Progettare il sistema di valutazione del personale nello studio notarile – di Dott.ssa Anna Lisa Copetto

In un contesto così complesso e delicato come quello dello studio notarile, dove precisione, competenza e affidabilità sono fondamentali ai fini della qualità del servizio erogato, le persone e le competenze sono il principale asset strategico principale. Avere una policy di gestione delle risorse umane che contempli un sistema di valutazione del personale efficace è imprescindibile.

Cos’è la valutazione del personale.

La valutazione del personale è un processo sistemico finalizzato a individuare eventuali scostamenti tra la performance della persona e ciò che lo studio desidera o necessita da quella persona. Lo scostamento, positivo o negativo, indirizzerà le risorse dello studio verso una strategia mirata di miglioramento e di valorizzazione della persona e dello studio nel suo complesso.

Gli obiettivi valutazione del personale

La progettazione di un buon sistema di valutazione del personale passa da una chiara definizione degli obiettivi che ci si vuole porre.  Gli obiettivi perseguibili possono essere molteplici e combinabili tra loro: migliorare le prestazioni, mappare le competenze per verificare eventuali opportunità di sviluppo di nuovi servizi, pianificare piani di crescita interna, favorire il passaggio generazionale, ridurre il turnover, aumentare la produttività, ecc.

L’oggetto della valutazione

In funzione degli obiettivi, andrà definito l’oggetto della valutazione: competenze, prestazioni, comportamenti, potenziale, attitudini, ecc. Ad esempio, se l’obiettivo è di vagliare la possibilità di sviluppare l’area societaria, l’oggetto della valutazione potrà essere la competenza posseduta (ancorché non esercitata).

Frequenza di valutazione

Occorrerò quindi decidere in merito alla frequenza con cui effettuare le valutazioni. Si potrà scegliere tra valutazioni annuali, semestrali, mensili, fino ad arrivare a valutazioni quotidiane, con molte possibilità intermedie. La scelta dipenderà molto dalle disponibilità di risorse e tempo che lo studio potrà dedicare alla raccolta e analisi dei dati. Valutazioni più frequenti sono più costose ma permettono di intercettare tempestivamente eventuali problemi e di intervenire più rapidamente. Viceversa, valutazioni meno frequenti favoriscono una più ampia visione d’insieme.

Valutato e valutatore

Un altro tema riguarda la scelta del valutato e del valutatore. La valutazione potrà riguardare indistintamente tutto lo staff dello studio, solo alcune aree (area atti immobiliari, ad esempio), oppure ancora solo categorie specifiche di lavoratori (solo i dipendenti, ad esempio), solo singole persone. Per quanto concerne il ruolo di valutatore, solitamente è assegnato al Notaio stesso oppure ad una figura responsabile. Possono tuttavia essere esplorate altre possibilità: colleghi, subordinati e perfino i clienti e il valutato stesso.

Criteri di valutazione

Per monitorare il risultato delle valutazioni potrebbe essere utile stabilire dei KPI coerenti con l’oggetto dell’assesment. Ad esempio, se voglio monitorare la produttività dell’area “adempimenti post stipula”, potrebbe essere utile calcolare il tempo medio di esecuzione degli adempimenti per ciascun atto nell’anno. Oppure si potrebbe ragionare in termini di obiettivi da assegnare al personale, andando quindi a valutare se e in che misura sono stati raggiunti.

Feedback

Il risultato della valutazione e le azioni che lo studio intende avviare in funzione di esso devono essere il più possibile condiviso con le persone interessate, per farle sentire parte attiva di un percorso di miglioramento più ampio. È importante quindi definire come (colloqui individuali, riunioni plenarie, de visu, per iscritto, ecc.), quando (costantemente, periodicamente, annualmente) e da chi (Notaio o suo delegato).

Attenzione!

Affinché possa essere efficace, il sistema di valutazione del personale deve essere percepito come vantaggioso per tutti. È importante quindi non prestare il fianco a fraintendimenti: non dovrà essere interpretata dal valutatore come strumento per stanare e punire i nullafacenti né dal valutato come uno strumento di controllo e ritorsione. Il rischio è che si trasformi in un boomerang. Una valutazione percepita come ingiusta può essere infatti motivo di abbandono dello studio da parte della risorsa interessata. Al contrario, sentire che lo studio valuta equamente il proprio lavoro e che si mette a disposizione per superare eventuali difficoltà (con delle azioni formative mirate, ad esempio) o che valorizza e premia i comportamenti virtuosi (con dei premi, ad esempio) favorisce la permanenza dei talenti migliori. Che sappiamo essere sempre più rari.

 

La progettazione di un sistema di valutazione del personale

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network

 

Assicurazione sulla vita a favore di terzo e designazione del beneficiario- a cura Notaio Vincenzo Spadola

In generale.

Il contraente di un’assicurazione sulla vita può stipulare a proprio favore, riservando a sé o al proprio patrimonio il diritto all’indennità assicurativa, anche nell’assicurazione per il caso di morte nel qual caso l’indennità assicurativa incrementa il patrimonio ereditario.

Tuttavia l’assicurazione può essere validamente stipulata anche a favore di terzo (articolo 1920 Codice Civile); in questa ipotesi l’indennità spetta al terzo beneficiario in applicazione del generale principio della validità del contratto a favore di terzo sempre che il terzo riceva solo un vantaggio.

Qualunque soggetto diverso dal contraente può essere designato quale beneficiario.

L’acquisto del diritto da parte del terzo discende dalla designazione pur avendo fonte contrattuale.

Quando il contraente ha omesso di fare la designazione o ha revocato una designazione già fatta senza sostituirla oppure manca una valida designazione o il terzo rifiuta il beneficio, il diritto alla somma assicurata entra a far parte del patrimonio del contraente e si trasferisce ai suoi eredi.

La stipulazione assicurativa a favore di terzo può avere causa gratuita od onerosa (per esempio corrispettivo di un più ampio assetto negoziale oppure solutoria di una pregressa passività).

La designazione donandi causa ha natura di donazione indiretta: mediante il pagamento dei premi si perviene alla corresponsione della somma assicurata al beneficiario.

In quanto donazione indiretta essa è suscettibile di riduzione (articolo 1923): la relativa azione ha per oggetto non l’indennità pagata al beneficiario (non è questa la somma uscita dal patrimonio del donante) bensì l’ammontare complessivo dei premi assicurativi pagati in vita, i quali soli costituiscono l’unico depauperamento che si verifica nel patrimonio del contraente (Tribunale Bologna 23.5.2001, Tribunale Padova 19 settembre 2014; Cassazione 6531/2006).

Nel rapporto tra beneficiario e assicuratore l’attribuzione della somma assicurata ha sempre luogo a titolo oneroso quale corrispettivo dei premi erogati.

La designazione del beneficiario.

La designazione può essere contestuale alla stipula del contratto o successiva purché anteriore alla verificazione dell’evento assicurato.

La designazione successiva può essere fatta:

  • con dichiarazione scritta comunicata all’assicuratore;
  • per testamento; equivale a designazione l’attribuzione della somma assicurata fatta per testamento a favore di persona determinata.

Le forme predette sono tassative ma le parti nel contratto possono liberamente modificarne la previsione escludendo taluna delle forme previste o aggiungendone di nuove.

La designazione è:

  1.  negozio unilaterale; non necessita di accettazione da parte dell’assicuratore o del beneficiario; per Cassazione 4833/1978 è sufficiente che l’atto sia stato indirizzato inequivocabilmente all’assicuratore e sia concretamente pervenuto a quest’ultimo, anche se dopo la morte del primo e pure ad opera di terzi;
  2.  non recettizia; è valida anche se non comunicata all’assicuratore o al beneficiario (la comunicazione è requisito di efficacia e non di validità del negozio); è efficace anche la comunicazione successiva alla morte del contraente; il Tribunale di Bologna con sentenza 17.3.1964 ha stabilito che la designazione del beneficiario, effettuata in sede di separazione coniugale, costituisce designazione irrevocabile anche se il relativo verbale non venga notificato all’assicuratore; il Tribunale di Roma con sentenza 27.3.1946 ha precisato che la comunicazione all’assicuratore della designazione, successiva alla conclusione del contratto, rappresenta esclusivamente una condizione per il conseguimento da parte del beneficiario dei vantaggi derivanti dal rapporto assicurativo; in senso opposto si è pronunciato il Tribunale di Roma con sentenza 31.7.1970 per il quale la designazione acquista rilevanza giuridica esterna solo tramite la comunicazione all’assicuratore; comunicazione da compiersi ad iniziativa del dichiarante;
  3. negozio inter vivos (pur se contenuta in un testamento), in quanto atto con cui il contraente individua il beneficiario di un contratto tra vivi senza disporre di un proprio diritto a titolo di eredità o di legato.

Per la Cassazione 93/1953 è valida la designazione in un testamento olografo contenente quale unica disposizione la designazione del beneficiario.

Il Tribunale di La Spezia con sentenza 26.6.1953 ha ritenuto valida la designazione contenuta in una lettera indirizzata all’assicuratore, tanto più quando la lettera presenti tutti i requisiti formali dell’olografo.

Il Tribunale di Palermo 22.1.2003, decidendo un caso di designazione testamentaria successiva a designazione contrattuale e con essa contrastante, ha stabilito che in caso di pluralità di designazioni successive non tutte comunicate va accordata prevalenza a quella cronologicamente successiva.

Per Cassazione 6062/1998 il fatto che il beneficiario non abbia avuto conoscenza della designazione non è idoneo a sospendere la prescrizione breve annuale; né l’assicuratore è tenuto a notificare al beneficiario la maturazione del suo diritto.

Contenuto della designazione.

E’ consentita la designazione generica: è sufficiente che il beneficiario possa essere individuato per relationem, quindi costituisce valida designazione l’uso delle ricorrenti espressioni “agli eredi”, “agli eredi legittimi”, “agli eredi testamentari”.

         In tali casi la somma assicurata spetta a chi, alla morte dell’assicurato, risulti erede per legge o per testamento; il riferimento alla qualità di erede vale solo al fine di individuare la persona del beneficiario ed è irrilevante l’acquisto o meno dell’eredità nel caso concreto trattandosi, con riferimento al diritto del beneficiario, di un diritto avente fonte contrattuale e non ereditaria.

A tale proposito le sentenze della Cassazione 4484/1996, 25.635/2018, Sezioni Unite 11421/2021 hanno precisato che la designazione generica degli “eredi” come beneficiari comporta l’acquisto del diritto da parte di coloro che, al momento della morte del contraente, rivestano tale qualità in forza del titolo della astratta delazione. Non rileva se il chiamato accetta o rinuncia al fine della determinazione concreta dell’avente diritto. Inoltre, in difetto di una diversa volontà del contraente, la ripartizione dell’indennizzo tra gli aventi diritto avviene in parti uguali e non secondo le quote ereditarie.

Quest’ultimo assunto si rinviene già nelle sentenze della Cassazione 9388/1994 e dei Tribunali di Lamezia Terme 24.7.1978 e di Roma 18.3.2004,  per le quali, in presenza di una pluralità di beneficiari, dovrà farsi luogo alla ripartizione della somma assicurata per quote eguali e non secondo i criteri ereditari.

Il Tribunale di Lamezia Terme 24.7.1978 ha escluso la legittimazione attiva della curatela dell’eredità giacente a percepire il capitale spettante agli eredi beneficiari.

I Tribunali di Torino con sentenza 21.5.1959 e di Alba con sentenza 15.2.1967 hanno escluso che l’espressione eredi legittimi, da intendersi nel suo preciso significato tecnico, possa comprendere i legatari.

Quanto alle formule “ai miei figli” oppure “a mia moglie”, esse sono prevalentemente interpretate nel senso che occorra avere riguardo a chi rivestiva le rispettive qualità all’epoca della designazione e non della morte.

La designazione del proprio coniuge quale beneficiario deve intendersi riferibile all’unito civilmente che, nella sostanza, riveste lo stesso ruolo di un coniuge.

Il diritto del terzo beneficiario.

Il beneficiario acquista, senza necessità di accettazione, un diritto proprio e autonomo.

         Di conseguenza, in caso di morte di uno dei beneficiari, il diritto all’indennizzo si trasmette ai suoi eredi e non si accresce agli altri beneficiari (Cassazione 4851/1980; Cassazione 9388/1994; Cassazione 4484/1996; Cassazione 9948/2021; Cassazione 11101/2023).

         L’autonomia del diritto del beneficiario e la sua estraneità rispetto al patrimonio del contraente comportano talune rilevanti conseguenze:

  • la somma assicurata non può essere aggredita dai creditori e dagli eredi del contraente;
  • la capacità del beneficiario deve sussistere al momento della realizzazione del diritto;
  • l’azione di adempimento contrattuale deve essere esperita dal beneficiario (non dal contraente o dai suoi eredi);
  • l’assicuratore può opporre al terzo le eccezioni personali al terzo medesimo e quelle obiettivamente fondate sul contratto, mai le eccezioni personali al contraente.

Non possono essere imposti obblighi primari a carico del beneficiario ma solo oneri e obblighi secondari o previsti per legge. Pertanto:

  • il diritto del beneficiario è soggetto al termine prescrizionale di due anni e non all’ordinario termine decennale (articolo 2952 Codice Civile);
  • sono opponibili al beneficiario: clausola derogativa del foro territoriale; l’annullabilità del contratto conseguente a dichiarazioni inesatte o reticenti (Cassazione 1779/77); in generale le eccezioni e le altre clausole limitative previste dal contratto.

Casi particolari:

il contratto è originariamente stipulato a favore dello stesso contraente o del suo patrimonio; il terzo, successivamente designato nel testamento, acquista un diritto non originario e autonomo bensì derivato dal patrimonio del contraente e a titolo successorio.

La premorienza o commorienza del beneficiario rispetto al contraente comporta la trasmissione del diritto al capitale assicurato a favore degli eredi dello stesso beneficiario (Cassazione 948/21).

La revoca della designazione.

La designazione è sempre revocabile (articolo 1921 Codice Civile), sia espressamente sia implicitamente mediante nuova e diversa designazione incompatibile con la precedente.

La designazione, anche se irrevocabile, non ha effetto qualora il beneficiario attenti alla vita del beneficiario. L’assicuratore dovrà pagare agli altri beneficiari, se designati, o agli eredi del contraente.

Per attentato deve intendersi il tentativo di omicidio volontario; non rileva l’atto colposo con cui il beneficiario abbia messo in pericolo la vita dell’assicurato

La designazione irrevocabile può essere revocata se fatta a titolo di liberalità e se ricorrono i casi, previsti in tema di donazione, di ingratitudine e sopravvenienza di figli.

Vincenzo Spadola,  Notaio in Parma.

Tassazione di “eventuali” conguagli nella divisione ereditaria in funzione dell’istituto della collazione – di Notaio Roberto Santarpia

Il contenuto del presente articolo scaturisce, come sempre, da riflessioni che occorre a noi notai effettuare, in modo anche “ossessivo”, pressati dall’esigenza di compiere al meglio la nostra professione lì dove, come sempre, i dubbi maggiori riguardano la tassazione dell’atto da parte di una ondivaga Amministrazione Finanziaria che a volte esegue “revirement” pretendendo imposte quando in altri casi omogenei non ha preteso.

Il caso consiste nel dover procedere ad una divisione ereditaria tra condividenti con obbligo di collazione di quanto donato dall’eriditando ad uno di loro, poiché facente parte della schiera di soggetti che il codice civile indica essere tenuti alla stessa (art. 737 c.c.), in mancanza di dispensa dalla medesima collazione da parte del donante.

Ora l’istituto della collazione ha lo scopo ravvisabile nell’intento di condurre, in sede di divisione ereditaria, ad una equiparazione tra le posizioni giuridico patrimoniali dei figli e discendenti del de cuius e quindi l’effetto di assicurare la parità di trattamento tra questi soggetti.

Quindi in buona sostanza chi è tenuto alla collazione deve conferire alla massa ereditaria quanto a lui donato al fine di realizzare l’uguaglianza tra coeredi in sede divisoria e quindi ad apporzionare loro in sede divisoria con beni il cui valore sia tale che, addizionato a quanto già ricevuto con liberalità inter vivos, detto valore sia ragguagliato alla di loro quota ideale quali compartecipi della comunione ereditaria.

Valga un esempio a miglior chiarimento: eredi ab intestato: tre figli (il cui nome tanto per cambiare è) Primo, Secondo e Terzo; quota di diritto: un terzo ciascuno; massa relitta valore euro 900.000; quota di fatto a ciascuno spettante in sede divisoria pari ad euro 300.000 ciascuno. Nel caso però in cui uno dei figli (Primo) abbia ricevuto una donazione dall’ereditando il cui valore è pari ad euro 300.000, senza dispensa dalla collazione, il valore della massa ereditaria a dividersi deve essere assunto in euro 1.200.000, la quota di un terzo di diritto spettante a ciascuno è quindi pari a euro 400.000, per cui al figlio Primo spetteranno in sede divisoria beni il cui valore sia pari a 100.000 e non pari a 300.000 ed agli altri due figli beni il cui valore sia pari ad euro 400.000 per ciascuno; il tutto senza dimenticare che la dispensa da collazione ha effetto solo per la quota disponibile come peraltro nel nostro caso.

Piccolo prologo propedeutico per la tassazione: L’art. 34 del TUR stabilisce che: «La massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore, riferito alla data della divisione, dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione…» quindi l’istituto della collazione non rileva in alcun modo nella determinazione del valore imponibile dell’asse ereditario (che rimane 1% della massa relitta) in quanto finalizzato ad una corretta applicazione delle imposte da liquidare in relazione alla connessa e consequenziale fattispecie divisoria (conguaglio esistente o meno). Quindi non bisogna sovrapporre due concetti affatto diversi, quali quello di ‘massa di computo’ (vedi 900.000 o 1.200.000) da un lato e di ‘base imponibile’ dall’altro (sempre 900.000) perché i 300.000 della donazione hanno già precedentemente scontato imposta.

Ora qualora i tre eredi avessero intenzione di attribuirsi i beni relitti in misura non paritetica (ad es per i valori sopra menzionati: a Primo 100.000 e a Secondo e Terzo euro 400.000 ciascuno) sarà addirittura necessario che il bravo notaio evidenzi la donazione a collazionarsi suddetta per evitare che la Amministrazione finanziaria tassi con aliquota proporzionale, propria dei trasferimenti immobiliari, la differenza di valore avuta (apparentemente) in meno da Primo a beneficio degli altri due condividenti, facendo computo solo con i beni relitti. Ma se i tre soggetti condividenti volessero invece attribuirsi tra loro comunque i beni relitti per un valore paritetico (300.000 euro per ciascuno) e non  menzionassero a tale scopo la donazione fatta a Primo, priva di dispensa da collazione, mostrando apparentemente equivalenza tra quota di diritto e quota di fatto, allora l’amministrazione finanziaria, se si avvedesse dell’esistenza della detta donazione, potrebbe far valere -ex converso- questa differenza di valore delle attribuzioni patrimoniali rispetto al valore della quota di diritto che sarebbe comunque pari a 400.000 euro (infatti Primo riceve 600.000 euro poiché prende 300.000 dai beni relitti e 300.000 dal bene donato) in relazione al fatto che a Primo comunque doveva essere attribuito bene di valore minore (100.000 a cui doveva addizionare i 300.000 già ricevuti in donazione). Il tutto sorprenderebbe, immagino, noi operatori del diritto che spesso abbiamo effettuato (io per primo) divisioni senza evidenziare la precedente donazione soggetta a collazione, se non altro (senza mala fede), perché ci era sfuggito che esisteva precedente donazione a collazionarsi e la cosa a dire il vero è sempre andata per il giusto verso.

Tutto quanto detto ha lo scopo di porre un alert, di richiamare, cioè, l’attenzione di noi notai richiesti di effettuare divisioni ereditarie, di verificare se sussistano o meno donazioni con le caratteristiche sopra evidenziate per evitare inaspettate e spiacevoli sorprese di tassazione proporzionale (sul montante di 200.000 euro costituente la differenza che Primo ha avuto in più) casi che sino ad oggi fortunatamente si sono rivelati rari.

Ora si potrebbe pensare di ovviare alla possibile tassazione del conguaglio (scaturente dal fatto che Primo ha preso 600.000 invece di 400.000) pensando ad una possibile rinuncia alla collazione da parte dei condividenti (non donatari) a cui beneficio andava la mancata dispensa da collazione, come sicuramente possibile e come ammesso da Cassazione (29 sett. 2017 num. 22911) con la conseguenza che la massa a dividersi torna ad essere 900.000 e non più 1.200.000, ognuno prende beni per 300.000 euro (pariteticità tra quota di fatto e di diritto) e Primo trattiene per sé il bene donato che vale 300.000 euro non dovendolo collazionare alla massa.

Ma a questo punto mi sorge il dubbio (più tartassante di quello amletico come accennavo nell’incipit del presente scritto) che si possa legittimamente associare e parificare sul piano degli effetti la rinuncia a valersi della collazione (da parte di Secondo e Terzo) (secondo Burdese, infatti, si tratterebbe di un diritto potestativo) con la rinuncia a valersi del conguaglio che gli stessi potrebbero effettuare in sede divisoria. Difatti abbiamo i medesimi presupposti per la divisione: tre fratelli, assenza di testamento, beni relitti per 900.000 euro, bene donato a Primo senza dispensa da collazione per euro 300.000 e quindi -sunteggiando vedi sopra- a Primo dovrebbero andare beni per 100.000 e a Secondo e Terzo beni per 400.000 ciascuno al fine di evitare differenze di valore tra quote di fatto e quota di diritto e quindi evitare conguagli con conseguente tassazione al 9% per la differenza. Se dividessero comunque, d’accordo tra loro, assegnandosi beni per 300.000 euro per ciascuno, Primo andrebbe a prendere 600.000 euro invece di 400.000 euro e dovrebbe di conseguenza elargire euro 200.000 (100.000 per ciascuno) a Secondo e Terzo per parificare le quote di fatto con la quota di diritto di tutti. La rinuncia a percepire conguaglio da parte di Secondo e Terzo, non eviterebbe però, per costante dottrina e giurisprudenza, la tassazione del medesimo al 9%. Infatti, NELLA DIVISIONE IL COGUAGLIO E’ TASSATO COME VENDITA ANCHE SE VI E’ RINUNZIA COME LIBERALITA’. Secondo la Cassazione (ordinanza 1 dicembre 2020, n. 27409, sez. V) l’eccedenza di valore dei beni assegnati rispetto alla quota sulla massa comune (c.d. conguaglio) è invariabilmente sottoposta al trattamento tributario della compravendita, non rilevando che i condividenti che ricevono di più rinunzino, per spirito di liberalità, verso un corrispettivo o a scopo di adempimento, a ricevere una prestazione pecuniaria in quanto l’art.34 del T.U.R., pone una presunzione assoluta (iuris et de iure), in forza della quale l’eccedenza “è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente”.

E ancora: “Ai fini dell’imposta di registro Il conguaglio scaturente da una divisione immobiliare deve essere tassato, con le aliquote previste per i trasferimenti, anche se il soggetto, avente diritto al conguaglio, rinuncia a riceverlo per spirito di liberalità”. Principio confermato dalla Corte di cassazione con le sentenze n. 4858, 4871, 4878 e 4884 tutte del 23 febbraio 2024.

Ancora vedasi Risposta ad interpello A. E.  452 / 2021 che riprende cass 28 marzo 2018, n. 7606: Inoltre, con citata la sentenza della Cassazione n. 20119 del 2012, è stato affermato che “Le assegnazioni che hanno luogo nella divisione di beni mobili o immobili non sono considerate traslative di proprietà dei beni assegnati se il condividente riceva una quota corrispondente ai suoi diritti; se, invece, vi è conguaglio, o la quota assegnata è superiore a quella spettante, la divisione, in relazione al conguaglio o al maggiore assegno, è considerata a carattere traslativo e come tale soggetta al tributo proporzionale. Ne deriva che l’Ufficio del Registro, al fine di procedere all’accertamento del tributo, debba sottoporre a giudizio di valore l’intero compendio oggetto della divisione per effettuare il raffronto proporzionale della quota assegnata rispetto al tutto, in relazione alla quota di comproprietà spettante.

Allora se i tre condividenti decidessero di evitare l’insorgere del conguaglio a monte e non a valle e cioè rinunciando alla (agli effetti della) collazione che parificherebbe in sede divisoria le quote di fatto (300.000 euro per ciascuno) con le quote di diritto non dovendosi più prendere in considerazione nella massa divisoria il bene donato, non equivarrebbe ciò in toto a rinunciare alla attribuzione della differenza di valore loro spettante (a Secondo e a Terzo) come se stessero rinunciando al conguaglio che sorgerebbe invece a valle se non rinunciassero alla collazione e quindi con massa computata includendo il bene donato?

Conseguenza: rinunciano alla collazione (Secondo e Terzo) ma non evitano che questa rinuncia possa evitare la tassazione del plusvalore avuto in più da Primo, cosa che non avverrebbe nel caso in cui la collazione non sorgesse affatto per dispensa fatta dal donante in vita: qui la collazione sorge ex lege al momento della apertura della successione e viene rinunciata (negli effetti) dai beneficiari della stessa.

Spero che tutte queste mie considerazioni rimangano di interesse puramente tecnico giuridico e non ricadano mai in casi pratici, ma visti i tempi correnti nei quali l’Amministrazione Finanziaria sta cercando (mi si passi la licenza partenopea che rappresenta più che mai una adeguatissima metafora) “paglia per cento cavalli” mi soccorre l’esigenza di accendere questo faro sul tema divisione ereditaria.

Roberto Santarpia,  Notaio in Orzinuovi.

La gestione del tempo nello Studio Notarile – di Dott. Michele D’Agnolo

La gestione del tempo è una componente essenziale per il buon funzionamento di uno studio notarile. La tempestività di una stipula rispetto al conferimento dell’incarico può essere in molti casi determinante per la soddisfazione delle parti, ma è comunque un elemento molto apprezzato anche dai clienti che non hanno una particolare fretta. Il tempo gioca anche un ruolo importantissimo sul conto economico dello studio: il tempo dedicato alle singole pratiche e attività deve essere allocato in modo ottimale per evitare di scaricare sui clienti le proprie inefficienze.

Tuttavia, il time management deve avvenire nel rispetto delle norme deontologiche, che impongono al notaio di svolgere personalmente alcune attività cruciali e non delegabili, necessarie per garantire l’integrità e la legalità degli atti notarili. Inoltre, è importante coordinare la presenza del notaio presso la sede in determinati giorni della settimana, come previsto dalla deontologia. Esaminiamo come ottimizzare il tempo del notaio e degli assistenti notarili tenendo conto di queste importanti restrizioni.

Secondo l’articolo 37 del Codice Deontologico Notarile, il notaio deve svolgere personalmente, in modo effettivo e sostanziale, le seguenti attività: Accertamento dell’identità personale delle parti, indagine sulla volontà delle parti e direzione della compilazione dell’atto

Dati i compiti non delegabili, il tempo del notaio deve essere gestito in modo da consentirgli di adempiere a queste responsabilità senza compromettere la sua efficienza complessiva. Ecco alcune strategie:

  1. Automatizzazione e Delegazione delle Attività Secondarie: Il Notaio potrà efficacemente utilizzare strumenti digitali per automatizzare attività amministrative e delegare compiti meno critici agli assistenti notarili. Questo include la gestione della documentazione preparatoria e posteriore alla stipula degli atti, che deve essere supervisionata ma può non essere necessariamente svolta direttamente dal Notaio.
  1. Formazione degli Assistenti: Il Notaio può formare gli assistenti notarili per gestire in autonomia le attività preparatorie e di supporto, riducendo al minimo il suo intervento su compiti che possono essere svolti efficacemente dal personale di supporto.
  1. Gestione per Eccezioni: Il Notaio può limitare il tempo dedicato alla gestione dello studio mediante l’utilizzo di procedure di lavoro standardizzate, che sono a tutti gli effetti disposizioni di servizio erga omnes, e di modelli di atti. La standardizzazione del processo non implica la standardizzazione della singola prestazione notarile, anzi supporta una sempre migliore personalizzazione del “prodotto” notarile.
  1. Pianificazione degli Appuntamenti: Implementare un sistema di prenotazioni che organizzi gli appuntamenti in modo tale da ridurre i tempi morti e ottimizzare le ore lavorative del notaio, riservando tempo sufficiente per le attività non delegabili.

Una gestione ottimale dell’agenda del notaio è quindi essenziale per evitare il sovraccarico di lavoro in alcune giornate e il sottoutilizzo in altre. Ecco alcune strategie per distribuire gli atti da stipulare in modo uniforme e garantire l’efficienza:

  1. Distribuzione Uniforme degli Atti: Pianificare le stipule in modo uniforme durante la settimana per evitare giornate troppo cariche o troppo vuote. Questo può essere fatto analizzando i dati storici e prevedendo il carico di lavoro futuro.
  1. Blocchi di Tempo: Riservare blocchi di tempo specifici per le stipule e altri blocchi per attività di revisione, preparazione o incontri con i clienti. Questo aiuta a mantenere un equilibrio e a garantire che ci sia tempo sufficiente per ogni attività. Non dimenticare qualche momento di relax per consentire al Notaio di recuperare le forze
  1. Evitare le giornate con Poche Stipule: Gli Assistenti cercheranno il più possibile di evitare di convocare il notaio in studio solo per una o due stipule. Uno studio efficiente pianifica le stipule in modo da avere almeno un numero minimo di atti da trattare, ottimizzando così il tempo del Notaio.
  1. Uso di Tecnologie di Pianificazione: Si possono implementare software di gestione dell’agenda per pianificare e monitorare le stipule in modo efficiente. Questi strumenti possono aiutare a visualizzare il carico di lavoro e a fare aggiustamenti in tempo reale.
  1. Presenza presso la Sede: Coordinare la presenza del notaio presso la sede in alcuni giorni della settimana, come previsto dalla deontologia. Questo garantisce che il notaio sia disponibile per le attività non delegabili e per eventuali urgenze, senza compromettere la gestione efficiente del tempo.

Anche il tempo degli assistenti notarili è prezioso, e quindi deve essere ottimizzato sulle singole pratiche e gestito in modo tale da supportare efficacemente le attività del notaio. Ecco alcune linee guida:

  1. Tracciamento del Tempo: Svariati studi notarili utilizzano software di monitoraggio del tempo per registrare le ore impiegate dagli assistenti su ogni pratica. Questo permette di avere una chiara visione del tempo necessario per diverse attività e di identificare aree di miglioramento.
  1. Preventivazione dei Tempi: Lo studio notarile può allocare in anticipo risorse e tempo specifici per ogni pratica notarile, basandosi sui dati medi raccolti tramite il time tracking. Questo permette di avere un controllo migliore sui costi e di prevedere con maggiore accuratezza le tempistiche di completamento delle pratiche.
  1. Ottimizzazione dei Processi: Lo studio notarile può analizzare i dati di tempo raccolti per identificare le attività che richiedono più tempo e trovare soluzioni per renderle più efficienti, ad esempio mediante l’adozione di nuove tecnologie o la riorganizzazione dei flussi di lavoro.
  1. Stabilire scadenze interne per tutti gli atti: Stabilire scadenze interne per l’istruttoria degli atti è fondamentale per mantenere un alto livello di efficienza e garantire che ogni pratica venga gestita in modo tempestivo.

La gestione del tempo in uno studio notarile richiede un bilanciamento tra l’ottimizzazione dell’efficienza e il rispetto delle norme deontologiche. Il notaio deve dedicare il tempo necessario per svolgere personalmente le attività non delegabili, garantendo così la qualità e la legalità degli atti. Allo stesso tempo, è essenziale implementare strategie per ottimizzare il tempo del personale di supporto, misurando e mettendo a budget il loro tempo per ogni pratica, stabilendo scadenze interne efficaci per l’istruttoria degli atti e gestendo in modo ottimale l’agenda del notaio. Utilizzando un approccio integrato, è possibile sfruttare al meglio le risorse disponibili e fornire un servizio eccellente ai clienti.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Networ