Ricevibilità di testamento con Divisione fatta dal testatore, nullità della stessa ex art. 735 comma 1° codice civile: art. 28 L.N.? – di Notaio Roberto Santarpia

Il presente elaborato ha, in asse con il taglio della rivista, un taglio operativo al fine di verificare se sia ricevibile dal notaio un testamento pubblico contenente una divisione fatta dal testatore con pretermissione di un legittimario.

Definizione e natura

La divisione fatta dal testatore, nota anche come “assegno divisionale qualificato”, è un atto testamentario con cui il testatore assegna direttamente i suoi beni agli eredi, evitando la formazione della comunione ereditaria. A differenza della divisione ordinaria, questa attribuzione ha effetto reale immediato, trasferendo i beni direttamente agli eredi sin dall’apertura della successione. Tuttavia, non si tratta di una divisione in senso tecnico, poiché non scioglie una comunione preesistente. È più correttamente definita come un mezzo per distribuire i beni tra gli eredi, con effetti immediati e diretti.

Distinzione da altre disposizioni

La divisione fatta dal testatore si distingue dall’institutio ex re certa (art. 588, 2° comma, c.c.), in cui le quote ereditarie non sono predeterminate, ma si determinano successivamente in base al valore dei beni assegnati. Nella divisione fatta dal testatore, invece, le quote sono specificamente individuate e assegnate agli eredi.

Limiti e condizioni

Proporzione tra valore della quota e beni assegnati: Il valore complessivo dei beni assegnati a ciascun erede non deve essere inferiore alla sua quota ereditaria di oltre un quarto, pena la possibilità di impugnazione per rescissione (art. 763 c.c.).

Inclusione dei legittimari: È obbligatorio includere nella divisione i legittimari, pena la nullità dell’atto (art. 735, 1° comma, c.c.).

Possibilità di divisione parziale: Il testatore può disporre una divisione oggettivamente parziale, assegnando solo alcuni beni e lasciando gli altri in comunione ereditaria, che sarà regolata secondo la legge, salvo diversa disposizione testamentaria.

Divisione soggettivamente parziale: È ammissibile che il testatore formi la porzione di alcuni eredi, lasciando gli altri in comunione ereditaria, a condizione che vi siano beni sufficienti per soddisfare i diritti degli eredi non apporzionati.

Nonostante il legislatore non la preveda, non v’è quindi alcun dubbio circa l’ammissibilità di una divisione soggettivamente parziale, ossia della divisione fatta dal testatore formando la porzione di alcuni eredi soltanto e lasciando quindi sussistere la comunione ereditaria in capo ai coeredi non apporzionati. La divisione soggettivamente parziale è anche, necessaria­mente, oggettivamente parziale, in quanto da essa devono re­star fuori i beni necessari a formare le porzioni degli eredi in essa non contemplati.

La validità della divisione soggettivamente parziale non può peraltro esser messa in dubbio guardando  quanto previsto dall’art. 735, 1° comma, c.c., che stabilisce essere nulla la divisione nella quale il testatore non abbia compreso qual­cuno dei legittimari o degli eredi istituiti. Tale norma, infatti, si riferisce soltanto al caso in cui il testatore non lasci fuori dalla divisione beni sufficienti a formare le porzioni spettanti ai soggetti pretermessi.

Efficacia e garanzie

La divisione fatta dal testatore ha effetti reali immediati, trasferendo i beni direttamente agli eredi. In caso di assegnazione di beni di valore inferiore alla quota spettante, il testatore può disporre conguagli in denaro, che assumono la natura di legati con funzione divisoria. Tali conguagli sono garantiti dall’ipoteca legale prevista dall’art. 2817, n. 2, c.c.

Nullità e impugnazione

La divisione fatta dal testatore è nulla se non comprende tutti i legittimari o gli eredi istituiti (art. 735, 1° comma, c.c.). Inoltre, è soggetta a impugnazione per lesione della legittima se un erede riceve beni di valore inferiore alla sua quota di legittima, con possibilità di azione di riduzione (art. 735, 2° comma, c.c.).

EFFETTI della nullità

La nullità della divisione non annulla le disposizioni testamentarie sottostanti. In caso di nullità, si ripristina la comunione ereditaria e gli interessati possono richiedere una nuova divisione secondo le norme legali. Il legittimario pretermesso deve prima esercitare l’azione di riduzione per ottenere la sua quota, e solo successivamente potrà partecipare alla divisione. E’ quindi bensì vero che In caso di pretermissione di un legittimario la divisione testamentaria è nulla ai sensi dell’art. ​ 735 c.c., ma il legittimario deve esperire preventivamente l’azione di riduzione per ottenere la quota di riserva e la qualità di erede.

Ciò in ossequio al principio oramai consolidatissimo secondo il quale il legittimario pretermesso non partecipa alla comunione ereditaria ipso iure (e né può pertanto chiedere la divisione dei beni relitti dal de cuius) senza aver prima esercitato vittoriosamente l’azione di riduzione delle disposizione testamenta­rie.  

Concorde la giurisprudenza della Cassazione: Cass. civ., Sez. ​ II, Sentenza, 22/03/2018, n. 7178: La domanda di nullità della divisione deve essere accolta solo se il legittimario pretermesso ha esperito preventivamente l’azione di riduzione. ​

La divisione non sarà quindi nulla nel caso in cui il testatore non abbia incluso nella stessa alcuno dei legittimari o degli eredi istituiti ma vi siano nell’asse beni sufficienti a formare la porzione dell’erede pretermesso o lo stesso non sia stato comunque leso nella sua legittima per avere ricevuto in vita donazioni che hanno soddisfatto la sua quota necessaria. Così come non sarà nulla nel caso in cui beni in eccedenza, rispetto al riparto divisorio, non vi siano, ma il legittimario non sia un coerede non avendo agito in riduzione.

Si verte indubitabilmente nel campo degli strumenti di protezione della legittima. Infatti la disposizione in commento (735 1° comma) decisamente presuppone la lesione del legittimario sotto il profilo quantitativo, per cui la legittimazione ad agire sarà integrata dalla verifica della ricorrenza di tutti i presupposti per l’esercizio dell’azione di riduzione, di cui l’azione in questione (735 comma 1°) costituirebbe a giudizio della migliore dottrina (Mengoni e La Porta) particolare applicazione.

Ma allora se la nullità dell’ art. 735. 1° comma codice civile, non opera “statim et irrevocabiliter” ma solo in quanto il legittimario pretermesso abbia vittoriosamente esperito l’azione di riduzione unitamente alla domanda giudiziale di nullità della divisione, di che tipo di nullità si tratta? Dalla risposta dipende la ricevibilità o meno da parte del Notaio di una divisione soggettivamente parziale effettuata dal testatore che non abbia incluso un legittimario e non abbia nemmeno lasciato (oltre il diviso) beni sufficienti ad apporzionarlo.

Personalmente aderisco pienamente quindi alla dottrina che propende per la detta ricevibilità ed anzi per la cogenza della sua ricevibilità ex art. 27 Legge notarile e non applicabilità dell’art. 28 della legge notarile per i seguenti motivi:

Non si verte nel campo della nullità assoluta in quanto i tratti caratteristici della stessa sono la insanabilità anche se è possibile la conversione; la legittimazione ad agire è assoluta, ovvero chiunque vi abbia interesse può far valere la nullità; la nullità assoluta può essere rilevata d’ufficio dal giudice ed infine la nullità assoluta produce effetti anche nei confronti dei terzi. Tutte tali condizioni non sono sussistenti nel caso della divisione fatta dal testatore senza inclusione di un legittimario.

Direi che per quanto sopra specificato si verta quindi nel campo della nullità relativa; infatti solo determinate parti, o specificamente indicate dalla legge, possono esercitare l’azione di nullità. A differenza della nullità assoluta, la nullità relativa può essere sanata e non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma richiede una specifica eccezione da parte dell’ interessato. Tutte circostanze rilevabili nella fattispecie che ci interessa; è, ritengo, configurabile anche una tacita volontà di sanatoria da parte del legittimario pretermesso che non abbia avuto soddisfazione in ordine alla sua quota necessaria e che non abbia impugnato con azione di riduzione e nullità la stessa divisione e che si caratterizza per la sua legittimazione ad agire limitata.

Quindi questa nullità ex art. 735 comma 1 c.c. è nullità di protezione o relativa. Da ciò inapplicabilità dell’art. 28 Legge notarile. Partendo dalle caratteristiche della sanzione della nullità di protezione è stato affermato che «esula dal contesto sanzionato dall’art. 28 l.n., la nullità relativa, rilevabile non d’ufficio ma solo da chi vi è legittimato dalla legge, strutturalmente assimilabile all’annullabilità, pur conservando quel profilo d’imprescrittibilità dell’azione tipico della nullità. L’art. 28 sanziona solo la nullità assoluta dell’atto». La Corte di Cassazione ha, in più occasioni, ribadito che il divieto imposto dall’art. 28, n. 1), l. not. di ricevere atti espressamente proibiti dalla legge attiene ad ogni vizio che dia luogo ad una nullità assoluta dell’atto, con esclusione, quindi, dei vizi che comportano l’annullabilità o l’inefficacia dell’atto ovvero la stessa nullità relativa.

Roberto Santarpia,  Notaio in Orzinuovi.

Il Notaio di Nuova Nomina affronta il mercato notarile: strategie di comunicazione tra budget ridotti e limiti deontologici – di Dott. Michele D’Agnolo

Negli ultimi anni, il settore notarile ha visto un’evoluzione significativa, non solo per l’aumento delle normative e della concorrenza, ma anche per la trasformazione organizzativa degli studi notarili. La presenza di più notai soci all’interno di uno stesso studio è una tendenza crescente, che porta con sé numerosi vantaggi, ma anche un aumento esponenziale della complessità organizzativa. In questo contesto, il ruolo degli assistenti notarili diventa cruciale, ma anche particolarmente sfidante.

  1. La complessità gestionale negli studi con più notai soci

Gli studi notarili che operano con più soci devono affrontare una serie di complessità organizzative che possono rendere la gestione del lavoro molto più articolata rispetto a studi con un solo notaio. Queste complessità emergono su più livelli:

  • Diversità di approcci operativi

Ogni notaio ha un proprio stile lavorativo, un metodo preferito per gestire i clienti e le pratiche, e differenti priorità. In uno studio multi-socio, gli assistenti notarili devono essere in grado di adattarsi alle esigenze specifiche di ciascun notaio. Questo richiede una flessibilità operativa non indifferente, poiché devono imparare a lavorare in maniera efficace con personalità e stili di lavoro diversi, spesso anche su base quotidiana.

  • Coordinamento tra i soci

La presenza di più notai implica anche la necessità di un maggiore coordinamento, sia tra i soci stessi sia tra i rispettivi team. Questo può comportare la gestione di sovrapposizioni di impegni, differenze nei processi decisionali, o addirittura conflitti di priorità. Gli assistenti notarili, spesso posti al centro del flusso organizzativo, devono essere abili nel bilanciare queste dinamiche e garantire una comunicazione efficace tra le parti.

  • Aumento del volume e della varietà delle pratiche

Con più notai, aumenta inevitabilmente il volume delle pratiche gestite dallo studio, così come la varietà degli atti notarili. Questo richiede una maggiore capacità organizzativa e una conoscenza approfondita delle diverse tipologie di pratiche, che vanno da quelle immobiliari e societarie a quelle di diritto di famiglia o successione. Gli assistenti notarili devono essere preparati a gestire una vasta gamma di attività, garantendo precisione e tempestività nella gestione di ciascuna pratica.

  1. Le sfide per gli assistenti notarili negli studi multi-socio

La figura dell’assistente notarile, già essenziale in qualsiasi studio notarile, diventa ancor più strategica negli studi con più notai soci. Questi professionisti si trovano ad affrontare diverse sfide:

  • Gestione del carico di lavoro

Con l’aumento del volume di lavoro e delle tipologie di atti da gestire, la capacità di organizzare le priorità diventa una competenza cruciale per gli assistenti notarili. Devono saper lavorare con efficienza sotto pressione e mantenere la qualità del servizio in situazioni di sovraccarico. La gestione di più agende notarili contemporaneamente richiede anche l’uso di strumenti digitali avanzati per la pianificazione, oltre alla necessità di aggiornamenti costanti su scadenze legali e normative.

  • Competenze trasversali e aggiornamento costante

Negli studi multi-socio, agli assistenti notarili si richiede di essere “multitasking” in un contesto dove la complessità delle pratiche può variare significativamente. Questo significa non solo una profonda conoscenza giuridica di base, ma anche competenze trasversali, come l’uso di software gestionali specifici, la capacità di relazionarsi con i clienti e la capacità di gestire pratiche delicate. Gli aggiornamenti normativi sono costanti, e gli assistenti devono rimanere sempre allineati alle nuove regolamentazioni, in particolare in ambiti complessi come la digitalizzazione degli atti notarili e l’evoluzione delle procedure di firma digitale.

  • Problem solving e gestione delle urgenze

Lavorare con più notai significa essere pronti a gestire situazioni impreviste e urgenze provenienti da diverse direzioni. La capacità di risolvere problemi e rispondere prontamente alle necessità dei notai e dei clienti, a volte simultaneamente, è una delle competenze più apprezzate. Inoltre, negli studi più grandi, gli assistenti devono spesso fungere da intermediari tra clienti e notai, rappresentando la “voce” dello studio nelle fasi preliminari di gestione della pratica.

  • Relazioni con i clienti

In uno studio con più notai soci, l’assistente notarile deve anche gestire le relazioni con una clientela più ampia e diversificata. A seconda del notaio con cui lavora, potrebbe trovarsi a trattare con clienti privati, imprese o istituzioni, ciascuno con esigenze e aspettative differenti. La capacità di adattarsi a vari contesti e stili di comunicazione diventa fondamentale, così come la gestione delle aspettative dei clienti su tempi e modalità di erogazione del servizio.

  • Doppia leadership e ambiguità dei ruoli

Negli studi con più soci, la leadership non è sempre centralizzata. Gli assistenti notarili possono essere chiamati a rispondere a due o più superiori, ciascuno con priorità differenti, creando una potenziale ambiguità nelle responsabilità e nelle direttive. L’ambiguità può creare dinamiche conflittuali anche tra i soci stessi. La chiarezza organizzativa e la comunicazione interna diventano quindi vitali per evitare confusioni e inefficienze.

  1. Strumenti per affrontare la complessità organizzativa

Per affrontare al meglio queste sfide, gli assistenti notarili e lo studio nel suo complesso possono adottare alcune strategie organizzative:

  • Digitalizzazione e strumenti gestionali avanzati

L’utilizzo di software gestionali per la gestione delle pratiche notarili, dei clienti e degli appuntamenti è ormai imprescindibile. Questi strumenti aiutano a semplificare la gestione del flusso di lavoro, garantendo che ogni notaio e assistente disponga delle informazioni corrette in tempo reale, riducendo il rischio di errori o sovrapposizioni.

  • Formazione continua

La formazione continua per gli assistenti notarili non dovrebbe limitarsi alle sole competenze giuridiche. Investire in formazione su competenze gestionali, organizzative e di problem solving può fare una grande differenza nella capacità di affrontare la complessità di uno studio multi-socio.

  • Comunicazione interna strutturata

Negli studi con più notai soci, la comunicazione interna deve essere strutturata e sistematica. Meeting regolari tra soci, e tra questi e gli assistenti notarili e il personale amministrativo possono facilitare il coordinamento e garantire che tutti siano allineati su scadenze, priorità e responsabilità. Allo stesso modo strumenti di condivisione delle informazioni come CRM, chat interne ed altri possono contribuire ad una migliore circolazione delle informazioni. 

Conclusioni

Gli studi notarili con più notai soci presentano una complessità organizzativa notevole, e gli assistenti notarili svolgono un ruolo essenziale nel gestire questa complessità. La capacità di adattarsi a diversi stili di lavoro, di gestire il carico di pratiche e di mantenere una relazione efficace con i clienti è cruciale per il successo di questi studi. Attraverso una formazione adeguata, l’uso di strumenti digitali avanzati e una gestione organizzativa chiara, è possibile affrontare con successo le sfide poste da questa nuova realtà professionale.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ

Cessione d’azienda e registro: legificazione di un principio già applicato nella prassi – di Notaio in attesa di nomina Michele Marco Sardella

La legge di riforma dell’imposta di registro recata dal d.lgs. 2024 n. 139, in vigore dal 1° gennaio 2025 (di seguito, la “Riforma”), è intervenuta, tra l’altro, in tema di tassazione dei contratti di cessione d’azienda a titolo oneroso, modificando le disposizioni del Testo unico in materia di imposta di registro di cui al d.P.R. 1986 n. 131 (TUR) in tema di determinazione della base imponibile (art. 51 TUR) e di individuazione delle aliquote applicabili (art. 23 TUR).

È a tutti noi ben noto che la questione relativa alla natura giuridica dell’azienda rappresenta uno dei temi maggiormente dibattuti nell’ambito dell’intero diritto commerciale. Senza alcuna pretesa di esaustività (non foss’altro perché in questo contributo ci occupiamo di trattamento fiscale), è giusto il caso di rammentare che al filone atomistico, secondo cui l’azienda non esiste come bene autonomo, rilevando solo i singoli beni che la compongono, si contrappone il filone unitario, secondo cui l’azienda è, per l’appunto, un bene unitario, distinto dai singoli beni che la compongono e, come tale, dotato di autonoma rilevanza giuridica. Il filone unitario vede contrapporsi, al suo interno, chi afferma la natura dell’unico-bene-azienda come bene immateriale a chi, invece, la configura come universalità. Ancora, all’interno della tesi universalistica, si fronteggiano due orientamenti: il primo individua l’azienda come una universalità di fatto, comprensiva di tutti i beni (ma non dei diritti) materiali e immateriali che la compongono; il secondo, invece, considera l’azienda come universalità di diritto, comprensiva non solo dei beni, ma anche di tutti i diritti ad essa inerenti.

Da un punto di vista fiscale, in via preliminare, occorre precisare che, sulla base del disposto di cui all’art. 2, comma 3 lettera b) d.P.R. 1972 n. 633 (Testo unico in materia di imposta sul valore aggiunto), la cessione a titolo oneroso di aziende o rami di azienda è operazione fuori dal campo Iva e che, pertanto, in virtù del principio di alternatività tra Iva e Registro di cui all’art. 40 TUR, si applica l’imposta di registro in misura proporzionale.

La disciplina è contenuta nell’art. 23, commi 1 e 4 TUR, dal quale si evince in prima battuta che il Legislatore, ai fini fiscali, si schiera a favore della suddetta tesi atomistica  e nell’art. 51, commi 1, 2 e 4 TUR, entrambi novellati dalla Riforma, nonché nell’art. 43, comma 1 lettera a) TUR, disposizione, quest’ultima, che, invece, rimane invariata.

Partendo dalla lettura di quest’ultima disposizione, è possibile individuare la regola generale per calcolare la base imponibile ai fini della determinazione dell’imposta di registro: essa è costituita “dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto”, dovendosi assumere come tale in fase di registrazione il valore “dichiarato dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito” (art. 51, comma 1 TUR) e fermo restando il potere di rettifica in capo all’Agenzia delle Entrate nel caso in cui ritenga, dopo aver effettuato i controlli di cui all’art. 51, comma 4 TUR, che il valore preso a riferimento per il calcolo della base imponibile individuato dalle parti sia inferiore al valore venale del bene. In pratica, per la determinazione della base imponibile, il valore dell’azienda viene quantificato sommando i valori di tutti gli asset che la compongono (beni materiali, immateriali e avviamento), e sottraendo da tale valore quello delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie e dagli atti aventi data certa, precisandosi che le passività da decurtare vengono imputate ai diversi beni in proporzione al loro rispettivo valore (trattasi del cosiddetto “principio di proporzionalità”).

Quanto ai criteri per l’individuazione dell’aliquota applicabile, il nuovo comma 4 dell’art. 23 TUR stabilisce che nelle cessioni di aziende o di complessi aziendali relativi a singoli rami dell’impresa «si applicano le aliquote previste per i trasferimenti a titolo oneroso aventi a oggetto le diverse tipologie di beni che compongono l’azienda o il ramo di azienda, sulla base dell’imputazione a tali beni di una quota parte del corrispettivo da individuare secondo una ripartizione indicata nell’atto o nei suoi allegati. Per i crediti aziendali si applica sulla quota parte di corrispettivo a essi imputata l’aliquota prevista per le cessioni di crediti. Ai fini dell’applicazione delle diverse aliquote, le passività si imputano ai diversi beni sia mobili che immobili in proporzione del loro rispettivo valore. In assenza della suddetta ripartizione, si applica la disposizione del comma 1».

In altri termini, la nuova disposizione statuisce che:

  1. nelle operazioni di cessione di aziende o di rami d’azienda si applicano le aliquote previste per i trasferimenti a titolo oneroso relative alle diverse categorie di beni che compongono l’azienda ceduta.
    Si ricorda pertanto che, in ossequio ai criteri stabiliti dalla Tariffa Parte Prima allegata al TUR (TP1 TUR), le aliquote da applicare sono le seguenti:
    • immobili, aliquota del 9 per cento (salvo che trattasi di immobili strumentali, nel qual caso trova applicazione l’agevolazione di cui alla legge 2021 n. 234 in deroga al principio di alternatività Iva-Registro scontando i medesimi imposta in misura fissa);
    • terreni agricoli, aliquota del 15 per cento;
    • beni mobili, aliquota del 3 per cento;
    • avviamento, aliquota del 3 per cento;
    • crediti vari, aliquota dello 0,50 per cento;
    • partecipazioni sociali, soggette a imposta fissa;
    • contratti (soggetti a imposta in misura fissa, se il contratto ceduto è soggetto a IVA ovvero all’imposta in misura proporzionale propria del contratto, se lo stesso non è soggetto a IVA);
    • autoveicoli in genere, esenti da imposta (ai sensi dell’art. 11-bis della tabella allegata al TUR – TAB TUR);
    • unità da diporto, soggette a imposta fissa in base alla lunghezza (ai sensi dell’art. 7 TP1 TUR);
  2. la ripartizione degli asset costituenti l’azienda oggetto di cessione, secondo le categorie corrispondenti alle rispettive aliquote applicabili, deve essere indicata espressamente nell’ambito del contratto di cessione ovvero nei relativi allegati;
  3. in assenza della suddetta ripartizione (in atto o nei relativi allegati), l’intero valore dell’azienda oggetto di cessione è assoggettato all’imposta di registro applicando l’aliquota più elevata tra quelle previste per i beni che compongono il compendio aziendale ceduto, con evidente maggior carico fiscale in capo al contribuente;
  4. alla quota parte del corrispettivo imputabile ai crediti aziendali si applica l’aliquota prevista per le cessioni di crediti;
  5. ai fini dell’applicazione delle differenti aliquote, le passività sono imputate ai beni, mobili e immobili, in proporzione al rispettivo valore.

A ben vedere, più che dinnanzi a una vera e propria novità legislativa, pare piuttosto trovarsi di fronte all’esplicitazione all’interno del testo di legge di un principio ben noto alla realtà professionale, vale a dire quello della cosiddetta “ventilazione” del corrispettivo della cessione dell’azienda tra i vari beni, diritti e cespiti che la compongono, principio che consente di tassare l’atto che ci occupa applicando separatamente le aliquote proprie dei trasferimenti onerosi dei singoli asset aziendali.

Al contrario, ad avviso di chi scrive, assume rilevanza significativa l’introduzione della precisazione secondo cui, per i crediti maturati dall’imprenditore cedente trasferiti onerosamente per la loro riscossione al cessionario, si applica l’aliquota prevista per le cessioni di crediti sulla quota parte di corrispettivo a essi imputata e, cioè, quella dello 0,50 per cento ai sensi all’art. 6 TP1 TUR.

È vero infatti che anche prima dell’entrata in vigore della Riforma molti uffici concordavano per l’applicazione dell’aliquota dello 0,50 per cento alla quota parte di corrispettivo della cessione d’aziendacrelativa ai crediti aziendali, ma è altrettanto vero che non vi era un atteggiamento univoco, tant’è che non sono mancati casi in cui gli uffici hanno preteso di tassare tale voce dell’attivo aziendale applicando l’aliquota del 3 per cento.

Con riferimento alla valorizzazione delle passività, la norma specifica che dev’essere applicato un criterio tassativamente proporzionale, prescindendo da ogni nesso diretto tra le passività medesime e i singoli componenti dell’attivo. Ciò significa che, ad esempio, non assume alcuna rilevanza il fatto che un debito contratto per l’acquisto di un immobile aziendale sia garantito da ipoteca iscritta sul medesimo bene facente parte del complesso aziendale oggetto di trasferimento: anche in questo caso, il debito sarà “spalmato” proporzionalmente su tutti gli asset aziendali e non solo sull’immobile ipotecato.

Quanto alle modalità di determinazione della base imponibile, la Riforma ha modificato i commi 2 e 4 dell’art. 51 TUR, “traslando” al comma 2 parte di quanto già previsto in precedenza dal comma 4 del medesimo art. 51 TUR.

Ai sensi del comma 2, la base imponibile dell’imposta di registro dovuta in caso di trasferimento di aziende o di diritti reali su di esse è determinata assumendo il valore venale complessivo dei beni che compongono l’azienda, ivi incluso l’avviamento, con esclusione dei beni indicati negli artt. 7 TP1 TUR e 11-bis TAB TUR. Dal valore così determinato devono essere dedotte le passività inerenti all’azienda, risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa, fatte salve le passività che l’alienante si sia espressamente impegnato a estinguere all’interno del contratto, nonché quelle riferibili ai beni sopra menzionati.

Con riguardo alle modifiche introdotte all’articolo 51, comma 4 TUR, si evidenzia che l’Ufficio procede al controllo del valore indicato dalle parti ai sensi di legge, avvalendosi anche degli accertamenti effettuati ai fini di altre imposte e «procede ad accessi, ispezioni e verifiche secondo le disposizioni relative all’imposta sul valore aggiunto».

Michele Marco Sardella, Notaio in attesa di nomina