È verificata la condizione di reciprocità con la Svizzera? – a cura Notaio Veronica Ferraro

Un aspetto sempre molto complicato da analizzare nella quotidiana vita notarile è quello relativo alla ricezione di un atto in cui intervengono comparenti stranieri. In particolare, in questo articolo si tratterà di una problematica, ancora aperta e di notevole rilievo, nel campo dei trasferimenti immobiliari da parte di cittadini svizzeri ed in particolare di cittadini di Ginevra.

Preliminarmente occorre chiarire che tutte le volte in cui si deve ricevere un atto in cui intervengo cittadini “extra comunitari” in assenza di permesso di soggiorno è necessario verificare la condizione di reciprocità, definita – nel diritto internazionale bilaterale – come quel particolare rapporto di corrispondenza biunivoca che crea una relazione tra due Paesi tale per cui se un Paese riconosce agli stranieri i medesimi diritti che accorda ai propri cittadini, questi ultimi godranno dei medesimi diritti nell’altro Paese.

La condizione di reciprocità attiene esclusivamente, come più volte ribadito dalla Corte di Cassazione, ai diritti non fondamentali della persona (quali per esempio il diritto di proprietà immobiliare), perché i diritti fondamentali come il diritto alla vita, all’incolumità ed alla salute, non possono essere limitati in ragione della cittadinanza del loro portatore e sono conseguentemente riconosciuti a tutti i soggetti in modo indifferenziato ed egualitario.

La condizione di reciprocità può essere: i) la c.d. “reciprocità diplomatica” che si basa su accordi intergovernativi, ii) la c.d. “reciprocità legislativa” che si basa su norme di legge e iii) la c.d. “reciprocità di fatto o sostanziale”, che si dà per verificata quando, a prescindere dal dato normativo, nel Paese straniero al cittadino è riconosciuto un diritto analogo o simile a quello proprio del suo ordinamento.

É quest’ultimo il criterio dirimente in questo ambito fatto proprio dal nostro ordinamento all’articolo 16 delle disposizioni preliminari al codice civile che così recita: “Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali. Questa disposizione vale anche per le persone giuridiche straniere’’.

Un caso particolare: la Svizzera

  1. Il problema delle autorizzazioni

Un paese che, data la sua natura di Confederazione (ovvero un’unione politica fra più stati, con interessi convergenti sul piano internazionale), pone particolari problemi in tema di verifica della reciprocità è la Svizzera nella quale esiste da tempo un apposito ed articolato sistema normativo che regolamenta e limita l’acquisto di immobili da parte di cittadini stranieri. Si tratta, della legge federale sull’acquisto di fondi da parte di persone straniere (LAFE) del 16 dicembre 1983, dell’ordinanza esecutiva della stessa del 1 ottobre 1984 (OAFE) e della successiva Lex Koller del 1997.

Il sistema di reciprocità in tema di acquisto di immobili vige tra l’Italia e la Svizzera grazie all’accordo sottoscritto in data 21 giugno 1999 tra la Confederazione Svizzera e l’allora Comunità Europea sul reciproco riconoscimento in materia di valutazione della conformità.

Per le persone fisiche svizzere non residenti in Italia, la condizione di reciprocità si considera verificata per l’acquisto, anche mediante permuta, di:

  • abitazioni secondarie, di vacanza ed unità d’abitazione in apparthotel, con superficie abitabile netta non superiore ai 200 mq;
  • fondi, di pertinenza di abitazioni secondarie e di vacanza (singole unità immobiliari come ville e fabbricati) la cui superficie non ecceda i 1.000 mq;
  • immobili ad uso esclusivamente commerciale;
  • immobili da parte degli eredi legittimi negli acquisti mortis causae dei parenti dell’alienante in linea ascendente e discendente (nonni, genitori e figli) e del suo coniuge;
  • abitazione principale nel luogo del domicilio legale ed effettivo.

Per le persone giuridiche svizzere la condizione di reciprocità si considera verificata limitatamente all’acquisto di immobili da adibire a sede o stabilimento dell’impresa (principale o secondaria) o a fini produttivi esclusivamente attinenti all’attività economica svolta mentre non è verificata se l’acquisto dell’immobile è finalizzato ad un investimento di capitali (eccezion fatta per gli immobili ad uso commerciale) o se si contravviene all’obbligo di mantenere la destinazione d’uso del bene immobile acquistato.

È estremamente controverso l’accertamento della condizione di reciprocità con quei Paesi, come la Svizzera, in cui la possibilità di compiere una determinata attività giuridica da parte dello straniero non è preclusa, bensì subordinata ad autorizzazione.

In linea generale, per evitare quello che viene definito “l’inforestierimento del suolo svizzero”, dal complesso normativo si ricava un regime autorizzatorio per tutti gli stranieri che intendano acquistare diritti reali su beni immobili in territorio elvetico, ponendo come uniche esenzioni alla richiesta di autorizzazione quelle indicate all’art. 2 LAFE e precisamente:

  • a) quando riguarda un acquisto di immobile da utilizzare come stabilimento permanente per lo svolgimento di attività commerciale, artigianale, industriale o professionale;
  • b) quando riguarda un acquisto di immobile da adibire ad abitazione principale, domicilio legale ed effettivo;
  • c) quando sussiste “un’eccezione giusta” che l’art. 7 LAFE concretizza nel caso di trasferimento: i) a eredi legittimi, a parenti in linea ascendente e discendente dell’alienante ed il suo coniuge o il suo partner registrato; ii) ad acquirente già comproprietario del fondo; iii) a comproprietari per le permute dei loro piani nel medesimo immobile; iv) a cittadini degli Stati membri dell’Unione europea o dell’Associazione europea di libero scambio o ai cittadini del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord in base all’articolo 22 numero 3 dell’Accordo 25 febbraio 2019 che, come frontalieri, acquistano un’abitazione secondaria nella regione del loro luogo di lavoro o ancora altri casi particolari elencati dalla norma.

Allo stato dell’arte, nonostante la questione sia dibattuta e ci siano opinioni discordanti in materia, la posizione che oggi pare prevalere sostiene la tesi secondo cui non risulta verificata la condizione di reciprocità laddove la legge straniera preveda la necessità di un’autorizzazione ministeriale o governativa, che abbia finalità di controllo sugli acquisti di beni immobili o di partecipazioni sociali da parte di stranieri.

  1. Le leggi cantonali

Un ulteriore problema, oltre a quello delle autorizzazioni, si pone con riferimento alle leggi Cantonali.

L’analisi della questione in oggetto nasce dall’esigenza di affrontare un caso concreto che si è presentato in studio e che si riferiva al caso di una cittadina svizzera, residente a Ginevra, che intendeva acquistare un immobile in Italia da adibire ad abitazione secondaria.

Per poter rispondere a questo quesito – di non facile ed univoca soluzione – si è svolta una approfondita e preliminare analisi basata sulla consultazione della scheda del Ministero degli Esteri relativa alla condizione di reciprocità tra Italia e Svizzera e su studi e pareri autorevoli in materia.

In particolare, dalla lettura della legge federale svizzera e da quanto trovato sul sito della Farnesina, in questo caso, essendo una persona fisica non residente che acquista una abitazione secondaria con superficie abitativa netta non superiore a duecento metri quadri, sembrerebbe verificata la condizione di reciprocità.

Tuttavia, la legge del Cantone di Ginevra sembrerebbe non consentire genericamente l’acquisto di case secondarie da parte di stranieri, a prescindere dalla superficie.

Partendo dal dettato costituzionale federale svizzero e, compiendo un’interpretazione del combinato disposto degli articoli 54 (che afferma che la materia affari esteri sia di competenza della Confederazione), 49 (che dispone che il diritto federale prevalga su quello cantonale che sia in contrasto col medesimo) e 37 (che dà evidenza del fatto che il Cantone sia a tutti gli effetti uno Stato sovrano della costituzione), possiamo sostenere che la legge cantonale che non si pone in contrasto con la legislazione federale, non possa essere limitata o derogata dalla legge federale medesima.

Quindi, utilizzando il metodo della c.d. “reciprocità legislativa”, si può concludere che pare non essere verificata la condizione di reciprocità nel caso di una cittadina svizzera, residente a Ginevra, che intende acquistare un immobile in Italia da adibire ad abitazione secondaria perché la legge cantonale del cantone di Ginevra sembrerebbe non consentire genericamente l’acquisto di case secondarie da parte di stranieri, a prescindere dalla superficie.

Conclusioni

La questione, nella sua interezza, è stata sottoposta al Consiglio Nazionale del Notariato ed al Ministero della Giustizia per poter ottenere un parere univoco sul punto.

Allo stato attuale le domande che ancora sono rimaste senza una risposta certa e definitiva sono le seguenti:

  1. si intende verificata la condizione di reciprocità laddove la legge straniera preveda la necessità di un’autorizzazione ministeriale o governativa, che abbia finalità di controllo sugli acquisti di beni immobili o di partecipazioni sociali da parte di stranieri?
  2. nel caso della Svizzera, la legge cantonale che introduce limiti più stringenti rispetto alla legge federale, può comportare la mancata verifica della condizione di reciprocità?

Auspichiamo nel prossimo futuro di avere qualche risposta in più in riferimento ad una questione particolarmente delicata e di notevole interesse notarile, soprattutto se si considera che, ai sensi dell’art. 26 LAFE, i negozi giuridici aventi ad oggetto l’acquisto non autorizzato di immobili sono inefficaci, finché non intervenga l’atto autorizzativo e diventano addirittura nulli se siano comunque attuati, nonostante manchi la predetta autorizzazione o se intervenga il provvedimento di diniego di autorizzazione.

Veronica Ferraro, Notaio in Torino.

Come prepararsi ai controlli ANTIRICICLAGGIO negli studi notarili- a cura Dott. Michele D’Agnolo

Dopo un lungo periodo di sospensione dei controlli a motivo della pandemia, la Guardia di Finanza ha nuovamente ricominciato le verifiche antiriciclaggio negli studi professionali, dedicando particolare attenzione a quelli notarili.

L’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia infatti non ha sufficiente proprio personale ispettivo per cui ha siglato una convenzione con le Fiamme Gialle che vi provvedono con loro personale specializzato.

L’accanimento terapeutico sugli studi notarili non ha nulla di personale, ma è dovuto al fatto che gli atti di maggiore entità comunque richiedono la forma solenne e pertanto per definizione il Notaio rimane il crocevia delle transazioni economiche di maggiore entità e complessità.

Dal punto di vista sostanziale, vi sono generalmente due tipi di controllo, quelli su segnalazione specifica e quelli generali. I controlli su segnalazione specifica derivano da indagini o procedimenti penali in corso per riciclaggio, autoriciclaggio o finanziamento del terrorismo. In buona sostanza i verificatori, in presenza di un reato ascrivibile ad un ex cliente o controparte dello studio notarile si chiedono come mai i soggetti agli obblighi antiriciclaggio coinvolti nella filiera delle operazioni che hanno dato origine all’illecito non si siano accorti di nulla.

I controlli generali, invece, sono dei controlli effettuati a campione estraendo i nominativi degli studi professionali da verificare dalle banche dati di cui dispongono le autorità competenti. Anche se non è noto, è ragionevole ritenere che anche queste estrazioni rispondano comunque a delle valutazioni di rischio fatte a livello statistico in base a degli indicatori. Talvolta si è avuto l’impressione che vengano scelti gli studi di maggiore dimensione o fatturato, forse anche tenendo conto del fatto che dispongono di maggiori risorse da destinare alla compliance.

Il numero complessivo dei controlli che vengono effettuati ogni anno non è altissimo, si parla di qualche centinaio di accessi in totale, ma è anche vero che il numero complessivo degli studi notarili è relativamente esiguo. Un commercialista o un avvocato, che sono più di centomila ciascuno hanno una probabilità molto inferiore di essere controllati rispetto ad uno studio notarile che ha qualche migliaio di colleghi.

Per quanta buona volontà ci si possa mettere, l’adempimento antiriciclaggio finisce spesso nel dimenticatoio. Da un lato non viene affatto naturale accogliere un nuovo cliente con l’approccio “poliziesco” che giocoforza lo svolgimento del ruolo di contrasto comporta. Dall’altro, anche a livello organizzativo interno la modulistica da compilare e le informazioni da richiedere vengono viste come un bastone tra le ruote degli addetti che devono preparare l’atto notarile e che hanno come principale preoccupazione l’addivenire alla stipula. Il Notaio, per la natura dell’attività che svolge, fatica a controllare puntualmente e deve necessariamente delegare alcune attività, seppure soltanto di carattere ancillare, preparatorio e successivo, ai propri assistenti.

Ciononostante, il Notariato rimane la categoria che maggiormente collabora con le autorità e che più segnala operazioni sospette.

Non esistono dati ufficiali, ma le voci raccolte raccontano di provvedimenti sanzionatori molto rilevanti per entità ed ammontare, spiccati nei primi mesi del 2023.

Per quanto concerne la natura delle violazioni,  l’attenzione dei verificatori sembrerebbe non essere tanto e solo diretta all’adempimento relativo alla singola pratica ma alla valutazione del sistema complessivo messo in atto dallo studio notarile per presidiare i rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

E così, anche aspetti apparentemente secondari della normativa ritornano prepotenetemente alla ribalta e diventano altrettanto importanti rispetto agli adempimenti centrali, che rimangono quelli relativi al “Know Your Client”, alla conoscenza del cliente, dei suoi fondi e delle sue intenzioni, o in termini tecnici all’Adeguata Verifica nelle sue componenti di riscontro anagrafico e di valutazione del rischio del singolo cliente/incarico.

Rimane invece tradizionalmente meno rilevante nello studio notarile il tema del controllo costante, a motivo della tipica natura una tantum delle prestazioni effettuate e della generalmente breve durata della fase istruttoria e del completamento della pratica successivo alla stipula.

E così gli studi notarili stanno prendendo coscienza, nel peggiore dei modi, dell’esigenza di svolgere, documentare ed aggiornare almeno ogni tre anni una valutazione di rischio perimetrale, che riguardi tutto lo studio. Ancora, diventa importantissimo poter esibire una politica e procedura antiriciclaggio scritte che definiscano l’approccio di contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo e stabiliscano chi fa che cosa e come all’interno dello studio in merito agli adempimenti in questione. 

Non da ultimo, si rende necessaria anche la predisposizione, l’esecuzione e la documentazione di un adeguato piano informativo e formativo annuale rivolto agli assistenti notarili.

Da ultimo, occorre anche dimostrare di svolgere gli adempimenti antiriciclaggio nel pieno rispetto del regolamento europeo sulla tutela dei dati personali (GDPR). Viene a mente in particolare la puntuale e corretta conservazione decennale della documentazione raccolta.

L’approccio della normativa antiriciclaggio, così come quello di molti altri corpi normativi europei, è basato sulla valutazione dei rischi. Questo approccio “Risk Based” non è particolarmente adatto alla cultura dei paesi latini in quanto induce una rilevante soggettività nelle risposte che i singoli studi possono dare e nella valutazione che i singoli verificatori possono svolgere. Presume l’assoluta buona fede e la reciproca collaborazione del controllante e del controllato. Al di là delle sanzioni, al Notaio, per cultura e funzione, dà particolarmente fastidio il fatto di poter essere trovato inadempiente a prescindere dagli sforzi fatti. Da custode della legalità, ogni Notaio odia non potersi sentire sicuro di aver fatto tutto quanto previsto. Fortunatamente esistono ormai modelli organizzativi e prassi consolidate che fanno capo alle discipline della gestione della qualità e dei rischi (Risk e Quality Management) e a settori economici soggetti a normativa antiriciclaggio dove le organizzazioni sono più complesse ed articolate come il mondo bancario e quello assicurativo.

Un controllo da parte delle autorità competenti che inizi dimostrando da parte dello studio notarile un approccio sistematico alla materia dell’antiriciclaggio già ben predispone il verificatore e di solito contribuisce a limitare profondità e durata dei controlli.

 

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

Lo studio notarile virtuale – a cura Dott.ssa Anna Lisa Copetto

Lo sviluppo della tecnologia consente oggi allo studio notarile modalità di comunicazione e interazione  impensabili fino a qualche tempo fa. Sia riguardo alle relazioni interne  che riguardo alle relazioni tra studio e clienti. La pandemia ha fatto la sua parte nell’insegnarci che anche i rapporti a distanza possono essere gestiti in modo efficace e garantire uno standard di qualità altrettanto valido. Ora non resta che fare tesoro di ciò che abbiamo acquisito in termini di nuove competenze  e sfruttare al meglio le risorse disponibili, rendendo la distanza fisica sia sempre meno importante.

C’è da chiedersi se abbia ancora senso oggi investire in costose infrastrutture fisiche che impongono oneri che possono essere molto ingenti: per l’acquisito/affitto dei locali e la loro manutenzione periodica, per l’acquisito/affitto dell’hardware e del software e la loro manutenzione o sostituzione, per l’acquisito del materiale necessario all’operatività dello studio, per ottemperare ai requisiti di legge. Una postazione fissa per il lavoro d’ufficio per uno studio notarile può arrivare a costare fino a 5.000 euro all’anno. A tutto questo si devono poi aggiungere tutti quei costi legati alla gestione di un team di lavoro e delle sue dinamiche interne.

Adottare una logica del lavoro a distanza – anche parzialmente –  può incidere enormemente sulla sua capacità competitive dello studio. Si pensi ad esempio alla maggior attrattività nei confronti di quei talenti professionali (sempre più rari e sempre più cari) che necessitano di una maggiore flessibilità per poter bilanciare lavoro e vita familiare. In particolare nei grandi centri urbani.

Allo stesso modo, anche l’introduzione di elementi di innovazione nella gestione del cliente può migliorare la competitività dello studio. Si pensi ad esempio, al maggior servizio reso al cliente che desidera poter interagire con lo studio con modalità che incidano il meno possibile sul suo tempo.

Se si condivide il principio per cui “il lavoro è qualcosa che si compie, non un luogo in cui ci si reca”, lo studio virtuale (in parte o in toto) è allora una grande opportunità di sviluppo e non una concessione che si fa ai propri collaboratori.

Affinché si possa trarre i benefici sperati, è senz’altro necessario uno sforzo importante in termini di investimento sulle infrastrutture informatiche, sulla progettazione delle nuove forme di interazione, di comunicazione e di trasmissione di dati e documenti, sulla formazione e addestramento pratico delle persone che andranno a far parte del progetto, sulle modalità di pianificazione, esecuzione e controllo dei lavori.

È evidente che occorre procedere attraverso una strategia complessiva che interessa trasversalmente lo studio e che deve avere come esito finale il ridisegno di un nuovo modello organizzativo e di business. Non si tratta quindi di acquistare la migliore tecnologia sul mercato ma di essere disposti ad fare un salto culturale importante. Ma necessario.

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network

 

La recente interpretazione dell’AdE sul regime della liberalità collegate ai trasferimenti immobiliari- a cura Notaio Alessandra Magnocavallo

La risposta dell’amministrazione finanziaria ad un interpello (il n. 6 del luglio 2022) offre lo spunto per alcune riflessioni sulla fiscalità delle liberalità dirette collegate ai trasferimenti immobiliari dal punto di vista dell’imposta di successione.

 

Il caso portato all’attenzione della AE riguardava l’applicabilità dell’esenzione di cui all’art. 1 comma 4bis D.Lgs 346/1990 alla seguente fattispecie complessa:

  • donazione diretta di denaro effettuata per atto pubblico contenente l’espressa dichiarazione che la somma stessa fosse donata esclusivamente allo scopo di consentire al donatario l’acquisto immobiliare, con l’apposizione – quindi – di una condizione risolutiva all’atto stesso nel caso di mancato acquisto dell’immobile;
  • atto di acquisto immobiliare in cui viene dichiarata espressamente la provenienza diretta del denaro costituente il pagamento del prezzo.

Il dubbio sorge dalla lettura della norma citata, laddove si legge che «Ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto».

 

Stupisce dunque la risposta dell’amministrazione, per la quale l’esenzione riguarderebbe solo le donazioni indirette collegate ad atti di trasferimento immobiliare e non anche le donazioni e le altre liberalità dirette, che pur la norma testualmente contempla.

Merita, a questo punto, ricordare che nella stessa Circolare 207/E del 2000 l’Amministrazione, nel citare le fattispecie esemplificative rientranti nella norma, citava già la dazione diretta di denaro ed il pagamento del prezzo effettuato dal genitore per l’acquisto della casa del figlio.

 

La giurisprudenza più recente (Cassazione n. 11831 del 12.4.2022 e n. 13133 del 2016) ha ammesso che l’esenzione si possa applicare già al momento della stipula dell’atto preordinato, pur richiedendo che la prova del collegamento tra la liberalità e l’acquisto immobiliare sia fornita mediante l’espressa dichiarazione contenuta nella compravendita.

 

Quindi, se da un lato sembra essere salva la rilevanza delle donazioni dirette e l’applicabilità del regime ex art. 1 comma 4 bis già al momento dell’atto preordinato, dall’altro non c’è univocità di orientamento né in giurisprudenza né nella prassi circa la prova del “collegamento” richiesto dalla norma. Sussistono, infatti, difficoltà pratiche nell’apprezzamento del requisito richiesto dalla norma.

 

Alessandra Magnocavallo, Notaio in Brescia.