dal disponente, può considerarsi – nel trust – il fatto suscettibile di manifestare il presupposto dell’imposta sul trasferimento di ricchezza.” Richiamando anche la sentenza n. 10256 del 29 maggio 2020 della Corte di Cassazione, con la detta risposta a interpello n. 106 del 15 febbraio 2021, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’assenza di un trasferimento intersoggettivo preclude l’applicazione dell’imposta di donazione per carenza del presupposto oggettivo, mancando un trasferimento di ricchezza.

Vedasi anche Risposta n. 351/2021 da parte della Agenzia delle Entrate avente ad oggetto il trattamento fiscale applicabile alle somme attribuite dal trustee al beneficiario finale di un trust statunitense: “In linea di principio, quindi, l’attribuzione di beni e/o diritti vincolati in trust ai beneficiari del trust da parte del trustee determina l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, al verificarsi dei presupposti previsti dalle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 346 del 1990.” E  la risposta ad interpello n. 371 del 2019 con la quale l’Agenzia delle entrate avrebbe chiarito che al conferimento di beni in “trust” deve essere applicata l’imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale avendo riguardo, ai fini della determinazione delle aliquote, al rapporto di parentela intercorrente tra il disponente e il beneficiario.  

Roberto Santarpia,  Notaio in Orzinuovi.