TASSAZIONE DIVISIONE CON COLLAZIONE – a cura Notaio Federica Croce

Art. 34 D.P.R. 131/1986, primo comma, seconda parte:

Base imponibile

La massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore, riferito alla data della divisione, dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione, e nelle altre comunioni, dai beni risultanti da precedente atto che abbia scontato l’imposta propria dei trasferimenti.

  • Rinvio all’ART 8 TUS

Il valore globale netto dell’asse ereditario è costituito dalla differenza tra il valore complessivo, alla data dell’apertura della successione, dei beni e dei diritti che compongono l’attivo ereditario, determinato secondo le disposizioni degli articoli da 14 a 19, e l’ammontare complessivo delle passività deducibili e degli oneri diversi da quelli indicati nell’art. 46, comma 3.

La base imponibile del tributo viene stabilita con una norma di rinvio e si identifica col valore netto dell’asse ereditario e delle singole quote, e quindi col valore complessivo dei beni e diritti costituenti l’attivo ereditario, diminuito delle passività.

I beni donati non rientrano pertanto nella massa ereditaria e non possono considerarsi “esistenti” alla data di apertura della successione.

Delle donazioni fatte a ciascun erede si tiene conto infatti, ai sensi del 4 comma dell’art. 34, AI SOLI FINI DELLA DETERMINAZIONE DELLE ALIQUOTE APPLICABILI (oggi coacervo)

(( 4. Il valore globale netto dell’asse ereditario è maggiorato, ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 7, di un importo pari al valore attuale complessivo di tutte le donazioni fatte dal defunto agli eredi e ai legatari, comprese quelle presunte di cui all’art. 1, comma 3, ed escluse quelle indicate all’art. 1, comma 4, e quelle registrate gratuitamente o con pagamento dell’imposta in misura fissa a norma degli articoli 55 e 59; il valore delle singole quote ereditarie o dei singoli legati è maggiorato, agli stessi fini, di un importo pari al valore attuale delle donazioni fatte a ciascun erede o legatario. Per valore attuale delle donazioni anteriori si intende il valore dei beni e dei diritti donati alla data dell’apertura della successione, riferito alla piena proprietà anche per i beni donati con riserva di usufrutto o altro diritto reale di godimento.))

  • Non può mai tenersi conto nella base imponibile della divisione delle donazioni intercorse precedentemente
  • Le quote di diritto verranno calcolate solo sulla base del valore dell’asse ereditario netto à la sproporzione con le quote di fatto assegnate, quand’anche fosse derivante dalla collazione per imputazione di precedenti donazioni, darà luogo ad imposta di trasferimento come un conguaglio

Risoluzione del 12/05/1987 n. 250249 – Min. Finanze

In conclusione, si deve ritenere, a parere della scrivente, che, in base alla normativa vigente (art. 34 del D.P.R. 1986, n. 131, nelle comunioni ereditarie la massa comune da dividere va determinata secondo gli stessi criteri seguiti per l’individuazione del valore imponibile dell’asse ereditario ai fini dell’imposta sulle successioni, astraendo cioè dalla collazione disciplinata dal codice civile. Nell’esempio riportato in premessa quindi, le quote di diritto verranno calcolate solo sulla base del valore dell’asse ereditario netto, talché la rilevante sproporzione con le quote di fatto assegnate darà luogo, ai sensi dell’art. 34, ad imposta proporzionale di trasferimento.

Cass.

Sez. 5, Sentenza n. 8335 del 10/04/2006

In tema d’imposta di registro dovuta sugli atti di divisione ereditaria, l’art. 34 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, prevedendo che la massa comune è costituita dal valore dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione, richiama le disposizioni relative a quest’ultima imposta (nella specie, l’art. 7 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637), le quali identificano la base imponibile con il valore netto dell’asse ereditario e delle singole quote, prevedendo che del valore delle donazioni soggette a collazione si tenga conto soltanto ai fini della determinazione delle aliquote, da applicarsi al solo valore dei beni caduti in successione. L’istituto della collazione non trova pertanto applicazione nella determinazione della base imponibile, la quale è costituita esclusivamente dall’incremento patrimoniale verificatosi in favore dei successori, senza che assuma alcun rilievo il valore dei beni già appartenenti a questi ultimi, il cui assoggettamento a tassazione si tradurrebbe d’altronde in una duplicazione d’imposta, trattandosi di beni sui quali, nella normalità dei casi, è stata già pagata l’imposta sulle donazioni.

Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25929 del 16/10/2018 (conforme a precedente).

Risoluzione del 12/05/1987 n. 250249 – Min. Finanze – Tasse e Imposte Indirette sugli

Affari

Successioni. Istituto della collazione e determinazione della massa comune per procedere alla divisione ereditaria.

Sintesi:

L’istituto della collazione non rileva in alcun modo nella determinazione del valore imponibile dell’asse ereditario e nel calcolo delle quote su cui verranno applicate le aliquote d’imposta. I beni donati non rientrano pertanto nelle masse ereditarie e non possono considerarsi “esistenti” in data di apertura della successione. Le quote di diritto verranno calcolate sulla base del valore dell’asse ereditario netto.

Testo:

Con la nota in riferimento, diretta per conoscenza a questa Direzione generale, codesto Ispettorato ha risolto un questio formulato dall’Ispettore in verifica presso l’Ufficio del registro di C., in merito al criterio impositivo da adottare nell’applicazione dell’imposta di registro sulle divisioni di masse ereditarie, convenute tra coeredi destinatari di precedenti donazioni effettuate in vita dal de cuius.

Codesto Organo ispettivo ha manifestato in particolare il convincimento che, nel caso di divisioni relative a successioni legittime di discendenti in linea retta, ai fini della determinazione della massa comune da dividere, occorresse tener conto, in base all’istituto della collazione, di tutte le donazioni effettuate dall’ascendente a favore dei figli. Le predette conclusioni troverebbero il proprio supporto, secondo codesto

Ispettorato, in una corretta interpretazione dell’art. 32 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (trasfuso, secondo codesto Ispettivo Ufficio, nell’art.34 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) il cui testo fa riferimento, secondo la modifica apportata dall’art. 3 della legge 23 dicembre 1977, n. 953, al valore “dei beni esistenti alla data di apertura della successione”. Tale inciso dovrebbe infatti essere interpretato – a parere di codesto

Ispettorato – “alla luce della disciplina civilistica in materia di divisioni ereditarie con donazioni soggette a collazione”.

Nell’esempio riportato nella nota si configura l’ipotesi di un atto di divisione stipulato da due successori in linea retta i quali, dopo aver premesso di essere entrambi a conoscenza di precedenti donazioni effettuate in vita dall’ascendente a favore del figlio maggiore per un valore di L. 10.000.000, procedono di comune accordo alla divisione dei beni relitti compresi nell’asse ereditario del valore complessivo di L. 20.000.000, mediante formazione di due quote del valore rispettivamente di L. 5.000.000 e L. 15.000.000. In tale evenienza, al fine di ricostruire la massa dividenda sulla quale vanno calcolate le quote di diritto, occorrerebbe sommare, ad avviso di codesto Ispettorato, il valore dell’asse ereditario con quello delle donazioni precedenti (nell’esempio L. 20.000.000 + L.10.000.000 = L. 30.000.000). Il valore delle quote di diritto risulterebbe così di L. 15.000.000 ciascuna e corrisponderebbe a quello delle quote di fatto (il condividente A avrebbe per successione, mentre il condividente B avrebbe ugualmente ricevuto L. 10.000.000 con donazione e L. 5.000.000 per successione, mentre il condividente B avrebbe ugualmente ricevuto L. 15.000.000 solo per successione). Nella predetta ipotesi, non si legittimerebbe in alcun modo, secondo codesto Ispettorato, l’applicazione dell’imposta proporzionale di trasferimento, riscontrandosi piena corrispondenza tra quote di fatto e quote di diritto. Esaminata la questione, la scrivente non ritiene di poter condividere la prospettata soluzione ed esprime l’opinione che la citata normativa debba essere diversamente interpretata. Al riguardo, occorre preliminarmente rilevare che la soggetta materia rimane regolata, a seguito dell’entrata in vigore del T.U. approvato con D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, dall’art. 34 di detto decreto, il quale ha modificato, per la parte che interessa, la formulazione letterale del corrispondente art. 32 del previgente D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, così come modificato dall’art. 3 della legge 23 dicembre 1977, n. 953. Ed invero, il predetto art. 34 prescrive espressamente che la massa comune deve essere costituita nelle comunioni ereditarie “dal valore dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione”. Il criterio impositivo viene pertanto stabilito attraverso una norma di rinvio, richiamando ciò una nozione derivante dalla normativa che regola l’imposta di successione. È a quest’ultima che occorre pertanto fare riferimento per ricavare il vero significato dell’espressione usata dal legislatore.

Ebbene, in base al sistema normativo di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n.637, l’imposta di successione è applicabile solo in quanto l’asse ereditario relitto abbia un valore economico positivo e sia idoneo a determinare un effettivo incremento patrimoniale a favore dei successori. La base imponibile del tributo si identifica perciò col valore netto dell’asse ereditario e delle singole quote e quindi col valore complessivo dei beni e diritti costituenti l’attivo ereditario, diminuito delle passività (art. 7, primo comma). Il valore delle donazioni soggette a collazione viene invece aggiunto al valore dell’asse ereditario globale netto nonché a quello delle singole quote, secondo la formula usata dal legislatore all’art. 7, quarto comma, ai soli fini della determinazione della aliquota, fermo restando che le aliquote così determinate si applicano al solo valore dei beni caduti in successione. In altri termini l’istituto della collazione non rileva in alcun modo nella determinazione del valore imponibile dell’asse ereditario e nel calcolo delle quote su cui verranno applicate le aliquote d’imposta. Gli stessi principi debbono essere applicati, in base al rinvio operato dall’art. 34, anche per la individuazione della massa comune ereditaria sulla quale verranno calcolate le quote di diritto, mentre ogni diversa interpretazione, dato il chiaro tenore letterale della norma, si rivelerebbe contra legem.

Va peraltro rilevato che la diversa formulazione testuale assunta dall’art.34 citato, rispetto a quella del previgente art. 32 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, induce a ritenere che il legislatore abbia inteso affermare più esplicitamente un principio che era in realtà già contenuto nell’espressione letterale usata nella precedente disposizione. Infatti, la formula che identificava il valore della massa comune con quello dei “beni esistenti alla data di apertura della successione” indicava, con sufficiente chiarezza, che il criterio impositivo prescritto fosse imperniato esclusivamente, anche sotto l’abrogata normativa, sul dato relativo ai beni relitti dal de cuius, senza tener conto dell’istituto della collazione. Tale convincimento è determinato da un duplice ordine di considerazioni.

Sotto un primo profilo si osserva che la dizione “beni esistenti alla data di apertura della successione” faceva riferimento evidentemente al patrimonio del de cuius ed escludeva a fortiori l’istituto della collazione, dato che quest’ultima opera anche nei confronti dei beni alienati a terzi prima dell’apertura della successione, naturalmente nella forma dell’imputazione (art. 746, secondo comma, del Codice civile).

In secondo luogo, la possibilità di ricorrere alla collazione sembrava già in base al ricordato art. 32 – negata “in radice” anche per un concorrente rilievo in una delle due forme della collazione, quella cioè per l’imputazione, il bene rimane sempre in proprietà del coerede donatario, che lo trattiene in virtu’ della donazione ricevuta e deve versare alla massa solo l’equivalente pecuniario.

I beni donati non rientrano pertanto nelle masse ereditarie e non possono considerarsi “esistenti” alla data di apertura della successione.

In conclusione, si deve ritenere, a parere della scrivente, che, in base alla normativa vigente (art. 34 del D.P.R. 1986, n. 131, nelle comunioni ereditarie la massa comune da dividere va determinata secondo gli stessi criteri seguiti per l’individuazione del valore imponibile dell’asse ereditario ai fini dell’imposta sulle successioni, astraendo cioè dalla collazione disciplinata dal codice civile. Nell’esempio riportato in premessa quindi, le quote di diritto verranno calcolate solo sulla base del valore dell’asse ereditario netto, talché la rilevante sproporzione con le quote di fatto assegnate darà luogo, ai sensi dell’art. 34, ad imposta proporzionale di trasferimento.

Federica Croce, Notaio in Lecco

Le aree strategiche di attività dello studio notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

Inizia con questo articolo la nostra disamina dei principali strumenti di controllo gestionale utili allo studio notarile.

In questo contributo vedremo come la classificazione dei costi e dei ricavi in base alle aree strategiche di attività permette di acquisire una maggiore consapevolezza rispetto al contributo alla redditività complessiva dello studio notarile dalle singole attività esercitate.

Tutti gli studi notarili infatti, anche se dimensionalmente ridotti, gestiscono un portafoglio con una rosa di molteplici servizi differenziati.

Per Area strategica di attività (ASA), si intende un sottoinsieme dello studio coincidente con un settore specifico in grado, se scorporato dallo studio, di sopravvivere autonomamente. Il concetto di area strategica di attività è stato sviluppato dagli studiosi di organizzazione d’impresa e di marketing ed oggi è stato esteso agli studi professionali.

Un singolo studio notarile che operi in aree strategiche di attività diverse potrà rivolgersi a mercati e clienti diversi per ciascuna delle ASA. Le ASA possono rispondere strategicamente ad una logica di diversificazione. Le aree strategiche di attività possono talvolta assumere all’interno dello studio un’autonomia giuridica (è il caso delle associazioni notarili limitate ad alcune attività come quelle per la levata dei protesti o per la gestione delle aste), mentre di regola hanno una certa autonomia organizzativa.

Un’ASA è quindi costituita da una o più combinazioni prestazione/mercato/tecnologia configuratesi come un’unità di sintesi e responsabilità reddituale, con una struttura economica propria e con esigenze di conduzione strategica differenziata derivanti dalle caratteristiche della sua arena competitiva.

I passi logici necessari all’individuazione delle Aree Strategiche di attività (ASA) sono:

  • l’individuazione dei criteri di classificazione;
  • la selezione dei criteri di classificazione;
  • la costruzione della matrice prodotti/mercati;
  • il raggruppamento delle combinazioni prodotti/mercati e individuazione delle ASA.

 Alcuni possibili criteri di classificazione delle attività di uno studio notarile sono:

  • i gruppi di clienti
  • i settori serviti
  • i servizi offerti
  • le tecnologie utilizzate.

Ad esempio le modalità operative del settore successioni e atti mortis causa di uno studio notarile saranno profondamente diverse da quelle del diritto societario.

Inoltre sempre più spesso gli studi notarili hanno dei recapiti destinati ad avvicinare la prestazione del notaio ad un determinato territorio, ognuno dei quali ha una sua autonomia gestionale più o meno marcata.

Per gestire uno studio notarile è necessario governare contemporaneamente diverse dimensioni.

Se si intende impostare l’attività di governo in termini razionali (e non solo basandosi sull’intuito e l’esperienza personale) diventa necessario il supporto delle informazioni.

Le dimensioni di governo delle organizzazioni sono identificabili nelle attività, negli incarichi, nei prodotti, nei clienti, nelle aree strategiche.

Le attività rappresentano le unità elementari di cui sono formati i processi.

La definizione stessa di processo viene spesso indicata come una serie di attività coordinate, le quali partendo da un determinato input conducono all’ottenimento di uno specifico output.

Una volta definito il concetto di attività, tutte le altre dimensioni di governo delle organizzazioni professionali possono essere rappresentate come contenitori di attività, in quanto sia destinatari che consumatori delle diverse attività (lo studio di una pratica è parte del processo di produzione di un determinato atto, appartenente ad un ASA specifica, che viene fornito ad un cliente specifico, ecc.).

Una tradizionale classificazione in aree strategiche di attività per uno studio notarile probabilmente terrà conto delle varie tipologie di atti che vengono stipulati. Tradizionalmente si dividono le aree immobiliare, societaria, mortis causa e degli atti minori.

Potrà essere utile ulteriormente distinguere in campo immobiliare tra gli atti di mutuo e gli atti di trasferimento della proprietà.

Una classificazione degli incassi dello studio per attività deve essere obbligatoriamente preparata per la dichiarazione dei redditi del Notaio e si trovava prima nei dati degli studi di settore, oggi negli ISA, indici sintetici di affidabilità fiscale.

Come vedremo in successivi contributi attraverso l’analisi dei ricavi, dei costi e della redditività dello studio per ASA, il Notaio potrà valutare la diversa incidenza dei settori dello studio sui risultati economici e valutare se e come correggere gli andamenti ad esempio promuovendo nelle forme deontologicamente consentite lo sviluppo dell’una o dell’altra area.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

L’utilizzo delle checklist nello studio notarile – a cura Dott. Michele D’Agnolo

L’attività degli studi notarili è caratterizzata da grande complessità e da una elevata esposizione al rischio. Un errore anche molto piccolo come un semplice refuso può causare problemi giganteschi, del tutto sproporzionati rispetto alla carenza iniziale che si è manifestata. Il Notaio e gli assistenti notarili prestano grande attenzione, si preparano e costantemente si aggiornano per prevenire i rischi sia in fase di raccolta dei dati, che in fase di elaborazione degli stessi. Non di rado la grande complessità tecnica si accompagna a ritmi di lavoro importanti e alla necessità di coordinare un team di lavoro, e quindi la possibilità di fare errori aumenta ulteriormente.
E’ qui che entra in scena la checklist. Una piccola grande idea che consente di tenere sotto controllo i rischi efficacemente e a basso costo.
Le checklist nascono storicamente durante il secondo conflitto mondiale nel mondo aeronautico, e vengono poi estese alle imprese nucleari, chimiche, e simili. Tutte le volte in cui, insomma, un errore può essere fatale.
La lista di controllo nasce quindi proprio in quelle situazioni dove il rischio da gestire è elevatissimo.
Sono soprattutto gli errori di memoria, quelli in cui si sa perfettamente una cosa ma poi ci si dimentica di farla, quelli che vengono sistematicamente sconfitti dalla checklist. Ma lo strumento risulta efficace anche per le non conformità che sono causate da una concatenazione con effetto domino di distrazioni e fraintendimenti di più persone. Lo dimostra il grande successo ottenuto dalla checklist dopo il suo debutto, qualche anno fa, nelle sale operatorie di tutto il mondo. Un medico statunitense di origini indiane, Atul Gawande, ha curato per l’Organizzazione Mondiale della Sanità un programma che oggi costringe medici, anestesisti, infermieri e altro personale di sala a interrogarsi e confrontarsi prima di un intervento, sulle misure già pianificate. Avete mai notato che un attimo prima di intervenire i sanitari verificano il vostro nome e cognome e vi chiedono nuovamente per che cosa dovete essere curati?
Questi protocolli che sono stati adattati alle realtà di tutto il mondo da apposite commissioni stabilite presso i ministeri della sanità dei vari paesi hanno permesso di ridurre di svariati punti percentuali le morti, gli errori di cura e le infezioni in sala operatoria. Perché allora non provare ad adottarle anche negli studi notarili? Dopotutto, oggigiorno, chi svolge un attività più rischiosa di un professionista giuridico economico in un paese come l’Italia?
Cerchiamo allora di conoscere meglio lo strumento. Esistono basilarmente due tipi di checklist, quelle “di processo” e quelle “di prodotto”. La check “di processo” consente la verifica l’esecuzione di una serie di attività nel tempo, per esempio si possono verificare lo stato di avanzamento di una o più pratiche.
La checklist di processo è di fatto la sintesi, il riassunto per punti elenco di una procedura. Negli studi notarili ancora non completamente digitalizzati la copertina del fascicolo molto spesso raccoglie informazioni sullo stato di avanzamento della pratica.
La check “di prodotto” invece verifica le caratteristiche di una prestazione ad un certo stadio di lavorazione, per esempio si può verificare la completezza formale dell’atto prima di inviarlo all’Ispezione biennale.
Le checklist peraltro possono essere anche miste, in quanto anche la check di prodotto comporta delle attività che si svolgono nel tempo.
Preparare delle buone checklist, anche per chi non salva vite umane, è davvero un’arte. Le liste di controllo devono infatti essere disegnate in modo ergonomico, per seguire passo a passo le attività che sono destinate a tenere sotto controllo, devono essere univoche, semplici e rapide da compilare e devono avere il giusto grado di sintesi per essere utili. Devono consentire di stabilire le responsabilità delle persone coinvolte, cioè permetterci di risalire a chi ha fatto che cosa. Le checklist vanno sperimentate e rettificate più volte per trovare l’optimum.
In particolare occorrerà scegliere soprattutto quelle variabili che realmente ha senso tenere sotto controllo perché presentano il rischio più alto.
Mettere nero su bianco l’elenco delle cose da controllare ci permetterà anche di fare verifiche più proporzionate ai rischi reali che incorriamo professionalmente e meno orientate ai rischi. apparenti. Ci accorgeremo di quanto a volte siamo stati miopi di fronte a problemi giganteschi e contemporaneamente di quanti dettagli insignificanti abbiamo pignolamente e inutilmente riscontrato.
Come ci insegnano i medici, le checklist, oltre a consuntivare una attività di controllo successiva, possono essere in molti casi utilizzate come strumenti di discussione e di prevenzione, cioè stimolare chi lavora a ritrovare la concentrazione e la memoria prima di svolgere un’attività.

Michele D’Agnolo, Executive Consultant – Intuitus Network

Il mistero della procura via PEC – a cura Notaio Ugo Bechini

Il collaboratore di una Collega di un medio centro del Sud, cui ho mandato una procura in forma digitale, è irremovibile: se non gliela rimando via PEC non potrà usarla.
Liberiamoci da un possibile equivoco: il riferimento al Sud. I progressi digitali della nostra professione sono stati pensati, disegnati e realizzati in grandissima prevalenza al Sud, o da donne e uomini del Sud. I tecnici che da tanti anni ci assistono sono docenti della Federico II; lui sarà anche stato un Hohenstaufen, non discuto, ma l’Università che porta il suo nome è a Napoli, se non m’inganno. Anche in ragione delle mie solide radici meridionali, mi infurio quando sento Colleghi dire: noi al Sud di queste cose non abbiamo pratica. Puerili scuse. Ed anzi, a volerla dir tutta: gli strumenti informatici sono tanto più utili quanto più zoppicanti sono le infrastrutture fisiche. Molti anni fa sentii un Collega svizzero affermare che non si avvertiva presso di loro la necessità di strumenti telematici in quanto una busta impostata prima delle 18, ovunque nella Confederazione, è recapitata l’indomani. Depurata delle iperboli l’idea, ancorché poco o nulla lungimirante, ha (o meglio: aveva) un suo senso.
Veniamo però alla PEC. A cosa serve? La legge (articolo 48 del CAD) è chiara: la trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata … Tali ricevute possono interessare al mittente, in molti casi; non in questo, a meno che in un impeto di complottismo io non sospetti la Collega di voler negare l’avvenuto invio. In ambito forense, ove l’uso della raccomandata a/r tra colleghi è riguardato con evidente biasimo (l’espressione, che trovo a suo modo divertente, è tratta da una delibera del Consiglio dell’Ordine di Bologna in data 7/2/18), si è discusso seriamente della liceità dell’uso, sempre tra Avvocati, della PEC, concludendo che si tratta di una pratica borderline, da valutare caso per caso: così ad esempio l’appena citato indirizzo felsineo. Ed il sopravvissuto spirito di corpo mi induce ad affermare che, in quanto a stile, noi notai non dovremmo esser secondi a nessuno.
Sin qui se l’uso della PEC è deciso dal mittente. Ma quale motivo può avere la destinataria, che ha già felicemente ricevuto quanto le occorre, di reclamare una PEC? Buio pesto. Un buio nel quale matura però una riflessione.
Per una parte significativa della classe notarile, a quanto pare, il diritto dell’informatica non è vero diritto. L’idea che anche gli istituti del diritto dell’informatica, come la PEC, siano radicati in formanti come giurisprudenza, dottrina e legislazione, e che quest’ultima sia persino declinabile in termini di legge/articolo/comma, non gode di molta popolarità. Quando sopravviene qualche novità in materia, in molti studi tutto finisce direttamente sul tavolo dei collaboratori, i quali a loro volta chiedono spesso aiuto alle Software Houses; queste ultime si trovano spesso, e non per loro ambizione, a fornire indicazioni anche in materia squisitamente giuridica, indicazioni che vengono poi tradotte in pratica dai collaboratori, non di rado scimmiottando acriticamente prassi altrui.
Appropriandosi della materia, il notaio potrà scoprire cose interessanti. Nel caso di specie, non solo che la PEC è uno strumento che giova al solo mittente, ma che il documento firmato digitalmente è del tutto indifferente al medium utilizzato per la trasmissione: se il documento fosse alterato in sede di trasmissione la verifica fallirebbe. E’ ben vero che secondo l’articolo 43 comma 2 eIDAS (Regolamento UE 910/2014), i dati inviati e ricevuti mediante servizio elettronico di recapito certificato qualificato godono della presunzione […] dell’invio di tali dati da parte del mittente identificato, ma una volta verificata la firma digitale, si tratta di informazione poco o nulla rilevante. Sarebbe molto più prezioso il curriculum del fattorino che ha recapitato la procura cartacea: un’occasione di falsificare il documento cartaceo lui l’ha avuta, se non altro. Si concluderebbe forse che se presso qualche importante studio (del Nord, in questo caso) è invalso l’uso di inviare le procure per PEC, è per qualche ragione che alla stragrande maggioranza di noi non interessa affatto, e che nulla ha comunque a che vedere con lo status giuridico del materiale trasmesso e con la sua utilizzabilità.

Ugo Bechini, Notaio in Genova