La distinta base dell’atto notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Una distinta base (in gergo tecnico DIBA, in Inglese BOM – Bill of Materials) è notoriamente un documento che elenca l’insieme di tutti i componenti, sottocomponenti e materie prime necessarie per produrre un bene economico. Nel mondo alimentare, chimico e farmaceutico corrisponde grossomodo alla ricetta.

Le distinte base sono soprattutto importanti per gli approvvigionamenti delle attività industriali, perché senza di esse non sarebbe possibile conoscere analiticamente cosa ed in quali quantità è richiesto per costruire un prodotto e, quindi, cosa e in quali quantità occorre acquistare per produrlo.

Una distinta base definisce quindi un prodotto così com’è progettato, come è costruito o come è manutenuto, rappresentando diverse viste della struttura del prodotto.

Nel momento in cui alla distinta base si associano i costi relativi alle materie prime e i semilavorati utilizzati e vi si riconducono anche i costi diretti del personale impiegato per la produzione del singolo pezzo, allora detto documento assume rilevanza anche in materia di controllo gestionale. Infatti è possibile calcolare un margine di contribuzione di prodotto rappresentato dalla differenza tra il costo diretto di produzione e il prezzo di vendita, che permette di verificare, tra l’altro, il corretto prezzo applicato al prodotto.

Dopo una opportuna quantificazione della distinta base è possibile inoltre rilevare statisticamente dei costi e tempi standard da utilizzare per la futura pianificazione della produzione e l’assegnazione dei carichi di lavoro, nonché per le analisi degli scostamenti tra quanto pianificato e quanto realizzato.

Mutatis mutandis, la struttura logica ed informativa rappresentata dalla distinta base che abbiamo appena descritto può essere di grande utilità anche nello Studio Notarile, dove si può procedere elencando e quantificando il tempo del personale diretto mediamente necessario all’erogazione di una determinata prestazione.

Nel caso di un atto notarile di compravendita, dovremo considerare le varie persone coinvolte e le attività che queste devono svolgere. Stimeremo innanzitutto i minuti necessari alla segreteria per le attività di accoglienza del cliente in sede di primo colloquio, di successivo recapito di documenti, di stipula, di ritiro di eventuali copie dell’atto, di ulteriori contatti telefonici o via mail.

Ma dovremo quantificare anche i minuti mediamente necessari all’assistente notarile responsabile della pratica per il colloquio iniziale, per la predisposizione e l’invio del preventivo, per la raccolta dei documenti, per le visure, per la collazione della bozza, per la sottoposizione della stessa al controllo preventivo del Notaio. Dovremo poi calcolare il tempo dedicato dal Notaio e dall’assistente per la fase di stipula. Idem dicasi per le attività eseguite dopo la stipula: recepiremo i minuti mediamente necessari alla messa a repertorio e a raccolta, per la predisposizione della matrice e delle copie, l’esecuzione della comunicazione unica notarile, le altre formalità eventualmente necessarie. Volendo, si potrà perfino prevedere il tempo necessario all’emissione della fattura, alla contabilizzazione e al recupero dei crediti.

La distinta di servizio sarà caratterizzata dal nome del servizio da erogare e dal materiale da utilizzare con i relativi coefficienti d’impiego (minuti medi di impegno del personale per ciascuna attività elementare). I costi del personale rivelano una certa variabilità che sarà ancora più pronunciata per le prestazioni professionali e in particolare per quelle particolarmente difficili come la stipula di un atto notarile, che potrà andare incontro a diversi casi di onerosità sopravvenuta, ad esempio a causa di disallineamenti catastali o di variazione degli accordi tra le parti in corso d’opera.

Pertanto necessariamente nelle prestazioni di servizi e ancor più in quelli professionali, la stima del tempo standard necessario avrà valore indicativo e ben potranno esservi imprevisti o situazioni di difficoltà.

La distinta base dello studio notarile si rivela molto utile per pianificare i corretti carichi di lavoro sulla base dei preventivi accettati e dell’andamento storico delle stipule permettendo tra l’altro di stabilire opportune turnistiche aggiuntive del personale già al momento della previsione di un eventuale picco di lavoro anziché a ridosso della scadenza.

Permette di conoscere il prezzo minimo necessario allo studio per andare in break-even, cioè per coprire i costi della singola prestazione.

Può consentire inoltre un confronto con i prezzi applicati e con i risultati di performance di altri studi notarili, in modo da agevolare l’apprendimento organizzativo.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

ORGANIGRAMMA E MANSIONARIO NELLO STUDIO NOTARILE – a cura Dott.ssa Anna Lisa Copetto

Lo studio notarile è un piccolo ecosistema nel quale un gruppo di individui e di professionalità quotidianamente interagisce e condivide spazi, strumenti, obiettivi. Col passare del tempo e in modo quasi inconsapevole si costruiscono dei ruoli, dei legami, dei principi di comportamento che trovano un proprio equilibrio – più o meno stabile – e che consentono allo studio di avere successo. Quando all’aumentare della complessità e delle dimensioni dell’organico non corrisponde una strategia consapevole e mirata, lo studio corre il rischio che si possano venire a creare delle zone d’ombra in cui nessuno in realtà è in grado di dire con certezza chi fa che cosa o chi risponde a chi. Questa mancanza di chiarezza sui ruoli, sulle responsabilità e sulle mansioni può generare delle situazioni di conflitto e incidere negativamente sui risultati dello studio nei confronti della propria clientela.

L’organigramma e il mansionario servono esattamente a questo: a sgomberare il campo da qualunque equivoco rispetto al ruolo che ciascuno può e deve avere all’interno dello studio.

Cos’è un organigramma e a cosa serve. L’organigramma rappresenta graficamente l’articolazione delle responsabilità, le relazioni gerarchiche esistenti (o auspicate) tra i singoli individui che compongono lo staff di un’organizzazione. La sua funzione è di rappresentare in maniera semplice e diretta chi prende le decisioni, chi le esegue, chi controlla, con chi si deve collaborare. Un organigramma ben concepito è quindi in grado di rispondere a poche, semplici domande: quali sono le figure rilevanti nello studio? chi ha la responsabilità di chi e di cosa? chi risponde a chi e di che cosa? È utile non solo per chiarire le dinamiche gerarchiche ma anche per sottolineare la centralità di ogni singolo individuo per il successo dello studio nel suo complesso.

Esempio di Organigramma di uno Studio notarile

 

L’organigramma non deve essere un semplice esercizio di stile, è un momento di vera e propria autoanalisi nel quale si richiede al Notaio di disegnare l’attuale configurazione dell’assetto organizzativo dello studio e, sulla base delle considerazioni che se ne può trarre, di rappresentare  l’assetto organizzativo che si desidera per il futuro. L’organigramma, in questo senso, è una fotografia di ciò che siamo oggi ma anche una base di partenza per la riprogettazione del nostro modello organizzativo. L’organigramma ha pertanto un senso quando ancorato ad un progetto di definizione di una strategia organizzativa strutturata e consapevole.

È importante che l’organigramma non solo venga rispettato ma anche costantemente aggiornato in modo da registrare tempestivamente i cambiamenti che avvengono all’interno dello studio per effetto degli ingressi e delle uscite, ma anche dei cambi di mansione, degli avanzamenti di carriera o dei cambiamenti intervenuti eventualmente nel “core business” dello studio.

Che cos’è il mansionario e a cosa serve. Il mansionario è un documento che discende direttamente dall’organigramma e che descrive in maniera chiara e oggettiva le caratteristiche che ciascuna posizione organizzativa deve possedere. È in sostanza una descrizione analitica della posizione lavorativa in termini di mansioni e responsabilità, di requisiti minimi richiesti (titoli di studio, competenze professionali, competenze trasversali, esperienze pregresse) e di aspetti organizzativi (collocazione gerarchica, inquadramento contrattuale, retribuzione, benefit, opportunità di carriera). Le funzioni a cui assolve sono molteplici: fa chiarezza sul raggio di azione attribuito a ciascuno, guida e rende più efficiente  il processo di selezione di nuovo personale, orienta la programmazione delle attività di formazione necessarie per colmare eventuali gap rilevati, consente una più agevole valutazione del personale e delle sue performance.

Conclusioni

L’organigramma e il mansionario sono strumenti che si sostengono a vicenda aiutando lo studio notarile a individuare e formalizzare gli aspetti più rappresentativi della propria struttura organizzativa.

Anna Lisa Copetto, Consulente di direzione presso Intuitus Network

UNA RIFLESSIONE SULLA CONDIZIONE SOSPENSIVA NEL PRELIMINARE – a cura Notaio Monica Rita Scaravelli

È valida la clausola (condizione sospensiva) contenuta nel contratto preliminare con la quale si subordina la sua efficacia, e quindi l’obbligo della stipula del contratto definitivo di compravendita, all’erogazione da parte di un istituto bancario di un mutuo in favore della parte promissaria acquirente per pagare il prezzo pattuito nel contratto di vendita.

In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 22046/2018, superando il dubbio in merito alla qualificazione giuridica della clausola come condizione meramente potestativa, da cui discenderebbe l’invalidità della clausola stessa e, conseguentemente, ex art. 1355 c.c., la nullità del contratto preliminare al quale è apposta, privandolo definitivamente di efficacia.

La Corte ha escluso la natura di condizione meramente potestativa, qualificando invece la clausola come condizione “mista”, in parte potestativa e in parte casuale, in virtù del fatto che la concessione del mutuo dipende anche, ma non esclusivamente, dal comportamento del promissario acquirente. Deve quindi ritenersi valido il preliminare condizionato sospensivamente alla concessione del finanziamento.

Può sostenersi che colui da cui dipende l’avveramento della condizione mista abbia l’obbligo giuridico di attivarsi per la realizzazione di tale condizione? Contrariamente a quanto affermato in passato, la Cassazione sostiene l’esistenza di un obbligo giuridico anche per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo della condizione mista, richiamando l’art. 1358 c.c. – che impone a colui che ha acquistato sotto condizione sospensiva di comportarsi secondo buona fede, in pendenza di condizione, per conservare integre le ragioni dell’altra parte – e sottolineando come il dovere di comportarsi secondo buona fede ha ragion d’essere proprio per far si che la discrezionalità contrattualmente attribuita alla parte venga esercitata nel rispetto del paradigma della correttezza.

È in ogni caso consigliabile che le parti, per rafforzare la tutela giuridica in favore del promittente venditore, prevedano espressamente che l’attività dedotta in condizione, finalizzata al perfezionamento del mutuo, sia oggetto di una specifica obbligazione, al fine di vincolare il promissario acquirente a porre in essere tutti quei comportamenti funzionali alla conclusione del mutuo.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, SEZ. II, N. 22046 – 2018

Monica Rita Scaravelli,  Notaio in Milano.

Art 177 del T.U.I.R. Grimaldello per passaggio generazionale!? – a cura Notaio Roberto Santarpia

Mi accingo a scrivere queste righe relative a un tema particolarmente complicato inerente al passaggio generazionale di beni e in particolar modo di partecipazioni societarie utilizzando uno strumento quale quello del regime della neutralità indotta ex art. 177 2° comma del TUIR. Ancor più complicato è scrivere di tal tema cercando di non essere prolisso e ridondante facendo così perdere “la pazienza” o peggio il “fil rouge” al lettore.

Ciò in quanto mille potrebbero essere gli incisi necessari affinchè un pubblico non aduso alla materia possa comprendere  l’informazione sottesa all’elaborato, ma l’ essere esaustivo comporterebbe il rischio di esaurire la pazienza del lettore e quindi,  considerando che il fruitore di quanto in oggetto è un pubblico “adulto” e informato di diritto, cercherò di emulare il sintetismo che adoperavano e adoperano  grandi maestri, sicuramente lungi dal poter solo far sorgere il dubbio di loro somigliare, autori che riuscivano ad essere sintetici al fine di propugnare il pensiero cardine dell’ elaborato senza soffermarsi su principi e teorie del diritto già note e quindi solo a richiamarsi.

Entrando in medias res, quindi, qualora un pater familias intendesse trasferire la proprietà di quote di partecipazioni societarie ai propri figli perché costoro possano proseguire l’attività di gestione collettiva dell’azienda paterna, si troverebbe nella possibilità di raggiungere tale scopo attraverso il trasferimento a titolo oneroso o a titolo gratuito delle dette partecipazioni. Spesso il trasferimento a titolo gratuito viene espunto dalle possibili vie per raggiungere lo scopo, per le note complicazioni che possono derivare, una volta apertasi la successione del donante/disponente, dalla possibile impugnazione da parte di eredi legittimari lesi o pretermessi e quindi per i possibili problemi di circolazione delle partecipazioni stesse dai donatari ai terzi, vivente il donante. Quindi l’altra via che rimane è il trasferimento a titolo oneroso delle dette partecipazioni che, a prescindere dal tipo di causa tecnico giuridica che connoterebbe il negozio di trasferimento, comporta il rischio di dover sopportare un rilevante esborso di denaro da parte del disponente qualora il valore fiscale delle dette partecipazioni fosse inferiore al valore “normale” delle stesse, realizzandosi una plusvalenza tassabile, anche se il cedente non operasse in regime di impresa (vedi art. 9 comma 2, secondo periodo del TUIR).

Alternativamente a ciò si potrebbe procedere con permuta di partecipazioni e applicando quindi la normativa dell’art. 177 comma 2 del TUIR che prevede che le azioni o quote ricevute a seguito di conferimenti in società, sempre che la società conferitaria acquisisca il controllo della società delle cui partecipazioni si tratta (cd. scambiata), controllo quale definito dal disposto dell’art. 2359 1° comma num. 1 del cod. civ. ovvero incrementi la percentuale di controllo, “sono valutate, ai fini della determinazione del reddito del conferente, in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento.” Questo articolo 177 TUIR (come precisato dalla A.E. con circolare 17/6/2010 num. 33/E) definisce un criterio di valutazione delle partecipazioni ricevute a seguito del conferimento che rimane realizzativo ai fini della determinazione del reddito del conferente ma a realizzo controllato. Quindi in questo caso, a differenza di quanto accade se si ricorresse al criterio di realizzo a valore normale (art. 9 del TUIR), può non emergere alcuna plusvalenza nel caso in cui il valore di iscrizione del valore delle partecipazioni conferite e il conseguente incremento del patrimonio netto della società conferitaria risulti equivalente all’ultimo valore fiscale delle partecipazioni conferite (neutralità indotta).

Come detto la soc. conferitaria deve acquisire il controllo della società conferita e ciò può avvenire in seguito ad  un acquisto effettuato da un unico venditore o anche da più venditori che con un unico atto ed all’interno di un progetto unitario, (così sempreAg. Entrate)  trasferiscono una quota di partecipazione atta a conferire il controllo sulla società scambiata, quindi si al trasferimento di usufrutto e nuda proprietà contestualmente, si al trasferimento di proprietà e nuda proprietà (ma quota questa comunque dotata di diritto di voto), no a trasferimento di usufrutto da solo anche se con diritto di voto perché il soggetto conferente che ricevesse usufrutto su partecipazioni della (e dalla) conferitaria, non sarebbe (in quanto usufruttuario) socio e la norma pretende la qualità di socio del conferente nella conferitaria (vedi risposta ad interpello num. 147 della A.E.).           

Quindi il valore fiscale della partecipazione ricevuta dalla conferitaria è pari al valore del patrimonio netto formato dalla medesima società conferitaria, valore che potrebbe anche essere inferiore al valore effettivo delle quote di partecipazione trasferite,  per cui in caso di cessione a titolo oneroso successiva delle  partecipazioni “scambiate” (trasferite dalla conferitaria) si avrebbe plusvalenza tassabile solo nel caso di un corrispettivo maggiore rispetto al valore fiscale delle stesse che è equivalente a quello iscritto in bilancio della conferitaria, mentre nel  caso di pari valore non sorgerebbe plusvalenza  e si raggiungerebbe  il risultato che con il trasferimento delle stesse all’acquirente, costui controlla la società conferitaria che a sua volta controlla la conferente mentre in caso di trasferimento “diretto” di dette partecipazioni ad un terzo (senza operare la permuta delle partecipazioni ex art. 177 2° comma TUIR) si dovrebbe comunque pagare plusvalenza a prescindere dal corrispettivo pattuito in ossequio a quanto previsto dall’art. 9 comma 2, del TUIR.   

Unico dubbio che rimane è se si possa iscrivere in bilancio della conferitaria un valore inferiore a quello normale: la risposta è positiva in quanto la Agenzia delle Entrate nella circolare del 17/6/2010 num. 33/E,  ha chiarito che la minusvalenza (rispetto al valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazione conferite relative alla società scambiata) non può generare alcun vantaggio fiscale nel senso che non può dare luogo a componenti negative del reddito -di impresa- imponibile ed anzi ritenendo in tal caso applicabile la regola generale prevista dall’art. 9 del TUIR, e sia esplicitamente dicendo che “con l’operazione in parola…. non si realizza alcun salto di imposta ….. anche nel caso in cui la società conferitaria incrementi il proprio patrimonio netto per un valore pari al costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni presso i soggetti conferenti.”.

L’A.E. in una risposta ad interpello del 22 marzo 2021 n. 199, ha precisato che il conferimento di una partecipazione di controllo da parte di una persona fisica in regime di realizzo controllato (ex art. 177 2° comma del TUIR) deve essere escluso dall’ambito di applicazione della norma antielusiva specifica prevista dall’art. 175, 2° comma, del TUIR.  L’unico limite all’applicabilità della norma in oggetto è costituito da quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 177 che tende ad evitare che, attraverso tale meccanismo, si consenta di scambiare azioni o quote prive dei requisiti per beneficiare della PEX (disposta dall’art. 87 del TUIR) con partecipazioni (trasmesse dalla conferitaria) che decorso il periodo temporale minimo di possesso possano invece beneficiare della detta PEX.

Altra alternativa per il controllo della società scambiata risiede nel trasferimento delle partecipazioni acquisite dalla società conferitaria a terzi. Questa cessione, beneficiando della participation exemption  (ex art. 87 del Tuir secondo quanto ivi previsto) non integra gli estremi di una condotta in abuso del diritto ai sensi dell’art. 10 – bis della legge n. 212/2020.

Roberto Santarpia,  Notaio in Orzinuovi.