Anche gli studi notarili a volte sono startup – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Anche gli studi notarili hanno le loro startup. Il caso classico è rappresentato dal giovane Notaio, fresco di prima nomina, che deve attrezzarsi per prendere possesso della sede assegnata.

Altre casistiche possono essere rappresentate dal Notaio che cambia volontariamente sede o città chiedendo un trasferimento, per motivi personali oppure confidando che l’area adita sia più florida rispetto alla precedente. Un altro caso sempre più frequente è quello di Notai che decidono di collaborare assieme fondando uno studio associato e che quindi devono far convergere le loro strutture in un’unica e più complessa organizzazione.

Quasi sempre, a meno che non si trovi a sostituire un unico collega in una zona piuttosto isolata, il Notaio startupper si troverà a competere con altri colleghi. Pensiamo al Notaio che apre un nuovo studio in una grande città come Milano, dove ci sono già centinaia di studi, tutti molto ben avviati.

Un primo dilemma nell’affrontare la questione è se iniziare presso altro studio collaborando con un collega già presente sul territorio o iniziare da soli.

Altro dilemma sarà quello di scegliere se nell’affrontare la nuova apertura si vorrà andare da soli o creare uno studio associato.

Occorre innanzitutto organizzarsi molto bene in termini logistici.

Trovare un ufficio, scegliere la forma di acquisizione, ristrutturarlo, arredarlo, ottenere gli allacciamenti alle utilities, ai telefoni e a internet. L’ufficio non potrà essere uno qualsiasi. Dovremo scegliere con attenzione la location, e inoltre la struttura interna dovrà essere adatta all’attività notarile: non potremo certo tenere gli originali degli atti nel sottoscala. Il passaggio successivo è di solito quello di selezionare e reclutare del personale, almeno una persona per la segreteria. Difficilissimo trovarne, e ancora più difficile trovare persone volenterose e preparate. Si procede poi a scegliere il software e l’infrastruttura tecnologica, dovendo anche decidere se comprarla o prenderla in affitto. E no, i software non sono tutti uguali e l’assistenza fa davvero la differenza.

Ma l’aspetto più importante (oggi poco curato) sarà quello di far sapere al mondo che lo studio esiste, e possibilmente attirare l’attenzione dei clienti e degli intermediari (banche, agenzie immobiliari, ediltecnici, commercialisti, avvocati, ecc…) differenziandosi in qualche modo dagli altri studi. Il tutto dovrà essere realizzato nel pieno rispetto della deontologia professionale.

Occorre partire dal business canvas, un documento di sintesi che descrive visivamente in una sola pagina e aiuta a validare l’”idea di business” dello studio. Il canvas spiega la proposizione di valore dello studio, cioè il perché qualcuno dovrebbe avvalersene e quali vantaggi ne ritrarrebbe. Sempre il canvas descrive a quali particolari nicchie di clienti lo studio cercherà di rivolgersi, come sarà organizzato il servizio e cosa ci si attende di ottenere anche a livello economico.

Una volta validata l’idea di business, scendendo nei dettagli, dal canvas si va ad elaborare un vero e proprio “piano industriale” dello studio notarile. Sarà importante ad esempio studiare il posizionamento dello studio inteso come livello di offerta e modo di presentarsi al pubblico. Ad esempio nell’area geografica di riferimento potrebbe esserci una rilevante comunità straniera che non viene servita e di conseguenza potrebbe essere interessante rendere disponibile un assistente notarile madrelingua e un sito web opportunamente tradotto.

Il business plan dello studio notarile comprenderà innanzitutto una descrizione del mercato di riferimento e dei principali competitor, la descrizione della strategia che il nuovo studio vorrà adottare. Ebbene si, nonostante l’obbligo di ministero, lo studio notarile ha un certo margine di manovra nello scegliere che clienti servire e in che prestazioni specializzarsi. Il plan è accompagnato da un budget economico e finanziario di solito triennale o quinquennale che metterà in evidenza gli obiettivi desiderati anche in termini di costi, spese, utili e incassi.  

In questo modo i notai promotori della nuova startup saranno in grado di valutare l’investimento da fare (o il debito in banca…) e i ritorni attesi.

Il business plan dovrebbe comprendere anche un piano di progetto, cioè un elenco dettagliato con tempi, costi e responsabilità delle attività da fare prima, durante e dopo l’inaugurazione del nuovo studio. È molto importante utilizzare delle checklist perché la quantità di cose da fare quando si avvia uno studio è davvero soverchiante, e c’è il concreto rischio di dimenticare qualcosa. Inoltre, i primi passi dello studio sono molto importanti perché influenzano in modo molto rilevante quelli successivi. Ad esempio se si sceglie male il primo assistente notarile, tutto lo studio crescerà “storto” perché l’assistente “sbagliato” influenzerà anche tutti i successivi assunti.

Il piano sarà utilissimo per seguire lo stato di avanzamento del progetto e poter operare quanto prima i necessari correttivi in caso di scostamenti.  

Come si è potuto constatare, l’avvio di un nuovo studio notarile richiede molto tempo e pazienza, e l’utilizzo degli strumenti indicati permette di ottimizzare e razionalizzare questa fase così importante.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

L’evoluzione del linguaggio nella comunicazione e nella tecnica giuridica – a cura Notaio Luca Sioni

Vi è mai capitato, durante la stipula di un atto notarile, di provare una sensazione di difficoltà nel seguire la lettura e nel mantenere la concentrazione, se non, addirittura, un insopprimibile senso di noia unito, magari, ad una scarsa comprensione del contenuto?

Certo le difficoltà insite nella materia e, talora, la non sempre chiara intellegibilità delle parole del notaio non aiutano il povero cliente, ma credo sia un dato di fatto che i testi dei nostri atti siano nella maggior parte dei casi un po’ involuti, infarciti di riferimenti a norme di legge che per le parti sono prive di significato, strutturati secondo modelli decisamente superati.

Il linguaggio è uno strumento in continua evoluzione e altrettanto lo sono le tecniche della comunicazione che, soprattutto in questi ultimi anni, hanno guadagnato un ruolo centrale anche in ambiti diversi da quelli tradizionale: oramai si parla quotidianamente, anche nel mondo delle aziende e delle professioni, di concetti quali comunicazione interna ed esterna, marketing narrativo, storytelling. Il modo di comunicare si è arricchito di nuovi strumenti e il racconto è sempre più spesso costituito da molteplici elementi: video, audio, immagini, testi, mappe, infografiche. Sull’onda di quanto accade nei social media si tende sempre più a creare vere e proprie storie finalizzate a produrre e veicolare contenuti (content marketing) allo scopo di rafforzare l’identità di un marchio.

Da qualche tempo questi concetti hanno cominciato a farsi largo anche nel campo delle professioni giuridiche e non solo gli studi più affermati e strutturati ma anche quelli di dimensioni e aree di operatività geografica più limitati utilizzano correntemente queste tecniche per costruire e rafforzare un proprio brand.

Ma se è un dato di fatto che  l’utilizzo di queste tecniche comunicative si stia diffondendo progressivamente anche nell’ambito delle professioni giuridiche, la questione del linguaggio degli atti e della sua semplificazione nell’ottica di una maggiore comprensibilità, almeno qui in Italia, è ancora agli inizi, e in tal senso va ricordata la lodevole iniziativa che ha portato a siglare, non più tardi di un paio d’anni fa, un protocollo d’intesa tra  Ministero della Pubblica Amministrazione e Accademia della Crusca per l’avvio di un programma di studio e promozione volto a favorire una comunicazione corretta e chiara in ambito istituzionale

Negli USA, invece, già dalla metà degli anni ’70 è andato sviluppandosi un vero e proprio movimento finalizzato alla semplificazione della lingua utilizzata dagli avvocati americani, il “Plain English Movement”, con l’obiettivo di sfrondare il linguaggio giuridico dalle complessità di una terminologia, spesso arcaica, riservata agli addetti ai lavori e poco comprensibile al cittadino comune.

Un po’ alla volta si sono moltiplicate iniziative destinate a inserirsi in questo filone. Varie ricerche sono state condotte, principalmente negli USA, sottoponendo ad un campione di avvocati e giudici alcuni documenti in due versioni, una nello stile legale tradizionale ed una seconda in un linguaggio chiaro e maggiormente comprensibile (“plain language”, appunto) e la stragrande maggioranza degli intervistati ha ritenuto preferibile la versione in plain language.

La pragmaticità degli americani ha fatto sì che si arrivasse, nel 2010, a promulgare addirittura una legge federale ad hoc, il Plain Writing Act.

Periodi lunghi e involuti, frasi poco scorrevoli, l’utilizzo di vocaboli ormai desueti nel linguaggio comune influisce sulla fluenza, cioè sulla facilità o meno di processare le informazioni.

Oggi più che mai, nell’era di internet, caratterizzata da un vero e proprio bombardamento di stimoli comunicativi da metabolizzare velocemente, leggere e comprendere agevolmente le informazioni ricevute ne agevola l’assorbimento e ingenera nel lettore un atteggiamento positivo.

Se ciò vale per chi è esperto in un settore (come detto, il campione degli intervistati era composto da giudici e avvocati), è facile comprendere come sia tanto più importante per chi esperto non è.

E qui si torna al tema, posto inizialmente, del linguaggio utilizzato nell’atto notarile, il cui destinatario, nella stragrande maggioranza dei casi, non è un esperto del settore ma una persona comune.

Quanto più apprezzato sarebbe un atto notarile scritto in plain language, e quanto più apprezzato sarebbe il notaio che si rivolge al cliente in modo chiaro e comprensibile, sottraendosi ai trabocchetti del “legalese”?

E’ risaputo che dopo pochi minuti la soglia di attenzione di chi ascolta si abbassa in modo graduale, fino a sconfinare nella disattenzione. L’obiettivo a cui tendere dovrebbe quindi essere quello di organizzare le informazioni in modo efficace, riducendo i tempi di fruizione e, al contempo, agevolandone la comprensione, ciò che, sempre stando agli studi condotti, consente di accrescere notevolmente la credibilità e autorevolezza di chi fornisce l’informazione.

Gli atti notarili sono spesso eccessivamente lunghi, con troppi riferimenti a norme di legge che non solo non è indispensabile citare ma la cui presenza complica la fluenza da parte di chi ascolta o legge l’atto, con il risultato di rendere poco fluida la costruzione del periodo, complicando la comprensione dei testi e mettendo il più delle volte in una situazione di sudditanza psicologica il cliente che di tali norme, nella stragrande maggioranza dei casi, nulla sa.

Occorrere riflettere sul fatto che il cliente medio non esiste, esiste invece una tipologia di clienti estremamente varia per età, livello di istruzione, soglia media di attenzione, capacità di comprensione, padronanza del linguaggio di base e settoriale ecc. e tutto ciò, se vogliamo adeguare i nostri standard linguistici e di comunicazione, va tenuto in debita considerazione.

Il nostro linguaggio non deve essere autoreferenziale ma deve essere volto a raggiungere l’obiettivo di rendere comprensibili, anche a chi non è un tecnico del diritto, concetti tutt’altro che semplici.

E’ superfluo puntualizzare che una revisione dei testi finalizzata ad una più immediata comprensione dei concetti espressi nell’atto nulla deve concedere in termini di rigore scientifico e appropriatezza dell’espressione. Il punto, la vera sfida, è proprio coniugare comprensibilità e specificità del testo giuridico, di per sé tecnico e disseminato di menzioni cui il notaio è tenuto per legge e alle quali non può sottrarsi.

Ciò su cui si può operare è sicuramente:

  • il periodo, che deve essere più breve e possibilmente privo di (o con pochissime) incidentali;
  • l’uso dei vocaboli, eliminando quelli arcaici o eccessivamente ricercati;
  • l’utilizzo dei riferimenti normativi, che deve essere limitato a quei riferimenti che sono essenziali, magari concentrati in un’apposita sezione;
  • la struttura dell’atto, facendo ricorso, ove possibile, a schematizzazioni; inserendo per ogni articolo un titolo che faciliti la ricerca di determinate clausole; raggruppando, ove possibile, gli articoli in titoli e sezioni;
  • la grafica, utilizzando grassetti, sottolineature, corsivi ed elenchi puntati.

Questi sono solo alcuni degli accorgimenti che possono essere utilizzati. Sarà poi la sensibilità di ciascun notaio a guidarlo nella revisione dei testi, utilizzando la tecnica redazionale più affine al proprio modo di esprimersi ma sempre tenendo ben presente l’obiettivo finale di una più agevole comprensione del testo nell’ottica di una piena fruizione dei contenuti.

A metà degli anni ’60 Italo Calvino, in un celebre articolo scritto per il quotidiano Il Giorno, con la sottile ironia che gli era propria, lanciava i suoi strali contro quella che lui aveva ribattezzato “l’antilingua”, ma già molto prima, nei Promessi Sposi, Manzoni tracciava il ritratto mirabile dell’avvocato Azzeccagarbugli, del quale una delle principali caratteristiche era proprio il ricorso ad un linguaggio, quello dell’uomo di legge, artificiosamente complicato e del tutto incomprensibile al povero Renzo.

Ecco, se provassimo ogni tanto a metterci nei panni del Renzo di turno, cercando di fare uno sforzo che ci renda, nel linguaggio parlato e in quello scritto, più chiari e comprensibili, senza che ciò si traduca in un impoverimento della nostra lingua, renderemmo un gran servizio al cliente e guadagneremmo molto in termini di apprezzamento e credibilità.

Luca Sioni,  Notaio in San Vito al Tagliamento.

Atto notarile di accertamento della proprietà di beni immobili per usucapione – a cura Notaio Chiara Mistretta

1 Introduzione

1.1 L’usucapione è un modo di acquisto a titolo originario – della proprietà e dei diritti reali di godimento – in virtù di un possesso non vizioso e continuato per un tempo legislativamente stabilito, in ragione della natura del bene posseduto.

Ai sensi dell’art 1158 e seguenti del c.c. la proprietà di beni immobili e di altri diritti reali di godimento sui medesimi si acquista, a titolo originario, mediante possesso continuato, ininterrotto, pacifico e pubblico, che dimostri inequivocabilmente l’intenzione del possessore di esercitare la signoria sul bene, ossia il potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di un altro diritto reale di godimento sullo stesso.

Il possesso, pertanto, oltre ad essere continuo, non interrotto ed inequivoco, deve essere, altresì pacifico e pubblico, ossia conseguito in maniera non violenta (senza violenza fisica o morale) e né clandestina – altrimenti, ai sensi dell’art. 1163 c.c.., non giova ai fini dell’usucapione se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità è cessata – e pubblica, in altri termini esercitata in modo visibile e non occulto.

 

2 Negozio di accertamento dell’usucapione

2.1 Il negozio di accertamento è un atto mediante il quale le parti conferiscono certezza ad una precedente situazione giuridica incerta, al fine di eliminare la “res dubia” con effetto preclusivo di ogni possibile e futura contestazione a riguardo. Al negozio di accertamento viene riconosciuto un valore autonomo: è atto causale, manifestazione di volontà diretta ad eliminare un’incertezza ed espressione dell’autonomia privata ai sensi dell’art 1322 secondo comma cc.

La qualificazione giuridica del negozio di accertamento è stata oggetto di diverse letture dottrinarie tra coloro che ne sostengono la natura costitutiva ed altri la sua mera natura dichiarativa.

I sostenitori della prima tesi (3) evidenziano la funzione dispositiva modificativa del rapporto giuridico incerto, finalizzata alla costituzione, modifica o estinzione di situazioni giuridiche soggettive, rendendo definitiva e vincolante una precedente situazione giuridica incerta.

I sostenitori della seconda teoria (4) sottolineano un’efficacia dichiarativa immediata e retroattiva, volta a cristallizzare fatti o rapporti giuridici preesistenti senza costituire, modificare od estinguere situazioni giuridiche soggettive e senza avere effetto traslativo. 

Le diverse ricostruzioni dottrinarie rendono incerto l’inquadramento giuridico del negozio di accertamento avente ad oggetto diritti reali. A parere di chi scrive le parti, che intendono esplicare una volontà accertativa della “res dubia” implicitamente modificano la situazione preesistente assurgendo a nuova fonte regolatrice l’accordo raggiunto.  In relazione al negozio di accertamento la dottrina e la giurisprudenza, oltre ad interrogarsi sulla legittimità di tali accordi, ha tentato di ricostruire il regime della trascrivibilità degli stessi ai sensi dell’art 2644 e 2643 c.c producendo tali negozi “taluni degli effetti presi in considerazione dalle norme citate”.

2.2 In tema di trascrizione degli atti (intesi come contratti, rinunce, sentenze e accordi) relativi ai beni immobili l’articolo 2643 c.c. è stato modificato, dall’art 84 bis Decreto Legge 21 giugno 2013 n. 69 convertito con modifiche dalla Legge del 9 agosto 2013 n 98., con l’introduzione del nuovo numero 12 bis.

Il numero 12 bis prevede la trascrivibilità degli accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticato da pubblico ufficiale, introducendo un’alternatività alla sentenza dichiarativa di accertamento dell’usucapione. Tale novella ha altresì comportato il nascere di perplessità in merito alla sua applicabilità, oltre alla fattispecie espressamente prevista di accordi di mediazione, anche ai meri negozi di accertamento autenticati da pubblico ufficiale.

2.3 Parte della dottrina (1) ha sostenuto il carattere eccezionale delle norme in tema di trascrizione a tutela del principio di certezza e sicurezza della circolazione dei diritti, in quanto derogatorio al principio del consenso traslativo e poste. Altra parte della dottrina (2), invece, ha sostenuto e sostiene tutt’oggi che la disciplina sottesa alle norme sulla trascrizione possa essere estesa anche a fattispecie identiche dal punto di vista sostanziale con riferimento agli effetti, ad atti menzionati dalle norme stesse, bensì diversi dal punto di vista della formazione del consenso.

A favore della tesi della legittimità dell’accertamento negoziale dell’usucapione parte della dottrina (2) ha sostenuto che, una volta avvenuta la conciliazione degli interessi in tema di usucapione il negozio che le parti stipulano non è dissimile da quello che le stesse avrebbero potuto concludere davanti al notaio a prescindere dal contributo del mediatore. Anche l’accordo in esito alla conciliazione è espressione dell’autonomia privata, è atto negoziale delle parti e come tale non diverso da quello che avrebbero concluso senza l’intervento conciliativo del mediatore. Il mediatore, infatti, ha come compito quello di verificare che quanto dichiarato dalle parti corrisponda alla loro volontà e di certificare nel verbale di conciliazione tale accordo pattizio.

Inoltre è da rilevare che la nuova previsione normativa è stata volutamente inserita dal legislatore nell’art. 2643 c.c. e non nell’art. 2651 c.c. che prevede la trascrizione, a fini di mera pubblicità notizia, della sentenza di accertamento dell’usucapione. Da ciò parte della dottrina fa evincere che l’accertamento negoziale dell’usucapione possa considerarsi come atto dispositivo e non meramente dichiarativo, rientrando così nella logica circolatoria degli acquisti a titolo derivativo e come tale richiedendo l’osservanza del principio di continuità, ex art. 2650 c.c. .

2.4 In conclusione si può affermare che ad oggi il negozio di accertamento di usucapione – rispondendo alla medesima ratio di ridurre il carico giurisdizionale mediante l’utilizzo di strumenti alternativi alla risoluzione delle controversie – è atto valido ed efficacie le cui evidenze devono essere portate a conoscenza dei terzi e quindi è soggetto a trascrizione, applicando in estensione il dispositivo dell’art 2643 n. 12 bis c.c. quale fattispecie sostanzialmente identica all’accordo di mediazione, ma diversa dal punto di vista della formazione del consenso.

 

3 Profili pratici: pubblicità e fiscalità

3.1 A prescindere dalla qualificazione giuridica dell’accordo accertativo di usucapione, si suggerisce, stante l’inclusione dello stesso da parte del legislatore (art. 2643 cc) nel sistema circolatorio degli acquisti a titolo derivativo, di applicare e rispettare tutte le disposizioni, a pena di nullità, riguardanti la materia urbanistica-edilizia e quelle riguardanti la c.d. conformità catastale oggettiva nonché l’obbligo di dotazione e allegazione dell’attestato di prestazione energetica. A parere di chi scrive è possibile omettere la verifica dell’allineamento tra banca dati catastale e registri immobiliari (c.d. conformità catastale soggettiva).

3.2 Dal punto di vista delle imposte indirette se l’accertamento negoziale dell’usucapione è da considerarsi come atto dispositivo e non meramente dichiarativo si applicano le imposte previste per gli atti traslativi a titolo oneroso di beni immobili (art. 8 nota II bis TUR tariffa parte prima).

Diversamente se si aderisce alla tesi che l’usucapione opera ipso iure e l’atto negoziale di accertamento ha natura dichiarativa si applicheranno allo stesso le imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa di euro 200 ai sensi dell’art 3 TUR tariffa parte prima ovvero ai sensi dell’art. 11 TUR tariffa parte prima come atto non avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale.

 

4 Bibliografia

-(1) GAZZONI, La trascrizione degli atti e delle sentenze, in Trattato della trascrizione, Vol I Tomo I;

-(2) BARALIS, L’accertamento negoziale dell’usucapione nell’ambito della mediazione riformata: il senso della trascrizione e i problemi connessi, Rivista Diritto Civile 2014;

-(3) CORRADO, Il negozio di accertamento, Torino, Istituto Giuridico della R. Università, 1942;

-MINERVINI, Il problema dell’individuazione del negozio di accertamento, Rivista Diritto Civile, 1986;

-(4) GIORGIANNI, Negozi di accertamento, voce “accertamento” in Enciclopedia del diritto , Milano, 1959;

-RUGGERI -MINERVINI, Contratti traslativi e negozi di accertamento, Trattato Perlingieri;

-PETRELLI, Trascrizione degli accordi di mediazione che accertano l’usucapione, in www.petrelli.it ;

-KROGH Studio n. 718 – 2013/C;

-SANNINO Studio n. 4 – 2017/C;

-BARALIS Studio n. 176 – 2008/C;

-Corte d’appello Reggio Calabria Sentenza del 12.11.2015

Chiara Mistretta,  Notaio in Brescia.

Gli indicatori chiave dello studio notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

La gestione dello studio notarile può essere pianificata e tenuta sotto controllo in modo efficace se si rilevano sistematicamente alcuni indicatori accuratamente selezionati.

Il sistema di indicatori costituisce quindi un elemento fondamentale del sistema di controllo di gestione dello Studio notarile.

Il sistema di controllo di gestione dello studio notarile è rivolto a guidare lo studio verso il perseguimento dei suoi obiettivi di medio e breve termine, che dovrebbero trovare formalizzazione, rispettivamente, nel piano strategico e nel budget.

Il sistema di controllo di gestione deve produrre le informazioni per supportare il Notaio nella gestione delle risorse e nelle decisioni, affinché i comportamenti quotidianamente posti in essere siano coerenti rispetto al percorso strategico.

In generale, gli indicatori sono strumenti che consentono allo Studio di misurare e rappresentare un determinato fenomeno, interno o esterno.

Solitamente sono oggetto di misurazione i tradizionali aspetti attinenti alla dimensione economico-finanziaria (tra i quali, per esempio, il fatturato per cliente, il margine di contribuzione per Area Strategica di Attività, il risultato economico dello studio, il cash flow, i crediti insoluti, e così via). Si dovrebbero invece misurare anche altri aspetti che costituiscono comunque per lo Studio “fattori critici di successo” (FCS), ovvero fattori che consentono allo studio notarile di operare efficacemente e con risultati superiori ai propri competitor.

Gli indicatori sono rapporti tra grandezze che possono essere quantitativi o qualitativi. Nell’ambito degli indicatori quantitativi distinguiamo quelli relativi alle grandezze economiche, alle quantità (per esempio numero di adempimenti prodotti) e ai tempi (per esempio tempo impiegato per lo svolgimento di una formalità).

Un fattore critico molto importante oggi per il successo dello studio notarile è rappresentato dalla velocità con la quale si soddisfa il cliente, descritta dal tempo medio di attraversamento, cioè il tempo mediamente necessario allo studio per condurre un cliente alla stipula, calcolato dal momento del primo contatto. 

Oggigiorno uno studio che ci mette pochi giorni sarà favorito agli occhi del cliente ed otterrà un migliore passaparola rispetto ad uno studio più lento nell’arrivare a stipula, a parità di accuratezza.

Altro fattore critico di successo potrebbe essere la disponibilità di risorse umane in possesso di competenze specialistiche in determinate aree strategiche di attività, magari non particolarmente diffuse come ad esempio il diritto societario. Questo permette allo studio di distinguersi dagli altri, riuscendo a soddisfare esigenze specifiche della clientela, magari fungendo anche da elemento attrattivo anche per clienti di altre zone.

Ulteriori fattori critici di successo potrebbero essere rappresentati dal rispetto delle scadenze concordate con i clienti, o più in generale dal livello qualitativo del servizio, che naturalmente investe aspetti tangibili e, soprattutto, intangibili. Questi ultimi esempi sono collegati ad una variabile critica per eccellenza dello Studio Professionale, ovvero la soddisfazione della clientela. 

Altri elementi a cui dovrebbero essere correlati appositi indicatori, sono i cosiddetti “fattori di rischio” (business risk), che lo Studio dovrebbe sistematicamente monitorare poiché la loro eventuale manifestazione potrebbe costituire un ostacolo nel perseguimento degli obiettivi strategici, arrivando nei casi peggiori a comprometterne la continuità stessa.

Un elemento critico per lo studio notarile è certamente rappresentato dalla velocità con la quale vengono eseguiti gli adempimenti successivi alla stipula. Questo aspetto è fondamentale in quanto delinea, anche secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la responsabilità civile del Notaio nei confronti delle parti.

Anche la comunicazione esterna dello studio può essere vagliata. Un elemento utile a verificare l’efficacia della proposta dello studio è quello di verificare la quantità di preventivi non andati a buon fine rispetto al totale.

Attraverso gli indicatori, lo studio potrà anche parametrarsi con il mondo esterno e fare benchmarking confrontando i propri numeri magari con altri colleghi appartenenti alla stessa rete. Una sorta di benchmarking è quella che svolgono i Consigli Notarili nella sorveglianza del numero di atti stipulati dai vari studi, al fine del rispetto della deontologia. Anche da questa sorta di “classifica” possono derivare informazioni utili allo studio per il miglioramento della propria performance in quanto dal punto di vista squisitamente economico è una analisi delle quote di mercato.  

Prima di stabilire quali indicatori adottare occorre definire quali variabili misurare e, ancora prima necessita definire gli aspetti strategici, poiché da questi deriva l’individuazione coerente degli oggetti delle misurazioni. Un’efficace definizione del sistema di indicatori deve quindi discendere dalla strategia dello studio notarile, consentendo di monitorare e presidiare le variabili critiche.

Con questo non si vuole affermare che uno studio notarile non possa comunque attivare misurazioni su diversi aspetti se non ha prima definito la strategia, ma solo sottolineare che, in assenza di questo, c’è il rischio di monitorare aspetti non rilevanti e di impegnare risorse nella produzione di informazioni, magari anche estremamente dettagliate ed analitiche, che poi non risultano effettivamente utili per presidiare le dinamiche dello Studio e del contesto esterno.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network